Primo giorno
di catechismo
Oggi la mia figlia minore, medico, inizia a
fare catechismo nella nostra parrocchia a bimbi che si preparano per la Prima
comunione. Ripropongo di seguito il testo della lettera che scrissi, nell’autunno
del 2015, quando la mia primogenita assunse un analogo impegno.
La catechetica è ormai una scienza, al confine
tra psicologia, pedagogia e teologia. Ora quello del catechista è anche un ministero
laicale. Ma i più svolgono questo servizio senza esservi iniziati, e formati,
sulla base della cultura cristiana comune. La carenza maggiore è che in genere
si tratta di persone che non hanno esperienza di insegnamento: in questo le persone
che l’hanno avuta in ambito scolastico, per le classi d’età di coloro che vanno
a catechismo, potrebbero utilmente dare una mano.
La comunità parrocchiale non è per nulla
coinvolta e questo è un problema serio. Dal Documento di base di rinnovamento della catechesi del 1970, si
vorrebbe che invece lo fosse. Il rinnovamento sinodale che è stato avviato dall’autunno
dello scorso anno potrebbe essere l’occasione per cambiare.
Penso sia molto importante che i genitori
siano considerati parte attiva del processo catechetico. Ci portano i loro
figli: hanno diritto di essere riconosciuti come persone di fede, e invece non
di rado vengono considerati esterni ad
esso, come purtroppo avviene nella scuola. Non dovrebbero essere considerati
semplicemente come utenti. Al tempo del catechismo delle mie figliole ci
soffrii abbastanza. Quando il parroco di allora, presentando a noi genitori una
stagione di catechismo per la preparazione alla Cresima, se ne uscì dicendo che
voleva affidare i ragazzi a delle famiglie della parrocchia, che sapevo parte
di un movimento fondamentalista che all’epoca era molto apprezzato da noi, per raddrizzarli,
entrai in dura polemica con lui, dicendo che mia figlia aveva già una famiglia che la sosteneva nella fede e non
aveva bisogno di essere raddrizzata. Quest’idea del catechismo come
strumento per raddrizzare i
ragazzi, dove i genitori non riescono più, è particolarmente deleteria. Sottende
la convinzione che i genitori che portano i figli in parrocchia per la
formazione religiosa di base, quella che per molti sarà la sola per tutta la
vita, siano persone di fede incerta, in qualche modo addirittura pagane.
Un errore educativo che si paga caro, con l’abbandono dei ragazzi, non appena
conquistino una sufficiente autonomia. Perché capiscono bene che chi disprezza
le loro famiglie, disprezza anche loro e l’acculturazione alla fede è bloccata
da questo disprezzo.
Una struttura sinodale parrocchiale, che
potrebbe essere creata allargando le aree di intervento del Consiglio pastorale
parrocchiale, potrebbe essere molto utile per evitare quegli errori educativi,
in particolare costituendo una sorta di commissione che curasse la formazione
permanente dei catechisti, come si fece negli anni ’70, quando mia madre iniziò
la feconda esperienza delle mamme catechiste, osservando problemi e
risultati della catechesi.
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Lettera a
una giovane catechista nel giorno della sua prima lezione
Oggi,
per la prima volta nella tua vita, farai la catechista a dei bambini di
sette anni. Sei colta, laureata, hai avuto una vita di fede fino ad ora, ma
nessuno ti ha detto che cosa dovrai fare, che cosa dovrai spiegare. Siamo in un
momento di grave emergenza e ti hanno chiesto di assumere questo impegno perché
si deve iniziare a fare catechismo e non c’è tempo per la formazione. Nella
vita capitano cose simili. E’ venuto l’appello e tu hai risposto. E’ quello che
accadde ai primi discepoli, sulla riva dal mare di Galilea.
Non
hai mai avuto un contatto ravvicinato con un bambino di sette anni, salvo che,
tanto tempo fa, con tua sorella minore. E potrai sempre cercare di ricordare di
te a quell'età e del catechismo di allora. Dovrai insegnare a questi piccoli
l’amore per Dio e per il prossimo: questa è tutta la legge, è scritto. Prima
però dovrai cercare di conoscerli. Li avrai davanti come gruppo, ma dovrai dare
un piccolo spazio a ciascuno per esprimersi come persona singola. E dovrai
osservare come ciascuno si comporta con gli altri. E’ in questo modo che si
conoscono le altre persone. Ma le persone che conoscono meglio il bambino sono
gli adulti che svolgono per lui il ruolo di genitori. E’ per questo che
bisognerebbe cercare di coinvolgerli.
Un
bambino è diverso da un adulto. Non teme la morte, ma di essere lasciato solo.
A sette anni ha bisogno di una famiglia che gli dia sicurezza, ma è pronto per
essere inserito in una collettività più grande. La prima iniziazione alla fede
consiste proprio in questo, nel cominciare a inserire il bambino nell’agàpe del
popolo di Dio: il gioioso convito di Dio con il suo popolo. Fin da piccoli
bisogna sapere che tra noi, gente di Dio, c’è sempre un posto a tavola e
c’è sempre qualcosa che si può fare per gli altri, per vivere lietamente,
noi con loro e con Dio. Si vivrà sempre insieme, felici: è la vita eterna.
Gli
psicologi ci dicono che l’inserimento di un bambino in una collettività avviene
essenzialmente mediante la parola, spiegando il senso di ciò che si fa. E il
catechismo si propone di trasmettere la parola di Dio.
Il
catechismo si fa in un ambiente nuovo per il bambino. Questo può essere per lui
fonte di insicurezza e di angoscia. Bisogna spiegargli come è fatta la
parrocchia, chi la abita, e che cosa vi si fa. La parrocchia deve diventare
progressivamente la seconda casa del piccolo.
Il
bambino ha idee sul mondo, ma sono in gran parte immaginarie. Bisogna
spiegargli come è fatto il mondo in cui vive, a partire da ciò che sperimenta
personalmente, ma le sue capacità di comprensione sono ancora limitate.
Per questo bisognerà svelarglielo progressivamente e, intanto, fargliene fare
una prima esperienza nella vita collettiva che si fa a catechismo e in
parrocchia. I rapporti con i compagni di classe sono la prima scuola di vita,
la prima lezione sul mondo. E lì che si fa il primo tirocinio del bene e del
male. E’ lì che si inizia a imparare a interagire con altre persone al di fuori
della propria famiglia.
E’
importante far capire che il catechismo non è una lezione scolastica. Si cerca,
tutti, di imparare a vivere nella luce di Dio. E bisogna cercare anche di
spiegare la distinzione che c'è tra la parrocchia e la famiglia. I
catechisti non sono vice-mamme o vice-papà o vice-nonni. La parrocchia è
una realtà più grande della famiglia: manifesta il popolo di Dio. Tutti siamo
parte del popolo di Dio, i genitori, i catechisti e i bambini loro
affidati. Tutti hanno la medesima dignità, si vogliono bene e si aiutano:
questo significa vivere nella luce del Signore. I genitori portano i bambini in
parrocchia perché partecipino alla gioia del popolo di Dio.
Non si
deve temere di parlare ai bambini con termini esplicitamente religiosi. Il bambino
se li aspetta, vi è stato preparato dai genitori. Ricorda che i bambini sono
sempre stati portati da qualcuno a catechismo. Spiega ai
bambini che è molto bello che i genitori li abbiano portati tra noi a fare
catechismo, perché significa che vogliono loro bene, che vogliono
che vivano felici, per sempre, insieme a Dio e al suo popolo.
Dunque
parla apertamente di Dio, della storia sacra, di Gesù e degli apostoli. Si
tratta di storie che sono state create per essere raccontate anche ai bambini.
Tutte le concettualizzazioni che vi sono state fatte sopra sono qualcosa di
distinto e, in fondo, di non essenziale nell'iniziazione di primo
livello. Le si scoprirà progressivamente. Ci sarà tempo per apprenderle. In
questo segui le indicazioni dei sacerdoti.
Cerca
di usare delle figure, delle immagini. E fa cantare i bambini. Chi ama
canta, è stato scritto.
In
ogni lezione ci deve essere spazio per la preghiera.
Nel
primo incontro inizierei con l’insegnare il segno della Croce, come segno di
riconoscimento reciproco e di impegno di vita. E' il sigillo del popolo santo.
Come il Padre Nostro è il suo "manifesto", il suo programma di
vita.
Ai
catechisti viene dato un sussidio in cui c’è scritto quello che ci si attende
che sia prodotto a catechismo. Si lavora per la diocesi: bisogna cercare di
raggiungere gli obiettivi minimi. Ma non si può sapere fin dall’inizio se e in
che tempi ci si riuscirà. Gli esseri umani sono sempre una sorpresa.
Vieni,
bimbo, camminiamo nella luce del Signore: questo è quello su cui dobbiamo concentrarci,
evocando la grande visione ecumenica di Isaia 2,1-5.
[Isaia
2,1-5]
1Visione di
Isaia, figlio di Amoz, riguardo a Giuda e a Gerusalemme.
2 Alla fine
dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà elevato sulla cima dei monti e
sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. 3 Verranno
molti popoli e diranno: "Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio
del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i
suoi sentieri".
Poiché da
Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. 4 Egli
sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro
spade in vòmeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada
contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra.
5 Casa di
Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro,
Valli