Sinodalità intesa come il tener conto delle altre persone
La sinodalità, come oggi viene proposta, può essere
intesa non come una riforma della Chiesa, ma come un modo nuovo per fare
Chiesa.
Una riforma riguarda il governo di un’entità collettiva. Le regole del governo
del nostro apparato ecclesiastico sono certamente obsolete, inutilmente pompose,
danno spazio a un ceto di gerarchi in larga parte autoreferenziali, ma,
soprattutto, mancano di effettività. Valgono veramente solo tra clero e religiosi,
che sono rimasti praticamente i soli, salvo poche eccezioni tra studiosi e
cultori della materia, a intenderle bene. L’altra gente vi si è progressivamente
affrancata e parte le osserva ancora per convinzione, e parte no, anche qui con
convinzione. E’ un dato di fatto evidente e anche sostanzialmente ammesso dal
Magistero ecclesiastico, là dove, ad esempio, sostiene che la Chiesa si è come rimpicciolita
e che però è fatta di persone con convinzioni più salde, e questo è un dato che contrasta con le ricerche
demoscopiche sul tema. Altre volte, quando si tratta di battere cassa presso le
pubbliche istituzioni, si sostiene invece che i cattolici in Italia sono ancora
maggioranza, e allora si comprende nel loro numero anche chi ha un’osservanza per
così dire selettiva. Ma ci importa veramente di travagliarci per una riforma
del governo ecclesiale, che prima o poi svanirà da sé, come accade a
tutti i poteri collettivi che si illudono di resistere al flusso dei
cambiamenti indotti dalla storia? E’ accaduto tante volte alle nostra Chiese… Dal punto di vista sociologico non è mai
esistita la Chiesa eterna ed uguale sempre a sé stessa descritta dai
teologi. Sotto quell’aspetto la vita delle nostre Chiese è stata sempre caratterizzata da molteplici cicli di morte e
rinascita e anche di lunga coesistenza
di socialità religiose morenti ed altre nascenti o in fase di sviluppo, con i
relativi miti.
Ad esempio, un parroco, gerarca di prossimità,
impiega molta parte del suo tempo in funzioni che sono assimilabili a quelle di
un amministratore di condominio. Nei condomini si tratta di rogne che, appunto,
si gettano su un professionista, l’amministratore condominiale, che ogni tanto
ne riferisce. Il parroco in genere non riferisce nulla, ma ci importerebbe
veramente saperne di più?
Sulle questioni importanti, in particolare
sull’etica di impronta religiosa, i parrocchiani decidono già da sé, e hanno
imparato a farlo senza porsi tanti problemi. Ma decidono senza tener conto delle
altre persone, e questo è un problema serio.
Del resto la formazione alla spiritualità
corrente è centrata sulla singola persona, su una sorta di suo benessere di stampo religioso. Consiste in un complesso di pratiche di pietà, fatte di
liturgie, paraliturgie e meditazione personali che mira a sentirsi a posto
con la coscienza. Cose conseguibili anche con pratiche simili, ma prive di
connotati religiosi. Si sollecita l’emotività spicciola, il che lascia il tempo
che trova.
Tutto mi sembra tarato sulla vita di una
signora anziana. Ci possiamo sorprendere se le persone più giovani non ci stanno
e quindi se ne rimangono lontane?
Il
problema è quello di fare Chiesa in modo da tener conto anche delle altre persone,
di più persone possibile: una modalità altamente relazionale, non individualistica. Questo costa fatica, in
particolare quella di adattarsi ad altre mentalità. In genere, come osserva Michele Visentin nel contributo “Imparare a decidere
insieme”, in Riccardo Battocchio e Livio Tonello (a cura di), Sinodalità, Edizione Il Messaggero Padova / Facoltà teologica
del Triveneto, 2020, ognuno pensa di poter far meglio di tutte le altre
persone messe insieme.
Alla base c’è un bisogno di sicurezza
molto forte, e anche una certa sfiducia nelle capacità degli altri, dei collaboratori,
che potrebbe derivare da un’ipervalutazione dell’immagine di sé (per cui «è
giusto che voi decidiate e facciate, ma se potessi farlo io, lo farei meglio», oppure
«decidete voi, che perché giusto, ma poi
se è necessario…». Molto spesso chi ha una visione monoculare tende a percepire
il cambiamento come una minaccia alla propria persona, e come un giudizio
negativo che le si dà, anche di ordine morale. Accade così che nelle
discussioni si senta sempre criticato, quando invece si sta parlando di tutt’altro.
In questi casi è difficile giungere a decisioni serenamente, a causa di questo
processo di personalizzazione per cui occorre sempre rassicurare che nessuno ce
l’ha con lui o con lei, che non si voleva esprimere un giudizio sulla persona
ma sui fatti. Immaginiamo cosa accade quando si richiede maggior qualità del
flusso di informazioni: «Sono sempre stato benevolente e aperto nei confronti
di tutti, è ingiusto quello che dite… e poi, sembra che
comunicare adesso significhi mettere tutti al corrente di tutto, e siamo sicuro
che farete buon uso delle informazioni?». Un’ultima annotazione:: vi sono
alcuni individui che tendenzialmente sono più portati ad avere una visione
mono-oculare rispetto ad altri: sono i pilastri delle organizzazioni che
garantiscono stabilità e continuità ai sistemi. Questa visione è però anche
presente in coloro che svolgono ruoli di grande impatto sul piano operativo. Di
solito è chi ha il potere di far coincidere il “dire”, o lo scrivere, con la
realizzazione di ciò che è scritto o detto.
Senza
questa abilità relazionale non si creano i mondi vitali religiosi che costruiscono il senso della vita su base religiosa. E’ la virtù dei tessitori
sociali.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.