Lorenzo Milani - Lettera ai giudici
Barbiana 18-10-1965
[Nel 1965 uscì L’obbedienza
non è più una virtù, con i documenti sul processo nato in seguito a una
vivace polemica giornalistica sull’obiezione di Coscienza. Don Milani era stato
incriminato in seguito alla pubblicazione di una lettera in difesa degli
obiettore di coscienza, che egli aveva ritenuto offesi dai cappellani militari
ed ex cappellani militari della Toscana.
Nel 1966, don Milani e Luca Pavolini,
direttore responsabile del periodico “Rinascita”, che aveva pubblicato
la lettera del sacerdote, vennero assolti perché “il fatto non
costituisce reato”.
Nel 1967, in maggio, uscirono le prime copie
di “Lettera
a una professoressa”; il 26 giugno don Lorenzo Milani moriva nella casa
della madre a Firenze e veniva successivamente sepolto nel piccolo cimitero di
Barbiana; il 28 ottobre, in appello, Luca Pavolini venne condannato, mentre per
don Milani i giudici affermavano che “il reato è estinto per morte del reo”.]
***************************
Barbiana 18 ottobre 1965
Signori Giudici,
vi metto qui per scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non sarà
infatti facile ch'io possa venire a Roma perché sono da tempo malato. Allego un
certificato medico e vi prego di procedere in mia assenza. La malattia è
l'unico motivo per cui non vengo. Ci tengo a precisarlo perché dai tempi di
Porta Pia i preti italiani sono sospettati di avere poco rispetto per lo Stato.
E questa è proprio l'accusa che mi si fa in questo processo.
Ma essa non è fondata per moltissimi miei confratelli e in nessun modo per
me. Vi spiegherò anzi quanto mi stia a cuore imprimere nei miei ragazzi il
senso della legge e il rispetto per i tribunali degli uomini.
Una precisazione a proposito del difensore. Le cose che ho voluto dire con
la lettera incriminata toccano da vicino la mia persona di maestro e di
sacerdote. In queste due vesti so parlare da me. Avevo perciò chiesto al mio
difensore d'ufficio di non prendere la parola. Ma egli mi ha spiegato che non
me lo può promettere né come avvocato né come uomo. Ho capito le sue ragioni e
non ho insistito.
Un'altra precisazione a proposito della rivista che è coimputata per avermi
gentilmente ospitato. Io avevo diffuso per conto mio la lettera incriminata fin
dal 23 Febbraio. Solo successivamente (6 Marzo) l'ha ripubblicata Rinascita e
poi altri giornali.
È dunque per motivi procedurali cioè del tutto casuali ch'io trovo
incriminata con me una rivista comunista. Non ci troverei nulla da ridire se si
trattasse d'altri argomenti. Ma essa non meritava l'onore d'essere fatta
bandiera di idee che non le si addicono come la libertà di coscienza e la non
violenza. Il fatto non giova alla chiarezza cioè all'educazione dei giovani che
guardano a questo processo.
Verrò ora ai motivi per cui ho sentito il dovere di scrivere la lettera
incriminata. Ma vi occorrerà prima sapere come mai oltre che parroco io sia
anche maestro. La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c'era
solo una scuola elementare. Cinque classi in un'aula sola. I ragazzi uscivano
dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati. Decisi
allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e
non solo religiosa. Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio
ministero consiste in una scuola. Quelli che stanno in città usano
meravigliarsi del suo orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l'anno. Prima
che arrivassi io i ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica)
per procurare lana e cacio a quelli che stanno in città. Nessuno aveva da
ridire. Ora che quell'orario glielo faccio fare a scuola dicono che li
sacrifico.
La questione appartiene a questo processo solo perché vi sarebbe difficile
capire il mio modo di argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono
praticamente con me. Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il
giornale, la posta. Scriviamo insieme.
COME MAESTRO
Il motivo occasionale
Eravamo come sempre insieme quando un amico ci portò il ritaglio di un
giornale. Si presentava come un "Comunicato dei cappellani militari in
congedo della regione toscana". Più tardi abbiamo saputo che già questa
dizione è scorretta. Solo 20 di essi erano presenti alla riunione su un totale
di 120. Non ho potuto appurare quanti fossero stati avvertiti. Personalmente ne
conosco uno solo: don Vittorio Vacchiano pievano di Vicchio. Mi ha dichiarato
che non è stato invitato e che è sdegnato della sostanza e della forma del
comunicato. Il testo è infatti gratuitamente provocatorio. Basti pensare alla
parola "espressione di viltà".
Il prof. Giorgio Peyrot dell'Università di Roma sta curando la raccolta di
tutte le sentenze contro obiettori italiani.
Mi dice che dalla liberazione in qua ne son state pronunciate più di 200. Di
186 ha notizia sicura, di 100 il testo. Mi assicura che in nessuna ha trovato
la parola viltà o altra equivalente. In alcune anzi ha trovato espressioni di
rispetto per la figura morale dell'imputato. Per esempio: "Da tutto il
comportamento dell'imputato si deve ritenere che egli sia incorso nei rigori
della legge per amor di fede" (2 sentenze del T.M.T. di Torino 19 Dicembre
1963 imputato Scherillo, 3 Giugno 1964 imputato Fiorenza). In tre sentenze del
T.M.T. di Verona ha trovato il riconoscimento del motivo di particolare valore
morale e sociale (19 Ottobre 1953 imputato Valente, 11 Gennaio 1957 imputato
Perotto, 7 Maggio 1957 imputato Perotto). Allego il testo completo dei
risultati della ricerca che il prof. Peyrot ha avuto la bontà di fare per me.
Ora io sedevo davanti ai miei ragazzi nella duplice veste di maestro e di
sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un sacerdote che
ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più se ingiuria chi è in carcere
per un ideale. Non avevo bisogno di far notare queste cose ai miei ragazzi. Le
avevano già intuite. E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro
una lezione di vita.
Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all'ingiustizia. Come ha
libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e
perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.
Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande "I care". È
il motto intraducibile dei giovani americani migliori. "Me ne importa, mi
sta a cuore". È il contrario esatto del motto fascista "Me ne
frego".
Quando quel comunicato era arrivato a noi era già vecchio di una settimana.
Si seppe che né le autorità civili, né quelle religiose avevano reagito. Allora
abbiamo reagito noi. Una scuola austera come la nostra, che non conosce
ricreazione né vacanze, ha tanto tempo a disposizione per pensare e studiare.
Ha perciò il diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice. È l'unica
ricreazione che concedo ai miei ragazzi. Abbiamo dunque preso i nostri libri di
storia (umili testi di scuola media, non monografie da specialisti) e siamo
riandati cento anni di storia italiana in cerca d'una "guerra
giusta". D'una guerra cioè che fosse in regola con l'articolo 11 della
Costituzione. Non è colpa nostra se non l'abbiamo trovata. Da quel giorno a
oggi abbiamo avuto molti dispiaceri:
Ci sono arrivate decine di lettere anonime di ingiurie e di minacce firmate
solo con la svastica o col fascio. Siamo stati feriti da alcuni giornalisti con
"interviste" piene di falsità. Da altri con incredibili illazioni
tratte da quelle "interviste" senza curarsi di controllarne la
serietà. Siamo stati poco compresi dal nostro stesso Arcivescovo (Lettera al
Clero 14-4-1965). La nostra lettera è stata incriminata. Ci è stato però di
conforto tenere sempre dinanzi agli occhi quei 31 ragazzi italiani che sono
attualmente in carcere per un ideale. Così diversi dai milioni di giovani che
affollano gli stadi, i bar, le piste da ballo, che vivono per comprarsi la
macchina, che seguono le mode, che leggono giornali sportivi, che si
disinteressano di politica e di religione. Un mio figliolo ha per professore di
religione all'Istituto Tecnico il capo di quei militari cappellani che han
scritto il comunicato. Mi dice di lui che in classe parla spesso di sport. Che
racconta di essere appassionato di caccia e di judo. Che ha l'automobile. Non
toccava a lui chiamare "vili e estranei al comandamento cristiano dell'amore"
quei 31 giovani.
I miei figlioli voglio che somiglino più a loro che a lui. E ciò nonostante
non voglio che vengano su anarchici.
Il motivo profondo
A questo punto mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola.
E siamo giunti, io penso, alla chiave di questo processo perché io maestro sono
accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva. Bisognerà dunque
accordarci su ciò che è scuola buona.
La scuola è diversa dall'aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo
ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e
deve averli presenti entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un
filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo
somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il
senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione). La tragedia
del vostro mestiere di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che
ancora non son tutte giuste. Son vivi in Italia dei magistrati che in passato
han dovuto perfino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a
questo pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a
progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva. Ecco perché,
in un certo senso, la scuola è fuori del vostro ordinamento giuridico.
Il ragazzo non è ancora penalmente imputabile e non esercita ancora diritti
sovrani, deve solo prepararsi a esercitarli domani ed è perciò da un lato
nostro inferiore perché deve obbedirci e noi rispondiamo di lui, dall'altro
nostro superiore perché decreterà domani leggi migliori delle nostre. E allora
il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i "segni dei
tempi", indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno
chiare domani e che noi vediamo solo in confuso. Anche il maestro è dunque in
qualche modo fuori del vostro ordinamento e pure al suo servizio. Se lo
condannate attenterete al progresso legislativo. In quanto alla loro vita di
giovani sovrani domani, non
posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla.
Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli
uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole).
Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso
del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. La leva ufficiale per
cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello
sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la
parola e con l'esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l'ora non
c'è scuola più grande che pagare di persona un'obiezione di coscienza. Cioè
violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che
essa prevede. È scuola per esempio la nostra lettera sul banco dell'imputato e
è scuola la testimonianza di quei 31 giovani che sono a Gaeta.
Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la
legge più degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con
l'anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto.
Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l'ho imparata insieme ai
ragazzi mentre leggevamo il Critone, l'Apologia di Socrate, la
vita del Signore nei quattro Vangeli, l'autobiografia di Gandhi, le
lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in
contrasto con l'ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per
renderlo migliore. L'ho applicata, nel mio piccolo, anche a tutta la mia vita
di cristiano nei confronti delle leggi e delle autorità della Chiesa.
Severamente ortodosso e disciplinato e nello stesso tempo appassionatamente
attento al presente e al futuro. Nessuno può accusarmi di eresia o di
indisciplina. Nessuno d'aver fatto carriera. Ho 42 anni e sono parroco di 42
anime! Del resto ho già tirato su degli ammirevoli figlioli. Ottimi cittadini e
ottimi cristiani. Nessuno di loro è venuto su anarchico. Nessuno è venuto su
conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio favore.
Ma è poi reato?
Vi ho dunque dichiarato fin qui che se anche la lettera incriminata
costituisse reato era mio dovere morale di maestro scriverla egualmente. Vi ho
fatto notare che togliendomi questa libertà attentereste alla scuola cioè al
progresso legislativo.
Ma è poi reato?
L'Assemblea Costituente ci ha invitati a dar posto nella scuola alla Carta
Costituzionale "al fine di rendere consapevole la nuova generazione delle
raggiunte conquiste morali e sociali". (ordine del giorno approvato
all'unanimità nella seduta dell'11 Dicembre 1947). Una di queste conquiste
morali e sociali è l'articolo 11: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli
altri popoli". Voi giuristi dite che le leggi si riferiscono
solo al futuro, ma noi gente della strada diciamo che la parola ripudia
è molto più ricca di significato, abbraccia il passato e il futuro. È un invito
a buttar tutto all'aria: all'aria buona. La storia come la insegnavano a noi e
il concetto di obbedienza militare assoluta come la insegnano ancora.
Mi scuserete se su questo punto mi devo dilungare, ma il Pubblico Ministero
ha interpretato come apologia della disobbedienza una lettera che è una scorsa
su cento anni di storia alla luce del verbo ripudia. È dalla premessa di
come si giudicano quelle guerre che segue se si dovrà o no obbedire nelle
guerre future. Quando andavamo a scuola noi i nostri maestri, Dio li perdoni,
ci avevano così bassamente ingannati. Alcuni poverini ci credevano davvero: ci
ingannavano perché erano a loro volta ingannati. Altri sapevano di ingannarci,
ma avevano paura. I più erano forse solo dei superficiali.
A sentir loro tutte le guerre erano "per la Patria". Esaminiamo
ora quattro tipi di guerra che "per la Patria" non erano. I nostri
maestri si dimenticavano di farci notare una cosa lapalissiana e cioè che gli
eserciti marciano agli ordini della classe dominante. In Italia fino al 1880
aveva diritto di voto solo il 2% della popolazione. Fino al 1909 il 7%. Nel
1913 ebbe diritto di voto il 23%, ma solo la metà lo seppe o lo volle usare.
Dal '22 al '45 il certificato elettorale non arrivò più a nessuno, ma
arrivarono a tutti le cartoline di chiamata per tre guerre spaventose. Oggi di
diritto il suffragio è universale, ma la Costituzione (articolo 3) ci
avvertiva nel '47 con sconcertante sincerità che i lavoratori erano di fatto
esclusi dalle leve del potere. Siccome non è stata chiesta la revisione di
quell'articolo è lecito pensare (e io lo penso) che esso descriva una
situazione non ancora superata. Allora è ufficialmente riconosciuto che i
contadini e gli operai, cioè la gran massa del popolo italiano, non è mai stata
al potere. Allora l'esercito ha marciato solo agli ordini di una classe
ristretta.
Del resto ne porta ancora il marchio: il servizio di leva è compensato con 93.000
al mese per i figli dei ricchi e con 4.500 lire al mese per i figli dei poveri,
essi non mangiano lo stesso rancio alla stessa mensa, i figli dei ricchi sono
serviti da un attendente figlio dei poveri. Allora l'esercito non ha mai o
quasi mai rappresentato la Patria nella sua totalità e nella sua eguaglianza.
Del resto in quante guerre della storia gli eserciti han rappresentato la
Patria?
Forse quello che difese la Francia durante la Rivoluzione. Ma non certo
quello di Napoleone in Russia.
Forse l'esercito inglese dopo Dunkerque. Ma non certo l'esercito inglese a
Suez.
Forse l'esercito russo a Stalingrado. Ma non certo l'esercito russo in
Polonia.
Forse l'esercito italiano al Piave. Ma non certo l'esercito italiano il 24
Maggio.
Ho a scuola esclusivamente figlioli di contadini e di operai. La luce
elettrica a Barbiana è stata portata quindici giorni fa, ma le cartoline di
precetto hanno cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861. Non posso non
avvertire i miei ragazzi che i loro infelici babbi han sofferto e fatto
soffrire in guerra per difendere gli interessi di una classe ristretta (di cui
non facevano nemmeno parte!) non gli interessi della Patria.
Anche la Patria è una creatura cioè qualcosa di meno di Dio, cioè un idolo
se la si adora. Io penso che non si può dar la vita per qualcosa di meno di
Dio. Ma se anche si dovesse concedere che si può dar la vita per l'idolo buono
(la Patria), certo non si potrà concedere che si possa dar la vita per l'idolo
cattivo (le speculazioni degli industriali). Dar la vita per nulla è peggio
ancora. I nostri maestri non ci dissero che nel '66 l'Austria ci aveva offerto
il Veneto gratis. Cioè che quei morti erano morti senza scopo. Che è mostruoso
andare a morire e uccidere senza scopo.
Se ci avessero detto meno bugie avremmo intravisto com'è complessa la
verità. Come anche quella guerra, come ogni guerra, era composita
dell'entusiasmo eroico di alcuni, dello sdegno eroico di altri, della
delinquenza di altri ancora.
Lo dico perché alcuni mi accusan di aver mancato di rispetto ai caduti. Non
è vero. Ho rispetto per quelle infelici vittime. Proprio per questo mi parrebbe
di offenderle se lodassi chi le ha mandate a morire e poi si è messo in salvo.
Per esempio quel re che scappò a Brindisi con Badoglio e molti generali e
nella fretta si dimenticò perfino di lasciar gli ordini.
Del resto il rispetto per i morti non può farmi dimenticare i miei figlioli
vivi. Io non voglio che essi facciano quella tragica fine. Se un giorno
sapranno offrire la loro vita in sacrificio ne sarò orgoglioso, ma che sia per
la causa di Dio e dei poveri, non per il signor Savoia o il signor Krupp.
Bisognerà ricordare anche le guerre per allargare i confini oltre il
territorio nazionale.
Ci sono ancora dei fascisti poveretti che mi scrivono lettere patetiche per
dirmi che prima di pronunciare il nome santo di Battisti devo sciacquarmi la
bocca.
È perché i nostri maestri ce l'avevano presentato come un eroe fascista. Si
erano dimenticati di dirci che era un socialista. Che se fosse stato vivo il 4
novembre quando gli italiani entrarono nel Sud Tirolo avrebbe obiettato. Non
avrebbe mosso un passo di là da Salorno per lo stessissimo motivo per cui
quattro anni prima aveva obiettato alla presenza degli austriaci di qua da
Salorno e s'era buttato disertore, come dico appunto nella mia lettera.
"Riterremmo stoltezza vantar diritti su Merano e Bolzano" (Scritti
politici di Cesare Battisti, vol. II, pag. 96-97). "Certi italiani
confondono troppo facilmente il Tirolo col Trentino e con poca logica vogliono
i confini d'Italia estesi fino al Brennero" (ivi).
Sotto il fascismo la mistificazione fu scientificamente organizzata. E non
solo sui libri, ma perfino sul paesaggio. L'Alto Adige, dove nessun soldato
italiano era mai morto, ebbe tre cimiteri di guerra finti (Colle Isarco, Passo
Resia, S. Candido) con caduti veri disseppelliti a Caporetto.
Parlo di confini per chi crede ancora, come credeva Battisti, che i confini
debbano tagliare preciso tra nazione e nazione. Non certo per dar soddisfazione
a quei nazisti da museo che sparano a carabinieri di 20 anni.
In quanto a me, io ai miei ragazzi insegno che le frontiere son concetti
superati. Quando scrivevamo la lettera incriminata abbiamo visto che i nostri
paletti di confine sono stati sempre in viaggio. E ciò che seguita a cambiar di
posto secondo il capriccio delle fortune militari non può essere dogma di fede
né civile né religiosa.
Ci presentavano l'Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par
oggi. Saltavo di gioia per l'Impero. I nostri maestri s'erano dimenticati di
dirci che gli etiopici erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro
capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano
fatto nulla.
Quella scuola vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava gli
orrori di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti
agli ordini di Mussolini. Anzi, per essere più precisi, obbedienti agli ordini
di Hitler. Cinquanta milioni di morti.
E dopo esser stato così volgarmente mistificato dai miei maestri quando
avevo 13 anni, ora che sono maestro io e ho davanti questi figlioli di 13 anni
che amo, vorreste che non sentissi l'obbligo non solo morale (come dicevo nella
prima parte di questa lettera), ma anche civico di demistificare tutto,
compresa l'obbedienza militare come ce la insegnavano allora?
Perseguite i maestri che dicono ancora le bugie di allora, quelli che da
allora a oggi non hanno più studiato né pensato, non me.Abbiamo voluto scrivere
questa lettera senza l'aiuto d'un giurista. Ma a scuola una copia dei Codici
l'abbiamo. Nel testo stesso dell'art. 40 c.p.m.p. e nella giurisprudenza
all'art. 51 del c.p. abbiamo trovato che il soldato non deve obbedire quando
l'atto comandato è manifestamente delittuoso. Che l'ordine deve avere un minimo
d'apparenza di legittimità. Una sentenza del T.S.M. condanna un soldato che ha
obbedito a un ordine di strage di civili (13-12-1949 imputato Strauch).
Allora anche il Vostro ordinamento riconosce che perfino il soldato ha una
coscienza e deve saperla usare quando è l'ora. Come potrebbe avere un minimo di
parvenza di legittimità una decimazione, una rappresaglia su ostaggi, la
deportazione degli ebrei, la tortura, una guerra coloniale? Oppure, può avere
un minimo di parvenza di legittimità un atto condannato dagli accordi
internazionali che l'Italia ha sottoscritto?
Il nostro Arcivescovo Card. Florit ha scritto che "è praticamente
impossibile all'individuo singolo valutare i molteplici aspetti relativi alla
moralità degli ordini che riceve" (Lettera al Clero 14-4-1965). Certo non
voleva riferirsi all'ordine che hanno ricevuto le infermiere tedesche di
uccidere i loro malati. E neppure a quello che ricevette Badoglio e trasmise ai
suoi soldati di mirare anche agli ospedali (telegramma di Mussolini 28-3-1936).
E neppure all'uso dei gas.
Che gli italiani in Etiopia abbiano usato gas è un fatto su cui è inutile
chiuder gli occhi. Il Protocollo di Ginevra del 17-5-1925 ratificato
dall'Italia il 3-4-1928 fu violato dall'Italia per prima il 23-12-1935 sul
Tacazzé. L'Enciclopedia Britannica lo dà per pacifico. Lo denunciano
oramai anche i giornali cattolici (L'Avvenire d'Italia articoli di
Angelo del Boca dal 13-5-1965 al 15-7-1965). Abbiamo letto i telegrammi di
Mussolini a Graziani: "autorizzo impiego gas" (telegramma numero
12409 del 27-10-1935) di Mussolini a Badoglio: "rinnovo autorizzazione
impiego gas qualunque specie e su qualunque scala" (29-3-1936). Hailè
Selassiè l'ha confermato autorevolmente e circostanziatamente (intervista per l'Espresso
29-9-1965 e sg.). Quegli ufficiali e quei soldati obbedienti che buttavano
barili d'iprite sono criminali di guerra e non son ancora stati processati.
Son processato invece io perché ho scritto una lettera che molti considerano
nobile. (carissime fra le tante le lettere di affettuosa solidarietà delle
Commissioni Interne delle principali fabbriche fiorentine, quelle dei dirigenti
e attivisti della C.I.S.L. di Milano e della C.I.S.L. di Firenze e quella dei
Valdesi).
Che idea si potranno fare i giovani di ciò che è crimine? Oggi poi le
convenzioni internazionali son state accolte nella Costituzione (art. 10). Ai
miei montanari insegno a avere più in onore la Costituzione e i patti che la
loro Patria ha firmato che gli ordini opposti d'un generale.
Io non li credo dei minorati incapaci di distinguere se sia lecito o no
bruciar vivo un bambino. Ma dei cittadini sovrani e coscienti. Ricchi del buon
senso dei poveri. Immuni da certe perversioni intellettuali di cui soffrono
talvolta i figli della borghesia. Quelli per esempio che leggevano D'Annunzio e
ci han regalato il fascismo e le sue guerre.
A Norimberga e a Gerusalemme son stati condannati uomini che avevano
obbedito. L'umanità intera consente che essi non dovevano obbedire, perché c'è
una legge che gli uomini non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma
che è scritta nel loro cuore. Una gran parte dell'umanità la chiama legge di
Dio, l'altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non credono né
nell'una né nell'altra non sono che un'infima minoranza malata. Sono i cultori
dell'obbedienza cieca.
Condannare la nostra lettera equivale a dire ai giovani soldati italiani che
essi non devono avere una coscienza, che devono obbedire come automi, che i
loro delitti li pagherà chi li avrà comandati.
E invece bisogna dir loro che Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima, che
vede ogni notte donne e bambini che bruciano e si fondono come candele, rifiuta
di prender tranquillanti, non vuol dormire, non vuol dimenticare quello che ha
fatto quand'era "un bravo ragazzo, un soldato disciplinato" (secondo
la definizione dei suoi superiori) "un povero imbecille
irresponsabile" (secondo la definizione che dà lui di sé ora). (carteggio
di Claude Eatherly e GŸnter Anders - Einaudi 1962).
Ho poi studiato a teologia morale un vecchio principio di diritto romano che
anche voi accettate. Il principio della responsabilità in solido. Il popolo lo
conosce sotto forma di proverbio: "Tant'è ladro chi ruba che chi para il
sacco".
Quando si tratta di due persone che compiono un delitto insieme, per esempio
il mandante e il sicario, voi gli date un ergastolo per uno e tutti capiscono
che la responsabilità non si divide per due. Un delitto come quello di
Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici,
scienziati, tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria
coscienza fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un
rimorso ridotto a millesimi non toglie il sonno all'uomo d'oggi.
E così siamo giunti a quest'assurdo che l'uomo delle caverne se dava una
randellata sapeva di far male e si pentiva. L'aviere dell'era atomica riempie
il serbatoio dell'apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e
non si pente.
A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi,
dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era
irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non
ha autore.
C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che
essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la
più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti
agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico
responsabile di tutto. A questo patto l'umanità potrà dire di aver avuto in
questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso
tecnico.
COME SACERDOTE
Fin qui ho parlato come un cittadino e un maestro che crede con la sua
scuola e la sua lettera di aver reso un servizio alla società civile, non di
aver compiuto un reato.
Ma poniamo di nuovo che voi lo consideriate reato.
Quest'accusa se fatta a me solo e non anche a tutti i miei confratelli mette
in dubbio la mia ortodossia di cattolico e di sacerdote. Sembrerà infatti che
condanniate le idee personali di un prete strano. Ma io son parte viva della
Chiesa anzi suo ministro. Se avessi detto cose estranee al suo insegnamento
essa mi avrebbe condannato. Non l'ha fatto perché la mia lettera dice cose
elementari di dottrina cristiana che tutti i preti insegnano da 2000 anni. Se
ho commesso reato perseguiteci tutti.
Ho evitato apposta di parlare da non-violento. Personalmente lo sono. Ho
tentato di educare i miei ragazzi così. Li ho indirizzati per quanto ho potuto
verso i sindacati (le uniche organizzazioni che applichino su larga scala le
tecniche non-violente). Ma la non-violenza non è ancora la dottrina ufficiale
di tutta la Chiesa. Mentre la dottrina del primato della coscienza sulla legge
dello Stato lo è certamente. Mi sarà facile dimostrarvi che nella mia lettera
ho parlato da cattolico integrale, anzi spesso da cattolico conservatore.
Cominciamo dalla storia.
La storia d'Italia fino al 1929 nella mia lettera è identica a come la
raccontavano i preti in seminario prima di quella data. Il mio vecchio parroco
mi diceva che La Squilla, il giornale cattolico di Firenze, aveva in
vetta e in fondo uno striscione nero. Portava il lutto del Risorgimento! In quanto
alla storia più recente cioè al giudizio sulle guerre fasciste, può anche darsi
che qualche mio confratello sia intimamente un nostalgico, ma è notorio che la
gran maggioranza dei preti sostiene un partito democratico che fu il principale
autore della Costituzione (dunque anche della parola ripudia).
Veniamo alla dottrina.
La dottrina del primato della legge di Dio sulla legge degli uomini è
condivisa, anzi glorificata, da tutta la Chiesa. Non andrò a cercare teologi
moderni e difficili per dimostrarlo. Si può domandarlo a un bambino che si
prepara alla Prima Comunione: "Se il padre o la madre comanda una cosa
cattiva bisogna obbedirlo? I martiri disobbedirono alle leggi dello Stato.
Fecero bene o male?". C'è chi cita a sproposito il detto di S. Pietro:
"Obbedite ai vostri superiori anche se son cattivi". Infatti. Non ha
nessuna importanza se chi comanda è personalmente buono o cattivo. Delle sue
azioni risponderà lui davanti a Dio. Ha però importanza se ci comanda cose
buone o cattive perché delle nostre azioni risponderemo noi davanti a
Dio. Tant'è vero che Pietro scriveva quelle sagge raccomandazioni
all'obbedienza dal carcere dove era chiuso per aver solennemente disobbedito.
Il Concilio di Trento è esplicito su questo punto (Catechismo III parte, IV
precetto, 16¡ paragrafo): "Se
le autorità politiche comanderanno qualcosa di iniquo non sono assolutamente da
ascoltare. Nello spiegare questa cosa al popolo il parroco faccia notare che
premio grande e proporzionato è riservato in cielo a coloro che obbediscono a
questo precetto divino" cioè di disobbedire allo Stato!
Certi cattolici di estrema destra (forse gli stessi che mi hanno denunciato)
ammirano la Mostra della Chiesa del Silenzio. Quella mostra è l'esaltazione di
cittadini che per motivo di coscienza si ribellano allo Stato. Allora anche i
miei superficialissimi accusatori la pensan come me. Hanno il solo difetto di
ricordarsi di quella legge eterna quando lo Stato è comunista e le vittime son
cattoliche e di dimenticarla nei casi (come in Spagna) dove lo Stato si
dichiara cattolico e le vittime sono comuniste.
Son cose penose, ma le ho ricordate per mostrarvi che su questo punto l'arco
dei cattolici che la pensano come me è completo.
Tutti sanno che la Chiesa onora i suoi martiri. Poco lontano dal vostro
Tribunale essa ha eretto una basilica per onorare l'umile pescatore che ha
pagato con la vita il contrasto fra la sua coscienza e l'ordinamento vigente.
S. Pietro era un "cattivo cittadino". I vostri predecessori del
Tribunale di Roma non ebbero tutti i torti a condannarlo.
Eppure essi non erano intolleranti verso le religioni. Avevano costruito a
Roma i templi di tutti gli dei e avevano cura di offrir sacrifici ad ogni
altare.
In una sola religione il loro profondo senso del diritto ravvisò un pericolo
mortale per le loro istituzioni. Quella il cui primo comandamento dice:
"Io sono un Dio geloso. Non avere altro Dio fuori che me". A quei
tempi pareva dunque inevitabile che i buoni ebrei e i buoni cristiani paressero
cattivi cittadini.
Poi le leggi dello Stato progredirono. Lasciatemi dire, con buona pace dei
laicisti, che esse vennero man mano avvicinandosi alla legge di Dio. Così va
diventando ogni giorno più facile per noi esser riconosciuti buoni cittadini.
Ma è per coincidenza e non per sua natura che questo avviene. Non
meravigliatevi dunque se ancora non possiamo obbedire tutte le leggi degli
uomini. Miglioriamole ancora e un giorno le obbediremo tutte. Vi ho detto che
come maestro civile sto dando una mano anch'io a migliorarle. Perché io ho
fiducia nelle leggi degli uomini. Nel breve corso della mia vita mi pare che
abbiano progredito a vista d'occhio.
Condannano oggi tante cose cattive che ieri sancivano. Oggi condannano la
pena di morte, l'assolutismo, la monarchia, la censura, le colonie, il
razzismo, l'inferiorità della donna, la prostituzione, il lavoro dei ragazzi.
Onorano lo sciopero, i sindacati, i partiti.
Tutto questo è un irreversibile avvicinarsi alla legge di Dio. Già oggi la
coincidenza è così grande che normalmente un buon cristiano può passare anche
l'intera vita senza mai essere costretto dalla coscienza a violare una legge
dello Stato.
Io per esempio fino a questo momento sono incensurato. E spero di esserlo
anche alla fine di questo processo. È un augurio che faccio ai patrioti. Chissà
come patirebbero se potessero leggere le tante lettere che ricevo dall'estero.
Da paesi che non hanno il servizio di leva o riconoscono l'obiezione. Quelli
che le scrivono sono convinti di scrivere a un paese di selvaggi. Qualcuno mi
domanda quanto dovrà ancora stare in prigione il povero padre Balducci.
Dicevamo dunque che oggi le nostre due leggi quasi coincidono. Ci sono però
dei casi eccezionali nei quali vige l'antica divergenza e l'antico comandamento
della Chiesa di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.
Ho elencato nella lettera incriminata alcuni di questi casi. Posso
aggiungere altre considerazioni. Cominciamo dall'obiezione di coscienza in
senso stretto.
Proprio in questi giorni ho avuto conforto dalla Chiesa anche su questo
punto specifico. Il Concilio invita i legislatori a avere rispetto (respicere)
per coloro i quali "o per testimoniare della mitezza cristiana, o per
reverenza alla vita, o per orrore di esercitare qualsiasi violenza, ricusano
per motivo di coscienza o il servizio militare o alcuni singoli atti di immane
crudeltà cui conduce la guerra".
(Schema 13 paragrafo 101. Questo è il testo proposto dalla apposita
Commissione la quale rispecchia tutte le correnti del Concilio. Ha quindi tutte
le probabilità d'essere quello definitivo).
Quei 20 militari di Firenze han detto che l'obiettore è un vile. Io ho detto
soltanto che forse è un profeta. Mi pare che i Vescovi stiano dicendo molto più
di me.
Ricorderò altri tre fatti sintomatici.
Nel '18 i seminaristi reduci di guerra, se vollero diventare preti,
dovettero chiedere alla Santa Sede una sanatoria per le irregolarità canoniche
in cui potevano essere incorsi nell'obbedire ai loro ufficiali.
Nel '29 la Chiesa chiedeva allo Stato di dispensare i seminaristi, i preti,
i vescovi dal servizio militare. Il canone 141 proibisce ai chierici di andare
volontari a meno che lo facciano per sortirne prima (ut citius liberi
evadant)! Chi disobbedisce è automaticamente ridotto allo stato laicale. La
Chiesa considera dunque a dir poco indecorosa per un sacerdote l'attività
militare presa nel suo complesso. Con le sue ombre e le sue luci. Quella che lo
Stato onora con medaglie e monumenti.
E infine affrontiamo il problema più cocente delle ultime guerre e di quelle
future: l'uccisione dei civili.
La Chiesa non ha mai ammesso che in guerra fosse lecito uccidere civili, a
meno che la cosa avvenisse incidentalmente cioè nel tentare di colpire un
obiettivo militare. Ora abbiamo letto a scuola su segnalazione del Giorno
un articolo del premio Nobel Max Born (Bullettin of the Atomic Scientists,
aprile 1964).
Dice che nella prima guerra mondiale i morti furono 5% civili 95% militari
(si poteva ancora sostenere che i civili erano morti
"incidentalmente").
Nella seconda 48% civili 52% militari (non si poteva più sostenere che i
civili fossero morti "incidentalmente").
In quella di Corea 84% civili 16% militari (si può ormai sostenere che i
militari muoiono "incidentalmente").
Sappiamo tutti che i generali studiano la strategia d'oggi con l'unità di
misura del megadeath (un milione di morti) cioè che le armi attuali mirano
direttamente ai civili e che si salveranno forse solo i militari.
Che io sappia nessun teologo ammette che un soldato possa mirare
direttamente (si può ormai dire esclusivamente) ai civili. Dunque in casi del
genere il cristiano deve obiettare anche a costo della vita. Io aggiungerei che
mi pare coerente dire che a una guerra simile il cristiano non potrà
partecipare nemmeno come cuciniere. Gandhi l'aveva già capito quando ancora non
si parlava di armi atomiche.
"Io non traccio alcuna distinzione tra coloro che portano le armi di
distruzione e coloro che prestano servizio di Croce Rossa. Entrambi partecipano
alla guerra e ne promuovono la causa. Entrambi sono colpevoli del crimine della
guerra" (Non-violence in peace and war. Ahmedabad 14 vol. 1).
A questo punto mi domando se non sia accademia seguitare a discutere di
guerra con termini che servivano già male per la seconda guerra mondiale.
Eppure mi tocca parlare anche della guerra futura perché accusandomi di
apologia di reato ci si riferisce appunto a quel che dovranno fare o non fare i
nostri ragazzi domani. Ma nella guerra futura l'inadeguatezza dei termini della
nostra teologia e della vostra legislazione è ancora più evidente.
È noto che l'unica "difesa" possibile in una guerra di missili
atomici sarà di sparare circa 20 minuti prima dell'"aggressore". Ma
in lingua italiana lo sparare prima si chiama aggressione e non difesa. Oppure
immaginiamo uno Stato onestissimo che per sua "difesa" spari 20
minuti dopo. Cioè che sparino i suoi sommergibili unici superstiti d'un paese
ormai cancellato dalla geografia. Ma in lingua italiana questo si chiama vendetta
non difesa.
Mi dispiace se il discorso prende un tono di fantascienza, ma Kennedy e
Krusciov (i due artefici della distensione!) si sono lanciati l'un l'altro
pubblicamente minacce del genere.
"Siamo pienamente consapevoli del fatto che questa guerra, se viene
scatenata, diventerà sin dalla primissima ora una guerra termonucleare e una
guerra mondiale. Ciò per noi è perfettamente ovvio" (lettera di Krusciov a
B. Russell, 23-10-1962).
Siamo dunque tragicamente nel reale.
Allora la guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una
"guerra giusta" né per la Chiesa né per la Costituzione. A più
riprese gli scienziati ci hanno avvertiti che è in gioco la sopravvivenza della
specie umana. (Per esempio Linus Pauling premio Nobel per la chimica e per la
pace). E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere
la specie umana?
Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l'idea di andare a
fare l'eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente
che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino a ora.
Cioè che se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di
legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura.
Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d'ogni religione
e d'ogni scuola insegneranno come me. Poi forse qualche generale troverà
ugualmente il meschino che obbedisce e così non riusciremo a salvare l'umanità.
Non è un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se non
potremo salvare l'umanità ci salveremo almeno l'anima