La religione e il problema della pace
Nel Meic – Lazio nei giorni
scorsi abbiamo discusso dell’adesione alla manifestazione pacifista del 5
novembre prossimo, indetta da Europe for peace. Il Meic nazionale non ha aderito.
Sono
emersi due orientamenti diversi. Uno ritiene che l’obiettivo della pace discenda
dal vangelo e che, scoppiato un conflitto tra stati, se si vuole essere credenti
coerenti, non si debba distinguere chi abbia ragione e chi no, ma cominciare
con il chiedere il cessate il fuoco e un armistizio, perché inizino trattative
per un trattato di pace. Un altro ritiene che la pace debba essere condizionata
a verità e giustizia, per cui in una condizione di guerra guerreggiata si debba
andare in soccorso di chi è aggredito, ad esempio fornendogli armamenti per
difendersi. Nel marzo 1999 un
orientamento simile portò la NATO a intervenire nel conflitto tra la Serbia e
la secessionista provincia del Kosovo (repubblica indipendente dal 2008),
bombardando la Serbia senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite. Nelle guerre balcaniche degli anni ’90 papa Giovanni Paolo 2° sostenne
il dovere di un intervento umanitario per disarmare l’aggressore. Di
recente papa Francesco, dopo aver duramente condannato la guerra, ha dichiarato
lecito fornire ad uno stato aggredito le armi per difendersi, però facendo
in questo modo guerra.
La
prima linea non suggerisce la resa, ma la lotta nonviolenta, insegnata e praticata
dall’indiano Mohāndās Karamchand
Gāndhī, detto Mahatma, vale a dire grande anima (1869-1948).
Per quella via fu ottenuta la liberazione dal subcontinente indiano dal duro
giogo del colonialismo britannico (1948). La filosofia e dottrina politica di
Ghandi proponevano la collaborazione tra le religioni per conseguire la
liberazione dell’India. In India le maggiori erano l’induismo, l’islam, lo sikhismo
e vari critianesimi. Ghandi aveva studiato legge in Gran Bretagna e lì conosciuto
il cristianesimo, ma anche riscoperto l’induismo.
L’idea che la pace sia radicata nella
giustizia ha origini bibliche. In quest’ottica essa viene presentata come un
dono divino fatto al popolo che segue la Legge di santità. Questo modo di
pensare non comporta però un ripudio della guerra, che tuttavia qua e là
compare, come in certi brani del libro di Isaia
Alla
fine il monte dove sorge il tempio del Signore
sarà
il più alto di tutti e dominerà i colli.
Tutti
i popoli si raduneranno ai suoi piedi e diranno:
«Saliamo
sul monte del Signore,
andiamo
al tempio del Dio d’Israele.
Egli
c’insegnerà quel che dobbiamo fare;
noi
impareremo come comportarci».
Gli
insegnamenti del Signore
vengono
da Gerusalemme;
da Sion proviene
la sua parola.
Egli
sarà il giudice delle genti, e l’arbitro dei popoli.
Trasformeranno
le loro spade in aratri e le lance in falci.
Le
nazioni non saranno più in lotta tra loro
e
cesseranno di prepararsi alla guerra.
Ora,
Israeliti, seguiamo il Signore.
Egli
è la nostra luce.
[Dal libro del profeta Isaia, capitolo 2°, versetti
da 2 a 5 – Is 2, 1-5 – versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale
in lingua corrente]
Seguire
il vangelo comporta il ripudio assoluto
della guerra?
A volta
sembra ovvio, ma non lo è.
Di
fatto i cristiani storicamente non sono stati né pacifici né pacifisti, tutt’altro,
e a lungo non ci si è visto nulla di male.
Da questo
punto di vista di solito si ricordano le Crociate medievali, indette dai Papi (!) per riconquistare
la cosiddetta Terra Santa, caduta nelle mani di una monarchia islamica.
Ma il fatto storico più sconvolgente, in tema di violenza cristiana, non è
stato quello, quanto la conquista genocida delle Americhe, condotta, in
particolare nell’America che ad un certo punto si è cominciata a definire Latina,
anche a dichiarati fini di evangelizzazione. I superstiti nativi vennero
costretti a convertirsi a un cristianesimo, che nell’America Latina fu il
cattolicesimo. Si procedette in questo modo anche nella conquista dell’Africa e
dell’Oceania, mentre in Asia le cose andarono in modo diverso, per l’accanita
resistenza culturale delle precedenti religioni.
Ma
parlando di vangelo ci riferiamo specificamente all’insegnamento del Maestro.
Non
sono un teologo, avverto, ma per tutta una vita ho avuto la Bibbia accanto a
me. E la storia mi appassiona.
Di
solito si ricorda, ad esempio, la beatitudine attribuita agli operatori di pace.
Tuttavia nei Vangeli non troviamo una esplicita condanna della guerra.
Quest’ultima va distinta dalla violenza tra persone e gruppi limitati, anche
tribali. Si può parlare di guerra quando un ordinamento politico che di fatto
riesce a dominare una popolazione la ordina e la gente è obbligata ad ubbidire
e ad arruolarsi.
Le
situazioni in cui nei Vangeli si condanna la violenza sono però riferite ad ambiti
diversi, interpersonali o tra gruppi limitati, in cui le persone possono ancora
decidere se usare la violenza o non, il che non è nella guerra in senso
proprio.
Nell’episodio
della guarigione del servo del centurione, un ufficiale dell’esercito romano
occupante la Giudea, non vi è alcuna condanna del servizio militare in sé.
In
occasione del suo arresto ai Getsemani al Maestro viene attribuito un detto
verosimilmente già proverbiale:
Quelli che erano venuti insieme a Giuda
si fecero avanti, presero Gesù e lo arrestarono.
Allora
uno di quelli che erano con Gesù tirò fuori una spada e colpì il servo
del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio.
Ma
Gesù gli disse: «Rimetti la spada al suo posto! Perché tutti quelli che
usano la spada moriranno colpiti dalla spada. Che cosa credi? Non sai
che io potrei chiedere aiuto al Padre mio e subito mi manderebbe più di dodici
migliaia di angeli? Ma in questo caso non si compirebbero le parole
della Bibbia. Essa dice che deve accadere così».
Poi Gesù disse alla folla: «Siete venuti
a prendermi con spade e bastoni, come se fossi un delinquente! Tutti i giorni
stavo seduto nel Tempio a insegnare, e non mi avete mai arrestato.
[Dal Vangelo secondo Matteo, capitolo
26, versetti da 50 a 55 – Mt 26, 50-55 – versione in italiano TILC]
Tuttavia il contesto non è bellico, ma di un
tumulto tra i seguaci del Maestro e la gente mandata dalle autorità religiose
giudaiche per arrestarlo.
Nei Vangeli,
per quel che ricordo, ma correggetemi se sbaglio, non vi è alcuna situazione in
cui si pone il problema se rispondere o non ad una chiamata alle armi.
Di fatto
un pacifismo assoluto di stampo cristiano si è ciclicamente sviluppato in
correnti minoritarie. Le teologie prevalenti sono state, e ancora sono, quelle
centrate sull’idea di guerra giusta. Tuttavia una guerra, anche se dichiarata giusta
per uno degli stati combattenti, rimane pur sempre una guerra e la guerra
si fa massacrando e distruggendo, aggredendo anche se non si è stati i primi a farlo. Dalla metà del secolo
scorso, dopo il primo impiego della bomba nucleare da parte degli Stati Uniti d’America
e l’accumulo di un enorme arsensale nucleare da parte loro e dell’Unione
Sovietica, e ora della Federazione russa che gli succedette, si è presa
consapevolezza che una guerra totale, come le due combattute nel Novecento, porterebbe
alla distruzione totale dell’umanità. In queste condizioni, in teologia si comincia
a dubitare che vi siano guerre giuste. Però la teologia della guerra
giusta che è una parte della teologia
morale rimane pur sempre dottrina corrente del Magistero.
Di fatto,
dopo la fine della guerra statunitense in Vietnam (1955-1975), combattuta
contro la Repubblica Democratica del Vietnam (costituita nella parte settentrionale
del Vietnam), la Repubblica popolare di Cina e l’Unione Sovietica, non si sono
più combattute guerre totali, ma solo guerre dette a bassa intensità,
sicuramente sanguinose e stragiste, ma senza che si punti allo sterminio totale,
ad esempio con bombardamenti a tappeto di città.
La manifestazione
per la pace del 5 novembre origina dalla guerra tra NATO, Unione Europea, Repubblica Ucraina e Federazione russa scoppiata
lo scorso 24 febbraio, seguendo un conflitto in corso dall’inizio del decennio
scorso, che ha conosciuto un’altra fase bellica nel 2014. E’ in questione l’egemonia sul Mar Nero. Si
tratta di un mare interno che fino al 1991 era controllato da Unione Sovietica,
che ne possedeva le coste settentrionali e orientali e la Turchia, inserita
nella NATO, che ne controllava le coste meridionali. In Crimea, sul Mar Nero, l’Unione
sovietica aveva e ora la Federazione russa ha un importante complesso di basi
navali intorno a Sebastopoli. Nel ’56 la Crimea fu ceduta alla Repubblica Ucraina
dalla Repubblica federativa russa: entrambe facevano parte dell’Unione sovietica.
Nel 1991, con l’indipendenza Ucraina rimase a quest’ultima e fu convenuto che
le basi russe rimanessero in affitto. La politica statunitense ha cercato di
ottenerne la dismissione a favore dell’Ucraina
e l’arretramento dei russi. Lo strumento doveva essere l’adesione dell’Ucraina
alla NATO, come anche della Georgia. Con la guerra in corso, i russi, con perdite
altissime, hanno ripreso il controllo delle coste occidentali del Mare d’Azov, tentando di consolidare la loro
posizione in Crimea. Attualmente, però, sembra che stiano avendo la peggio.
Questo è stato dovuto all’appoggio della Nato, con forniture militari di alta
tecnologie e soprattutto con le informazioni fornite agli ucraini tramite l’apparato
spionistico satellitare.
Se si
mette la cosa in termini di aggressione, all’inizio sono stati i russi
ad aggredire, ma ora sono
prevalentemente gli ucraini. Certamente i russi il 24 febbraio hanno invaso l’Ucraina,
allo scopo di rovesciare il governo filostatunitense, al modo in cui l’Unione
Sovietica aveva manovrato per reprimere tendenze filo-occidentali in Ungheria
nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968. Ma le cose non sono andate come allora.
Metà degli ucraini erano di cultura russa, ma non hanno appoggiato l’invasione
russa. L’armata ucraina dopo la guerra del 2014 era stata sostanzialmente integrata
nella NATO e fornita di armamenti potenti e di addestramento militare, all’evidente
scopo di fronteggiare una invasione simile.
La guerra
contro la Federazione russa non può essere vinta, perché combattuta contro una
potenza nucleare. Di questo gli Occidentali sono consapevoli, nonostante le
dichiarazioni bellicose degli Ucraini. Il conflitto origina per ottenere un
trattato con una nuova spartizione dell’egemonia in quella zona, che però
entrambe le parti vogliono ottenere dalla posizione a loro più favorevole. In
questa condizione, è etico, dal punto di vista evangelico, continuare a fornire
armi all’Ucraina?
Se la
cosa non interessasse questioni di egemonia tra super-potenze, la lotta si
sarebbe anche potuta fare in modo nonviolento, evitando le distruzioni che ogni
guerra, seppure a bassa intensità, comporta, ma ora invece no, proprio perché è
in questione non il benessere degli ucraini, ma l’egemonia sulla regione non da
parte loro ma di NATO e Federazione russa.
La
teologia cristiana che vede nella pace anche un obiettivo politico da non
rimandare alla fine della storia (nel senso del libro di Isaia) si basa sull’idea
biblica di fraternità universale per il fatto che c’è un unico Padre divino.
Storicamente, però, questa consapevolezza non ha impedito ai cristiani di
massacrarsi e di massacrare. La guerra in Ucraina si combatte tra armate cristiane,
con la presenza largamente minoritarie di milizie islamizzate, arrivate in
soccorso delle armate russe dalla Cecenia. Il patriarca cirillo di Mosca, dalla
cui autorità gli ortodossi si erano sfilati alcuni anni fa, ha esortato i suoi
fedeli ad accorrere in guerra, assicurandoli che, se verranno uccisi,
conseguiranno il paradiso. Così posta la questione, dal suo punto di vista
questa è un vera e propria Crociata, ma contro altri cristiani.
Che
fare dunque?
Si sostiene
da alcuni, e in particolare dal gioverno ucraino, che la pace arriverà solo con
la vittoria sui russi. Altri dicono che la pace arriverà quando i governi la
ordineranno, perché non troveranno più convenienza a combatterla. Manifestare
contro i governi che hanno ordinato la guerra può essere visto, allora, come un
modo per premere sui governi in modo che non trovino più convenienza nella guerra.
Ai tempi della Guerra del Vietnam funzionò in Occidente. Naturalmente si deve cominciare con il manifestare
contro il proprio governo, perché
se lo si fa solo contro il governo nemico si
è solo cobelligeranti. E’ ciò che fecero i resistenti cattolici
tra il ’43 e il ’44, combattendo il fascismo mussoliniano della cosiddetta Repubblica
sociale italiana, dai cui reduci venne fondata, nel dopoguerra, il neofascista
Movimento sociale italiano.
Sarebbe
interessante discuterne con esperti sul fronte della teologia morale e della
scienza della politica.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli