venerdi 1 APRILE 2022 ore 18-20
Convegno del MEIC su piattaforma ZOOM
" i talenti nell'economia e i talenti nel Vangelo "
relatore: prof. Giulio GUARINI
MEIC - Economia - Università della
Tuscia
Sintesi della relazione elaborata da Mario
Ardigò sulla base degli appunti presi nel corso del convegno
Sintesi non rivista dal relatore
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La
proposta di relazione che mi era stata fatta era un commento sulla parabola dei
talenti, dal cap. 25 del Vangelo di Matteo. Contiene immagini con immagini
escatologiche (il ritorno di Cristo alla fine dei tempi): la parabola dei
talenti è l’ultima di queste immagini. L’interpretazione più comune è che
ognuno ha ricevuto una dote da Dio e che ciascuno deve farla fruttare. Il servo
colpevole è considerato quello che ha avuto paura di far fruttare il suo
talento, con un peccato di omissione, arrivando al punto di seppellirlo per
evitare qualsiasi responsabilità. Al ritorno del padrone, vengono premiati i
servitori che hanno fatto fruttare i talenti ricevuti. Il terzo servitore non
ha capito la fede, la volontà del padrone e viene condannato.
Nella parabola si utilizza un linguaggio
economico, come in altre parti della Bibbia, con un senso allegorico. Anche nel
Padre nostro si parla di debiti. Si parte da situazioni economiche, ma
se ne ricava un senso spirituale.
Il terzo servitore ha avuto paura, come Adamo
che si nascose dopo il peccato. Ci si nasconde o si nasconde il talento per
paura.
Weber parlò del calvinismo come origine di un
sostegno allo spirito del capitalismo. La lettura tradizionale della parabola dei talenti è coerente con questa
visione. Calvino: poiché non si sa se si è predestinato alla salvezza,
l’operato che dà successo manifesta di essere tra i predestinati. Il terzo
servitore di fatto si autocondanna, il non fare manifesta che non era stato
scelto da Dio. Si può leggere questo anche
in senso meritocratico: il successo è ottenuto da chi se lo è meritato, in
senso ultraliberista. A questo punto non ha più senso di nascondere le proprie
ricchezze, che sono manifestazione di una predestinazione alla salvezza. E’ un
riferimento per le dottrine economiche liberiste. Uno si merita la salvezza.
Dottrine liberiste: date certe dotazione per
gli individui, il processo di mercato consegue il risultato collettivo
migliore, senza scontentare nessuno. Il vulnus è che di fatto il mercato non riesce a
fronteggiare situazioni di dotazioni fortemente diverse, il problema
dell’equità. La parabola potrebbe giustificare le dotazioni diverse. Secondo
alcune teorie (ad es. Pareto), la distribuzione del reddito ha qualcosa di
naturale perché riflette le diverse competenze, e quindi è immodificabile.
La parabola può essere strumentalizzata in
altri modi.
Padre Alex Zanotelli, comboniano, ha
riflettuto sull’economia sabatica, dei giubilei, per enucleare i motivi
economici, ad esempio per sostenere la cancellazione del debito. Egli ribalta
quella lettura: l’unico che ha fatto bene è il terzo servitore e in questo
quadro il padrone sarebbe mammona. Prescrive di affidare il denaro ai
banchieri, come gli altri. Il servitore
è il vero eroe perché rifiuta di farlo. Infatti il cap. 25 di Matteo si
conclude con il giudizio finale tra pecore e capre (rappresentazione del diavolo,
con volto caprino), e la selezione tra le une e le altre viene fatto sulla base
della misericordia praticata. Questo non ha nulla a che fare con il padrone della parabola dei talenti.
La parabola deve certamente integrarsi con
ciò che viene dopo. Bisogna tener uniti la parabola e il brano del giudizio
finale, che stabilisce esplicitamente i criteri della salvezza e della
condanna.
Bisogna partire dal valore positivo del
talento. La grazia è abbondante e riguarda tutti quanti. Cinque non è più di
uno: anche un solo talento dell’epoca di Gesù aveva un valore molto grande.
Valeva 6000 denari, circa venti anni di stipendio di un ceto medio di allora.
Anche un solo talento è abbondanza, anche se l’abbondanza non è uguale per tutti.
I servitori che hanno fatto fruttare i talenti ricevuti partecipano alla gioia
del padrone, per aver fatto crescere l’abbondanza. Nella parabola si parla di capacità (di
far fruttare) come misura della dote di talenti. C’è un accento sulla responsabilità di produrre
ricchezza, ma anche nel condividere: le due cose devono essere tenute insieme.
Si ha perché si è prodotto, si è fatto fruttare, e si produce per condividere: a
chi ha prodotto sarà dato.
L’ordine fondato da
Francesco d’Assisi ha attuato un’economia del bene comune, su quei presupposti,
ad esempio i Monti di pietà. Il denaro non lo usiamo come gli usurai, ma per
fare del bene in modo razionale.
Bernardino da Feltre fondò i Monti di pietà,
ebbe come motto “Abbi cura di lui”.
Nella prospettiva liberista il talento viene
considerato bene individuale, e non come abbondanza da condividere. In questa
prospettiva il padrone della parabola può allora trasformarsi in mammona,
sbagliando.
Anche l’affamato, che per la misericordia ha
ricevuto, ha la responsabilità di far fruttare.
Papa Francesco insiste che il più grande
peccato è sprecare: ad esempio nel discorso tenuto nella giornata dei poveri.
Nella dottrina sociale ci sono riferimenti espliciti
alla parabola.
Gesù come uomo del lavoro. Si apprezza la buona
amministrazione come opera di giustizia, con un’etica del lavoro fondata sulla
parabola. Ciascuno ha diritto di iniziativa economica, per raccogliere i giusti
frutti e per contribuire alla ricchezza generale, con una funzione sociale.
Talenti viene inteso anche in senso metaforico
non solo come denaro, ma come doti.
Lo stato deve valorizzare i talenti,
anche dal punto del trattamento fiscale dei proventi d’impresa.
Si fa riferimento ad una civiltà
dell’amore, esortando a raddoppiare i talenti ricevuti e alla carità di tutti.
C’è un modello che tiene insieme nel modo
migliore la parabola dei talenti e il giudizio finale basato sul criterio della
misericordia?
L’efficienza anche nell’attività missionaria
è necessaria ma senza tradire lo spirito della missione.