Problemi di
costruzione sociale - 14
Il gruppo paternalista, dicevamo, è una forma
sottile di dittatura; il leader “impone” in un modo dolce, furbesco,
dissimulato, nascosto, tatticone. Tutti
pendono (“devono pendere”) da suoi consigli. La pressione psicologica
esercitata sui membri è fortissima: da una parte c’è amore, in quanto il
leader ha sentimenti paterni verso i “sudditi”,
dall’altra nasce il disprezzo e, spesso, l’odio, in quanto i membri si sentono
coartati nell’esercizio della loro iniziativa e della loro creatività.
Questa dipendenza affettiva
ambivalente (amore e odio) ripropone, negli altri, stadi di regressione
psicologica. Di qui l’infantilismo, l’immaturità affettiva, gli squilibri
emotivi, la mancanza di responsabilità, l’incapacità di affrontare la vita, i
disadattamento sociale. In questo sistema, cioè, i membri si abituano
talmente a dipendere dal “padre”, da
ritenere naturale e perfino obbligatorio lasciare ogni decisione, anche la più
personale, ala discrezione delle “teste più vecchie e più sagge”.
da Gennaro Luce, Dinamica di gruppo, LMS, 1977,
pag.86-87.
Tra il problema con neo-comunità non integrate e quello con il quartiere,
quale affrontare per primo, qual è il più urgente e/o il più grave? Senz’altro
il secondo. Risolverlo è inoltre la sola
via per occuparsi con efficacia dell’altro, in particolare per procurarsi gli
strumenti che servono per farlo.
Le neocomunità hanno creato dipendenza e hanno impostazione
paternalista. Del resto, in un certo senso, nell’azione di propaganda per l’adesione
sembrano cercare di selezionare proprio chi è psicologicamente predisposto per
la dipendenza, rivolgendosi a insoddisfatti e sofferenti e proponendosi come
cura. Su un contesto sociale simile non si può influire semplicemente esponendo
obiettivamente i problemi che crea e che si creano al suo interno. Questi
discorsi non fanno breccia, non scalfiscono minimamente l’autorità
paternalistica che permea il gruppo e che fa resistenza per mantenere il
controllo sulla fraternità. L’organizzazione è stata pensata proprio con questo
scopo e fa il suo lavoro. L’unica via per incidervi è inglobare il gruppo in un
contesto sociale più esteso di mediazione culturale che lo familiarizzi progressivamente
con la realtà esterna, con la società intorno, facendogliene riprendere
consuetudine e facendogliene sperimentare le opportunità di bene, laddove il
gruppo vede prevalentemente il male. Questo da noi manca: manca la gente che
serve. Dovremmo attirarla dal quartiere, che però ci si mostra ancora indifferente.
Questo non solo per il nostro particolare passato parrocchiale, per l’esperienza
neocomunitaria che si è tentato a lungo di imporle, fallendo, ma, e questo
dobbiamo imparare da ciò che abbiamo vissuto negli ultimi tre anni nei quali
si è tentato di cambiare correggendo la rotta, anche perché la società in cui è
immersa è cambiata profondamente, come è avvenuto per quella italiana in
genere.
Tutto è
originato agli inizi degli anni ’90, quando si pensava che i problemi dell’Europa
si stessero avviando a soluzione dopo la rapida
composizione della frattura ideologica, politica e istuzionale tra la sua parte occidentale, ad economia
capitalista, e quella orientale, ad economia comunista, dominata in gran parte
dall’Unione sovietica, che comprendeva la Russia ed altri popoli caduti sotto
il dominio russo in epoca zarista e poi coinvolti nella rivoluzione sovietica
del 1917. E’ a quel punto che divenne ideologia dominante l’idea che ciascuno
dovesse fare da solo, competendo con gli altri facendo del suo meglio, e che
non ci si dovesse attendere un qualche sostegno sociale se non,
fondamentalmente, nella malattia grave e nella vecchiaia. Al di fuori di questi
casi l’intervento pubblico venne pensato come spreco. In un contesto simile, di
libertà dell’iniziativa privata in una società con
tante opportunità in più, sempre maggiori man mano che si immaginava il mondo
nuovo senza più la minaccia incombente di una guerra di annientamento e senza
la necessità di mantenervi le pesanti strutture sociali create per far fronte a
quella minaccia, ad esempio il controllo molto rigido di frontiere e scambi, si
pensava che, al dunque, ognuno poi finisse in società dove aveva meritato, chi in basso e chi in alto, chi ricco e chi meno
ricco, ma comunque tutti con un benessere maggiore che nel passato, con il che
si pensava di aver risolto il problema della giustizia sociale. Anche gli
autori della dottrina sociale lo pensarono. L’ultimo documento di quell’era fu l’enciclica
Il centenario - Centesimus Annus,
diffusa nel 1991 dal papa san Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2°, nei cento anni
dal primo documento della dottrina sociale moderna, l’enciclica Le novità - Rerum Novarum, del papa
Vincenzo Gioacchino Pecci - Leone 13°. Nella Il Centenario il papa espose l’organizzazione del mondo nuovo,
pensandolo democratico e globalizzato,
ma anche pacificato.
Così si riferì all’enciclica Le novità - Rerum Novarum:
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5. Le «cose nuove», alle quali il Papa si riferiva, erano
tutt'altro che positive. Il primo paragrafo dell'Enciclica descrive le «cose
nuove», che le han dato il nome, con parole forti: «Una volta suscitata la
brama di cose nuove, che da tempo sta sconvolgendo gli Stati, ne
sarebbe derivato come conseguenza che i desideri di cambiamenti si
trasferissero alla fine dall'ordine politico al settore contiguo dell'economia.
Difatti, i progressi incessanti dell'industria, le nuove strade aperte dalle
professioni, le mutate relazioni tra padroni e operai; l'accumulo della
ricchezza nelle mani di pochi, accanto alla miseria della moltitudine; la
maggiore coscienza che i lavoratori hanno acquistato di sé e, di conseguenza,
una maggiore unione tra essi ed inoltre il peggioramento dei costumi, tutte
queste cose hanno fatto scoppiare un conflitto».
Il Papa, e con lui la Chiesa, come
anche la comunità civile, si trovavano di fronte ad una società divisa da un
conflitto, tanto più duro e inumano perché non conosceva regola né norma.
Era il conflitto tra il capitale e il lavoro, o — come lo
chiamava l'Enciclica — la questione operaia, e proprio su di esso, nei termini
acutissimi in cui allora si prospettava, il Papa non esitò a dire la sua
parola.
Si presenta qui la prima
riflessione, che l'Enciclica suggerisce per il tempo presente. Di fronte ad un
conflitto che opponeva, quasi come «lupi», l'uomo all'uomo fin sul piano della
sussistenza fisica degli uni e dell'opulenza degli altri, il Papa non dubitò di
dover intervenire, in virtù del suo «ministero apostolico», ossia
della missione ricevuta da Gesù Cristo stesso di «pascere gli agnelli e le
pecorelle» (cf Gv 21,15-17) e di «legare e sciogliere sulla
terra» per il Regno dei cieli (cf Mt 16,19). Sua intenzione
era certamente quella di ristabilire la pace, e il lettore contemporaneo non
può non notare la severa condanna della lotta di classe, che egli pronunciava
senza mezzi termini. Ma era ben consapevole del fatto che la pace
si edifica sul fondamento della giustizia: contenuto essenziale
dell'Enciclica fu appunto quello di proclamare le condizioni fondamentali della
giustizia nella congiuntura economica e sociale di allora.
In questo modo Leone XIII, sulle
orme dei predecessori, stabiliva un paradigma permanente per la Chiesa. Questa,
infatti, ha la sua parola da dire di fronte a determinate situazioni umane,
individuali e comunitarie, nazionali e internazionali, per le quali formula una
vera dottrina, un corpus, che le permette di analizzare le
realtà sociali, di pronunciarsi su di esse e di indicare orientamenti per la
giusta soluzione dei problemi che ne derivano.
Ai tempi di Leone XIII una simile
concezione del diritto-dovere della Chiesa era ben lontana dall'essere
comunemente ammessa.
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Continuò osservando:
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22. Partendo dalla situazione mondiale ora descritta, e già
ampiamente esposta nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis, si comprende
l'inaspettata e promettente portata degli avvenimenti degli ultimi anni. Il loro
culmine certo sono stati gli avvenimenti del 1989 nei Paesi dell'Europa
centrale ed orientale, ma essi abbracciano un arco di tempo ed un orizzonte
geografico più ampi. Nel corso degli anni '80 crollano progressivamente in
alcuni Paesi dell'America Latina, ma anche dell'Africa e dell'Asia certi regimi
dittatoriali ed oppressivi; in altri casi inizia un difficile, ma fecondo
cammino di transizione verso forme politiche più partecipative e più giuste. Un
contributo importante, anzi decisivo, ha dato l'impegno della Chiesa
per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo: in ambienti
fortemente ideologizzati, in cui lo schieramento di parte offuscava la
consapevolezza della comune dignità umana, la Chiesa ha affermato con
semplicità ed energia che ogni uomo — quali che siano le sue convinzioni
personali — porta in sé l'immagine di Dio e, quindi, merita rispetto. In tale
affermazione si è spesso riconosciuta la grande maggioranza del popolo, e ciò
ha portato alla ricerca di forme di lotta e di soluzioni politiche più
rispettose della dignità della persona.
Da questo processo storico sono
emerse nuove forme di democrazia, che offrono la speranza di un cambiamento
nelle fragili strutture politiche e sociali, gravate dall'ipoteca di una penosa
serie di ingiustizie e di rancori, oltre che da un'economia disastrata e da
pesanti conflitti sociali. Mentre con tutta la Chiesa rendo grazie a Dio per la
testimonianza, spesso eroica, che non pochi Pastori, intere comunità cristiane,
singoli fedeli ed altri uomini di buona volontà hanno dato in tali difficili
circostanze, prego perché egli sostenga gli sforzi di tutti per costruire un
futuro migliore. È, questa, infatti una responsabilità non solo dei cittadini
di quei Paesi, ma di tutti i cristiani e degli uomini di buona volontà. Si
tratta di mostrare che i complessi problemi di quei popoli possono essere
risolti col metodo del dialogo e della solidarietà, anziché con la lotta per la
distruzione dell'avversario e con la guerra.
23. Tra i numerosi fattori della
caduta dei regimi oppressivi alcuni meritano di essere ricordati in
particolare. Il fattore decisivo, che ha avviato i cambiamenti, è certamente la
violazione dei diritti del lavoro. Non si può dimenticare che la crisi
fondamentale dei sistemi, che pretendono di esprimere il governo ed anzi la
dittatura degli operai, inizia con i grandi moti avvenuti in Polonia in nome
della solidarietà. Sono le folle dei lavoratori a delegittimare l'ideologia,
che presume di parlare in loro nome, ed a ritrovare e quasi riscoprire,
partendo dall'esperienza vissuta e difficile del lavoro e dell'oppressione,
espressioni e principi della dottrina sociale della Chiesa.
Merita, poi, di essere sottolineato
il fatto che alla caduta di un simile «blocco», o impero, si arriva quasi
dappertutto mediante una lotta pacifica, che fa uso delle sole armi della
verità e della giustizia. Mentre il marxismo riteneva che solo portando agli
estremi le contraddizioni sociali fosse possibile arrivare alla loro soluzione
mediante lo scontro violento, le lotte che hanno condotto al crollo del
marxismo insistono con tenacia nel tentare tutte le vie del negoziato, del
dialogo, della testimonianza della verità, facendo appello alla coscienza
dell'avversario e cercando di risvegliare in lui il senso della comune dignità
umana.
Sembrava che l'ordine europeo,
uscito dalla seconda guerra mondiale e consacrato dagli Accordi di
Yalta, potesse essere scosso soltanto da un'altra guerra. È stato, invece,
superato dall'impegno non violento di uomini che, mentre si sono sempre
rifiutati di cedere al potere della forza, hanno saputo trovare di volta in
volta forme efficaci per rendere testimonianza alla verità. Ciò ha disarmato
l'avversario, perché la violenza ha sempre bisogno di legittimarsi con la
menzogna, di assumere, pur se falsamente, l'aspetto della difesa di un diritto
o della risposta a una minaccia altrui. Ringrazio
ancora Dio che ha sostenuto il cuore degli uomini nel tempo della difficile
prova, pregando perché un tale esempio possa valere in altri luoghi ed in altre
circostanze. Che gli uomini imparino a lottare per la giustizia senza violenza,
rinunciando alla lotta di classe nelle controversie interne, come alla guerra
in quelle internazionali.
[…]
5. Gli
avvenimenti dell' '89 offrono l'esempio del successo della volontà di negoziato
e dello spirito evangelico contro un avversario deciso a non lasciarsi
vincolare da principi morali: essi sono un monito per quanti, in nome del
realismo politico, vogliono bandire dall'arena politica il diritto e la morale.
Certo la lotta, che ha portato ai cambiamenti dell' '89, ha richiesto lucidità,
moderazione, sofferenze e sacrifici; in un certo senso, essa è nata dalla
preghiera, e sarebbe stata impensabile senza un'illimitata fiducia in Dio,
Signore della storia, che ha nelle sue mani il cuore degli uomini. È unendo la
propria sofferenza per la verità e per la libertà a quella di Cristo sulla
Croce che l'uomo può compiere il miracolo della pace ed è in grado di scorgere
il sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza che,
illudendosi di combatterlo, lo aggrava.
[…]
La caduta del marxismo naturalmente ha avuto
effetti di grande portata in ordine alla divisione della terra in mondi chiusi
l'uno all'altro ed in gelosa concorrenza tra loro. Essa mette in luce più
chiaramente la realtà dell'interdipendenza dei popoli, nonché il fatto che il
lavoro umano per sua natura è destinato ad unire i popoli, non già a dividerli.
La pace e la prosperità, infatti, sono beni che appartengono a tutto il genere umano,
sicché non è possibile goderne correttamente e durevolmente se vengono ottenuti
e conservati a danno di altri popoli e Nazioni, violando i loro diritti o
escludendoli dalle fonti del benessere.
[…]
52. […] l'altro nome della pace è lo sviluppo. Come
esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra, così esiste la
responsabilità collettiva di promuovere lo sviluppo. Come a livello interno è
possibile e doveroso costruire un'economia sociale che orienti il funzionamento
del mercato verso il bene comune, allo stesso modo è necessario che ci siano
interventi adeguati anche a livello internazionale. Perciò, bisogna fare un
grande sforzo di reciproca comprensione, di conoscenza e di sensibilizzazione
delle coscienze. È questa l'auspicata cultura che fa crescere la
fiducia nelle potenzialità umane del povero e, quindi, nella sua capacità di
migliorare la propria condizione mediante il lavoro, o di dare un positivo
contributo al benessere economico. Per far questo, però, il povero — individuo
o Nazione — ha bisogno che gli siano offerte condizioni realisticamente
accessibili. Creare tali occasioni è il compito di una concertazione
mondiale per lo sviluppo, che implica anche il sacrificio delle
posizioni di rendita e di potere, di cui le economie più sviluppate si
avvantaggiano.
Ciò può comportare importanti
cambiamenti negli stili di vita consolidati, al fine di limitare lo spreco
delle risorse ambientali ed umane, permettendo così a tutti i popoli ed uomini
della terra di averne in misura sufficiente. A ciò si deve aggiungere la
valorizzazione dei nuovi beni materiali e spirituali, frutto del lavoro e della
cultura dei popoli oggi emarginati, ottenendo così il complessivo arricchimento
umano della famiglia delle Nazioni.
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Dunque, riassumendo: la caduta del marxismo aveva aperto la via, rimuovendo
le ragioni di un conflitto catastrofico globale, ad un nuovo mondo in cui era
possibile lo sviluppo come strategia
di pace.
L’enliclica
Il centenario venne pensata, in fondo, come esaustiva: che c’era
altro da aggiungere? Fine della storia. Se ne cominciava a parlare anche in
altri ambiti. “Fine della storia?”,
si era chiesto nel 1989 lo storico statunitense Francis Fukujama, sviluppando
poi il tema in un libro del 1992 con quello stesso titolo che divenne molto noto e molto citato.
In realtà le attese degli autori degli anni ’90 si sono rivelate
completamente errate ed è questa l’origine dei nostri problemi in Occidente, ma
anche altrove, e anche in una realtà di prossimità come il nostro quartiere.
Tra il 1989 e
i primi anni ’90 crollarono i regimi comunisti dell’Europa orientale,
dominati da una particolare versione del marxismo, quella leninista, dal suo ideatore, il russo Vladimir Il′ič. Ul′janov detto
Lenin (1870-1924). Da ciò derivarono
la sfiducia, in generale, anche verso ogni altro tipo di pensiero marxista,
composto di varie correnti unificate dall’intento di spiegare le sofferenze
sociali come frutto del dominio di classi privilegiate minoritarie su classi
subalterne maggioritarie mediante il controllo dell’economia e del commercio, e
verso i movimenti e partiti, non solo marxisti, che avevano cercato di
contrastare l’ingiustizia sociale creando strutture sociali di contenimento del
capitalismo nelle sue forme più aggressive e di sostegno ai ceti sfavoriti
della popolazione. La riorganizzazione del mondo si fece secondo l’ideologia,
ormai globale, che ognuno dovesse
fare da sé e che ciascuno aveva in società quello che aveva meritato e lo
sviluppo si fece a vantaggio di porzioni minoritarie della popolazione
alimentando diseguaglianze stratosferiche, segnalate ad esempio dal vertiginoso
aumento dei redditi dei capi delle imprese private, rispetto ai salari più
bassi dei lavoratori addetti alle medesime imprese. I diritti sociali, ad
esempio a un reddito dignitoso, ad una abitazione, a cure sanitarie accessibili
a tutti, a pensioni per la vecchiaia e l’invalidità, vennero progressivamente
concepiti come sprechi. In questo contesto di lotta di tutti contro tutti, le
società globalizzate si incattivirono, e chi non ce la faceva veniva ridotto
alla condizione di scarto sociale. Si
pensava che, tutto sommato, fosse giusto così. Se pace e sviluppo erano sinonimi, e lo sviluppo si realizzava a
quelle nuove condizioni, contrastare quel tipo di sviluppo significava
minacciare la pace sociale. Il pensiero marxista avrebbe facilmente fatto
rilevare l’incongruenza del ragionamento: la pace che si stava imponendo nel
mondo si era fatta in realtà convincendo le masse degli sfavoriti che non c’era
nulla da fare per provare a cambiare e ciascuno aveva la dose di sofferenza che
si era meritato. Ma il pensiero critico, ogni pensiero critico non solo quello
marxista, era tra gli sfavoriti del nuovo corso. Anche la dottrina sociale in
fondo ne fu a lungo convinta. Dopo il 1991, il successivo documento della
dottrina sociale fu l’enciclica Carità
nella verità - Caritas in veritate, diffusa nel 2009 dal papa Joseph Ratzinger -
Benedetto 16°: passarono quasi vent’anni!
Ci
troviamo quindi, in conclusione, ad operare come parrocchia, cercando di
riallacciare relazioni sociali, in un quartiere in cui si manifesta, come tutt’intorno,
una società incattivita, e incattivita perché impaurita, e impaurita perché
sofferente senza sapere che fare, perché convinta che ci si possa, e anzi ci si
debba, salvare da soli e che fare società sia tempo perso. Ci si muove in un contesto
urbano che appare spesso degradato e diruto, non solo, come si dice, perché al
vertice non sanno più bene che e come fare, ma perché, di anno in anno, sono
sempre meno le risorse dedicate a fini sociali. Questo ha incrementato la
sfiducia nella politica, ma non solo verso di essa, in realtà verso ogni
esperienza sociale, quelle religiose comprese. Non ci si attende nulla di buono
dalla società e si pensa che in società ognuno, in definitiva, continui a fare
il proprio interesse a dispetto di ogni professione od obbligo di altruismo,
sfruttando a proprio beneficio, o al massimo a beneficio dei propri complici,
il potere che gli è attribuito. Nessuno crede più veramente alle chiacchiere di
ogni tipo di organizzatore sociale, ritenendole, appunto, solo chiacchiere. Da chi fa politica si
pretende, così, un ritorno immediato a vantaggio del singolo: soldi per
ciascuno e prima possibile. Ci si è disamorati dei piani a lungo termine, che
caratterizzano in genere la costruzione di grandi opere pubbliche, i cui benefici si spalmano su un
tempo superiore alle vite dei singoli che hanno voce in capitolo per
programmarne i lavori.
Ma,
in questa situazione, la religione ha ancora opportunità, al di là del presentarsi come medicina dell’anima (speranza in genere fallace) o del
fascinare mediante effetti speciali, che siano il prodigioso, il miracolo
eclatante, l’apparizione, o il grande evento di massa costruito intorno a
personalità miracolanti? E’ appunto su questo che dovremmo chiarirci.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli