INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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sabato 9 novembre 2019

Note per un tirocinio di democrazia 14


Note per un tirocinio di democrazia 14

Notes for a Internship in democracy 14


Note: After the text in Italian, I enclose its English translation, done with the help of Google Translate. Where I found it, I inserted the official text in English of the documents of the Holy See. In the case of the original version of the passage from the Catechism of the Catholic Church published in 1992 that I mentioned, I did not find it in English and I did the translation into English, with the help of Google Translate.

 Nell’attuale versione del Catechismo della Chiesa cattolica [fonte: <http://www.vatican.va/archive/ITA0014/__P7Y.HTM>], che non  è solo un sussidio per la formazione religiosa, ma si è voluto come  legge del pensiero (tanto è vero che l’11 ottobre 1992 fu promulgato oltre che approvato), per distinguere l’ortodossia dalla devianza e dall’eresia, si legge, sul tema della pena di morte, uno degli strumenti utilizzati dalla politica, e anche nel regno che il Papato romano ebbe nell’Italia centrale fino alla sua soppressione nel 1870:

2266 Corrisponde ad un'esigenza di tutela del bene comune lo sforzo dello Stato inteso a contenere il diffondersi di comportamenti lesivi dei diritti dell'uomo e delle regole fondamentali della convivenza civile. La legittima autorità pubblica ha il diritto ed il dovere ha il diritto ed il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto. La pena ha innanzi tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa. Quando è volontariamente accettata dal colpevole, essa assume valore di espiazione. La pena poi, oltre che a difendere l'ordine pubblico e a tutelare la sicurezza delle persone, mira ad uno scopo medicinale: nella misura del possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole.
 2267 L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani.
Se invece i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall'aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana.
Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l'ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo “sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti” [Evangelium vitae, n. 56].

Questo testo venne promulgato con la lettera apostolica E’ motivo di grande gioia - Laetamur magnopere,  diffusa il 15 agosto 1997 dal papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°, dopo un lavoro di revisione iniziato precocemente, l’anno successivo a quello della prima approvazione e pubblicazione del Catechismo, come spiegato nello stesso provvedimento del 1997:

«Questa edizione è stata preparata da una Commissione Interdicasteriale, che ho costituito a tale scopo nel 1993. Presieduta dal Card. Joseph Ratzinger, tale Commissione ha lavorato assiduamente, per adempiere al mandato ricevuto. Essa ha dedicato particolare attenzione all'esame delle numerose proposte di modifica ai contenuti del testo, che durante questi anni sono pervenute dalle varie parti del mondo e dalle diverse componenti del mondo ecclesiale.»
 
  Era accaduto infatti che, dopo la pubblicazione di una prima versione del Catechismo nel 1992, nel mondo cattolico si era insorti contro la deliberazione di ammettere la pena di morte secondo l’estensione concepita dalla dottrina tradizionale, risalente a periodi bui e molto cruenti della vita sociale delle nostre comunità di fede, e ripudiata dalle concezioni contemporanee correnti in alcune delle democrazie più avanzate, come quelle coinvolte nel processo di unificazione europea,  in particolare dalle loro dottrine giuridiche. In Italia, ad esempio, la pena di morte, già ammessa solo nei casi previsti dalle leggi militari di guerra, è stata soppressa con legge costituzionale n.1 del 2 ottobre 2007. Nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,  approvata nel 2007 e divenuta legge europea il 1 dicembre 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, si legge perentoriamente, senza distinzioni di casi:

Articolo 2
Diritto alla vita
1.   Ogni persona ha diritto alla vita.
2.   Nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato.


Nella versione del Catechismo edita nel 1992 dalla Libreria Editrice Vaticana sulla base del testo approvato e promulgato quell’anno, i paragrafi avevano infatti un diverso contenuto:

2266 Difendere il bene comune della società esige che si ponga l’aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, l’insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di infiggere pene proporzionate alla gravita del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte. Per analoghi motivi, i detentori dell’autorità hanno il diritto di usare le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alle loro responsabilità.
 La pena ha come primo scopo di riparare al disordine introdotto dalla colpa. Quando è volontariamente accettata dal colpevole, la pena ha valore di espiazione. Inoltre, la pena ha lo scopo di difendere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone. Infine, la pena ha valore medicinale: nella misura del possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole.
2267 Se i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere le vite umane dall’aggressore e per proteggere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone,  l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi  alla dignità della persona umana.

 Tra l’una e l’altra  versione ci fu l’enciclica  Il Vangelo della vita - Evangelium vitae, diffusa il 25 marzo 1995 dal papa Wojtyla, di solito ricordata prevalentemente sulla questione dell’interruzione volontaria della gravidanza sulla quale contiene deliberazioni solenni e volute come ultimative, ma che contiene  brani molto importanti che riguardano appunto la pena di morte:

56. In questo orizzonte si colloca anche il problema della pena di mortesu cui si registra, nella Chiesa come nella società civile, una crescente tendenza che ne chiede un'applicazione assai limitata ed anzi una totale abolizione. Il problema va inquadrato nell'ottica di una giustizia penale che sia sempre più conforme alla dignità dell'uomo e pertanto, in ultima analisi, al disegno di Dio sull'uomo e sulla società. In effetti, la pena che la società infligge «ha come primo scopo di riparare al disordine introdotto dalla colpa». La pubblica autorità deve farsi vindice della violazione dei diritti personali e sociali mediante l'imposizione al reo di una adeguata espiazione del crimine, quale condizione per essere riammesso all'esercizio della propria libertà. In tal modo l'autorità ottiene anche lo scopo di difendere l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone, non senza offrire allo stesso reo uno stimolo e un aiuto a correggersi e redimersi.
  È chiaro che, proprio per conseguire tutte queste finalità, la misura e la qualità della pena devono essere attentamente valutate e decise, e non devono giungere alla misura estrema della soppressione del reo se non in casi di assoluta necessità, quando cioè la difesa della società non fosse possibile altrimenti. Oggi, però, a seguito dell'organizzazione sempre più adeguata dell'istituzione penale, questi casi sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti.
  In ogni caso resta valido il principio indicato dal nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, secondo cui «se i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere le vite umane dall'aggressore e per proteggere l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana».
57. Se così grande attenzione va posta al rispetto di ogni vita, persino di quella del reo e dell'ingiusto aggressore, il comandamento «non uccidere» ha valore assoluto quando si riferisce alla persona innocente. E ciò tanto più se si tratta di un essere umano debole e indifeso, che solo nella forza assoluta del comandamento di Dio trova la sua radicale difesa rispetto all'arbitrio e alla prepotenza altrui.

 nei quali troviamo concezioni in materia di politica della pena di morte più restrittive rispetto alla versione del Catechismo  del 1992, ma  rispetto alle quali il testo del Catechismo  approvato nel 1997 appare come un’ulteriore evoluzione limitativa del ricorso alla pena di morte, e comunque ancora lontana dalle concezioni delle democrazie evolute contemporanee che tendono ad escluderla del tutto.  Dello sviluppo culturale su quel tema si fu consapevoli nella redazione dell’enciclica  Il Vangelo della vita:

27. […] Tra i segni di speranza va pure annoverata la crescita, in molti strati dell'opinione pubblica, di una nuova sensibilità sempre più contraria alla guerra come strumento di soluzione dei conflitti tra i popoli e sempre più orientata alla ricerca di strumenti efficaci ma «non violenti» per bloccare l'aggressore armato. Nel medesimo orizzonte si pone altresì la sempre più diffusa avversione dell'opinione pubblica alla pena di morte anche solo come strumento di «legittima difesa» sociale, in considerazione delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui che l'ha commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi.


Va anche rilevato che l’aver inserito il tema della pena di morte nella sezione del Catechismo  che riguarda la legittima difesa è frutto di concezioni piuttosto arretrate, centrate sull’esigenza di porre i colpevoli di delitti in condizione di non nuocere, mentre nelle concezioni giuridiche delle democrazie contemporanee si assegna alla pena una funzione di reintegrazione sociale, che richiede un cambiamento nel colpevole ma anche nella società che l’incrimina e condanna, motivo per il quale, appunto, si tende a ripudiare la pena di morte. La pena, in quest’ottica, dovrebbe essere molto più che  sofferenza ed  espiazione.
 Allo stato, nel campo del rispetto della vita, l’Unione Europea ha una legge  che è molto più avanzata di quella contenuta nel Catechismo, che, ritiene assoluto solo il rispetto della vita dell’innocente, ma non di quella del colpevole, ritenendo rari, anzi  praticamente inesistenti, ma, in definitiva,  non del tutto inesistenti, i casi nei quali è necessaria e legittima la soppressione del reo (del colpevole).
  Che cosa impedì al Papato di andare oltre? Il peso della tradizione, certo, dalla quale un Papa accreditato come tradizionalista su molti aspetti, sebbene riformatore in molti altri, esitò ad distaccarsi del tutto; poi anche il peso della tremenda storia del Papato romano, che, nell’esercizio del potere politico nel suo regno italiano e nell’influenza, notevole, che ebbe sugli europei nel secondo Millennio, praticò, ordinò e autorizzo l’esecuzione della pena di morte, anche in modi atroci come il rogo di persone vive e per crimini di libertà di pensiero, ma, probabilmente, anche il peso della politica degli anni ’90, che vedeva Papato e Stati Uniti d’America su una linea concordante nell’azione riguardante le regioni dell’Europa orientale che stavano uscendo dal comunismo di tipo leninista/stalinista, e in alcuni degli Stati federati negli Stati Uniti d’America la pena di morta era e ancora è ammessa e praticata; e certamente non erano abolizionisti i Presidenti federali repubblicani che, negli anni ’80 e inizio degli anni ‘90 erano stati protagonisti nell’epoca della veloce disgregazione di quei regimi socialisti, in particolare di quello polacco in cui tanta rilevanza ebbe la figura del papa Wojtyla. Tra il 1993 e il 1997 la situazione statunitense, e quindi quella internazionale che all'epoca più di ora era influenzata da quella statunitense, era però mutata, con la presidenza del democratico Bill Clinton.
  Papa Wojtyla non è stato né sarà l’unico capo religioso ad affrontare la difficile opera di mediazione dei valori nella pratica del governo delle società, e la questione impegna chiunque voglia essere attivo in politica, quindi, nelle democrazie avanzate di popolo, tutti coloro che vi hanno voce in politica a vario livello, non solo quindi chi ha il diritto di voto e può candidarsi alle elezioni, ma anche i ragazzi considerati minorenni e gli stranieri che abitano stabilmente in una collettività politica. Un Papa è sovrano assoluto solo sulla carta, nella legge della Chiesa cattolica, per il resto ci appare, si dichiara, ed in effetti è molto condizionato dalle culture a cui principalmente fa riferimento e dalle interazioni con altri poteri politici. Lo siamo tutti noi quando vogliamo in qualche modo fare  politica e anche solo  ragionare  di politica.
 In materia di tutela della vita, i principi religiosi sono stati sintetizzati molto chiaramente nell’enciclica Il Vangelo della vita  che ho prima citato:

 39. La vita dell'uomo proviene da Dio, è suo dono, sua immagine e impronta, partecipazione del suo soffio vitale. Di questa vita, pertanto, Dio è l'unico signore: l'uomo non può disporne. Dio stesso lo ribadisce a Noè dopo il diluvio: «Domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo fratello» (Gn 9, 5). E il testo biblico si preoccupa di sottolineare come la sacralità della vita abbia il suo fondamento in Dio e nella sua azione creatrice: «Perché ad immagine di Dio Egli ha fatto l'uomo» (Gn 9, 6).
  La vita e la morte dell'uomo sono, dunque, nelle mani di Dio, in suo potere: «Egli ha in mano l'anima di ogni vivente e il soffio d'ogni carne umana», esclama Giobbe (12, 10). «Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire» (1 Sam 2, 6). Egli solo può dire: «Sono io che do la morte e faccio vivere» (Dt 32, 39).
  Ma questo potere Dio non lo esercita come arbitrio minaccioso, bensì come cura e sollecitudine amorosa nei riguardi delle sue creature. Se è vero che la vita dell'uomo è nelle mani di Dio, non è men vero che queste sono mani amorevoli come quelle di una madre che accoglie, nutre e si prende cura del suo bambino: «Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia» (Sal 131/130, 2; cf. Is 49, 15; 66, 12-13; Os 11, 4). Così nelle vicende dei popoli e nella sorte degli individui Israele non vede il frutto di una pura casualità o di un destino cieco, ma l'esito di un disegno d'amore con il quale Dio raccoglie tutte le potenzialità di vita e contrasta le forze di morte, che nascono dal peccato: «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l'esistenza» (Sap 1, 13-14).
40. Dalla sacralità della vita scaturisce la sua inviolabilità, inscritta fin dalle origini nel cuore dell'uomo, nella sua coscienza. La domanda «Che hai fatto?» (Gn 4, 10), con cui Dio si rivolge a Caino dopo che questi ha ucciso il fratello Abele, traduce l'esperienza di ogni uomo: nel profondo della sua coscienza, egli viene sempre richiamato alla inviolabilità della vita — della sua vita e di quella degli altri —, come realtà che non gli appartiene, perché proprietà e dono di Dio Creatore e Padre.
Il comandamento relativo all'inviolabilità della vita umana risuona al centro delle «dieci parole» nell'Alleanza del Sinai (cf. Es 34, 28). Esso proibisce, anzitutto, l'omicidio: «Non uccidere» (Es 20, 13); «Non far morire l'innocente e il giusto» (Es 23, 7); ma proibisce anche — come viene esplicitato nell'ulteriore legislazione di Israele — ogni lesione inflitta all'altro (cf. Es 21, 12-27). Certo, bisogna riconoscere che nell'Antico Testamento questa sensibilità per il valore della vita, pur già così marcata, non raggiunge ancora la finezza del Discorso della Montagna, come emerge da alcuni aspetti della legislazione allora vigente, che prevedeva pene corporali non lievi e persino la pena di morte. Ma il messaggio complessivo, che spetterà al Nuovo Testamento di portare alla perfezione, è un forte appello al rispetto dell'inviolabilità della vita fisica e dell'integrità personale, ed ha il suo vertice nel comandamento positivo che obbliga a farsi carico del prossimo come di se stessi: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19, 18).
41. Il comandamento del «non uccidere», incluso e approfondito in quello positivo dell'amore del prossimo, viene ribadito in tutta la sua validità dal Signore Gesù. Al giovane ricco che gli chiede: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?», risponde: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (Mt 19, 16.17). E cita, come primo, il «non uccidere» (v. 18). Nel Discorso della Montagna, Gesù esige dai discepoli una giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei anche nel campo del rispetto della vita: «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio» (Mt 5, 21-22).
Con la sua parola e i suoi gesti Gesù esplicita ulteriormente le esigenze positive del comandamento circa l'inviolabilità della vita. Esse erano già presenti nell'Antico Testamento, dove la legislazione si preoccupava di garantire e salvaguardare le situazioni di vita debole e minacciata: il forestiero, la vedova, l'orfano, il malato, il povero in genere, la stessa vita prima della nascita (cf. Es 21, 22; 22, 20-26). Con Gesù queste esigenze positive acquistano vigore e slancio nuovi e si manifestano in tutta la loro ampiezza e profondità: vanno dal prendersi cura della vita del fratello (familiare, appartenente allo stesso popolo, straniero che abita nella terra di Israele), al farsi carico dell'estraneo, fino all'amare il nemico.
  L'estraneo non è più tale per chi deve farsi prossimo di chiunque è nel bisogno fino ad assumersi la responsabilità della sua vita, come insegna in modo eloquente e incisivo la parabola del buon samaritano (cf. Lc 10, 25-37). Anche il nemico cessa di essere tale per chi è tenuto ad amarlo (cf. Mt 5, 38-48; Lc 6, 27-35) e a «fargli del bene» (cf. Lc 6, 27.33.35), venendo incontro alle necessità della sua vita con prontezza e senso di gratuità (cf. Lc 6, 34-35). Vertice di questo amore è la preghiera per il nemico, mediante la quale ci si pone in sintonia con l'amore provvidente di Dio: «Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5, 44-45; cf. Lc 6, 28.35).
  Così il comandamento di Dio a salvaguardia della vita dell'uomo ha il suo aspetto più profondo nell'esigenza di venerazione e di amore nei confronti di ogni persona e della sua vita. È questo l'insegnamento che l'apostolo Paolo, facendo eco alla parola di Gesù (cf. Mt 19, 17-18), rivolge ai cristiani di Roma: «Il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore» (Rm 13, 9-10). 

  Possiamo quindi concludere che l’inviolabilità  della vita umana è anche  un comando religioso della fede cristiana, ma certamente esso è stato inteso anche fra i cristiani in vario modo nei due millenni della loro storia, e, in particolare, quando hanno avuto l’opportunità di occuparsi del governo degli stati, e il modo in cui  in politica  lo intendono nell’epoca in cui viviamo è diametralmente opposto  a quello in cui lo si è inteso tra il Quarto secolo e la metà del secolo scorso, per un tempo lunghissimo, che, come ricordato nella prima versione del Catechismo  in tema di pena di more, costituisce una tradizione.
  Il problema è di grande attualità, ora che, inaspettatamente, tra gli europei cristianizzati si vanno diffondendo orientamenti politici piuttosto disinvolti su politiche cruente e letali verso altri popoli e, addirittura, all’interno delle comunità di riferimento, che certamente, confliggendo con l’inviolabilità della vita proclamata dalla fede, costituiscono peccato, peccato grave, mortale, e, in quanto peccato politico,  espressione di quelle che il papa Wojtyla definì  strutture di peccato (avendo prevalentemente presenti le organizzazioni sociali e politiche dei regimi comunisti di tipo leninista/stalinista). Riporto in merito alcuni brani della sua enciclica  La sollecitudine sociale [della Chiesa] - Sollicitudo rei socialis, del 1987, alle soglie di mutamenti epocali in Europa, che possono essere  considerati un vero e proprio capitolo di un trattato sulla politica, ma anche di un catechismo religioso  su di essa.

V - Una lettura teologica dei problemi moderni
35. Alla luce dello stesso essenziale carattere morale proprio dello sviluppo, sono da considerare anche gli ostacoli che ad esso si oppongono. Se durante gli anni trascorsi dalla pubblicazione dell'Enciclica paolina lo sviluppo non c'è stato-o c'è stato in misura scarsa, irregolare, se non addirittura contraddittoria-, le ragioni non possono essere di natura soltanto economica. Come si e già accennato, vi intervengono anche moventi politici. Le decisioni propulsive o frenanti lo sviluppo dei popoli, infatti, non sono che fattori di carattere politico. Per superare i meccanismi perversi, sopra ricordati, e sostituirli con nuovi, più giusti e conformi al bene comune dell'umanità, è necessaria un'efficace volontà politica. Purtroppo, dopo aver analizzato la situazione, occorre concludere che essa è stata insufficiente.
  In un documento pastorale, come il presente, un'analisi limitata esclusivamente alle cause economiche e politiche del sottosviluppo (e, fatti i debiti riferimenti, anche del cosiddetto supersviluppo) sarebbe incompleta. É necessario, perciò, individuare le cause di ordine morale che, sul piano del comportamento degli uomini considerati persone responsabili, interferiscono per frenare il corso dello sviluppo e ne impediscono il pieno raggiungimento. Parimenti, quando siano disponibili risorse scientifiche e tecniche, che con le necessarie e concrete decisioni di ordine politico debbono contribuire finalmente a incamminare i popoli verso un vero sviluppo, il superamento dei maggiori ostacoli avverrà soltanto in forza di determinazioni essenzialmente morali, le quali, per i credenti, specie se cristiani, s'ispireranno ai principi della fede con l'aiuto della grazia divina. 
36. É da rilevare, pertanto, che un mondo diviso in blocchi, sostenuti da ideologie rigide, dove, invece dell'interdipendenza e della solidarietà, dominano differenti forme di imperialismo, non può che essere un mondo sottomesso a «strutture di peccato». La somma dei fattori negativi, che agiscono in senso contrario a una vera coscienza del bene comune universale e all'esigenza di favorirlo, dà l'impressione di creare, in persone e istituzioni, un ostacolo difficile da superare. 64 Se la situazione di oggi è da attribuire a difficoltà di diversa indole, non è fuori luogo parlare di «strutture di peccato», le quali-come ho affermato nell'Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia [Riconciliazione e penitenza] -si radicano nel peccato personale e, quindi, son sempre collegate ad atti concreti delle persone, che le introducono, le consolidano e le rendono difficili da rimuovere.  E così esse si rafforzano, si diffondono e diventano sorgente di altri peccati, condizionando la condotta degli uomini.
  «Peccato» e «strutture di peccato» sono categorie che non sono spesso applicate alla situazione del mondo contemporaneo. Non si arriva, però, facilmente alla comprensione profonda della realtà quale si presenta ai nostri occhi, senza dare un nome alla radice dei mali che ci affliggono. Si può parlare certo di «egoismo» e di «corta veduta»; si può fare riferimento a «calcoli politici sbagliati», a «decisioni economiche imprudenti». E in ciascuna di tali valutazioni si nota un'eco di natura etico-morale. La condizione dell'uomo è tale da rendere difficile un'analisi più profonda delle azioni e delle omissioni delle persone senza implicare, in una maniera o nell'altra, giudizi o riferimenti di ordine etico. Questa valutazione è di per sé positiva, specie se diventa coerente fino in fondo e se si basa sulla fede in Dio e sulla sua legge, che ordina il bene e proibisce il male.
  In ciò consiste la differenza tra il tipo di analisi socio-politica e il riferimento formale al «peccato» e alle «strutture di peccato». Secondo quest'ultima visione si inseriscono la volontà di Dio tre volte Santo, il suo progetto sugli uomini, la sua giustizia e la sua misericordia. Il Dio ricco in misericordia, redentore dell'uomo, Signore e datore della vita, esige dagli uomini atteggiamenti precisi che si esprimano anche in azioni o omissioni nei riguardi del prossimo. Si ha qui un riferimento alla «seconda tavola» dei dieci Comandamenti (Es 20,12); (Dt 5,16): con l'inosservanza di questi si offende Dio e si danneggia il prossimo, introducendo nel mondo condizionamenti e ostacoli, che vanno molto più in là delle azioni e del breve arco della vita di un individuo. S'interferisce anche nel processo dello sviluppo dei popoli, il cui ritardo o la cui lentezza deve essere giudicata anche sotto tale luce.
37. A questa analisi generale di ordine religioso si possono aggiungere alcune considerazioni particolari, per notare che tra le azioni e gli atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo e le «strutture» che essi inducono, i più caratteristici sembrano oggi soprattutto due: da una parte, la brama esclusiva del profitto e dall'altra, la sete del potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà. A ciascuno di questi atteggiamenti si può aggiungere, per caratterizzarli meglio, l'espressione: «a qualsiasi prezzo». In altre parole, siamo di fronte all'assolutizzazione di atteggiamenti umani con tutte le possibili conseguenze. Anche se di per sé sono separabili, sicché l'uno potrebbe stare senza l'altro, entrambi gli atteggiamenti si ritrovano-nel panorama aperto davanti ai nostri occhi-indissolubilmente uniti, sia che predomini l'uno o l'altro. Ovviamente, a cader vittime di questo duplice atteggiamento di peccato non sono solo gli individui. possono essere anche le Nazioni e i blocchi. E ciò favorisce di più l'introduzione delle «strutture di peccato», di cui ho parlato. Se certe forme di «imperialismo» moderno si considerassero alla luce di questi criteri morali, si scoprirebbe che sotto certe decisioni, apparentemente ispirate solo dall'economia o dalla politica si nascondono vere forme di idolatria: del denaro, dell'ideologia, della classe, della tecnologia. Ho voluto introdurre questo tipo di analisi soprattutto per indicare quale sia la vera natura del male a cui ci si trova di fronte nella questione dello «sviluppo dei popoli»: si tratta di un male morale, frutto di molti peccati, che portano a «strutture di peccato». Diagnosticare così il male significa identificare esattamente, a livello della condotta umana, il cammino da seguire per superarlo. 
38. É un cammino lungo e complesso e, per di più, tenuto sotto costante minaccia sia per l'intrinseca fragilità dei propositi e delle realizzazioni umane, sia per la mutabilità delle circostanze esterne tanto imprevedibili. Bisogna, tuttavia, avere il coraggio d'intraprenderlo e, dove sono stati fatti alcuni passi o percorsa una parte del tragitto, andare fino in fondo. Nel quadro di tali riflessioni, la decisione di mettersi sulla strada o di continuare la marcia comporta, innanzitutto, un valore morale che gli uomini e le donne credenti riconoscono come richiesto dalla volontà di Dio, unico vero fondamento di un'etica assolutamente vincolante.
  É da auspicare che anche gli uomini e donne privi di una fede esplicita siano convinti che gli ostacoli frapposti al pieno sviluppo non sono soltanto di ordine economico, ma dipendono da atteggiamenti più profondi configurabili, per l'essere umano, in valori assoluti. Perciò, è sperabile che quanti, in una misura o l'altra, sono responsabili di una «vita più umana» verso i propri simili, ispirati o no da una fede religiosa, si rendano pienamente conto dell'urgente necessità di un cambiamento degli atteggiamenti spirituali, che definiscono I rapporti di ogni uomo con se stesso, col prossimo, con le comunità umane, anche le più lontane, e con la natura. in virtù di valori superiori, come il bene comune, o, per riprendere la felice espressione dell'Enciclica Populorum Progressio, il pieno sviluppo «di tutto l'uomo e di tutti gli uomini». 
  Per i cristiani, come per tutti coloro che riconoscono il preciso significato teologico della parola «peccato», il cambiamento di condotta o di mentalità o del modo di essere si chiama, con linguaggio biblico, «conversione» (Mc 1,15); (Lc 13,3); (Is 30,15). Questa conversione indica specificamente relazione a Dio, alla colpa commessa, alle sue conseguenze e, pertanto, al prossimo, individuo o comunità. È Dio, nelle «cui mani sono i cuori dei potenti»,  e quelli di tutti, che può, secondo la sua stessa promessa, trasformare ad opera del suo Spirito i «cuori di pietra» in «cuori di carne» (Ez 36,26). Nel cammino della desiderata conversione verso il superamento degli ostacoli morali per lo sviluppo, si può già segnalare, come valore positivo e morale, la crescente consapevolezza dell'interdipendenza tra gli uomini e le Nazioni. Il fatto che uomini e donne, in varie parti del mondo, sentano come proprie le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani commesse in Paesi lontani, che forse non visiteranno mai, è un segno ulteriore di una realtà trasformata in coscienza, acquistando così connotazione morale.
  Si tratta, innanzitutto, dell'interdipendenza, sentita come sistema determinante di relazioni nel mondo contemporaneo, nelle sue componenti economica, culturale, politica e religiosa, e assunta come categoria morale. Quando l'interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come «virtù»», è la solidarietà. Questa, dunque, non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. Tale determinazione è fondata sulla salda convinzione che le cause che frenano il pieno sviluppo siano quella brama del profitto e quella sete del potere, di cui si è parlato. Questi atteggiamenti e «strutture di peccato» si vincono solo-presupposto l'aiuto della grazia divina-con un atteggiamento diametralmente opposto: l'impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a «perdersi» a favore dell'altro invece di sfruttarlo e a «servirlo» invece di opprimerlo per il proprio tornaconto (Mt 10,40); (Mt 20,25); (Mc 10,42); (Lc 22, 25). 
39. L'esercizio della solidarietà all'interno di ogni società è valido, quando i suoi componenti si riconoscono tra di loro come persone. Coloro che contano di più, disponendo di una porzione più grande di beni e di servizi comuni, si sentano responsabili dei più deboli e siano disposti a condividere quanto possiedono. I più deboli, da parte loro, nella stessa linea di solidarietà, non adottino un atteggiamento puramente passivo o distruttivo del tessuto sociale, ma, pur rivendicando i loro legittimi diritti, facciano quanto loro spetta per il bene di tutti. I gruppi intermedi, a loro volta, non insistano egoisticamente nel loro particolare interesse, ma rispettino gli interessi degli altri. Segni positivi nel mondo contemporaneo sono la crescente coscienza di solidarietà dei poveri tra di loro, i loro interventi di appoggio reciproco, le manifestazioni pubbliche nella scena sociale, senza far ricorso alla violenza, ma prospettando i propri bisogni e i propri diritti di fronte all'inefficienza o alla corruzione dei pubblici poteri. In virtù del suo impegno evangelico, la Chiesa si sente chiamata a restare accanto alle folle povere, a discernere la giustizia delle loro richieste, a contribuire a soddisfarle, senza perdere di vista il bene dei gruppi nel quadro del bene comune. Lo stesso criterio si applica, per analogia, nelle relazioni internazionali. L'interdipendenza deve trasformarsi in solidarietà, fondata sul principio che i beni della creazione sono destinati a tutti: ciò che l'industria umana produce con la lavorazione delle materie prime, col contributo del lavoro, deve servire egualmente al bene di tutti.
  Superando gli imperialismi di ogni tipo e i propositi di conservare la propria egemonia, le Nazioni più forti e più dotate debbono sentirsi moralmente responsabili delle altre, affinché sia instaurato un vero sistema internazionale, che si regga sul fondamento dell'eguaglianza di tutti i popoli e sul necessario rispetto delle loro legittime differenze. I Paesi economicamente più deboli, o rimasti al limite della sopravvivenza, con l'assistenza degli altri popoli e della comunità internazionale, debbono essere messi in grado di dare anch'essi un contributo al bene comune con i loro tesori di umanità e di cultura, che altrimenti andrebbero perduti per sempre. La solidarietà ci aiuta a vedere l'«altro»-persona, popolo o Nazione-non come uno strumento qualsiasi, per sfruttarne a basso costo la capacità di lavoro e la resistenza fisica, abbandonandolo poi quando non serve più ma come un nostro «simile», un «aiuto» (Gen 2,18), da rendere partecipe, al pari di noi, del banchetto della vita, a cui tutti gli uomini sono egualmente invitati da Dio. Di qui l'importanza di risvegliare la coscienza religiosa degli uomini e dei popoli. Sono così esclusi lo sfruttamento, l'oppressione, l'annientamento degli altri. Questi fatti, nella presente divisione del mondo in blocchi contrapposti, vanno a confluire nel pericolo di guerra e nell'eccessiva preoccupazione per la propria sicurezza a spese non di rado dell'autonomia, della libera decisione della stessa integrità territoriale delle Nazioni più deboli, che son comprese nelle cosiddette «zone d'influenza» o nelle «cinture di sicurezza». Le «strutture di peccato» e i peccati, che in esse sfociano, si oppongono con altrettanta radicalità alla pace e allo sviluppo, perché lo sviluppo, secondo la nota espressione dell'Enciclica paolina, è «il nuovo nome della pace». 
  In tal modo la solidarietà da noi proposta è via alla pace e insieme allo sviluppo. Infatti, la pace del mondo è inconcepibile se non si giunge, da parte dei responsabili, a riconoscere che l'interdipendenza esige di per sé il superamento della politica dei blocchi, la rinuncia a ogni forma di imperialismo economico, militare o politico, e la trasformazione della reciproca diffidenza in collaborazione. Questo è, appunto, l'atto proprio della solidarietà tra individui e Nazioni. Il motto del pontificato del mio venerato predecessore Pio XII era Opus iustitiae pax, la pace come frutto della giustizia. Oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione biblica (Is 32,17); (Gc 3,18). Opus solidaritatis pax, la pace come frutto della solidarietà. Il traguardo della pace, tanto desiderata da tutti, sarà certamente raggiunto con l'attuazione della giustizia sociale e internazionale, ma anche con la pratica delle virtù che favoriscono la convivenza e ci insegnano a vivere uniti, per costruirne uniti, dando e ricevendo, una società nuova e un mondo migliore. 
40. La solidarietà è indubbiamente una virtù cristiana. Già nella precedente esposizione era possibile intravedere numerosi punti di contatto tra essa e la carità, che è il segno distintivo dei discepoli di Cristo (Gv 13,35). Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l'azione permanente dello Spirito Santo. Egli, pertanto, deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Signore, e per lui bisogna essere disposti al sacrificio, anche supremo: «Dare la vita per i propri fratelli» (1 Gv 3,16). Allora la coscienza della paternità comune di Dio, della fratellanza di tutti gli uomini in Cristo, «figli nel Figlio», della presenza e dell'azione vivificante dello Spirito Santo, conferirà al nostro sguardo sul mondo come un nuovo criterio per interpretarlo. Al di là dei vincoli umani e naturali, già così forti e stretti, si prospetta alla luce della fede un nuovo modello di unità del genere umano, al quale deve ispirarsi, in ultima istanza, la solidarietà. Questo supremo modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone, è ciò che noi cristiani designiamo con la parola «comunione». Tale comunione, specificamente cristiana, gelosamente custodita, estesa e arricchita, con l'aiuto del Signore, è l'anima della vocazione della Chiesa ad essere «sacramento», nel senso già indicato. La solidarietà, perciò, deve contribuire all'attuazione di questo disegno divino tanto sul piano individuale, quanto su quello della società nazionale e internazionale. I «meccanismi perversi» e le «strutture di peccato», di cui abbiamo parlato, potranno essere vinte solo mediante l'esercizio della solidarietà umana e cristiana, a cui la Chiesa invita e che promuove instancabilmente. Solo così tante energie positive potranno pienamente sprigionarsi a vantaggio dello sviluppo e della pace. Molti Santi canonizzati dalla Chiesa offrono mirabili testimonianze di tale solidarietà e possono servire di esempio nelle difficili circostanze presenti. Fra tutti desidero ricordare san Pietro Claver, col suo servizio agli schiavi di Cartagena de Indias, e san Massimiliano Maria Kolbe, con l'offerta della sua vita in favore di un prigioniero a lui sconosciuto nel campo di concentramento di Auschwitz-Oswiecim. 

  Serve a poco proclamare dei valori, anche in religione, se non si è poi capaci di un’azione sociale per farli vivere nel proprio tempo, quindi di un’azione prettamente politica, ma essa, nei suoi progetti e metodi, deve fare i conti con le società come sono realmente, in particolare con le loro dinamiche violente e quelle sociali, politiche ed economiche, e quindi anche con la possibilità che si renda necessario lottare  per l’affermazione di quei valori, con il rischio che il metodo della lotta  porti ad attuare le stesse strategie violente, cruente, alle quali si vorrebbe porre rimedio. Ecco che, allora, nel secolo scorso, si sono affermati anche metodi di lotta non violenta, che hanno portato risultati politici eclatanti, insperati, come ad esempio nella Polonia dalla quale il papa Wojtyla ci venne, e, ancor prima, nell’India travagliata dal dominio politico coloniale britannico, dove si dispiegò con successo l’azione politica rivoluzionaria e tendenzialmente non violenta promossa da Mohandas Karamchand Gandhi, detto Mahatma  (grande anima in sanscrito, l’antica lingua indiana - 1869/1948). L’abbandono dei costumi di violenza politica caratterizzò l’intero processo di disgregazione dei regimi comunisti dell’Europa orientale, del tutto inaspettatamente tenendo conto dei precedenti storici anche recenti e del fatto che essi erano travagliati da sistemi di inquisizione politica paragonabili, per estensione, penetrazione ed efferatezza,  a quelli molto più a lungo organizzati dal Papato romano. Questo dimostrò quanto profondo fosse il mutamento di cultura politica che aveva coinvolto tutti gli europei, dai due lati degli schieramenti politici in cui essi si erano divisi. Questa conquista culturale è appunto a rischio ai nostri tempi.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in san Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli


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Notes for a Internship in democracy 14

  In the current version of the Catechism of the Catholic Church [source: <http://www.vatican.va/archive/ITA0014/__P7Y.HTM>], which is not only a subsidy for religious formation, but has been chosen as a law of thought (so much so that October 11, 1992 was promulgated as well as approved), to distinguish orthodoxy from deviance and heresy, we read, on the subject of the death penalty, one of the tools used by politics, and also in the kingdom that the Roman Papacy had in central Italy until its suppression in 1870:

Capital Punishment
2266 The State's effort to contain the spread of behaviors injurious to human rights and the fundamental rules of civil coexistence corresponds to the requirement of watching over the common good. Legitimate public authority has the right and duty to inflict penalties commensurate with the gravity of the crime. the primary scope of the penalty is to redress the disorder caused by the offense. When his punishment is voluntarily accepted by the offender, it takes on the value of expiation. Moreover, punishment, in addition to preserving public order and the safety of persons, has a medicinal scope: as far as possible it should contribute to the correction of the offender.
2267 The traditional teaching of the Church does not exclude, presupposing full ascertainment of the identity and responsibility of the offender, recourse to the death penalty, when this is the only practicable way to defend the lives of human beings effectively against the aggressor.
  "If, instead, bloodless means are sufficient to defend against the aggressor and to protect the safety of persons, public authority should limit itself to such means, because they better correspond to the concrete conditions of the common good and are more in conformity to the dignity of the human person.
"Today, in fact, given the means at the State's disposal to effectively repress crime by rendering inoffensive the one who has committed it, without depriving him definitively of the possibility of redeeming himself, cases of absolute necessity for suppression of the offender 'today ... are very rare, if not practically non-existent.'[John Paul II, Evangelium vitae 56.]
[official text in English published by the Holy See]

This text was promulgated with the apostolic letter It is a cause of great joy - Laetamur magnopere, released August 15, 1997 by Pope Karol Wojtyla - John Paul 2, after a revision work started early, the year following that of the first approval and publication of the Catechism, as explained in the same provision of 1997:

This edition was prepared by an Interdicasterial Commission which I appointed for this purpose in 1993. Presided over by Cardinal Joseph Ratzinger, this Commission worked diligently to fulfill the mandate it received. It devoted particular attention to a study of the many suggested changes to the contents of the text, which in these years had come from around the world and from various parts of the ecclesial community.
[official text in English published by the Holy See]

In fact it happened that, after the 1992 publication of a first version of the Catechism, in the Catholic world there had been an uprising against the decision to admit the death penalty according to the extension conceived by the traditional doctrine, dating back to dark and very bloody periods of life social of our faith communities, and repudiated by contemporary contemporary conceptions in some of the most advanced democracies, such as those involved in the process of European unification, in particular by their legal doctrines. In Italy, for example, the death penalty, already admitted only in the cases foreseen by the military laws of war, was suppressed with constitutional law n.1 of October 2, 2007. In the Charter of fundamental rights of the European Union, approved in 2007 and became European law on December 1, 2009, with the entry into force of the Lisbon Treaty, it reads peremptorily, without distinction of cases:

Article 2
Right to life
1. Every person has the right to life.
2. No one can be sentenced to death or executed.

In the version of the Catechism published in 1992 by the Libreria Editrice Vaticana  [=Vatican publishing] based on the text approved and promulgated that year, the paragraphs had indeed a different content:

2266 To defend the common good of society demands that the aggressor be placed in a state of no harm. For this reason, the traditional teaching of the Church has recognized the right and duty of the legitimate public authority to inflict punishment proportionate to the gravity of the crime, without excluding, in cases of extreme gravity, the death penalty. For similar reasons, the holders of the authority have the right to use weapons to repel the aggressors of the civil community entrusted to their responsibilities.
 The first aim of the punishment is to repair the disorder introduced by guilt. When voluntarily accepted by the guilty party, the penalty has the value of expiation. Furthermore, the penalty is to defend public order and the safety of people. Finally, the penalty has medicinal value: as far as possible, it must contribute to the correction of the culprit.
2267 If the bloodless means are sufficient to defend human lives from the aggressor and to protect public order and the safety of people, authority will be limited to these means, since they are better suited to the concrete conditions of the common good and are more in conformity with the dignity of the human person.
[text translated from the Italian language with the help of Google Translate. I don’t the official version in English ]

Between the one and the other version there was the encyclical The Gospel of life - Evangelium vitae, released on March 25, 1995 by Pope Wojtyla, usually remembered mainly on the question of the voluntary interruption of pregnancy on which it contains solemn and deliberate deliberations as ultimative, but which contains very important passages concerning precisely the death penalty:

56. This is the context in which to place the problem of the death penalty. On this matter there is a growing tendency, both in the Church and in civil society, to demand that it be applied in a very limited way or even that it be abolished completely. The problem must be viewed in the context of a system of penal justice ever more in line with human dignity and thus, in the end, with God's plan for man and society. The primary purpose of the punishment which society inflicts is "to redress the disorder caused by the offence".46 Public authority must redress the violation of personal and social rights by imposing on the offender an adequate punishment for the crime, as a condition for the offender to regain the exercise of his or her freedom. In this way authority also fulfils the purpose of defending public order and ensuring people's safety, while at the same time offering the offender an incentive and help to change his or her behaviour and be rehabilitated. 
It is clear that, for these purposes to be achieved, the nature and extent of the punishment must be carefully evaluated and decided upon, and ought not go to the extreme of executing the offender except in cases of absolute necessity: in other words, when it would not be possible otherwise to defend society. Today however, as a result of steady improvements in the organization of the penal system, such cases are very rare, if not practically non-existent.
  In any event, the principle set forth in the new Catechism of the Catholic Church remains valid: "If bloodless means are sufficient to defend human lives against an aggressor and to protect public order and the safety of persons, public authority must limit itself to such means, because they better correspond to the concrete conditions of the common good and are more in conformity to the dignity of the human person".
57. If such great care must be taken to respect every life, even that of criminals and unjust aggressors, the commandment "You shall not kill" has absolute value when it refers to the innocent person. And all the more so in the case of weak and defenceless human beings, who find their ultimate defence against the arrogance and caprice of others only in the absolute binding force of God's commandment.
[official text in English published by the Holy See]

in which we find more restrictive conceptions of the death penalty policy than the 1992 Catechism version, but with respect to which the text of the Catechism approved in 1997 appears as a further limiting evolution of the use of the death penalty, and in any case still far from the concepts of modern evolved democracies that tend to exclude it altogether. From the cultural development on that theme one was aware in the drafting of the encyclical The Gospel of life:

27. […] Among the signs of hope we should also count the spread, at many levels of public opinion, of a new sensitivity ever more opposed to war as an instrument for the resolution of conflicts between peoples, and increasingly oriented to finding effective but "non-violent" means to counter the armed aggressor. In the same perspective there is evidence of a growing public opposition to the death penalty, even when such a penalty is seen as a kind of "legitimate defence" on the part of society. Modern society in fact has the means of effectively suppressing crime by rendering criminals harmless without definitively denying them the chance to reform.
[official text in English published by the Holy See]

  It should also be noted that the inclusion of the theme of the death penalty in the section of the Catechism which concerns legitimate defense is the result of rather backward conceptions, centered on the need to place the perpetrators of crimes in a position not to harm, while in legal concepts of contemporary democracies a function of social reintegration is assigned to punishment, which requires a change in the guilty but also in the society that incriminates and condemns him, which is why, in fact, there is a tendency to repudiate the death penalty. The penalty, in this perspective, should be much more than suffering and expiation.
  At present, in the field of respect for life, the European Union has a law which is much more advanced than that contained in the Catechism, which considers absolute respect for the life of the innocent, but not that of the guilty, considering it to be rare , indeed practically non-existent, but, ultimately, not entirely non-existent, the cases in which the suppression of the offender (of the guilty) is necessary and legitimate.
  What prevented the Papacy from going further? The weight of tradition, of course, from which a Pope accredited as a traditionalist on many aspects, although reformed in many others, hesitated to detach himself completely; then also the weight of the tremendous history of the Roman Papacy, which, in the exercise of political power in its Italian kingdom and in the considerable influence it had on the Europeans in the second millennium, practiced, ordered and authorized the execution of the death penalty , even in atrocious ways such as the burning of living people and for crimes of freedom of thought, but, probably, also the weight of the politics of the 90s, which saw Papato and the United States of America on a concordant line in the action concerning the regions of eastern Europe that were emerging from Leninist / Stalinist communism, and in some of the federated states in the United States of America the death penalty was and still is admitted and practiced; and certainly the Federal Republican Presidents were not abolitionists who, in the 1980s and the beginning of the 1990s, had been protagonists in the era of the rapid disintegration of those socialist regimes, in particular the Polish one in which the figure of Pope Wojtyla was so important . Between 1993 and 1997 the US situation, and therefore the international one at the time more than now influenced by the US, had however changed, with the presidency of the Democrat Bill Clinton.
  Pope Wojtyla was neither nor will he be the only religious leader to face the difficult task of mediating values in the practice of corporate governance, and the question commits anyone who wants to be active in politics, therefore, in the advanced democracies of the people, all those who they have a voice in politics at various levels, not only therefore those who have the right to vote and can stand for election, but also children considered minors and foreigners who live permanently in a political community. A Pope is absolute sovereign only on paper, in the law of the Catholic Church, for the rest it appears to us, he declares himself, and in fact he is very conditioned by the cultures to which he mainly refers and by interactions with other political powers. We are all of us when we want to somehow do politics and even think about politics.
 With regard to the protection of life, religious principles have been summarized very clearly in the encyclical The Gospel of life which I mentioned before:

39. Man's life comes from God; it is his gift, his image and imprint, a sharing in his breath of life. God therefore is the sole Lord of this life: man cannot do with it as he wills. God himself makes this clear to Noah after the Flood: "For your own lifeblood, too, I will demand an accounting ... and from man in regard to his fellow man I will demand an accounting for human life" (Gen 9:5). The biblical text is concerned to emphasize how the sacredness of life has its foundation in God and in his creative activity: "For God made man in his own image" (Gen 9:6).
Human life and death are thus in the hands of God, in his power: "In his hand is the life of every living thing and the breath of all mankind", exclaims Job (12:10). "The Lord brings to death and brings to life; he brings down to Sheol and raises up" (1 Sam 2:6). He alone can say: "It is I who bring both death and life" (Dt 32:39).
  But God does not exercise this power in an arbitrary and threatening way, but rather as part of his care and loving concern for his creatures. If it is true that human life is in the hands of God, it is no less true that these are loving hands, like those of a mother who accepts, nurtures and takes care of her child: "I have calmed and quieted my soul, like a child quieted at its mother's breast; like a child that is quieted is my soul" (Ps 131:2; cf. Is 49:15; 66:12-13; Hos 11:4). Thus Israel does not see in the history of peoples and in the destiny of individuals the outcome of mere chance or of blind fate, but rather the results of a loving plan by which God brings together all the possibilities of life and opposes the powers of death arising from sin: "God did not make death, and he does not delight in the death of the living. For he created all things that they might exist" (Wis 1:13-14). 
40. The sacredness of life gives rise to its inviolability, written from the beginning in man's heart, in his conscience. The question: "What have you done?" (Gen 4:10), which God addresses to Cain after he has killed his brother Abel, interprets the experience of every person: in the depths of his conscience, man is always reminded of the inviolability of life-his own life and that of others-as something which does not belong to him, because it is the property and gift of God the Creator and Father.
  The commandment regarding the inviolability of human life reverberates at the heart of the "ten words" in the covenant of Sinai (cf. Ex 34:28). In the first place that commandment prohibits murder: "You shall not kill" (Ex 20:13); "do not slay the innocent and righteous" (Ex 23:7). But, as is brought out in Israel's later legislation, it also prohibits all personal injury inflicted on another (cf. Ex 21:12-27). Of course we must recognize that in the Old Testament this sense of the value of life, though already quite marked, does not yet reach the refinement found in the Sermon on the Mount. This is apparent in some aspects of the current penal legislation, which provided for severe forms of corporal punishment and even the death penalty. But the overall message, which the New Testament will bring to perfection, is a forceful appeal for respect for the inviolability of physical life and the integrity of the person. It culminates in the positive commandment which obliges us to be responsible for our neighbour as for ourselves: "You shall love your neighbour as yourself" (Lev 19:18). 
41. The commandment "You shall not kill", included and more fully expressed in the positive command of love for one's neighbour, is reaffirmed in all its force by the Lord Jesus. To the rich young man who asks him: "Teacher, what good deed must I do, to have eternal life?", Jesus replies: "If you would enter life, keep the commandments" (Mt 19:16,17). And he quotes, as the first of these: "You shall not kill" (Mt 19:18). In the Sermon on the Mount, Jesus demands from his disciples a righteousness which surpasses that of the Scribes and Pharisees, also with regard to respect for life: "You have heard that it was said to the men of old, ?You shall not kill; and whoever kills shall be liable to judgment'. But I say to you that every one who is angry with his brother shall be liable to judgment" (Mt 5:21-22).
  By his words and actions Jesus further unveils the positive requirements of the commandment regarding the inviolability of life. These requirements were already present in the Old Testament, where legislation dealt with protecting and defending life when it was weak and threatened: in the case of foreigners, widows, orphans, the sick and the poor in general, including children in the womb (cf. Ex 21:22; 22:20-26). With Jesus these positive requirements assume new force and urgency, and are revealed in all their breadth and depth: they range from caring for the life of one's brother (whether a blood brother, someone belonging to the same people, or a foreigner living in the land of Israel) to showing concern for the stranger, even to the point of loving one's enemy.
  A stranger is no longer a stranger for the person who mustbecome a neighbour to someone in need, to the point of accepting responsibility for his life, as the parable of the Good Samaritan shows so clearly (cf. Lk 10:25-37). Even an enemy ceases to be an enemy for the person who is obliged to love him (cf. Mt 5:38-48; Lk 6:27-35), to "do good" to him (cf. Lk 6:27, 33, 35) and to respond to his immediate needs promptly and with no expectation of repayment (cf. Lk 6:34-35). The height of this love is to pray for one's enemy. By so doing we achieve harmony with the providential love of God: "But I say to you, love your enemies and pray for those who persecute you, so that you may be children of your Father who is in heaven; for he makes his sun rise on the evil and on the good and sends rain on the just and on the unjust" (Mt 5:44-45; cf. Lk 6:28, 35).
  Thus the deepest element of God's commandment to protect human life is the requirement to show reverence and love for every person and the life of every person. This is the teaching which the Apostle Paul, echoing the words of Jesus, address- es to the Christians in Rome: "The commandments, ?You shall not commit adultery, You shall not kill, You shall not steal, You shall not covet', and any other commandment, are summed up in this sentence, ?You shall love your neighbour as yourself'. Love does no wrong to a neighbour; therefore love is the fulfilling of the law" (Rom 13:9-10).
[official text in English published by the Holy See]

  We can therefore conclude that the inviolability of human life is also a religious command of the Christian faith, but certainly it was understood also among Christians in various ways in the two millennia of their history, and, in particular, when they had the opportunity to deal with the government of states, and the way in which they understand it in politics in the age in which we live is diametrically opposed to that in which it was understood between the fourth century and the middle of the last century, for a very long time, which , as mentioned in the first version of the Catechism on the subject of the penalty of more, constitutes a tradition.
  The problem is of great actuality, now that, unexpectedly, among the Christianized Europeans, rather loose political orientations are spreading about bloody and lethal policies towards other peoples and, even within the reference communities, which certainly, conflicting with the inviolability of life proclaimed by faith, constitute sin, grave sin, mortal, and, as a political sin, an expression of what Pope Wojtyla called structures of sin (having mainly social and political organizations of the Leninist / Stalinist type of communist regimes present) ). I report on some passages of his encyclical The social solicitude [of the Church] - Sollicitudo rei socialis, of 1987, on the threshold of epochal changes in Europe, which can be considered a real chapter of a treatise on politics, but also of a religious catechism on it.

39. The exercise of solidarity within each society is valid when its members recognize one another as persons. Those who are more influential, because they have a greater share of goods and common services, should feel responsible for the weaker and be ready to share with them all they possess. Those who are weaker, for their part, in the same spirit of solidarity, should not adopt a purely passive attitude or one that is destructive of the social fabric, but, while claiming their legitimate rights, should do what they can for the good of all. The intermediate groups, in their turn, should not selfishly insist on their particular interests, but respect the interests of others.
  Positive signs in the contemporary world are the growing awareness of the solidarity of the poor among themselves, their efforts to support one another, and their public demonstrations on the social scene which, without recourse to violence, present their own needs and rights in the face of the inefficiency or corruption of the public authorities. By virtue of her own evangelical duty the Church feels called to take her stand beside the poor, to discern the justice of their requests, and to help satisfy them, without losing sight of the good of groups in the context of the common good.
  The same criterion is applied by analogy in international relationships. Interdependence must be transformed into solidarity, based upon the principle that the goods of creation are meant for all. That which human industry produces through the processing of raw materials, with the contribution of work, must serve equally for the good of all.
  Surmounting every type of imperialism and determination to preserve their own hegemony, the stronger and richer nations must have a sense of moral responsibility for the other nations, so that a real international system may be established which will rest on the foundation of the equality of all peoples and on the necessary respect for their legitimate differences. The economically weaker countries, or those still at subsistence level, must be enabled, with the assistance of other peoples and of the international community, to make a contribution of their own to the common good with their treasures of humanity and culture, which otherwise would be lost for ever.
  Solidarity helps us to see the "other"-whether a person, people or nation-not just as some kind of instrument, with a work capacity and physical strength to be exploited at low cost and then discarded when no longer useful, but as our "neighbor," a "helper" (cf. Gen 2:18-20), to be made a sharer, on a par with ourselves, in the banquet of life to which all are equally invited by God. Hence the importance of reawakening the religious awareness of individuals and peoples. Thus the exploitation, oppression and annihilation of others are excluded. These facts, in the present division of the world into opposing blocs, combine to produce the danger of war and an excessive preoccupation with personal security, often to the detriment of the autonomy, freedom of decision, and even the territorial integrity of the weaker nations situated within the so-called "areas of influence" or "safety belts."
  The "structures of sin" and the sins which they produce are likewise radically opposed to peace and development, for development, in the familiar expression Pope Paul's Encyclical, is "the new name for peace."
  In this way, the solidarity which we propose is the path to peace and at the same time to development. For world peace is inconceivable unless the world's leaders come to recognize that interdependence in itself demands the abandonment of the politics of blocs, the sacrifice of all forms of economic, military or political imperialism, and the transformation of mutual distrust into collaboration. This is precisely the act proper to solidarity among individuals and nations.
  The motto of the pontificate of my esteemed predecessor Pius XII was Opus iustitiae pax, peace as the fruit of justice. Today one could say, with the same exactness and the same power of biblical inspiration (cf. Is 32:17; Jas 3:18): Opus solidaritatis pax, peace as the fruit of solidarity.
  The goal of peace, so desired by everyone, will certainly be achieved through the putting into effect of social and international justice, but also through the practice of the virtues which favor togetherness, and which teach us to live in unity, so as to build in unity, by giving and receiving, a new society and a better world.
40. Solidarity is undoubtedly a Christian virtue. In what has been said so far it has been possible to identify many points of contact between solidarity and charity, which is the distinguishing mark of Christ's disciples (cf. Jn 13:35). In the light of faith, solidarity seeks to go beyond itself, to take on the specifically Christian dimension of total gratuity, forgiveness and reconciliation. One's neighbor is then not only a human being with his or her own rights and a fundamental equality with everyone else, but becomes the living image of God the Father, redeemed by the blood of Jesus Christ and placed under the permanent action of the Holy Spirit. One's neighbor must therefore be loved, even if an enemy, with the same love with which the Lord loves him or her; and for that person's sake one must be ready for sacrifice, even the ultimate one: to lay down one's life for the brethren (cf. 1 Jn 3:16).
  At that point, awareness of the common fatherhood of God, of the brotherhood of all in Christ - "children in the Son" - and of the presence and life-giving action of the Holy Spirit will bring to our vision of the world a new criterion for interpreting it. Beyond human and natural bonds, already so close and strong, there is discerned in the light of faith a new model of the unity of the human race, which must ultimately inspire our solidarity. This supreme model of unity, which is a reflection of the intimate life of God, one God in three Persons, is what we Christians mean by the word "communion." This specifically Christian communion, jealously preserved, extended and enriched with the Lord's help, is the soul of the Church's vocation to be a "sacrament," in the sense already indicated.
  Solidarity therefore must play its part in the realization of this divine plan, both on the level of individuals and on the level of national and international society. The "evil mechanisms" and "structures of sin" of which we have spoken can be overcome only through the exercise of the human and Christian solidarity to which the Church calls us and which she tirelessly promotes. Only in this way can such positive energies be fully released for the benefit of development and peace. Many of the Church's canonized saints offer a wonderful witness of such solidarity and can serve as examples in the present difficult circumstances. Among them I wish to recall St. Peter Claver and his service to the slaves at Cartagena de Indias, and St. Maximilian Maria Kolbe who offered his life in place of a prisoner unknown to him in the concentration camp at Auschwitz.

It serves little purpose to proclaim values, even in religion, if we are not then capable of a social action to make them live in their own time, therefore of a purely political action, but it, in its projects and methods, must come to terms with societies as they really are, in particular with their violent dynamics and social, political and economic ones, and therefore also with the possibility that it is necessary to fight for the affirmation of those values, with the risk that the method of struggle leads to to implement the same violent, bloody strategies to which we would like to remedy. Here, then, in the last century, methods of non-violent struggle have also emerged, which have led to striking, unexpected political results, such as in Poland from which Pope Wojtyla came to us, and, even before, in troubled India from the British colonial political dominion, where the revolutionary and basically non-violent political action promoted by Mohandas Karamchand Gandhi, called Mahatma (great soul in Sanskrit, the ancient Indian language - 1869/1948) unfolded successfully. The abandonment of the customs of political violence characterized the entire process of disintegration of the communist regimes of Eastern Europe, completely unexpectedly taking into account recent historical precedents and the fact that they were troubled by systems of political inquisition comparable, by extension, penetration and brutality, to those much longer organized by the Roman Papacy. This showed how profound was the change in political culture that had involved all Europeans, from the two sides of the political camps in which they had divided. This cultural achievement is precisely at risk in our times.
Mario Ardigò - Catholic Action in St. Clement Pope - Rome, Monte Sacro/ Sacred Mountain neighborhood, Valleys