Missionarietà
Nel pensiero di papa Francesco la sinodalità è
finalizzata alla missione. Su quest’ultima le Chiese cristiane hanno sviluppato
molte e diverse concezioni. Essa è fondata evangelicamente, vale a dire che si
ritiene essere un compito che ci è stato assegnato dal Maestro e, in genere, si
ricorda questo brano del Vangelo di Matteo, l’ultimo di quel testo, al capitolo
28, versetti dal 16 al 20 (Mt 28, 16-20):
Gli
undici discepoli andarono in Galilea, su quella collina che Gesù
aveva indicato. Quando lo videro, lo adorarono. Alcuni, però, avevano dei
dubbi.
Gesù
si avvicinò e disse: «A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Perciò
andate, fate che tutti diventino miei discepoli; battezzateli nel nome
del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; insegnate loro a
ubbidire a tutto ciò che io vi ho comandato. E sappiate che io sarò sempre con
voi, tutti i giorni, sino alla fine del mondo».
In una visione più
clericale si pensa che la missione consista essenzialmente nell’iniziazione
sacramentale e liturgica delle persone,
e allora si mette l’accento sul battesimo. C’è chi ritiene che comprenda
anche la trasformazione della società, e allora considera l’ubbidire a tutto ciò che il Maestro comandò, inteso come
una religiosità centrata sull’agàpe, sulla vita solidale,
misericordiosa, sollecita verso tutte le altre persone, senza confini e
discriminazioni.
Nel
brano evangelico sopra riportato viene
prima il comando di andare, poi quello di fare discepole tutte le
persone, quindi il battezzare e, infine, l’insegnare.
Viene di solito sottolineato che l’espressione
che traduciamo tutti è nel greco antico evangelico πάντα τὰ ἔθνη, che si legge pànta
ta ètne, e significa tutte le genti. Nel lessico evangelico, la
parola ἔθνη-ètne-genti indica
solitamente i non ebrei, e, in altri contesti, la traduciamo con pagani.
Tuttavia la parola pagano, che disinvoltamente usiamo in senso
spregiativo per indicare gli infedeli, non si adatta perfettamente al
greco evangelico. Viene dal latino paganus che indicava coloro che
vivevano nei villaggi rurali, dove a lungo si continuò a praticare l’antica
religione politeistica. Il cristianesimo, infatti, in Italia si diffuse
inizialmente nelle città. Vale quindi anche come incolto. Quindi in quel senso vale come il romanesco burino,
significato che non è nella parola greca ἔθνos-ètnos-gente/nazione.
Il Maestro non riteneva certo che tutti i non
ebrei fossero burini incolti. πάντα τὰ ἔθνη – pànta ta ètne
– tutte le genti, nel contesto del brano evangelico che ho
sopra riportato, si ritiene che significhi in realtà tutto
il mondo, giudei compresi, a indicare una missione non più rivolta solo a
questi ultimi, dopo la Resurrezione.
Bisogna
considerare che, quando apparve il testo scritto di quello che chiamiamo
Vangelo secondo Matteo, probabilmente nella seconda metà del Primo secolo, i
cristiani erano ancora un piccolo numero. Oggi il mondo cristiano,
inteso come le genti che fanno riferimento al cristianesimo per la loro
spiritualità religiosa, sono oltre un miliardo. Questo comporta che la missione
presenti due aspetti: verso i popoli
non cristianizzati e verso quelli cristianizzati, in quest’ultimo caso per
continuare a insegnare di generazione in generazione l’ubbidienza a ciò che il Maestro ha comandato. Comunque
inizia con un andare, reso nel lessico di papa Francesco con l’uscire,
da cui Chiesa in uscita.
La missione tra i cristianizzati comprende la riforma
ecclesiale. L’ubbidire comporta
anche la riforma sociale, perché l’insegnamento evangelico non è centrato sulla
liturgia, sui riti, per cui possa bastare la partecipazione ad
essi per sentirsi cristiani. Mi ha sempre sorpreso la grande importanza che si
dà, nella prassi ecclesiale, alla liturgia, quando invece nella vita e nell’insegnamento
del Maestro c’è poco, anche se indubbiamente c’è, ad esempio il battezzare.
La riforma sociale è, appunto, al centro della dottrina sociale, basata su
un pensiero sociale che le Chiese cristiane hanno sempre espresso e anche
cercato di attuare. Diventa dottrina perché insegnata dalla gerarchia
ecclesiastica, ma rimane parte del più ampio pensiero sociale, da quale
storicamente ha tratto gli impulsi di rinnovamento, per cui non è rimasta mai
sempre la stessa.
Pensare alla missione come essenzialmente catechismo sacramentale è fortemente
riduttivo, ma andare oltre è complesso e richiede di prendere posizione su come
la società è fatta e sui problemi che presenta. Non ci si contenta di stare ad
aspettare, pregando, che il mondo sia cambiato prodigiosamente. Alle origini il
problema si pose, ne tratta Paolo di Tarso nelle sue lettere, ma nel giro di qualche
decennio si decise che occorreva darsi da fare. Da qui poi un’espansione dei
cristianesimi che li portò da piccole comunità di qualche decina di persone a
dimensioni vastissime e anche a confrontarsi con le istituzioni, perché le
moltitudini possono essere rese coerenti, e governate, solo mediante istituzioni, diritto e religione, e
questo può farsi rientrare nell’insegnare.
E’ paradossale, tenendo conto dell’universalità
di questa missione, constatare che
da essa progressivamente vennero escluse la maggior parte delle persone di
fede, venendo sostanzialmente riservata al clero e ai religiosi, una piccola
minoranza di ciò che pomposamente, ma del tutto correttamente dal punto di
vista teologico, viene definito Popolo di Dio. Quest’ultimo fu al centro
della grande riforma tentata dal Concilio Vaticano 2°, apertosi a Roma l’11
ottobre 1962. Tra qualche giorno ricorre il sessantesimo anniversario di quell’evento,
che verrà celebrato con una liturgia e una fiaccolata in piazza San Pietro, qui
a Roma.
La riforma sinodale si propone, dunque, di
promuovere un allargamento della missione alla partecipazione reale, consapevole e responsabile
di tutte le persone di fede, per andare verso tutto il mondo e cambiarlo secondo gli
insegnamenti evangelici, a cominciare da sé stessi, anche correggendosi in ciò
che non va. Di questo in Azione Cattolica si ha una maggiore esperienza, ma non
nella prassi ecclesiale in genere, dove si entra in chiesa più che altro da
ospiti, a volte divenendo aiutanti, ma sempre in posizione per così dire accessoria.
Significa che ci si è, ma se anche non ci si fosse sarebbe lo stesso, perché a fare
la Chiesa basterebbe il clero. Una concezione che i saggi del Concilio
Vaticano 2° avrebbero voluto superare, ma che è ancora fortemente radicata.
Quindi, la scorsa primavera, quando si è inscenata la fase di ascolto del Popolo
di Dio nel quadro dei processi sinodali che papa Francesco ha inteso
avviare nell’autunno dello scorso anno, ci si è contentati di riunire qualche
decina di persona in ogni parrocchia perché dicessero ciò che volevano su
alcuni temi, esclusa paradossalmente la sinodalità, e la si è vissuta più che altro come una liturgia,
dove dieci o mille persone fanno lo stesso, ciò che conta è il rito. Non so che
cosa sia rimasto di ciò che s’è detto. Nella nostra parrocchia non è stato
diffuso il documento che in merito è
stato mandato in Diocesi, perché poi, da
lì, considerando anche ciò che è venuto da tutte le parrocchie, venissero
mandate due paginette alla Conferenza Episcopale Italiana. Se, invece, si fosse
voluto proseguire realmente verso l’obiettivo di una missionarietà sinodale si sarebbe dovuto insistere. Ma, in fondo, abbiamo
tutto il tempo per farlo. « E sappiate che io sarò sempre con voi, tutti i giorni,
sino alla fine del mondo», è infatti scritto.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli