Ultracattolici o ultrà cattolici?
Di un personaggio pubblico del quale le
cronache si sono occupate in questi giorni è stato scritto che è un ultracattolico.
Recita un intero rosario al giorno, pensa che gli immigrati si stiano
sostituendo agli italiani e che, per impedirlo, occorra fare più figli e
proteggere con misure militari e di polizia i confini territoriali e marittimi dai
disperati del mondo che cercano di raggiungerci, e anche inasprendo le nostre
culture per renderle inospitali verso di loro, ad esempio marcando le
differenze religiose. Interpreta il comando evangelico di amare il prossimo
nel senso che occorra occuparsi principalmente delle persone della propria
cerchia, in questo senso prossime. In un discorso di Stato ha salutato
il Papa come «riferimento
spirituale della maggioranza dei cittadini italiani e promotore del rispetto dei più alti
valori morali nel mondo e di un’azione per la pace». Egli apprezza anche la
liturgia che si praticava prima della riforma attuata dopo il Concilio Vaticano
2° e il suo matrimonio è stato celebrato così. Questo, almeno, ciò che di lui
hanno riferito i mezzi di comunicazione di massa.
In definitiva, pare
di capire che appartenga alla piccola minoranza di persone di fede che
rifiutano i principi deliberati nel Concilio Vaticano 2°, che si è chiuso ormai
cinquantasette anni fa. Non solo nelle questioni liturgiche, ma, ad esempio,
nell’idea di laicità delle istituzioni pubbliche, che devono essere partecipate
da persone di ogni fede. L’idea che il Papa sia il riferimento spirituale della
maggioranza degli italiani contrasta con le statistiche ed egli, del resto, è
un esempio di quelli per cui non lo è. La sua idea di prossimo in senso evangelico contrasta apertamente con
il Magistero esposto nell’enciclica Fratelli tutti del 2020, centrata sulla parabola del Samaritano
misericordioso. Il Maestro la narrò proprio per rispondere alla domanda su
chi dovesse essere il nostro prossimo. In realtà, insegnò, occorre farsi prossimi ai sofferenti, come il Samaritano della parabola con il perfetto
sconosciuto che aveva incontrato per la via, derubato e ridotto a mal partito
dai malfattori. Quanto al problema dell’immigrazione, il Papa è sempre stato
molto duro nel condannare abbandoni e respingimenti. Qualche giorno fa ha
detto, nell’omelia nella messa celebrata in piazza San Pietro in occasione
della canonizzazione del beato Giovanni Battista Scalabrini: «Per favore, includere sempre, nella
Chiesa come nella società, ancora segnata da tante disuguaglianze ed
emarginazioni. Includere tutti. E oggi, nel giorno in cui Scalabrini diventa
santo, vorrei pensare ai migranti. È scandalosa l’esclusione dei migranti!
Anzi, l’esclusione dei migranti è criminale, li fa morire davanti a noi. E
così, oggi abbiamo il Mediterraneo che è il cimitero più grande del mondo. L’esclusione dei migranti è schifosa, è
peccaminosa, è criminale, non aprire le porte a chi ha bisogno. “No, non li
escludiamo, li mandiamo via”: ai lager, dove sono sfruttati e venduti come
schiavi. Fratelli e sorelle, oggi pensiamo ai nostri migranti, quelli che
muoiono. E quelli che sono capaci di entrare, li riceviamo come fratelli o li
sfruttiamo? Lascio la domanda, soltanto.»
Non do
tanta importanza al rito. Penso che bisognerebbe lasciare la libertà di
celebrare come si preferisce. La messa è sempre messa: l’essenziale è la
consacrazione. Basta che non mi costringano
a liturgie in latino. Ho fatto il classico e un po’ di latino lo ricordo, come
anche di greco. Ma preferisco di gran lunga la messa in italiano, a cui posso
partecipare senza sforzarmi. Poi il ciclo delle letture bibliche vi è molto più
completo. Penso poi a coloro che non hanno fatto o non hanno fatto bene il
latino a scuola: che capirebbero?
La
questione del prossimo è invece
più importante. E’ centrale per la nostra fede. Quella su Dio ne è strettamente legata. Come possiamo dire
di amare Dio che non vediamo se non siamo capaci di amare chi invece ci
compare dinanzi, e per di più sofferente, bisognoso? E’ scritto.
19.Noi amiamo Dio, perché egli per primo ci
ha mostrato il suo amore. 20.Se uno dice: «Io amo Dio» e poi
odia suo fratello, è bugiardo. Infatti se uno non ama il prossimo che si vede,
non può amare Dio che non si vede.
21.Ma il comandamento che Dio ci ha dato è
questo: chi ama Dio deve amare anche i fratelli.
[Dalla prima lettera di Giovanni, capitolo 4,
versetti da 19 a 21 – 1Gv 4, 19-21 - versione
TILC – Traduzione interconfessionale in lingua corrente]
E traduciamo
con amore il greco antico agàpe,
che non indica tanto un sentimento ma una condotta misericordiosa, solidale,
inclusiva, per cui si fa parte agli altri di ciò che si ha.
È questione
cruciale per ciò che chiamiamo comunione.
So perfettamente di
essere capitato nelle società dei padroni del mondo e, quindi, di non essere un
tipo esemplare in materia di agàpe. A parte la mia famiglia, in genere
non mi riesce di essere tanto agapico. Faccio un po’ di elemosina, cerco
di essere cortese, tutto qui. Partecipo con le mie tasse alle iniziative
sociali pubbliche e con i contributi alla Chiesa a quelle da essa realizzate. Ma
capisco di essere in colpa e me ne pento. Ed è proprio la mia fede ad
accusarmi. Quindi non la utilizzo contro i sofferenti, chiunque essi siano, qualunque
sia il loro dolore, da qualsiasi posto
provengano. Questo certamente mi
differenzia molto da quelli che vengono indicati come ultracattolici, con
i quali quindi non mi sento in comunione.
Ma in che
senso ultra? Nel senso di super?
Ecco,
questo mi dà un po’ fastidio. Di essere disprezzato, e quasi sconfessato o addirittura scomunicato per vie di fatto, perché non condivido e non
pratico la loro via.
Anticamente i cristiani venivano detti quelli della via. Ecco,
certamente la mia via non è
quella degli ultracattolici.
Ma se noi
verremo giudicati sull’agàpe, anche questo è scritto, e quindi più agapici si è più si è conformi al vangelo, come è
possibile essere considerati migliori se non solo non si pratica l’agàpe come insegnata dal Maestro, su questo poche
persone possono ritenersi non in difetto, praticamente solo quelle che
accettano di rischiare la vita, cioè tutto, per agàpe, ma addirittura lo si rivendica a proprio merito
e onore?
Per
chiarire meglio come stanno le cose, in attesa che la controversia su chi è migliore venga decisa, proporrei di
non chiamare più ultracattolico chi che la pensa come il personaggio
pubblico in questione, bensì ultrà cattolico, richiamando le pratiche di
certe tifoserie, che si costituiscono essenzialmente per fare a botte con altre,
le partite rimanendo un po’ sullo sfondo.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli