GIORNATA MONDIALE
DEI POVERI
SANTA MESSA
OMELIA
DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, 17 novembre 2019
WORLD DAY OF THE POOR
HOLY MASS
HOMILY OF HIS
HOLINESS POPE FRANCIS
Vatican Basilica
33th Sunday of Ordinary Time, November 17, 2019
After the Italian text of the homily, I
insert the English text published by the Holy See
****************************************
Lettura evangelica della Messa nel
corso della quale venne pronunciata l'omelia
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 21,5-19
In quel tempo, mentre alcuni parlavano
del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse:
«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su
pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale
sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non
lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e:
“Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di
rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma
non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro
regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi
saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi
perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi
davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di
dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra
difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non
potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori,
dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete
odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo
andrà perduto.
Con
la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
****************************************
Oggi, nel Vangelo,
Gesù sorprende i suoi contemporanei e anche noi. Infatti, proprio mentre si
lodava il magnifico tempio di Gerusalemme, dice che non ne rimarrà «pietra su
pietra» (Lc 21,6). Perché queste parole verso un’istituzione tanto
sacra, che non era solo un edificio, ma un segno religioso unico, una casa per
Dio e per il popolo credente? Perché queste parole? Perché profetizzare che la
salda certezza del popolo di Dio sarebbe crollata? Perché, alla fine, il
Signore lascia che crollino delle certezze, mentre il mondo ne è sempre più
privo?
Cerchiamo risposte
nelle parole di Gesù. Egli oggi ci dice che quasi tutto
passerà. Quasi tutto, ma non tutto. In questa penultima domenica
del Tempo Ordinario, Egli spiega che a crollare, a passare sono le cose
penultime, non quelle ultime: il tempio, non Dio; i regni e le vicende
dell’umanità, non l’uomo. Passano le cose penultime, che spesso sembrano
definitive, ma non lo sono. Sono realtà grandiose, come i nostri templi, e
terrificanti, come terremoti, segni nel cielo e guerre sulla terra (cfr vv.
10-11): a noi sembrano fatti da prima pagina, ma il Signore li mette in seconda
pagina. In prima rimane quello che non passerà mai: il Dio vivo, infinitamente
più grande di ogni tempio che gli costruiamo, e l’uomo, il nostro prossimo, che
vale più di tutte le cronache del mondo. Allora, per aiutarci a cogliere ciò
che conta nella vita, Gesù ci mette in guardia da due tentazioni.
La prima è la
tentazione della fretta, del subito. Per Gesù non bisogna andare
dietro a chi dice che la fine arriva subito, che «il tempo è vicino» (v. 8).
Non va seguito, cioè, chi diffonde allarmismi e alimenta la paura dell’altro e
del futuro, perché la paura paralizza il cuore e la mente. Eppure, quante volte
ci lasciamo sedurre dalla fretta di voler sapere tutto e subito,
dal prurito della curiosità, dall’ultima notizia eclatante o scandalosa, dai
racconti torbidi, dalle urla di chi grida più forte e più arrabbiato, da chi
dice “ora o mai più”. Ma questa fretta, questo tutto e subito non
viene da Dio. Se ci affanniamo per il subito, dimentichiamo quel
che rimane per sempre: inseguiamo le nuvole che passano e perdiamo
di vista il cielo. Attratti dall’ultimo clamore, non troviamo più tempo per Dio
e per il fratello che ci vive accanto. Com’è vero oggi questo! Nella smania di
correre, di conquistare tutto e subito, dà fastidio chi rimane indietro. Ed è
giudicato scarto: quanti anziani, quanti nascituri, quante persone disabili,
poveri ritenuti inutili. Si va di fretta, senza preoccuparsi che le distanze
aumentano, che la bramosia di pochi accresce la povertà di molti.
Gesù, come
antidoto alla fretta propone oggi a ciascuno di noi la perseveranza:
«con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (v. 19). Perseveranza è
andare avanti ogni giorno con gli occhi fissi su quello che non passa: il
Signore e il prossimo. Ecco perché la perseveranza è il dono di Dio con cui si
conservano tutti gli altri suoi doni (cfr Sant’Agostino, De dono
perseverantiae, 2,4). Chiediamo per ciascuno di noi e per noi come Chiesa
di perseverare nel bene, di non perdere di vista ciò che conta. Questo è
l’inganno della fretta.
C’è un secondo
inganno da cui Gesù vuole distoglierci, quando dice: «Molti verranno nel mio
nome dicendo: “Sono io”. Non andate dietro a loro!» (v. 8). È la
tentazione dell’io. Il cristiano, come non ricerca il subito ma
il sempre, così non è un discepolo dell’io, ma del tu.
Non segue, cioè, le sirene dei suoi capricci, ma il richiamo dell’amore, la
voce di Gesù. E come si distingue la voce di Gesù? “Molti verranno nel
mio nome”, dice il Signore, ma non sono da seguire: non basta l’etichetta
“cristiano” o “cattolico” per essere di Gesù. Bisogna parlare la stessa lingua
di Gesù, quella dell’amore, la lingua del tu. Parla la lingua di
Gesù non chi dice io, ma chi esce dal proprio io. Eppure, quante
volte, anche nel fare il bene, regna l’ipocrisia dell’io: faccio
del bene ma per esser ritenuto bravo; dono, ma per ricevere a mia volta; aiuto,
ma per attirarmi l’amicizia di quella persona importante. Così parla la
lingua dell’io. La Parola di Dio, invece, spinge a una «carità non
ipocrita» (Rm 12,9), a dare a chi non ha da restituirci (cfr Lc 14,14),
a servire senza cercare ricompense e contraccambi (cfr Lc 6,35).
Allora possiamo chiederci: “Io aiuto qualcuno da cui non potrò ricevere? Io,
cristiano, ho almeno un povero per amico?”.
I poveri sono
preziosi agli occhi di Dio perché non parlano la lingua dell’io: non si
sostengono da soli, con le proprie forze, hanno bisogno di chi li prenda per
mano. Ci ricordano che il Vangelo si vive così, come mendicanti protesi verso
Dio. La presenza dei poveri ci riporta al clima del Vangelo, dove sono beati i
poveri in spirito (cfr Mt 5,3). Allora, anziché provare
fastidio quando li sentiamo bussare alle nostre porte, possiamo accogliere il
loro grido di aiuto come una chiamata a uscire dal nostro io, ad accoglierli
con lo stesso sguardo di amore che Dio ha per loro. Che bello se i poveri
occupassero nel nostro cuore il posto che hanno nel cuore di Dio! Stando con i
poveri, servendo i poveri, impariamo i gusti di Gesù, comprendiamo che cosa
resta e che cosa passa.
Torniamo così alle
domande iniziali. Tra tante cose penultime, che passano, il Signore vuole
ricordarci oggi quella ultima, che rimarrà per sempre. È l’amore, perché «Dio è
amore» (1 Gv 4,8) e il povero che chiede il mio amore mi porta
dritto a Lui. I poveri ci facilitano l’accesso al Cielo: per questo il senso
della fede del Popolo di Dio li ha visti come i portinai del Cielo.
Già da ora sono il nostro tesoro, il tesoro della Chiesa. Ci dischiudono
infatti la ricchezza che non invecchia mai, quella che congiunge terra e Cielo
e per la quale vale veramente la pena vivere: cioè, l’amore.
*********************************
WORLD DAY OF THE
POOR
HOLY MASS
HOMILY
OF HIS HOLINESS POPE FRANCIS
Vatican Basilica
33th Sunday of Ordinary Time, November 17, 2019
****************************************
Gospel reading of the Mass during which
the homily was pronounced
Gospel: Luke 21:5-19
When some were speaking about the temple, how it
was adorned with beautiful stones and gifts dedicated to God, Jesus said, “As
for these things that you see, the days will come when not one stone will be
left upon another; all will be thrown down.” They asked him, “Teacher, when
will this be and what will be the sign that this is about to take place?”
Then
he said, “Beware that you are not led astray; for many will come in my name and
say, ‘I am he!’ and, ‘The time is near!’ Do not go after them. “When you hear
of wars and insurrections, do not be terrified; for these things must take
place first, but the end will not follow immediately.”
Then
he aid to them, “Nation will rise against nation and kingdom against kingdom;
there will be great earthquakes and in various places famines and plagues; and
there will be dreadful portents and great signs from heaven.
“But
before all this occurs, they will arrest you and persecute you; they will hand
you over to synagogues and prisons and you will be brought before kings and
governors because of my name. This will give you an opportunity to testify. So
make up your minds not to prepare your defense in advance; for I will give you
words and a wisdom that none of your opponents will be able to withstand or
contradict. You will be betrayed even by parents and brothers, by relatives and
friends; and they will put some of you to death. You will be hated by all
because of my name. But not a hair of your head will perish. By your endurance
you will gain your souls.”
****************************************
In today’s Gospel, Jesus astounds both his
contemporaries and us. While every else was praising the magnificent temple in
Jerusalem, Jesus tells them that “one stone” will not be left “upon another” (Lk 21:6).
Why does he speak these words about so sacred an institution, which was not
merely a building but a unique religious symbol, a house for God and for the
believing people? Why does he prophesy that the firm certitude of the people of
God would collapse? Why, ultimately, does the Lord let our certitudes collapse,
when our world has fewer and fewer of them?
Let us look for
answers in the words of Jesus. He tells us that almost everything
will pass away. Almost everything, but not everything. On this next
to last Sunday in Ordinary Time, he explains that what will collapse and pass
away are the penultimate things, not the ultimate ones: the
temple, not God; kingdoms and human events, not humanity itself. The
penultimate things, which often appear definitive but are not, pass away. They
are majestic realities like our temples, and terrifying ones like earthquakes;
they are signs in heaven and wars on the earth (cf. vv. 10-11). To us, these
are front page news, but the Lord puts them on the second page. That which will
never pass away remains on the front page: the living God, infinitely greater
than any temple we build for him, and the human person, our neighbour, who is
worth more than all the news reports of the world. So, to help us realize what
really counts in life, Jesus warns us about two temptations.
The first is the
temptation of haste, of the right now. For Jesus, we must not
follow those who tell us that the end is coming immediately, that “the time is
at hand” (v. 8). That is, we must not follow the alarmists who fuel fear of
others and of the future, for fear paralyzes the heart and mind. Yet how often
do we let ourselves be seduced by a frantic desire to know everything
right now, by the itch of curiosity, by the latest sensational or
scandalous news, by lurid stories, by the screaming those who shout loudest and
angriest, by those who tell us it is “now or never”. This haste, this everything
right now, does not come from God. If we get worked up about the right
now, we forget what remains forever: we follow the passing
clouds and lose sight of the sky. Drawn by the latest outcry, we no longer find
time for God or for our brother and sister living next door. How true this is
today! In the frenzy of running, of achieving everything right now, anyone left
behind is viewed as a nuisance. And considered disposable. How many elderly,
unborn, disabled and poor persons are considered useless. We go our way in
haste, without worrying that gaps are increasing, that the greed of a few is
adding to the poverty of many others.
As an antidote to
haste, Jesus today proposes to each of us perseverance. “By your
endurance you will gain your lives” (v. 19). Perseverance entails moving
forward each day with our eyes fixed on what does not pass away: the Lord and
our neighbour. This is why perseverance is the gift of God that preserves all
his other gifts (cf. SAINT AUGUSTINE, De Dono Perseverantiae, 2.4).
Let us ask that each of us, and all of us as Church, may persevere in the good
and not lose sight of what really counts.
There is a second
illusion that Jesus wants to spare us. He says: “Many will come in my name,
saying, ‘I am he!’ Do not go after them” (v. 8). It is the temptation
of self-centredness. Christians, since we do not seek the right now but
the forever, are not concerned with the me but
with the you. Christians, that is, do not follow the siren song of
their whims, but rather the call of love, the voice of Jesus. How is Jesus’
voice discerned? “Many will come in my name”, the Lord says, but they are not
to be followed: wearing the label “Christian” or “Catholic” is not enough to
belong to Jesus. We need to speak the same language as Jesus: that of
love, the language of the you. Those who speak the language of
Jesus are not the ones who say I, but rather the ones who step out
of themselves. And yet how often, even when we do good, does the hypocrisy
of the self take over? I do good so that I can be considered good; I
give in order to receive in turn; I offer help so that I can win the friendship
of some important person. That is how the language of the self speaks.
The word of God, however, spurs us to a “genuine love” (Rom 12:9),
to give to those who cannot repay us (cf. Lk 14:14), to serve
others without seeking anything in return (cf. Lk 6:35). So
let us ask ourselves: “Do I help someone who has nothing to give me in return?
Do I, a Christian, have at least one poor person as a friend”?
The poor are
valuable in the eyes of God because they do not speak the language of the self:
they do not support themselves on their own, by their own strength; they need
someone to take them by the hand. The poor remind us how we should live the Gospel:
like beggars reaching out to God. The presence of the poor makes us breathe the
fresh air of the Gospel, where the poor in spirit are blessed (cf. Mt 5:3).
Instead of feeling annoyed when they knock on our doors, let us welcome their
cry for help as a summons to go out of ourselves, to welcome them with God’s
own loving gaze. How beautiful it would be if the poor could occupy in our
hearts the place they have in the heart of God! Standing with the poor, serving
the poor, we see things as Jesus does; we see what remains and what passes
away.
Let us return to
our initial questions. Amid so many penultimate and passing realities, the Lord
wants to remind us today of what is ultimate, what will remain forever. It is
love, for “God is love” (1 Jn 4:8). The poor person who begs for my
love leads me straight to God. The poor facilitate our access to heaven: this
is why the sense of the faith of God’s People has viewed them as the gatekeepers
of heaven. Even now, they are our treasure, the treasure of the Church. For
the poor reveal to us the riches that never grow old, that unite heaven and
earth, the riches for which life is truly worth living: the riches of love.