Metz: la Chiesa della compassione (2002)
mail
di mio zio Achille Ardigò del 2002
Sofferenza
personale e insieme confidenza nella Provvidenza di Dio, sollecitano a rendere necessario il legame tra
percorso soggettivo e il carisma della
Chiesa semper reformanda.
Un abbraccio tuo zio Achille (2002:
L'ELEFANTE CATTOLICO
Per
una Chiesa della compassione per chi soffre
J.B. Metz: Oggi non è, in ogni caso, il tempo
di un nuovo grande concilio, non è il
tempo di un'apertura sinodale come 25 anni fa.
Oggi è
tempo di pausa per i grandi eventi. I malintesi da una parte e le delusioni dall'altra si accumulano. Le
crisi, così sembra, sono sempre più
ricorrenti. Non si tratta più di trovare vie "d'uscita" dalla crisi,
bensì vie dentro la crisi.
- Come potrebbero essere queste vie?
Metz: Non conosco alcuna risposta passabile. Ho
però un'immagine, una metafora a me
familiare da tempo: è la metafora dell'elefante, dell'elefante cattolico, che ha pur sempre già
attraversato pesantemente molte soglie
epocali, anche se alquanto faticosamente.
Mi
lasci chiarire un poco questa metafora, applicandola alla nostra situazione. La chiesa cattolica, con un
miliardo di cattolici sparsi per le
chiese del mondo, è pur sempre così grande e grossa come un elefante, dotata di
una memoria da elefante nella quale, cosa difficile altrove, sono conservate storia del
mondo e storia dello spirito, storia delle civiltà e storia delle religioni, aspetti liberanti e aspetti pesanti, luci e tenebre. La chiesa cattolica, insensibile e testarda come un elefante, e questo ormai assolutamente in una
duplice prospettiva: insensibile in primo luogo nei confronti delle seduzioni e delle suggestioni del
cosiddetto spirito del tempo, una specie
di produttiva inattualità. In secondo luogo, però, insensibile anche e sempre più verso quelli che stanno seduti in alto e
indicano la strada agli elefanti.
- Quali strade dovrebbe dunque percorrere l'elefante?
Metz: Nella chiesa cattolica in realtà molte
cose cambiano, ma appunto piuttosto
senza forma, per così dire in modo passivo, sotto la spinta anonima di
condizioni indefinite, indeterminate. Occorre il cambiamento che abbia una sua forma, in questo
senso l'autentica riforma. Altrimenti si profila un pericolo per il cristianesimo di chiesa. Un pericolo invero che può sembrare non drammatico, che però, a mio avviso, possiede una forza elementare.
Si giungerà allora ad un consolidamento
della cosiddetta chiesa-di-servizi borghese, ad una stabilizzazione di quella chiesa di servizi che nei nostri sogni sulla chiesa già una volta abbiamo creduto alle nostre spalle. Le uscite dalla chiesa presumibilmente
continueranno a diminuire, ma l'indifferenza dentro la chiesa continuerà invece
ad aumentare. In un mondo confuso e complicato aumentano sempre più i bisogni che fanno da cornice alla vita. Quale rappresentante di
un ambito di vita, la chiesa, perciò, troverà ,in questo mondo, attenzione
anche in futuro.
Ma che
ne è delle sue opportunità in quanto rappresentante di una possibilità di dar forma alla vita? Mi
permetta allora di ricorrere ancora una volta alla metafora dell'elefante per
mettermi in ricerca della proverbiale sensibilità di questo bestione: ci
interroghiamo sull' "anima
sensibile" dell'elefante cattolico, della quale potrebbe alimentarsi la forza dell'orientamento.
Quale potrebbe essere la bussola per questo
orientamento?
Metz: Questa anima sensibile dell'elefante
sarebbe, ai miei occhi, una chiesa della
compassione, una chiesa della assunzione partecipante del dolore altrui, una chiesa del
coinvolgimento quale espressione della
sua passione per Dio. Poichè il messaggio biblico su Dio è, nel suo nucleo, un messaggio sensibile alla sofferenza: sensibile al dolore altrui in definitiva fino
al dolore dei nemici.
Sottolineo
molto questo perchè la chiesa, come il cristianesimo, ha avuto fin dall'inizio
grandi difficoltà soprattutto con questa elementare sensibilità alla sofferenza,
propria del messaggio biblico. La
questione della giustizia per chi soffre innocente, questione che inquieta le tradizioni bibliche,
fu infatti molto presto e molto
velocemente, troppo velocemente, trasformata e riformulata come questione della redenzione
dei colpevoli. La dottrina cristiana della redenzione ha drammatizzato troppo la questione della colpa e ha relativizzato
troppo la questione della sofferenza. Il
cristianesimo si è trasformato da religione primariamente sensibile alla sofferenza in una religione primariamente attenta alla colpa. Sembra che la chiesa abbia avuto sempre mano più leggera con i colpevoli che
con le vittime innocenti.
Sono ancora disponibili i cristiani, oggi soprattutto, a comprendere ciò che Lei intende con 'compassione'?
Metz: Dapprima devo ammettere che non conosco
alcuna parola tedesca che vada bene per
indicare ciò che io intendo con percezione partecipante del dolore altrui. 'Patire-con'
(Mitleid) suona in modo troppo
non-politico, è parola sospettata di mascherare col sentimentalismo le
dominanti sofferenze ingiuste e innocenti. Così mi sono deciso per 'compassione' (Compassion). Può essere che molti ritengano questo cristianesimo della
compassione un vago romanticismo pastorale.
Certo, questa compassione è una grande provocazione, proprio come tutto il cristianesimo, come la
sequela, come Dio. Ma in definitiva il primo sguardo di Gesù non andava al peccato degli altri, bensì al dolore degli altri. Nel
linguaggio di una religione borghese
irrigidita in se stessa, che davanti a niente ha tanta paura quanto di fronte al proprio naufragio e che
perciò continua a preferire l'uovo oggi
alla gallina domani, questo è difficile da spiegare. Dobbiamo invece metterci sulle
tracce di una durevole simpatia,
impegnarci in una disponibilità coraggiosa a non eludere il dolore degli altri, in alleanze e progetti-base della compassione che si sottraggano all'attuale corrente della
raffinata indifferenza e della coltivata
apatia, e che rifiutino di vivere e celebrare felicità e amore esclusivamente come messe in
scena narcisistiche di apparato. Mi sia permesso, infine, tornare ancora una volta brevemente all'immagine dell'elefante cattolico, a questo miliardo di cattolici. Se essi veramente, nei loro
differenti mondi di vita, osassero
questo esperimento della compassione e se alla fine si
arrivasse ad un ecumenismo della compassione tra tutti i cristiani, non potrebbe questo gettare una nuova luce sul
nostro mondo globalizzato e al tempo
stesso così dolorosamente lacerato?
© by Teologi@/Internet
Editrice Queriniana, Brescia
Johann Baptist Metz è uno dei teologi cattolici più noti internazionalmente. Discepolo di Karl Rahner, è andato oltre la teologia antropologico-trascendentale del suo
maestro e ha proposto la nuova teologia
politica, e cioè una riflessione teologica attenta alla dimensione pubblica, sociale e pratica
del cristianesimo.
In
questa intervista il teologo di Münster assume la categoria della compassione come più originaria nella
caratterizzazione del messaggio e della
pratica cristiana.
Nella celebre prolusione viennese (inserita in "Cammino e visione", Queriniana 1996) aveva scritto: "Il
cristianesimo si è trasformato da una
morale della sofferenza in una morale del peccato. Un cristianesimo sensibile al dolore è diventato un
cristianesimo sensibile - in misura
troppo esclusiva - al peccato. L'attenzione prioritaria è stata prestata non alla
sofferenza della creatura, bensì alla
sua colpa. L'annuncio cristiano è diventato soprattutto una euristica dei sentimenti di colpa e della
paura di peccare.
Questo
ha paralizzato la sensibilità del cristianesimo per la sofferenza dei giusti e ha offuscato la visione biblica della grande giustizia di Dio". Questa analisi e
questo giro di pensieri è ora assunto
sotto la categoria di compassione.