INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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lunedì 14 gennaio 2019

Problemi di costruzione sociale - 14


Problemi di costruzione sociale - 14

 Il gruppo paternalista, dicevamo, è una forma sottile di dittatura; il leader “impone” in un modo dolce, furbesco, dissimulato, nascosto, tatticone. Tutti  pendono (“devono pendere”) da suoi consigli. La pressione psicologica esercitata sui membri è fortissima: da una parte c’è amore, in quanto il leader  ha sentimenti paterni verso i “sudditi”, dall’altra nasce il disprezzo e, spesso, l’odio, in quanto i membri si sentono coartati nell’esercizio della loro iniziativa e della loro creatività.
  Questa  dipendenza affettiva ambivalente (amore e odio) ripropone, negli altri, stadi di regressione psicologica. Di qui l’infantilismo, l’immaturità affettiva, gli squilibri emotivi, la mancanza di responsabilità, l’incapacità di affrontare la vita, i disadattamento sociale. In questo sistema, cioè, i membri si abituano talmente  a dipendere dal “padre”, da ritenere naturale e perfino obbligatorio lasciare ogni decisione, anche la più personale, ala discrezione delle “teste più vecchie e più sagge”.
da Gennaro Luce, Dinamica di gruppo, LMS, 1977, pag.86-87.

  Tra il problema con neo-comunità non integrate e quello con il quartiere, quale affrontare per primo, qual è il più urgente e/o il più grave? Senz’altro il secondo. Risolverlo è inoltre  la sola via per occuparsi con efficacia dell’altro, in particolare per procurarsi gli strumenti che servono per farlo.
  Le neocomunità hanno creato dipendenza e hanno impostazione paternalista. Del resto, in un certo senso, nell’azione di propaganda per l’adesione sembrano cercare di selezionare proprio chi è psicologicamente predisposto per la dipendenza, rivolgendosi a insoddisfatti e sofferenti e proponendosi come cura. Su un contesto sociale simile non si può influire semplicemente esponendo obiettivamente i problemi che crea e che si creano al suo interno. Questi discorsi non fanno breccia, non scalfiscono minimamente l’autorità paternalistica che permea il gruppo e che fa resistenza per mantenere il controllo sulla fraternità. L’organizzazione è stata pensata proprio con questo scopo e fa il suo lavoro. L’unica via per incidervi è inglobare il gruppo in un contesto sociale più esteso di mediazione culturale che lo familiarizzi progressivamente con la realtà esterna, con la società intorno, facendogliene riprendere consuetudine e facendogliene sperimentare le opportunità di bene, laddove il gruppo vede prevalentemente il male. Questo da noi manca: manca la gente che serve. Dovremmo attirarla dal quartiere, che però ci si mostra ancora indifferente. Questo non solo per il nostro particolare passato parrocchiale, per l’esperienza neocomunitaria che si è tentato a lungo di imporle, fallendo, ma, e questo dobbiamo imparare da ciò che abbiamo vissuto negli ultimi tre anni nei quali si è tentato di cambiare correggendo la rotta, anche perché la società in cui è immersa è cambiata profondamente, come è avvenuto per quella italiana in genere.
  Tutto è originato agli inizi degli anni ’90, quando si pensava che i problemi dell’Europa si stessero avviando a   soluzione dopo la rapida composizione della frattura ideologica, politica e istuzionale tra la sua parte occidentale, ad economia capitalista, e quella orientale, ad economia comunista, dominata in gran parte dall’Unione sovietica, che comprendeva la Russia ed altri popoli caduti sotto il dominio russo in epoca zarista e poi coinvolti nella rivoluzione sovietica del 1917. E’ a quel punto che divenne ideologia dominante l’idea che ciascuno dovesse fare da solo, competendo  con gli altri facendo del suo meglio, e che non ci si dovesse attendere un qualche sostegno sociale se non, fondamentalmente, nella malattia grave e nella vecchiaia. Al di fuori di questi casi l’intervento pubblico venne pensato come spreco. In un contesto simile, di libertà  dell’iniziativa privata in una società con tante opportunità in più, sempre maggiori man mano che si immaginava il mondo nuovo senza più la minaccia incombente di una guerra di annientamento e senza la necessità di mantenervi le pesanti strutture sociali create per far fronte a quella minaccia, ad esempio il controllo molto rigido di frontiere e scambi, si pensava che, al dunque, ognuno poi finisse in società dove aveva meritato, chi in  basso e chi in alto, chi ricco e chi meno ricco, ma comunque tutti con un benessere maggiore che nel passato, con il che si pensava di aver risolto il problema della giustizia sociale. Anche gli autori della dottrina sociale lo pensarono. L’ultimo documento di quell’era fu l’enciclica Il centenario - Centesimus Annus, diffusa nel 1991 dal papa san Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°, nei cento anni dal primo documento della dottrina sociale moderna, l’enciclica Le novità - Rerum Novarum, del papa Vincenzo Gioacchino Pecci - Leone 13°. Nella Il Centenario il papa espose l’organizzazione del mondo nuovo, pensandolo democratico e globalizzato,  ma anche pacificato.
 Così si riferì all’enciclica Le novità - Rerum Novarum:
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5. Le «cose nuove», alle quali il Papa si riferiva, erano tutt'altro che positive. Il primo paragrafo dell'Enciclica descrive le «cose nuove», che le han dato il nome, con parole forti: «Una volta suscitata la brama di cose nuove, che da tempo sta sconvolgendo gli Stati, ne sarebbe derivato come conseguenza che i desideri di cambiamenti si trasferissero alla fine dall'ordine politico al settore contiguo dell'economia. Difatti, i progressi incessanti dell'industria, le nuove strade aperte dalle professioni, le mutate relazioni tra padroni e operai; l'accumulo della ricchezza nelle mani di pochi, accanto alla miseria della moltitudine; la maggiore coscienza che i lavoratori hanno acquistato di sé e, di conseguenza, una maggiore unione tra essi ed inoltre il peggioramento dei costumi, tutte queste cose hanno fatto scoppiare un conflitto».
Il Papa, e con lui la Chiesa, come anche la comunità civile, si trovavano di fronte ad una società divisa da un conflitto, tanto più duro e inumano perché non conosceva regola né norma. Era il conflitto tra il capitale e il lavoro, o — come lo chiamava l'Enciclica — la questione operaia, e proprio su di esso, nei termini acutissimi in cui allora si prospettava, il Papa non esitò a dire la sua parola.
Si presenta qui la prima riflessione, che l'Enciclica suggerisce per il tempo presente. Di fronte ad un conflitto che opponeva, quasi come «lupi», l'uomo all'uomo fin sul piano della sussistenza fisica degli uni e dell'opulenza degli altri, il Papa non dubitò di dover intervenire, in virtù del suo «ministero apostolico», ossia della missione ricevuta da Gesù Cristo stesso di «pascere gli agnelli e le pecorelle» (cf Gv 21,15-17) e di «legare e sciogliere sulla terra» per il Regno dei cieli (cf Mt 16,19). Sua intenzione era certamente quella di ristabilire la pace, e il lettore contemporaneo non può non notare la severa condanna della lotta di classe, che egli pronunciava senza mezzi termini. Ma era ben consapevole del fatto che la pace si edifica sul fondamento della giustizia: contenuto essenziale dell'Enciclica fu appunto quello di proclamare le condizioni fondamentali della giustizia nella congiuntura economica e sociale di allora.
In questo modo Leone XIII, sulle orme dei predecessori, stabiliva un paradigma permanente per la Chiesa. Questa, infatti, ha la sua parola da dire di fronte a determinate situazioni umane, individuali e comunitarie, nazionali e internazionali, per le quali formula una vera dottrina, un corpus, che le permette di analizzare le realtà sociali, di pronunciarsi su di esse e di indicare orientamenti per la giusta soluzione dei problemi che ne derivano.
Ai tempi di Leone XIII una simile concezione del diritto-dovere della Chiesa era ben lontana dall'essere comunemente ammessa. 
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Continuò osservando:

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22. Partendo dalla situazione mondiale ora descritta, e già ampiamente esposta nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, si comprende l'inaspettata e promettente portata degli avvenimenti degli ultimi anni. Il loro culmine certo sono stati gli avvenimenti del 1989 nei Paesi dell'Europa centrale ed orientale, ma essi abbracciano un arco di tempo ed un orizzonte geografico più ampi. Nel corso degli anni '80 crollano progressivamente in alcuni Paesi dell'America Latina, ma anche dell'Africa e dell'Asia certi regimi dittatoriali ed oppressivi; in altri casi inizia un difficile, ma fecondo cammino di transizione verso forme politiche più partecipative e più giuste. Un contributo importante, anzi decisivo, ha dato l'impegno della Chiesa per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo: in ambienti fortemente ideologizzati, in cui lo schieramento di parte offuscava la consapevolezza della comune dignità umana, la Chiesa ha affermato con semplicità ed energia che ogni uomo — quali che siano le sue convinzioni personali — porta in sé l'immagine di Dio e, quindi, merita rispetto. In tale affermazione si è spesso riconosciuta la grande maggioranza del popolo, e ciò ha portato alla ricerca di forme di lotta e di soluzioni politiche più rispettose della dignità della persona.
Da questo processo storico sono emerse nuove forme di democrazia, che offrono la speranza di un cambiamento nelle fragili strutture politiche e sociali, gravate dall'ipoteca di una penosa serie di ingiustizie e di rancori, oltre che da un'economia disastrata e da pesanti conflitti sociali. Mentre con tutta la Chiesa rendo grazie a Dio per la testimonianza, spesso eroica, che non pochi Pastori, intere comunità cristiane, singoli fedeli ed altri uomini di buona volontà hanno dato in tali difficili circostanze, prego perché egli sostenga gli sforzi di tutti per costruire un futuro migliore. È, questa, infatti una responsabilità non solo dei cittadini di quei Paesi, ma di tutti i cristiani e degli uomini di buona volontà. Si tratta di mostrare che i complessi problemi di quei popoli possono essere risolti col metodo del dialogo e della solidarietà, anziché con la lotta per la distruzione dell'avversario e con la guerra.
23. Tra i numerosi fattori della caduta dei regimi oppressivi alcuni meritano di essere ricordati in particolare. Il fattore decisivo, che ha avviato i cambiamenti, è certamente la violazione dei diritti del lavoro. Non si può dimenticare che la crisi fondamentale dei sistemi, che pretendono di esprimere il governo ed anzi la dittatura degli operai, inizia con i grandi moti avvenuti in Polonia in nome della solidarietà. Sono le folle dei lavoratori a delegittimare l'ideologia, che presume di parlare in loro nome, ed a ritrovare e quasi riscoprire, partendo dall'esperienza vissuta e difficile del lavoro e dell'oppressione, espressioni e principi della dottrina sociale della Chiesa.
Merita, poi, di essere sottolineato il fatto che alla caduta di un simile «blocco», o impero, si arriva quasi dappertutto mediante una lotta pacifica, che fa uso delle sole armi della verità e della giustizia. Mentre il marxismo riteneva che solo portando agli estremi le contraddizioni sociali fosse possibile arrivare alla loro soluzione mediante lo scontro violento, le lotte che hanno condotto al crollo del marxismo insistono con tenacia nel tentare tutte le vie del negoziato, del dialogo, della testimonianza della verità, facendo appello alla coscienza dell'avversario e cercando di risvegliare in lui il senso della comune dignità umana.
Sembrava che l'ordine europeo, uscito dalla seconda guerra mondiale e consacrato dagli Accordi di Yalta, potesse essere scosso soltanto da un'altra guerra. È stato, invece, superato dall'impegno non violento di uomini che, mentre si sono sempre rifiutati di cedere al potere della forza, hanno saputo trovare di volta in volta forme efficaci per rendere testimonianza alla verità. Ciò ha disarmato l'avversario, perché la violenza ha sempre bisogno di legittimarsi con la menzogna, di assumere, pur se falsamente, l'aspetto della difesa di un diritto o della risposta a una minaccia altrui. Ringrazio ancora Dio che ha sostenuto il cuore degli uomini nel tempo della difficile prova, pregando perché un tale esempio possa valere in altri luoghi ed in altre circostanze. Che gli uomini imparino a lottare per la giustizia senza violenza, rinunciando alla lotta di classe nelle controversie interne, come alla guerra in quelle internazionali.
 […]
5. Gli avvenimenti dell' '89 offrono l'esempio del successo della volontà di negoziato e dello spirito evangelico contro un avversario deciso a non lasciarsi vincolare da principi morali: essi sono un monito per quanti, in nome del realismo politico, vogliono bandire dall'arena politica il diritto e la morale. Certo la lotta, che ha portato ai cambiamenti dell' '89, ha richiesto lucidità, moderazione, sofferenze e sacrifici; in un certo senso, essa è nata dalla preghiera, e sarebbe stata impensabile senza un'illimitata fiducia in Dio, Signore della storia, che ha nelle sue mani il cuore degli uomini. È unendo la propria sofferenza per la verità e per la libertà a quella di Cristo sulla Croce che l'uomo può compiere il miracolo della pace ed è in grado di scorgere il sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza che, illudendosi di combatterlo, lo aggrava.
[…]
 La caduta del marxismo naturalmente ha avuto effetti di grande portata in ordine alla divisione della terra in mondi chiusi l'uno all'altro ed in gelosa concorrenza tra loro. Essa mette in luce più chiaramente la realtà dell'interdipendenza dei popoli, nonché il fatto che il lavoro umano per sua natura è destinato ad unire i popoli, non già a dividerli. La pace e la prosperità, infatti, sono beni che appartengono a tutto il genere umano, sicché non è possibile goderne correttamente e durevolmente se vengono ottenuti e conservati a danno di altri popoli e Nazioni, violando i loro diritti o escludendoli dalle fonti del benessere.
[…]
52. […] l'altro nome della pace è lo sviluppo. Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra, così esiste la responsabilità collettiva di promuovere lo sviluppo. Come a livello interno è possibile e doveroso costruire un'economia sociale che orienti il funzionamento del mercato verso il bene comune, allo stesso modo è necessario che ci siano interventi adeguati anche a livello internazionale. Perciò, bisogna fare un grande sforzo di reciproca comprensione, di conoscenza e di sensibilizzazione delle coscienze. È questa l'auspicata cultura che fa crescere la fiducia nelle potenzialità umane del povero e, quindi, nella sua capacità di migliorare la propria condizione mediante il lavoro, o di dare un positivo contributo al benessere economico. Per far questo, però, il povero — individuo o Nazione — ha bisogno che gli siano offerte condizioni realisticamente accessibili. Creare tali occasioni è il compito di una concertazione mondiale per lo sviluppo, che implica anche il sacrificio delle posizioni di rendita e di potere, di cui le economie più sviluppate si avvantaggiano.
Ciò può comportare importanti cambiamenti negli stili di vita consolidati, al fine di limitare lo spreco delle risorse ambientali ed umane, permettendo così a tutti i popoli ed uomini della terra di averne in misura sufficiente. A ciò si deve aggiungere la valorizzazione dei nuovi beni materiali e spirituali, frutto del lavoro e della cultura dei popoli oggi emarginati, ottenendo così il complessivo arricchimento umano della famiglia delle Nazioni. 
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Dunque, riassumendo: la caduta del  marxismo aveva aperto la via, rimuovendo le ragioni di un conflitto catastrofico globale, ad un nuovo mondo in cui era possibile lo sviluppo  come strategia di pace.
 L’enliclica Il centenario  venne pensata, in fondo, come esaustiva: che c’era altro da aggiungere? Fine della storia. Se ne cominciava a parlare anche in altri ambiti. “Fine della storia?”, si era chiesto nel 1989 lo storico statunitense Francis Fukujama, sviluppando poi il tema in un libro  del 1992 con quello stesso titolo che divenne molto noto e molto citato.
  In realtà le attese degli autori degli anni ’90 si sono rivelate completamente errate ed è questa l’origine dei nostri problemi in Occidente, ma anche altrove, e anche in una realtà di prossimità come il nostro quartiere.
 Tra il 1989 e  i primi anni ’90 crollarono i regimi comunisti dell’Europa orientale, dominati da una particolare versione del marxismo, quella leninista, dal suo ideatore, il russo Vladimir Il. Uljanov  detto Lenin (1870-1924). Da ciò derivarono la sfiducia, in generale, anche verso ogni altro tipo di pensiero marxista, composto di varie correnti unificate dall’intento di spiegare le sofferenze sociali come frutto del dominio di classi privilegiate minoritarie su classi subalterne maggioritarie mediante il controllo dell’economia e del commercio, e verso i movimenti e partiti, non solo marxisti, che avevano cercato di contrastare l’ingiustizia sociale creando strutture sociali di contenimento del capitalismo nelle sue forme più aggressive e di sostegno ai ceti sfavoriti della popolazione. La riorganizzazione del mondo si fece secondo l’ideologia, ormai globale, che ognuno dovesse fare da sé e che ciascuno aveva in società quello che aveva meritato e lo sviluppo si fece a vantaggio di porzioni minoritarie della popolazione alimentando diseguaglianze stratosferiche, segnalate ad esempio dal vertiginoso aumento dei redditi dei capi delle imprese private, rispetto ai salari più bassi dei lavoratori addetti alle medesime imprese. I diritti sociali, ad esempio a un reddito dignitoso, ad una abitazione, a cure sanitarie accessibili a tutti, a pensioni per la vecchiaia e l’invalidità, vennero progressivamente concepiti come sprechi. In questo contesto di lotta di tutti contro tutti, le società globalizzate si incattivirono, e chi non ce la faceva veniva ridotto alla condizione di scarto sociale. Si pensava che, tutto sommato, fosse giusto così. Se pace  e  sviluppo  erano sinonimi, e lo sviluppo si realizzava a quelle nuove condizioni, contrastare quel tipo di sviluppo significava minacciare la pace sociale. Il pensiero marxista avrebbe facilmente fatto rilevare l’incongruenza del ragionamento: la pace che si stava imponendo nel mondo si era fatta in realtà convincendo le masse degli sfavoriti che non c’era nulla da fare per provare a cambiare e ciascuno aveva la dose di sofferenza che si era meritato. Ma il pensiero critico, ogni pensiero critico non solo quello marxista, era tra gli sfavoriti del nuovo corso. Anche la dottrina sociale in fondo ne fu a lungo convinta. Dopo il 1991, il successivo documento della dottrina sociale fu l’enciclica Carità nella verità - Caritas in veritate,  diffusa nel 2009 dal papa Joseph Ratzinger - Benedetto 16°: passarono quasi vent’anni!
  Ci troviamo quindi, in conclusione, ad operare come parrocchia, cercando di riallacciare relazioni sociali, in un quartiere in cui si manifesta, come tutt’intorno, una società incattivita, e incattivita perché impaurita, e impaurita perché sofferente senza sapere che fare, perché convinta che ci si possa, e anzi ci si debba, salvare da soli e che  fare società  sia tempo perso. Ci si muove in un contesto urbano che appare spesso degradato e diruto, non solo, come si dice, perché al vertice non sanno più bene che e come fare, ma perché, di anno in anno, sono sempre meno le risorse dedicate a fini sociali. Questo ha incrementato la sfiducia nella politica, ma non solo verso di essa, in realtà verso ogni esperienza sociale, quelle religiose comprese. Non ci si attende nulla di buono dalla società e si pensa che in società ognuno, in definitiva, continui a fare il proprio interesse a dispetto di ogni professione od obbligo di altruismo, sfruttando a proprio beneficio, o al massimo a beneficio dei propri complici, il potere che gli è attribuito. Nessuno crede più veramente alle chiacchiere di ogni tipo di organizzatore sociale, ritenendole, appunto, solo chiacchiere. Da chi fa politica si pretende, così, un ritorno immediato a vantaggio del singolo: soldi per ciascuno e prima possibile. Ci si è disamorati dei piani a lungo termine, che caratterizzano in genere la costruzione di grandi opere  pubbliche, i cui benefici si spalmano su un tempo superiore alle vite dei singoli che hanno voce in capitolo per programmarne i lavori.
 Ma, in questa situazione, la religione ha ancora opportunità, al di là del presentarsi come medicina dell’anima (speranza in genere fallace) o del fascinare mediante effetti speciali, che siano il prodigioso, il miracolo eclatante, l’apparizione, o il grande evento di massa costruito intorno a personalità miracolanti? E’ appunto su questo che dovremmo chiarirci.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San  Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli