Popolo e popoli – 2
Ieri sera il dialogo in Zoom del Meic Lazio sul tema “Il Popolo di Dio”, introdotto da una conferenza del prof. Giovanni Tangorra, dell’Università del Laterano, è stato molto interessante.
Di seguito sintetizzo l’intervento del prof. Tangorra secondo i miei appunti. Seguono alcune mie considerazioni. Come precisato dal professore, egli ha inteso svolgere una lezione come quelle che tiene per i suoi studenti, non parlarci con stile omiletico. Preciso che il testo della sintesi non è stato rivisto dal conferenziere e quindi risente delle mie capacità di comprensione di persona che ha studiato altre cose, non la teologia né la storia della Chiesa.
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Parlare del Popolo di Dio è parlare di noi.
Il tema è teologico. Il professore lo affronta con stile di studio, non omiletico.
Due modi diversi per trattare l’argomento che non è di facile approccio:
Il libro di José Comblin Popolo di Dio, Servitium editrice, 2007;
la tesi di laurea di Joseph Ratzinger.
Ogni nozione di Chiesa ha valori e caratteristiche.
Viene in mente l’art.1 della Costituzione italiana: la sovranità appartiene al popolo, non allo stato né alla nazione. Non si spiega però che cosa si intenda per popolo. La sovranità popolare ha dei limiti, è scritto, nella Costituzione stessa. L’art. 3 collega il popolo all’uguaglianza.
Il professore tratta tre punti: l’ascesa progressiva della nozione di Poloo di Dio, il concetto dogmatico della Chiesa come Popolo di Dio, recenti sviluppi e vicissitudini.
Ogni nozione di Chiesa ha valori e caratteristiche.
Nei dizionari di sociologia non c’è la nozione di popolo.
Nei dizionari di Bibbia, invece, è impossibile non trovarlo.
E’ un concetto culturale o rivelato?
L’Antico testamento contiene una storia della salvezza narrata attraverso storia di un popolo: fa anche una questione semantica della nozione di popolo. C’è infatti un termine per il popolo di Israele, ‘am (nota 1) e gojim per gli altri popoli. Così anche nella traduzione greca dei Settanta: làos e èthnos (nota 2).
La differenza sta nell’alleanza tra Dio e gli Israeliti, per questo viene corretta la semantica. Dt 7,6: Israele un popolo (‘am) privilegiato tra tutti i popoli (gojim).
Popolo per gli ebrei significa essenzialmente essere parenti.
La denuncia dei profeti contro le ingiustizia sociale assume un significato teologico come tradimento dei fratelli.
Progressivamente l’essere popolo di Dio diventa una anche missione nell’Antico Testamento.
Nel Nuovo Testamento i primi cristiani si riconoscono come
resto messianico del Popolo di Dio intravvisto dai profeti, anche se si preferisce la nozione di Chiesa. Tra loro si chiamano fratelli: provenienti dal giudaismo, hanno presente il significato parentale dell’essere popolo.
Una novità è l’ingresso dei pagani, non più considerati gojim. Non c’è più la distinzione tra laòs e ètnos, si diventa cristiani senza passare per un processo di giudaizzazione (Pt 2, 1-10).
Può Dio avere due popoli?
Può il popolo cristiano essere indicato come nuovo, e Israele, il vecchio?
Gesù fu più che altro riformatore del popolo ebraico. Paolo ebbe l’intuizione di allargare ai non ebrei. Possono essere considerati popolo-‘am anche loro. At 15: il sinodo di Gerusalemme decise la questione in quel senso.
Inizialmente c’è l’idea di una continuità con gli israeliti, ci si tiene molto (“secondo le Scritture”, intendendo l’Antico Testamento), poi si afferma l’idea della sostituzione.
Rm 9-11: Paolo sviluppa la metafora dell’ulivo. Dio non ritira mai i suoi doni.
Plebs adunata: così San Cipriano (vissuto nel Terzo secolo a Cartagine) definiva la Chiesa. I Padri conoscono l’idea di Popolo di Dio, ma preferiscono quella di Corpo di Cristo (S.Agostino). La coscienza popolare non passa in secondo piano: secondo la Lettera a Diogneto(datata al Secondo secolo) i cristiani vengono definiti come terzo popolo, dopo i giudei e i pagani, che si distingue per il modo di vivere.
Nazionalismo, razzismo, etnocentrismo non appartengono al DNA dei cristiani.
Il popolo nella Chiese antiche è attivo. Viene coinvolto nelle nomine episcopali, quindi in questioni importanti (tradizione del Terzo secolo). Però l’unico ambito che ha mantenuto costantemente il termine popolo è la liturgia. Nella liturgia è il popolo che celebra, sacrifica ecc.: sempre il soggetto orante è stato il popolo (Romano Guardini).
Nel Medioevo popolo cristiano ha un significato geopolitico come cristianità. L’ideale è l’alleanza tra trono e altare che tuttavia si sono duramente combattuti.
Tutti, trono e altare, si pensano all’interno del criterio sacrale della Chiesa, ma ognuno rivendica a sé il comando.
Congregatio fidelium – comunità dei credenti (Tommaso d’Aquino) questa idea è sinonimo di popolo nel Medioevo.
Nel Medioevo anche gli strati più umili fanno sentire la loro voce, ma è anche l’epoca in cui si afferma la monarchia papale (prima al centro della Chiesa erano stati i monaci). Progressivamente i laici vengono marginalizzati, anche se mantengono una certa iniziativa (Francesco d’Assisi era un laico, anche se lo costrinsero a diventare diacono).
Innocenzo III (1161-1216, papa dal 1198) canonizzò il primo laico della storia, un certo santo Omobono, mercante di stoffe, valorizza la testimonianza dei laici come la facevano i francescani. Aprì il Concilio Lateranense 4° (1215) ai laici. Al Concilio Vaticano 2º (1962-1965) furono ammessi solo come osservatori.
Dal Cinquecento, in reazione allo spiritualismo protestante si valorizza la nozione di societas. La Chiesa come società perfetta, vale a dire capace di reggersi da sé, senza doversi appoggiare ad un’autorità esterna,e società ineguale e gerarchica. C’è una parte attiva, la gerarchia, e una parte passiva, i laici, che sono un popolo suddito. Il clericalismo raggiunge il massimo livello.
Nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, al capitolo 2° troviamo il Popolo di Dio. La teologia aveva rivalutato la nozione, ritenendo che l’idea di Corpo mistico non rendesse bene l’idea dell’aspetto sociale della Chiesa. Quella della Lumen Gentium è una grossa novità, in particolare nella collocazione dei capitoli. Popolo di Dio, nel primo schema veniva dopo il capitolo sulla gerarchia, intendendolo come composto dai laici. Il Concilio intende per Popolo di Dio come clero, religiosi e laici.
Il capitolo sul Popolo di Dio viene anteposto a quello sulla gerarchia, ma dopo che i capitoli più o meno erano stati scritti scritti e ciò è avvertibile. La teologia sul Popolo di Dio che troviamo nel cap. 2 della Lumen gentilmente non è ancora completamente matura. Le ragioni della categoria del Popolo di Dio sono nella Scrittura, ma gli autori non mancano di rilevarne i fattori socioculturali.
Che cosa vuol dire designare la Chiesa come Popolo di Dio?
Significa richiamarne la dimensione comunitaria, riconoscere la libertà dei singoli, ma non l’individualismo, in particolare come individualismo salvifico, in cui ognuno pensa a salvarsi per sé: un cristiano spopolato.
L’essenza del cristianesimo è l’amore, nella reciprocità. Si vive in un Chiesa di persone, di volti, non di strutture, o di mattoni. Dio vuole un popolo, secondo la Lumen gentium. Abbiamo bisogno degli altri.
Il concetto di Popolo di Dio significa anche estender il soggetto ecclesiale. Luigi Sartori: il concetto del Popolo di Dio servì al Concilio per dire chi fosse la Chiesa. E’ il Popolo di Dio, non la gerarchia guidata dal Papa.
Il problema principale è stato passare dalla teoria alla pratica, altrimenfi il Popolo di Dio divenfa un titolo onorifico.
Ma che vuol dire essere Popolo di Dio? Come stimolare la responsabilità di tutti? Di fatto il potere è ancora tutto accentrato sulla gerarchia.
Con là Lumen gentilmente concetto di uguaglianza (cap. 32 Lumen gentium) rientra nell’ecclesiologia: la Chiesa èm non più vista come societas inaequalis.
L’idea di Popolo di Dio esce infine a riscoprire la dimensione storica nell’ecclesiologia. Il rischio era stato lo spiritualismo e l’astrattismo. E’ sufficiente dire popolo per uscire da quel rischio. Nella Gaudium et spes vediamo una Chiesa che scopre di dover ascoltare il mondo intorno. Si fa entrare nell’ecclesiologia il peso del popolo.
La stagione del Popolo di Dio fu turbolenta dopo il Concilio. Anche il cambio del nome del Movimento Laurati in MEIC-Movimento ecclesiale di impegno culturale, abbandonando un certo elitismo è significativo dell’intento di andare nella direzione del Concilio. Vi furono anche i cristiani per il socialismo. C’era come bandiera l’idea di Popolo di Dio. A partire dagli anni ’80 nel Magistero scompare l’idea che la Chiesa sia Popolo di Dio. Ci fu una brusca correzione di rotta. Nel post-concilio si visse una crisi di identità ecclesiale.
Tra i critici più autorevoli dell’idea di Popolo di Dio ci fu Joseph Ratzinger che la riteneva sopravvalutata sociologicamente. Nella stessa linea il Sinodo dei vescovi del 1985. Ci si spostò sul versante della Chiesa – comunione.
Nel Sud America non ci fu la crisi dell’idea del Popolo di Dio. Ci fu una corrispondenza socio-culturale. Per popolo in quell’ambiente si intende tutti. Da noi invece popolo non dice molto. Da noi per i politici popolo è elettorato. Nell’economia occidentale popolo viene sostituito con consumatore.
In Occidente abbiamo il problema di conciliare diritti individuali e bene comune, che ha una sua rilevanza.
La teologia della liberazione sposta l’idea del popolo in quella degli oppressi. Ora questa idea è diventata importante per il magistero di papa Francesco.
Il 27-4-17 parlando all’AC il Papa l’ha rimproverata di non essere popolare: bisogna popolarizzare di più l’Azione Cattolica, ha detto . La realtà è, si veda il n.232 dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium – La gioia del Vangelo (2013), quella vissuta dal popolo, a cui dal sistema dell’economia e della politica è imposta una razionalità che gli è estranea.
Il Papa dice che ciò che ha assimilato del Concilio è l’idea del Popolo di Dio. Per lui sinodalità è ritrovare il popolo perduto, fatto soprattutto di laici. Il Concilio non parla di sinodalità perché non la conosce, ma al cap. 2 della Lumen Gentium ve ne è la radice. Si scrive che laici hanno il diritto e il dovere di far conoscere il loro pensiero nella Chiesa.
Bisogna vedere però come passare dal regime di consultazione, che è già qualcosa, a quello del decidere insieme. Se la Chiesa è un bene comune, tutti devono decidere.
La sinodalità serve anche a condividere il travaglio della gente, non solo a lubrificare gli ingranaggi ecclesiali. Gaudium et spes dice che la Chiesa deve camminare con il mondo.
Però, anche nei processi sinodali, il Papa oggi paradossalmente sta diventando il leader quasi unico, nel mentre vorrebbe una Chiesa più partecipata.
La sinodalità è un nuovo modello, inutile cercare esempi nel passato.
La Chiesa è un corpo inquieto.
Con l’illuminismo la Chies ha perso gli intellettuali, poi con la rivoluzione industriale gli operai, e ora stanno andandosene anche le donne. La sinodalità basata sulla teologia del Popolo di Dio vorrebbe esserne un rimedio.
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Alcune mie considerazioni
Nel passaggio dalla cultura dell’antico giudaismo palestinese a quella dell’ellenismo che permeava l’era classica greco-romana, i cristianesimi appaiono aver assimilato anche alcune importanti concezioni giuridiche e politiche dei Romani in materia istituzionale.Nell’antichità romana il governo della cosa pubblica, la repubblica, era espresso dal Senato, composto dal patriziato, e dal Popolo, inteso come i non patrizi, all’esito di un processo culturale e storico che aveva portato il patriziato fuori del popolo dei Quiriti, in cui inizialmente era stato compreso, cosicché l’espressione antica Senatus Populus Quirites Romani – da cui l’acronimo SPQR, vale a dire sostanzialmente il Popolo dei Quiriti con il suo Senato, venne letta Senatus Populusque Romanus, che significa il Senato e il Popolo romano. Nei primi secoli dell’impero, l’imperatore sedeva in Senato. Mentre le antiche assemblee popolari vennero abolite. Possiamo vedere replicato lo schema Imperatore-Senato in quello Papa-Collegio cardinalizio. La toga dei cardinali è rosso porpora come quella degli imperatori romani.
La progressiva desuetudine delle assemblee sinodali dei primi secoli mi appare coeva di quella delle antiche assemblee popolari nelle istituzioni romane (il centro nevralgico dell’impero nel Quarto secolo per altro fu trasferito a Bisanzio-Costantinopoli, nella quale o nelle vicinanze della quale si tennero tutti i Concilii ecumenici del Primo Millennio).
L’elaborazione della dogmatica cristologica tra il Quarto e il Settimo secolo avvenne in contesti politici di epocali riforme della struttura delle istituzioni imperiali romane, in cui, secondo la concettuologia cristiana, fu costruita una legittimazione dell’imperatore come unico vicario dell’autorità celeste, nel secondo Millennio rivendicata progressivamente al Papato, in particolare dal Duecento, regnante papa Innocenzo 3º (inizialmente si parlava del Papa come Vicario di Pietro).
Nella vita di fede, sotto certi aspetti, stiamo vivendo una svolta epocale analoga a quella del Quarto secolo. Stiamo rapidamente dismettendo la concettuologia istituzionale ecclesiastica costruita dal Quarto secolo, mantenendo tuttavia la pretesa di ingerenza nel governo della cosa pubblica come società, per condizionarne i valori fondamentali, e ciò secondo le procedure democratiche, quindi sulla base di ampia partecipazione popolare. Viene in rilievo non più il làos né l’èthnos, ma il demos, la comunità attiva dei cittadini. Il tentativo del Concilio Vaticano 2º di confinare il processo al mondo e alle cose temporali, non ha avuto successo. Rapidamente nel primo ventennio del post-concilio stava estendendosi alle strutture ecclesiastiche. Dopo la gelata repressiva dei successivi trent’anni, papa Francesco cerca di farlo ripartire, secondo però il particolare suo populismo argentino che è sostanzialmente antidemocratico (si legga di Loris Zanatta, Il populismo gsesuita: Peron, Fidel, Bergoglio, Laterza 2020, anche in e-book). Da noi, il (residuo) cattolicesimo democratico potrebbe ancora fare la differenza. Una buona parte dei vescovi nominati da papa Francesco proviene da quella storia.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro Valli
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Note:
(1) Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista
‘AM, GÔJIM: popolo, genti/nazioni
https://www.famigliacristiana.it/blogpost/am-gojim-popolo-gentinazioni.aspx
I due vocaboli sono di per sé sinonimi, ma nella Bibbia hanno un significato divergente: il primo si riferisce agli israeliti, che Dio ha eletto sua proprietà, il secondo agli stranieri
Questa volta proponiamo due parole ebraiche che, pur essendo di per sé sinonimiche, acquistano un signifcato divergente. Da un lato ‘am (l’apostrofo inverso indica una lettera aspirata dell’alfabeto ebraico di difficile pronuncia per noi), «popolo », termine presente ben 1.868 volte nell’Antico Testamento, e gôjim, un plurale usato in prevalenza (438 volte) rispetto al singolare (123 volte) che rimanda alle «genti, nazioni». Il primo vocabolo è prevalentemente – anche se non in modo esclusivo – riservato a Israele, «il popolo eletto», il secondo è assegnato alle popolazioni straniere, spesso in rapporto di conflittualità con gli Ebrei, tant’è vero che le pagine profetiche non di rado sono costellate di «oracoli contro le nazioni», i gôjim appunto, tanto da far acquisire al termine una connotazione persino spregiativa.
Lo stesso Gesù rivela questa sensibilità quando alla donna sirofenicia, che lo implora di guarirle la figlia, replica duramente comparando gli stranieri ai «cani» impuri, secondo il linguaggio del tempo: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini» (Matteo 15,26). Non mancano, però, testi biblici che aprono anche ai gôjim svelando che pure di essi Dio, Creatore universale, si cura e li spinge a una vita giusta così da essere ammessi alla sua salvezza. Esemplare è il racconto di Giona che contrappone al profeta gretto e integralista l’amore del Signore che si preoccupa anche di Ninive, la capitale assira, considerata tradizionale avversaria del popolo ebraico. Anzi, nel libro del profeta Isaia si arriva a leggere questa benedizione divina: «Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità» (19,25).
Il termine ‘am, invece, contraddistingue prevalentemente il popolo che ha stipulato l’alleanza con Dio al Sinai: «Tu sei un popolo (‘am) consacrato al Signore, tuo Dio, che ti ha scelto per essere il popolo sua proprietà tra tutti i popoli che sono sulla terra» (Deuteronomio 7,6). In ebraico «proprietà » è segullah e designa il gregge di diretto possesso del pastore, non quello pascolato per conto di altri, e quindi particolarmente caro. Questo legame di appartenenza è espresso proprio attraverso il tema dell’alleanza sinaitica. Ora, la formula tipica di questo patto tra il Signore e Israele, spesso reiterata nell’Antico Testamento, suona così: «Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo (‘am)» (Levitico 26,12). È per questo che il Signore è raffigurato come re, come pastore, come capo, come guida, proprio per celebrare il legame che lo unisce in modo indissolubile al suo popolo. È in questa luce che si afferma che Dio ha cura, benedice, rende fecondo, sfama e benefica Israele, suo popolo. Tuttavia non si può ignorare anche un aspetto negativo sempre in agguato, causato dalla infedeltà del popolo che sceglie altri dèi, rinnegando il suo Signore.
Si ha, allora, quella lunga serie di espressioni e di eventi in cui Dio giudica e punisce il suo popolo. Israele è «un popolo consacrato al Signore» e «separato da tutti gli altri popoli» (Deuteronomio 14,2; Levitico 20,24). Col peccato di idolatria si dissacra e si riduce ad essere una nazione qualsiasi sulla quale piomba la condanna divina. Ma, appena Israele si pente, l’amore eterno divino si mette subito alla ricerca del suo popolo, «perdonando la sua iniquità » e «non respingendolo» da sé (Salmi 85,3; 94,14). Il desiderio di Dio rimane, allora, sempre quello formulato da san Paolo: «formarsi un popolo puro che gli appartenga» (Tito 2,14).
5 agosto 2021
2) Dèmos – èthnos – làos. Laos, più consono ai canoni della tradizione giudeo-cristiana, usato anche da Omero. Èthnos come struttura tribale. Demos come moltitudine di cittadini.
Quando, nelle traduzioni in italiano dei Vangeli, si legge che Gesù si riferiva ai non giudei chiamandoli pagani, in realtà con la parola italiana pagani si traduce il greco evangelico èthne, vale a dire, in quel contesto, popoli non giudei.
Vedi:
https://zenodo.org/record/6899963#.Y-fesHbMJD8