Sinodalità: mete irraggiungibili
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[Dal documento
La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa della Commissione
Teologica Internazionale (2018)]
6. Benché il termine e il
concetto di sinodalità non si ritrovino esplicitamente nell’insegnamento
del Concilio Vaticano II, si può affermare che l’istanza della sinodalità
è al cuore dell’opera di rinnovamento da esso promossa.
L’ecclesiologia del Popolo di Dio sottolinea
infatti la comune dignità e missione di tutti i Battezzati, nell’esercizio
della multiforme e ordinata ricchezza dei loro carismi, delle loro vocazioni,
dei loro ministeri. Il concetto di comunione esprime in questo contesto la
sostanza profonda del mistero e della missione della Chiesa, che ha nella
sinassi eucaristica la sua fonte e il suo culmine. Esso designa la res del Sacramentum
Ecclesiae: l’unione con Dio Trinità e l’unità tra le persone umane che
si realizza mediante lo Spirito Santo in Cristo Gesù.
[…]
45. La Chiesa è una perché
ha la sua sorgente, il suo modello e la sua meta nell’unità della Santissima
Trinità (cfr. Gv 17,21-22). Essa è il Popolo di Dio
pellegrinante sulla terra per riconciliare tutti gli uomini nell’unità del
Corpo di Cristo mediante lo Spirito Santo (cfr. 1Cor 12,4).
La Chiesa è santa perché è
opera della SS.ma Trinità (cfr. 2Cor 13,13): santificata dalla
grazia di Cristo, che le si è consegnato come Sposo alla Sposa (cfr. Ef 5,23)
e vivificata dall’amore del Padre effuso nei cuori mediante lo Spirito Santo
(cfr. Rm 5,5). In essa si realizza la communio
sanctorum nel suo duplice significato di comunione con le realtà sante
(sancta) e di comunione tra le persone santificate (sancti).
Così, il Popolo santo di Dio cammina verso la perfezione della santità che è la
vocazione di tutti i suoi membri, accompagnato dall’intercessione di Maria
SS.ma, dei Martiri e dei Santi, essendo costituito e inviato come sacramento
universale di unità e di salvezza.
La Chiesa è cattolica perché
custodisce l’integrità e la totalità della fede (cfr. Mt 16,16)
ed è inviata per radunare in un solo Popolo santo tutti i popoli della terra
(cfr. Mt 28,19). È apostolica perché
edificata sopra il fondamento degli Apostoli (cfr. Ef 2,20),
perché fedelmente trasmette la loro fede e perché è ammaestrata, santificata e
governata dai loro successori (cfr. At 20,19).
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L’idea di Trinità non risale alle origini. L’espressione è testimoniata
per la prima volta negli scritti di Quinto
Settimio Fiorente Tertulliano, un filosofo cartaginese vissuto tra il Secondo e
il Terzo secolo, di cultura e lingua latina. Il dogma trinitario fu sviluppato poi
nei Concili ecumenici svoltisi tra il Quarto e il Settimo secolo e ora è
osservato dalla gran parte delle Chiese cristiane e, naturalmente, dalla
nostra, in cui originò. Ha molte sfaccettature e implicazioni, ma va rilevato
che, in quell’ordine di idee, la nostra umanità, in Cristo, è inserita nella
divinità, per cui è possibile affermare, come ha fatto la Commissione Teologica
internazionale sulla base di un’antica dottrina, che, quanto alla Chiesa, il suo
modello e la sua meta è nell’unità
della Santissima Trinità. Fin qui la teologia e, in particolare, quella
dogmatica, che, appunto studia i dogmi, vale a dire le definizioni sulla
nostra fede che è obbligatorio accettare per essere considerati dentro,
altrimenti si è fuori. Questo è, sostanzialmente, il significato
ecclesiastico di verità, che non è sinonimo di conforme alla realtà,
per il motivo che noi delle realtà soprannaturali possiamo sapere solo ciò che
esse hanno inteso rivelarci e di
esso dobbiamo fidarci, non potendo compiere alcun’altra indagine.
Quando cerchiamo di
costruire la sinodalità ecclesiale, capiamo subito che quella meta è irraggiungibile
in concreto. Nessuna nostra comunità, per quanto si sforzi di vivere come con
un cuore e un’anima sola, potrà mai realizzare il modello della Trinità come la
teologia lo ha definito. Si tratta di una conclusione empirica, vale a dire
basata sull’esperienza, sull’osservazione di come siamo e come viviamo, perché in
questo ciò è senz’altro possibile. È un modello che non riuscirono a vivere
neppure gli apostoli, sul cui fondamento la nostra vita ecclesiale vorrebbe
fondarsi.
Ormai di Chiese,
dopo duemila anni di travagliatissima storia, abbiamo
una vasta conoscenza sociale e anche dirette esperienze di vita: sappiamo come
vanno. Se noi cerchiamo di riformarne l’organizzazione cercando di calare sulla
Terra la Trinità, certamente falliremo. Perché mai dovremmo considerarci
migliori dei tanti che ci hanno preceduto e, addirittura, degli stessi apostoli?
Questo è un problema grossissimo,
che in qualche modo si cerca di eludere, di lasciare sullo sfondo, quando si tesse
la rete della socialità ecclesiale, ma che prima o poi spunta fuori.
Più o meno da metà Ottocento, ci si è convinti
che un metodo per venirne fuori è obbedire tutti al Papa, che si pensa
particolarmente assistito dallo Spirito Santo. Qui non ci occupiamo di
dogmatica e dovrebbe essere un teologo di quella specializzazione a dire se l’idea
è stata confermata dall’esperienza. Per quanto riguarda le questioni di
organizzazione ecclesiale e i rapporti Chiesa-mondo, certamente non ha funzionato
e un esempio di ciò può essere considerato proprio il papato del papa Pio 9°, il
quale ottenne dal Concilio Vaticano 1°, interrotto in circostanze drammatiche
nel 1870, la delibera del dogma dell’infallibilità pontificia in materia teologica.
Un Papa stragista, che da sovrano territoriale invocò l’intervento degli
eserciti stranieri per massacrare i sostenitori della mazziniana Repubblica
romana, che l’avevano detronizzato, pur riconoscendogli integralmente il
suo alto magistero religioso.
La riforma sinodale promossa
dal papa Francesco è un’altra via. Si basa sull’idea di un sensus fidei di noi, Popolo di Dio, che avremmo un
intuito particolare nel credere ciò che si deve, ciò che sinceramente non mi è
particolarmente evidente, almeno nelle questioni ecclesiali e sociali. Ci siamo
anzi dimostrati fallibili, fallibilissimi, come i nostri gerarchi, in quei
campi e anche nel resto, per la verità.
In realtà, un metodo di
provata efficacia per cercare di evitare almeno gli errori più grossi è quello
di dialogarci sopra, pensandoci in tante persone e quindi esaminando le questioni
da tanti punti diversi. Un modo più partecipato e consapevole di affrontare i problemi, di fare Chiesa,
potrebbe dare quindi risultati migliori.
Però non solo non siamo abituati a questo, ma non lo sono clero e religiosi,
che attualmente decidono tutto, insindacabilmente da parte nostra, e temono,
cambiando, di perdere il controllo di tutto e anche di poter essere fulminati
dai loro superiori (come talvolta è accaduto).
Quindi adesso il processo
di riforma sinodale avviato lo scorso autunno dal Papa sta miseramente
fallendo, perché, nonostante la missione fosse quella di coinvolgerci
maggiormente, i nostri vescovi hanno pensato prudentemente di mettere ordine
alle cose costruendo tutto come una liturgia da loro stessi celebrata. In questo contesto a
noi spetta, come al solito, il ruolo di recitare le frasi scritte sul foglietto.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte
Sacro, Valli