Elite, oligarchia, aristocrazia, democrazia
La democrazia è una conquista culturale che va rinnovata di generazione
in generazione. Ai tempi nostri si dà molta importanza all’impresa economica,
che è una organizzazione non democratica che però in democrazia trova dei
limiti. Se però le imprese arrivano a controllare le democrazie questi limiti
possono saltare e, allora, le stesse democrazie possono degenerare, perché la
democrazia è fondamentalmente un sistema di limiti.
Le imprese economiche sono organizzazioni che producono e commerciano.
Se le consideriamo nelle relazioni umane al loro interno, possiamo individuare
una loro politica, che consiste nell’organizzare e indirizzare l’attività
d’impresa. Questa politica è simile a quella interna degli stati. Se le
consideriamo nelle relazioni esterne, con i consumatori finali, con le altre
imprese (fornitrici, clienti e concorrenti) e con i poteri pubblici, vediamo
che le imprese hanno anche in questo campo una politica, che è l’orientamento
secondo il quale interagiscono in quei rapporti e che è simile alla politica internazionale degli
stati. L’impresa può essere capitalistica
o non: nel primo caso gli orientamenti sono determinati da chi
nell’impressa ha investito la maggior quota di risorse. Investire significa spendere per
l’organizzazione dell’impresa, aspettandosi un ritorno economico, un profitto:
le risorse investite in questo modo sono il capitale.
Il capitalista è colui che possiede il capitale e,
nella misura del suo investimento, ha potere nel determinare gli orientamenti
dell’impresa. L’impresa non capitalistica è invece un’istituzione pubblica. Le
sue risorse sono tratta dalle entrate tributarie. La sua organizzazione e il
suo orientamento sono determinati dall’ente pubblico che l’ha istituita, che ne
nomina i vertici. Le dotazione di risorse che le viene assegnata per funzionare
non è un capitale, perché non misura
il potere nell’impresa, che è definito dal suo statuto dato dall’ente pubblico
che l’impresa ha fondato, né dall’investimento ci si aspetta un profitto:
l’unica utilità a cui si mira è ciò che l’impresa produce o trasferisce. Quando
in un’economia mista, come fu quella italiana fino agli anni ’90, imprese non
capitalistiche offrono sul mercato beni o servizi a pagamento, competono con le
imprese capitalistiche ma in una condizione di privilegio, perché hanno una
dotazione di risorse assicurate e teoricamente illimitata. Dal 1962 al 1992
l’energia elettrica fu prodotta e distribuita in Italia da un’impresa non
capitalistica, istituita come ente
pubblico economico, in condizione di sostanziale monopolio, fatta eccezione
per le azienda elettriche dei comuni e altre attività marginali di
autoproduzione privata per consumo interno aziendale, a sostegno di processi
produttivi. In ogni impresa è possibile un’analisi economica dei risultati e
questa di solito è importante nella decisione degli orientamenti e nella scelta
dei dirigenti. Lo è meno nell’impresa
non capitalistica, che ha risorse assicurate e quindi può durare anche con
gestioni economicamente in passivo. Nell’impresa capitalistica i risultati
della gestione definiscono anche le possibilità della sua stessa sopravvivenza.
L’impresa costantemente in passivo dilapida il capitale investito e, in
mancanza di nuovi investimenti (che non vengono perché i risultati della
gestione non garantiscono profitti o profitti in linea con quelli ottenibili in
un certo mercato), non ha più risorse per funzionare, deve chiudere, vale a
dire essere posta in liquidazione, o altrimenti diviene insolvente e fallisce. In
generale, nell’impresa capitalistica i capitalistici scelgono dirigenti che
aumentino i profitti, ciò che in genere si ottiene prevalendo sulla
concorrenza, allargando il numero dei consumatori e degli altri clienti,
contrattando prezzi più alti, acquistando a prezzi più bassi materie prime e
altri prodotti e servizi impiegati nella produzione, organizzando processi di
produzione meno costosi, ad esempio con nuove tecnologie, riducendo il costo
del lavoro aumentandone la produttività, ad esempio con l’impiego di macchine e
di processi produttivi automatici, o
riducendone la retribuzione. E’ chiaro
che nell’impresa capitalistica conta stare tra i capitalisti maggiori: questi
ricavano i maggiori benefici e dettano la linea secondo i propri interessi.
Nell’impresa non capitalistica contano le relazioni con l’ente pubblico di
fondazione, che fornisce anche le risorse. Ad ogni livello si cerca di trarre
per sé il maggior beneficio, in particolare intrattenendo buone relazioni con i
livelli superiori. Si ha meno attenzione ai risultati della gestione. I
consumatori finali hanno meno voce e prevalentemente per l’influenza politica
che possono avere sull’ente pubblico che l’impresa ha fondato. Questo si
osserva anche, ad esempio, in alcuni servizi comunali organizzati come imprese
capitalistiche, in cui però il capitalista prevalente o unico sia un ente
pubblico. In generale le politiche d’impresa sono centrate sul particolare, sul
settore in cui l’impresa opera. Questo sfugge a chi vorrebbe prendere ad
esempio le imprese per l’organizzazione degli enti pubblici, che dovrebbero
avere scopi più vasti, e tanto più se sono stati. Poiché nella selezione dei
dirigenti d’impresa contano in qualche modo risultati della gestione
economicamente valutabili, si pensa che
questo metodo possa andar bene anche in altri settori, in particolare nella
politica generale. In realtà i processi di selezione dei dirigenti d’impresa
spesso deludono, dipendendo più che altro dai rapporti di forza tra i
capitalisti, nell’impresa capitalistica, o dalle relazione con l’ente pubblico
fondativo, nell’impresa non capitalistico. Inoltre il dirigente d’impresa, per
formazione e missione, non tiene conto dell’interesse generale di collettività
più grandi dell’impresa di riferimento.
Si vorrebbe organizzare per il meglio l’organizzazione degli stati, che
comprende strutture di governo centrale,
le quali in democrazia comprendono
assemblee parlamentari e uffici esecutivi ministeriali, e una rete di altre
organizzazioni territoriali e di settore, con proprie strutture di direzione, a
volte su base assembleare a volte su base puramente burocratica, di uffici
sovraordinati l’uno all’altro, da un centro a una periferia. Si osserva che
finiscono per comandare in pochi. Un’organizzazione in cui comandano in pochi è
definita oligarchia. La parola deriva dal greco, perché furono gli antichi
greci che, nelle culture europee, iniziarono a ragionare sopra i fatti sociali,
scrivendoci su. Comandano in pochi anche in democrazia: per quanto numerose
siano le assemblee parlamentari, esse sono sempre una quota molto piccola della
popolazione. Certo, in democrazia, le assemblee di vertice, come i parlamenti e
le assemblee degli stati federati negli
federali o delle altre articolazioni di autonomia, sono scelte con procedure di
voto popolare, con le elezioni. Ma una volta elette non sono obbligate a tener
conto della volontà degli elettori e non
ci sono neppure mezzi per capirla in modo affidabile sulle singole questioni.
Li rappresentano, nel senso di renderli presenti, poiché derivano da
una loro scelta, ma non nel senso di esserne solo i portavoce. Del resto sulle
singole questioni occorrono competenza e approfondimenti, che non sono alla
portata di tutti. Altrimenti la gente non farebbe altro che quello. E’ per
questo che nelle antiche democrazie greche si occupava di politica chi era
libero dal lavoro (e questo è sorprendente per la mentalità di oggi. Perché
dunque non scegliere i migliori, vale a dire i più adatti per il
lavoro che c’è da fare. Un governo di pochi che siano anche i migliori è una aristocrazia, altro termine derivato
greco che significa appunto governo dei
migliori. Di solito si segue questo metodo per la scelta dei funzionari
pubblici, attraverso procedure di selezione che sono chiamate concorsi, in cui si fanno degli esami o
si valutano dei titoli di merito e in base a questo risultato si sceglie tra
chi si propone per un certo lavoro. Ma
le procedure elettorali non sono basate su questo criterio e portano ad
emergere gli interessi correnti nella popolazione di riferimento a cui viene
riconosciuto il diritto di voto. Quindi non è detto che portino a scegliere i migliori nel senso che ho detto, anche se a volte è
successo. Nell’ultimo decennio in politica, nelle assemblee elettive, sono stati preferiti coloro che sapevano
interpretare le emozioni correnti tra gli elettori, che in genere erano di
paura per il futuro a causa della lunga recessione economica e dei flussi
migratori verso l’Europa, in particolar dalla vicine coste africane. Questo ha
portato ad una oggettiva diminuzione dei competenti, ma non solo, anche ad una
svalutazione della competenza in sé. Si vede con sospetto chi nel proprio
curriculo, proposto agli elettori per spiegare chi è, inserisce elementi
indicativi di competenza, ad esempio per
gli studi superiori e per passate esperienze professionali. Bisogna capire che
questo ha una ragione, che è collegata con l’affermazione del modello dell’impresa
capitalistica come organizzazione valida in un ambito più vasto di quello della
produzione e del commercio.
I critici della democrazia, che in genere
pensano a sé stessi come ad una aristocrazia, o altrimenti detto con una parola
francese ad una élite, pensano alla
società che deve essere governata dalla politica come composta da una
maggioranza di incompetenti e da una minoranza di competenti, l’élite della società appunto. Poiché nelle procedure
elettive democratiche prevalgono le maggioranze, si pensa che queste ultime
finiscano per esprimere una classe politica di vertice incompetente. Il
problema era stato affrontato anche degli antichi greci: il filosofo greco
Platone, ad esempio, vissuto nel 4° secolo dell’era antica, riteneva migliore
per la società il governo dei filosofi, che non erano gli studiosi che
oggi riteniamo tali, ma quelli che oggi chiamiamo competenti. Bisogna dire che
alle democrazie come le concepivano gli antichi greci partecipavano veramente
solo in pochi, la parte della popolazione che era libera dai lavori considerati
servili, svolti dagli schiavi, che
nelle antiche città greche erano in genere più dei cittadini, dagli artigiani e dalle donne. Quindi quelle democrazie
avevano carattere di oligarchie. Rimanevano tuttavia democrazie perché fondate
su un sistema di limiti del potere delle oligarchie di volta in volta
dominanti. Questi limiti erano anzitutto temporali, quando le cariche erano a
tempo, e valoriali. Nessun potere, in una democrazia, è assoluto, in senso
temporale e in senso valoriale. Questa concezione ancora oggi distingue le
democrazie da altri regimi politici. Le procedure elettive manifestano uno di
questi limiti: periodicamente i poteri supremi devono sottoporvisi. Uno dei
valori principali in democrazia è che nessun potere debba essere assoluto.
Anche le aristocrazie debbono sottoporsi ai limiti democratici, e
rimangono aristocrazie se accettano
quel valore, del potere limitato. Altrimenti rapidamente degenerano: questa è l’esperienza
storica comune, finendo per farsi lecito ogni abuso nel proprio particolare
interesse, pur giustificandolo in qualche modo presentandolo come fatto nell’interesse
generale. Diventano puramente e semplicemente oligarchie, dedite a perpetuare il proprio potere. Di solito hanno
difficoltà a programmare il proprio ricambio, perché anche da anziani, fino a
che si ha un filo di forza, si è restii ad abbandonare il potere. Così
fatalmente le oligarchie finiscono per degenerare in gerontocrazie. Questa la
dinamica che, finora, ha portato alla dissoluzione di ogni regime comunista
storicamente tentato. Le élite del partito concepivano sé stesse come aristocrazie, ma col tempo degenerarono in
oligarchie, che cercavano di produrre il ricambio per cooptazione, coinvolgendo nel potere
gente scelta dall’alto, non con procedure elettive dal basso, e poi in gerontocrazie, con capi assoluti che
intendevano rimanere al potere a vita e giustificavano questa pretesa con la
diffidenza verso il popolo, ritenendo che, consentendogli di esprimersi
liberamente, avrebbe abbandonato il comunismo, contro il suo stesso interesse.
A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 la rapida disgregazione dei regimi
comunisti dell’Europa orientale, in particolare di quello dell’Unione
sovietica, non fu vista come un confronto tra democrazia popolare, che caratterizzava i regimi
politici dell’Europa occidentale, e democrazia
comunista, degenerata in gerontocrazia assolutistica, quindi, in
definitiva, nel suo contrario, ma tra capitalismo e democrazia. Si constatò
infatti che i sistemi politici democratici finivano per esprimere elementi di
socialismo e questo per il loro vitale collegamento con la maggioranza delle popolazioni governate,
nella quale non predominavano di detentori del potere economico, quelli che dal
sistema economico traevano i maggiori profitti. Le democrazie, quindi,
finivano, per imporre al capitalismo dei limiti fondati su valori. Di questo i
capitalisti erano insofferenti. Presentarono sé stessi come una aristocrazia e pretesero più potere, nell’interesse di
tutti. Seguendo la loro impostazione tutti se ne sarebbero avvantaggiati.
Ebbero quindi dalle democrazie questi maggiori poteri. Le stesse democrazie
presero ad organizzarsi prendendo a modello l’impresa capitalistica,
modificando il proprio sistema di valori, in particolare con riferimento a
quello dell’uguaglianza in dignità. Questo portò a maggiori poteri dei governi
ministeriali, al vertice delle burocrazia, a scapito dell’attività di governo
svolta nelle assemblee elettive. I partiti politici stessi iniziarono ad essere
organizzati e ad agire in società come imprese. Le élite di governo, vale a
dire le oligarchie che in questo nuovo ambiente si erano venute affermando e
che giustificavano il proprio potere con la propria competenza, affermando di
essere aristocrazie, divennero a loro
volta insofferenti dei limiti democratici. Iniziarono a simpatizzare con le élite delle imprese e ad assumerne il gergo, i
costumi e lo stesso atteggiamento nei confronti di consumatori e clienti, così ridefiniti i cittadini. Questo fatalmente portò le nuove èlite politiche ad avere
altri interessi di riferimento, invece che quello generale, il proprio, analogamente a quello che accadeva
nelle imprese, dove è l’interesse del capitalista a prevalere. L’ambiente
politico venne poi concepito progressivamente come una sorta di mercato, in cui i partito competevano per il
maggior loro profitto e l’interesse
generale sarebbe stato il risultato di una sorta di mano invisibile, come si
ipotizzava accadesse nelle dinamiche di mercato economico. Tutto questo portò
poi, come del resto era prevedibile, a crescenti diseguaglianze sociali e poi
anche a crescenti sofferenze sociali. Infatti le nuove élite politiche erano restie
ad impiegare risorse pubbliche per finalità puramente assistenziali, senza
ritorno economico, come quelle a favore dei non ancora o non più abili al
lavoro, quelli che nella terminologia dell’attuale dottrina sociale vengono
definiti scarti sociali. Da qui poi
un crescente malessere sociale, intercettato negli ultimi anni da partiti-impresa che vi hanno costruito sopra, con successo, una propria ideologia e un’azione di mercato elettorale, senza però attivare
veramente dinamiche democratiche, elevando il malcontento alla partecipazione
politica, quest’ultima essendo richiesta solo come espressione di un consenso
istantaneo, una X su una scheda elettorale al momento giusto o cliccare su un link. Le dinamiche politiche
democratiche vengono sostituite da tecnologie di marketing elettorali,
mediante le quali, sfruttando la diffusa e persistente connessione tramite
terminali evoluti quali gli smartphone,
si riesce a influire sulle psicologie individuali in modo che condividano
una certa immagine, costruita,
della situazione e ne siano influenzati secondo un certo orientamento. Questo,
pur intercettando il malcontento per il degradare dei valori democratici, ha
finito per aggravare la crisi delle democrazie popolari, allontanando le masse dalle
sedi delle decisioni che contano, inducendole ad essere solo dei recettori
emotivi di stimoli dall’alto. Il correttivo che sarebbe necessario è riprendere
il lavoro di acculturazione delle masse ai valori democratici che, ad esempio,
è stato caratteristico dell’Azione Cattolica dalla sua fondazione. Esso portò,
nel giro una decina d’anni al primo partito politico democratico di massa fondato sui valori diffusi dalla dottrina sociale, il Partito
Popolare Italiano di Luigi Sturzo, fondato nel 1919 (la fondazione dell’Azione
Cattolica risale al 1906). Nella prima organizzazione dell’Azione Cattolica
ebbe un ruolo determinante il beato Giuseppe Toniolo, con Romolo Murri, uno dei
primi teorici di una democrazia cristiana (1), vale a dire di una
democrazia fondata sui valori della dottrina sociale.
Mario Ardigò - Azione Cattolica
in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
(1) di Giuseppe Toniolo:
Programma dei cattolici di fronte al socialismo (1894);
Indirizzi e concetti sociali all'esordire del secolo XX (1900);
La democrazia cristiana (1900);
Provvedimenti sociali popolare (1902), pubblicato anche in Democrazia cristiana. Istituti e forme, Editrice Vaticana 1951.
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Èlite, oligarchy,
aristocracy, democracy
Democracy is a
cultural achievement that must be renewed from generation to generation. In our
time, we place great importance on the economic enterprise, which is a
non-democratic organization which, in democracy, finds limits. But if companies
come to control democracies, these limits can skip and, then, the same
democracies can degenerate, because democracy is basically a system of limits.
Economic enterprises
are organizations that produce and trade. If we consider them in human
relations within them, we can identify their own policy, which consists in
organizing and directing business activity. This policy is similar to the
internal one of the states. If we consider them in external relations, with
final consumers, with other companies (suppliers, customers and competitors)
and with the public authorities, we see that companies also have a policy in
this field, which is the orientation according to which they interact in those
relationships and that is similar to the international politics of the states.
The enterprise can be capitalist or not: in the first case, the guidelines are
determined by those who have invested the largest share of resources in the
company. Investing means spending for the organization of the company,
expecting an economic return, a profit: the resources invested in this way are
capital. The capitalist is the one who owns the capital and, to the extent of
his investment, has power in determining the firm's guidelines. The
non-capitalist firm is instead a public institution. Its resources are taken
from tax revenues. Its organization and orientation are determined by the
public body that established it, which appoints its leaders. The allocation of
resources that is assigned to it is not capital, because it does not measure
the power in the company, which is defined by its statute given by the public
body that the company has founded, nor is the investment expected profit: the
only utility aimed at is what the company produces or transfers. When in a
mixed economy, as was the Italian one until the 1990s, non-capitalist firms
offer paid goods or services on the market, they compete with capitalist
enterprises but in a privileged condition, because they have an endowment of
assured resources and theoretically unlimited. From 1962 to 1992, electricity
was produced and distributed in Italy by a non-capitalist company, established
as an economic public body, in a condition of substantial monopoly, with the
exception of the municipal electricity companies and other marginal private
self-production activities for consumption company internal, in support of
production processes. In every enterprise an economic analysis of the results
is possible and this is usually important in the decision of the guidelines and
in the choice of the managers. It is less so in the non-capitalist company,
which has insured resources and therefore can also last economically in
liabilities. In the capitalist enterprise the management results also define
the possibilities of its own survival. The company constantly in deficit pass
the capital invested and, in the absence of new investments (which do not come
because the management results do not guarantee profits or profits in line with
those obtainable in a certain market), it has no more resources to function, it
must to close, that is to say put in liquidation, or otherwise it becomes
insolvent and fails. In general, capitalists choose capitalists in the
capitalist enterprise to increase profits, which is generally achieved by
prevailing over competition, by enlarging the number of consumers and other
customers, negotiating higher prices, buying raw materials and other
commodities at lower prices. products and services used in production,
organizing less expensive production processes, for example with new technologies,
reducing labor costs by increasing their productivity, for example by using
machines and automatic production processes, or by reducing pay. It is clear
that in the capitalist enterprise it counts to be among the major capitalists:
they derive the greatest benefits and dictate the line according to their own
interests. In the non-capitalist firm, relations with the public foundation
body, which also provides resources, count. At each level we try to draw the
greatest benefit for ourselves, in particular by maintaining good relations
with the higher levels. There is less attention to the results of the
management. Final consumers have less voice and predominantly due to the
political influence they may have on the public body that the company has founded.
This is also observed, for example, in some municipal services organized as
capitalist enterprises, in which however the prevailing or sole capitalist is a
public body. In general, business policies are centered on the particular, on
the sector in which the company operates. This escapes those who would like to
take companies for example for the organization of public bodies, which should
have wider goals, and even more so if they have been. Since in the selection of
business leaders somehow they have economically evaluable results of
management, it is thought that this method will also work well in other
sectors, particularly in general policy. In reality, the processes of selection
of business leaders often disappoint, depending more than anything else on the
balance of power among the capitalists, in the capitalist enterprise, or in the
relationship with the founding public body, in the non-capitalist enterprise.
Moreover, the manager of a company, by training and mission, does not take into
account the general interest of larger communities of the reference company.
The organization of states, which
includes central government structures, which in democracy include
parliamentary assemblies and ministerial executive offices, and a network of
other territorial and sectoral organizations, with its own management
structures, sometimes would be best organized. on an assembly basis, sometimes
on a purely bureaucratic basis, of superordinate offices to one another, from a
center to a periphery. It is observed that they end up in order to command a
few. An organization in which few command is called oligarchy. The word derives
from the Greek, because it was the ancient Greeks who, in European cultures,
began to reason about social facts, writing about them. In a few, they also
command democracy: although there are many parliamentary assemblies, they are
always a very small part of the population. Of course, in democracy, summit
meetings, such as parliaments and assemblies of federated states in the
federals or other autonomous articulations, are chosen with popular voting
procedures, with elections. But once they are elected they are not obliged to
take into account the wishes of the voters and there are not even any means to
understand it reliably on individual issues. They represent them, in the sense
of making them present, because they derive from their choice, but not in the
sense of being only the spokesmen. Moreover, on the single issues we need
expertise and insights, which are not available to everyone. Otherwise people
would do nothing but that. This is why in the ancient Greek democracies
politics was occupied by those who were free from work (and this is surprising
for the mentality of today, so why not choose the best ones, that is to say the
most suitable for the work that A government of a few who are also the best is
an aristocracy, another Greek derivative term which means precisely the
government of the best.This usually follows this method for the selection of
public officials, through selection procedures that are called competitions, in
which tests are carried out or qualifications are evaluated, and based on this
result, one chooses between those proposing for a certain job, but the
electoral procedures are not based on this criterion and lead to the emergence
of the current interests in the reference population at which the right to vote
is recognized, so it is not said that they lead to choose the best in the sense
that I have said, even if sometimes it happened. In the elective assemblies, those
who knew how to interpret the current emotions among voters were preferred, who
were generally afraid of the future because of the long economic recession and
migratory flows to Europe, especially from the nearby African coasts. . This
led to an objective reduction of the competent, but not only, also to a
devaluation of the competence itself. One sees with suspicion those who in
their curricula, proposed to voters to explain who he is, insert indicative
elements of competence, for example for higher studies and for past
professional experiences. It must be understood that this has a reason, which
is connected with the affirmation of the model of capitalist enterprise as a
valid organization in a broader context than that of production and commerce.
Critics of democracy, who
generally think of themselves as an aristocracy, or otherwise spoken with a
French word to an elite, think of the society that must be governed by politics
as composed of a majority of incompetents and a minority of competent , the elite
of society. Since the majorities prevail in the democratic elective procedures,
it is thought that these last ones end up expressing a political class of
incompetent summit. The problem had also been dealt with by the ancient Greeks:
the Greek philosopher Plato, for example, who lived in the 4th century of the
ancient era, believed that the government of the philosophers, who were not the
scholars we think of today, was better for society that today we call
competent. It must be said that the democracies as the ancient Greeks conceived
them took part only in a few, the part of the population that was free from the
jobs considered servile, carried out by slaves, which in the ancient Greek
cities were generally more than citizens, by artisans and women . So those
democracies were oligarchies. However, democracies remained because they were
founded on a system of limits to the power of the ruling oligarchies from time
to time. These limits were above all temporal, when the charges were timed, and
values. No power, in a democracy, is absolute, in a temporal sense and in a
sense of value. This concept still distinguishes democracies from other
political regimes today. Elective procedures manifest one of these limits:
periodically the supreme powers must submit to it. One of the main values in
democracy is that no power should be absolute. Even the aristocracies must
undergo democratic limits, and remain aristocracies if they accept that value,
limited power. Otherwise they quickly degenerate: this is the common historical
experience, ending up permitting any abuse in one's particular interest, while
justifying it in some way by presenting it as a fact in the general interest.
They become purely and simply oligarchies, dedicated to perpetuating their
power. They usually find it difficult to plan their own turnover, because even
when they are elderly, as long as there is a thread of strength, one is
reluctant to abandon power. So fatally, the oligarchies end up degenerating
into gerontocracies. This is the dynamic that has so far led to the dissolution
of every historically attempted communist regime. The party elites conceived
themselves as aristocracies, but in time they degenerated into oligarchies,
which sought to produce the cooptation replacement, involving people chosen
from above in power, not with elective procedures from below, and then in
gerontocracies, with absolute leaders. who wished to remain in power for life
and justified this claim with distrust of the people, believing that, by
allowing him to express himself freely, he would abandon communism, against his
own interest.
Between the 1980s and 1990s, the rapid disintegration of the communist
regimes in Eastern Europe, in particular that of the Soviet Union, was not seen
as a confrontation between popular democracy, which characterized the political
regimes of Western Europe, and communist democracy, degenerated into absolutist
gerontocracy, then, ultimately, in its opposite, but between capitalism and
democracy. In fact, it was found that democratic political systems ended up
expressing elements of socialism and this for their vital connection with the
majority of the governed populations, in which they did not predominate by
holders of economic power, those who derived the greatest profits from the economic
system. The democracies, therefore, ended up imposing limits based on values
on capitalism. Of this the capitalists were intolerant. They presented
themselves as an aristocracy and demanded more power in the interests of all.
Following their setting, everyone would benefit from it. They had therefore
these greater powers from the democracies. The same democracies began to
organize themselves taking as a model the capitalist enterprise, modifying its
own system of values, in particular with reference to that of equality in
dignity. This led to greater powers of the ministerial governments, at the top
of the bureaucracy, to the detriment of the government activity carried out in
the elective assemblies. The political parties themselves began to be organized
and to act in companies as companies. The ruling elites, that is to say, the
oligarchies that in this new environment had come to affirm and who justified
their power with their own competence, claiming to be aristocracies, became in
turn intolerant of democratic limits. They began to sympathize with the elites
of companies and to assume the jargon, the customs and the same attitude
towards consumers and customers, thus redefining citizens. This fatally led the
new political elites to have other interests of reference, rather than the
general one, their own, analogously to what happened in business, where the
capitalist's interest prevailed. The political environment was then
progressively conceived as a sort of market, in which the parties competed for their
greater profits and the general interest would have been the result of a sort
of invisible hand, as it was supposed to happen in the dynamics of the economic
market. All this then led, as was expected, to growing social inequalities and
then also to growing social suffering. In fact, the new political elites were
reluctant to use public resources for purely welfare purposes, without economic
return, such as those in favor of those not yet able to work, those that are
defined social discards in the terminology of the current social doctrine.
Hence a growing social malaise, intercepted in recent years by
parties-companies that have successfully built up their own ideology and
electoral market action, without actually activating democratic dynamics, raising
the discontent to political participation, the latter being required only as an
expression of instant consent, an X on a ballot at the right time or click on a
link. The democratic political dynamics are replaced by electoral marketing
technologies, through which, exploiting the widespread and persistent
connection through advanced terminals such as smartphones, it is possible to
influence the individual psychologies so that they share a certain image,
constructed, of the situation and are influenced according to a certain
orientation. This, while intercepting the discontent for the degradation of
democratic values, has ended up aggravating the crisis of popular democracies,
pushing the masses away from the seats of the decisions that count, causing them
to be only the emotional receptors of stimuli from above. The corrective that
would be necessary is to resume the work of acculturating the masses to
democratic values which, for example, has been characteristic of Catholic
Action since its foundation. In the space of about ten years, it led to the
first mass democratic political party founded on the values diffused by the
social doctrine, the Italian Popular Party of Luigi Sturzo, founded in 1919
(the foundation of Catholic Action dates back to 1906). Blessed Giuseppe
Toniolo played a decisive role in the first organization of Catholic Action,
with Romolo Murri, one of the first theoreticians of a Christian democracy (1),
that is to say of a democracy founded on the values of social doctrine.
Mario Ardigò - Catholic Action in
San Clemente Pope - Rome, Monte Sacro, Valli.
(1) by Giuseppe Toniolo:
Program of Catholics
in the face of socialism (1894);
Addresses and social
concepts at the beginning of the Twentieth century (1900);
Christian Democracy
(1900);
Popular social
measures (1902), also published in Christian
Democracy. Institutes and forms, Vatican Publishing 1951
Élite, oligarquía,
aristocracia, democracia.
La democracia es un logro
cultural que debe renovarse de generación en generación. En nuestro tiempo,
damos mucha importancia a la empresa económica, que es una organización no
democrática que, en democracia, encuentra límites. Pero si las empresas
controlan las democracias, estos límites pueden saltar y, entonces, las mismas
democracias pueden degenerar, porque la democracia es básicamente un sistema de
límites.
Las empresas
económicas son organizaciones que producen y comercializan. Si los consideramos
en las relaciones humanas dentro de ellos, podemos identificar su propia
política, que consiste en organizar y dirigir la actividad empresarial. Esta
política es similar a la interna de los estados. Si los consideramos en las
relaciones externas, con los consumidores finales, con otras empresas
(proveedores, clientes y competidores) y con las autoridades públicas, vemos
que las empresas también tienen una política en este campo, que es la orientación
según la cual interactúan. En esas relaciones y eso es similar a la política
internacional de los estados. La empresa puede ser capitalista o no: en el
primer caso, las directrices están determinadas por quienes han invertido la
mayor parte de los recursos en la empresa. Invertir significa gastar para la
organización de la empresa, esperando un rendimiento económico, un beneficio:
los recursos invertidos de esta manera son el capital. El capitalista es el que
posee el capital y, en la medida de su inversión, tiene poder para determinar
las pautas de la empresa. La firma no capitalista es, en cambio, una
institución pública. Sus recursos son tomados de los ingresos fiscales. Su
organización y orientación están determinadas por el organismo público que lo
estableció, que designa a sus líderes. La asignación de recursos que se le
asigna no es capital, ya que no mide el poder en la empresa, que está definido
por el estatuto otorgado por el organismo público que la empresa ha fundado, ni
la inversión esperada beneficio: la única utilidad destinada a lo que la
empresa produce o transfiere. Cuando en una economía mixta, como lo era la
italiana hasta la década de 1990, las empresas no capitalistas ofrecen bienes o
servicios pagados en el mercado, compiten con las empresas capitalistas pero en
una condición privilegiada, porque cuentan con una dotación de recursos
asegurados y, en teoría, ilimitado. Desde 1962 hasta 1992, la electricidad fue
producida y distribuida en Italia por una empresa no capitalista, establecida
como un organismo público económico, en una condición de monopolio sustancial,
con la excepción de las compañías municipales de electricidad y otras
actividades marginales privadas de autoproducción para el consumo. Empresa
interna, en apoyo a los procesos de producción. En cada empresa es posible un
análisis económico de los resultados y esto suele ser importante en la decisión
de las directrices y en la elección de los gerentes. Lo es menos en la empresa
no capitalista, que tiene recursos asegurados y, por lo tanto, también puede
durar económicamente en pasivos. En la empresa capitalista, los resultados de
la gestión también definen las posibilidades de su propia supervivencia. La
empresa constantemente en déficit pasa el capital invertido y, en ausencia de
nuevas inversiones (que no se producen porque los resultados de la
administración no garantizan las ganancias o las ganancias en línea con las que
se pueden obtener en un determinado mercado), no tiene más recursos para
funcionar, debe para cerrar, es decir, poner en liquidación, o de lo contrario
se convierte en insolvente y falla. En general, los capitalistas eligen a los
capitalistas en la empresa capitalista para aumentar las ganancias, que
generalmente se logra prevaleciendo sobre la competencia, al aumentar el número
de consumidores y otros clientes, negociar precios más altos, comprar materias
primas y otros productos a precios más bajos. productos y servicios utilizados
en la producción, organizando procesos de producción menos costosos, por
ejemplo con nuevas tecnologías, reduciendo los costos de mano de obra al
aumentar su productividad, por ejemplo, utilizando máquinas y procesos de
producción automáticos, o reduciendo los salarios. Está claro que en la empresa
capitalista se cuenta entre los principales capitalistas: obtienen los mayores
beneficios y dictan la línea de acuerdo con sus propios intereses. En la firma
no capitalista, las relaciones con el organismo de la fundación pública, que
también proporciona recursos, cuentan. En cada nivel intentamos obtener el
mayor beneficio para nosotros mismos, en particular manteniendo buenas
relaciones con los niveles más altos. Hay menos atención a los resultados de la
gestión. Los consumidores finales tienen menos voz y predominantemente debido a
la influencia política que pueden tener en el organismo público que la compañía
ha fundado. Esto también se observa, por ejemplo, en algunos servicios
municipales organizados como empresas capitalistas, en las que, sin embargo, el
capitalista predominante o único es un organismo público. En general, las
políticas comerciales se centran en lo particular, en el sector en el que opera
la empresa. Esto escapa a aquellos que quisieran tomar empresas, por ejemplo,
para la organización de organismos públicos, que deberían tener objetivos más
amplios, y más aún si lo han sido. Dado que, en la selección de líderes
empresariales, de alguna manera tienen resultados de gestión económicamente
evaluables, se cree que este método también funcionará bien en otros sectores,
particularmente en la política general. En realidad, los procesos de selección
de líderes empresariales a menudo decepcionan, dependiendo más que nada del
equilibrio de poder entre los capitalistas, en la empresa capitalista o en la
relación con el organismo público fundador, en la empresa no capitalista.
Además, el gerente de una compañía, por capacitación y misión, no toma en
cuenta el interés general de las comunidades más grandes de la compañía de
referencia.
La organización de estados, que incluye
estructuras del gobierno central, que en democracia incluyen asambleas
parlamentarias y oficinas ejecutivas ministeriales, y una red de otras
organizaciones territoriales y sectoriales, con sus propias estructuras de
gestión, a veces se organizaría mejor. sobre una base de montaje, a veces sobre
una base puramente burocrática, de cargos superiores entre sí, desde un centro
a una periferia. Se observa que terminan para mandar a unos pocos. Una
organización en la que pocos comandos se llama oligarquía. La palabra deriva
del griego, porque fueron los antiguos griegos quienes, en las culturas
europeas, comenzaron a razonar sobre los hechos sociales, escribiendo sobre
ellos. En algunos, también dominan la democracia: aunque hay muchas asambleas
parlamentarias, siempre son una parte muy pequeña de la población. Por
supuesto, en la democracia, las reuniones en la cumbre, como parlamentos y
asambleas de estados federados en los federales u otras articulaciones
autónomas, se eligen con procedimientos de votación populares, con elecciones.
Pero una vez que son elegidos, no están obligados a tomar en cuenta los deseos
de los votantes y ni siquiera hay medios para entenderlo de manera confiable en
asuntos individuales. Los representan, en el sentido de hacerlos presentes,
porque se derivan de su elección, pero no en el sentido de ser solo los
portavoces. Además, en los temas individuales necesitamos conocimientos e
ideas, que no están disponibles para todos. De lo contrario, la gente no haría
nada más que eso. Esta es la razón por la que en las antiguas democracias
griegas la política estaba ocupada por quienes estaban libres del trabajo (y
esto es sorprendente para la mentalidad de hoy, por qué no elegir a los
mejores, es decir, el más adecuado para el trabajo que Un gobierno de unos
pocos que también son los mejores es una aristocracia, otro término griego
derivado que significa precisamente el gobierno de los mejores. Esto
generalmente sigue este método para la selección de funcionarios públicos, a
través de procedimientos de selección que se llaman competencias, en los cuales
se realizan pruebas o se evalúan las calificaciones, y en función de este
resultado, se elige entre las personas que proponen un determinado trabajo,
pero los procedimientos electorales no se basan en este criterio y conducen a
la aparición de los intereses actuales en la población de referencia en que se
reconoce el derecho al voto, por lo que no se dice que conduzcan a elegir lo
mejor en el sentido que he dicho, aunque a veces sucedió. En las asambleas
electivas, se prefería a los que sabían cómo interpretar las emociones actuales
entre los votantes, quienes generalmente temían el futuro debido a la larga
recesión económica y los flujos migratorios a Europa, especialmente de las
costas africanas cercanas. . Esto llevó a una reducción objetiva de la
competencia, pero no solo, también a una devaluación de la competencia misma.
Uno ve con sospecha a quienes en sus planes de estudio, propusieron a los
votantes explicar quién es él, insertan elementos indicativos de competencia,
por ejemplo, para estudios superiores y para experiencias profesionales
pasadas. Debe entenderse que esto tiene una razón, que está conectada con la
afirmación del modelo de empresa capitalista como una organización válida en un
contexto más amplio que el de la producción y el comercio.
Los críticos de la democracia,
que generalmente se consideran a sí mismos como una aristocracia, o que de otra
manera hablan con una palabra francesa a una élite, piensan que la sociedad que
debe ser gobernada por la política está compuesta por una mayoría de
incompetentes y una minoría de competentes. , la elite de la sociedad. Dado que
las mayorías prevalecen en los procedimientos electivos democráticos, se piensa
que estos últimos terminan expresando una clase política de cumbre
incompetente. El problema también había sido tratado por los antiguos griegos:
el filósofo griego Platón, por ejemplo, que vivió en el siglo IV de la era
antigua, creía que el gobierno de los filósofos, que no eran los eruditos que
pensamos hoy, era mejor para la sociedad. que hoy llamamos competentes. Hay que
decir que las democracias tal como las concibieron los antiguos griegos
participaron solo en unas pocas, la parte de la población que estaba libre de
los trabajos considerados serviles, llevados a cabo por esclavos, que en las
antiguas ciudades griegas eran generalmente más que ciudadanos, artesanos y
mujeres. . Así que esas democracias eran oligarquías. Sin embargo, las
democracias se mantuvieron porque se fundaron en un sistema de límites al poder
de las oligarquías gobernantes de vez en cuando. Estos límites eran sobre todo
temporales, cuando se cronometraban las cargas, y los valores. Ningún poder, en
una democracia, es absoluto, en un sentido temporal y en un sentido de valor.
Este concepto aún distingue a las democracias de otros regímenes políticos de
hoy. Los procedimientos electivos manifiestan uno de estos límites:
periódicamente los poderes supremos deben someterse a ello. Uno de los
principales valores en la democracia es que ningún poder debe ser absoluto.
Incluso las aristocracias deben someterse a límites democráticos, y seguir
siendo aristocracias si aceptan ese valor, el poder limitado. De lo contrario,
rápidamente se degeneran: esta es la experiencia histórica común, y termina
permitiendo cualquier abuso en el interés particular de uno, al tiempo que lo
justifica de alguna manera presentándolo como un hecho de interés general. Se
convierten en puras y simplemente oligarquías, dedicadas a perpetuar su poder.
Por lo general, les resulta difícil planificar su propio volumen de negocios,
porque incluso cuando son mayores, siempre que haya un hilo de fuerza, uno se
muestra reacio a abandonar el poder. Tan fatalmente, las oligarquías terminan
degenerando en gerontocracias. Esta es la dinámica que hasta ahora ha conducido
a la disolución de todos los regímenes comunistas históricamente intentados.
Las elites del partido se concibieron a sí mismas como aristocracias, pero con
el tiempo degeneraron en oligarquías, que buscaban producir el reemplazo de la
cooptación, involucrando a personas elegidas desde arriba en el poder, no con
procedimientos electivos de abajo, y luego en gerontocracias con líderes
absolutos. Quiso permanecer en el poder por la vida y justificó esta afirmación
con desconfianza de la gente, creyendo que, al permitirle expresarse
libremente, abandonaría el comunismo, en contra de su propio interés.
Entre los años 80 y 90, la rápida
desintegración de los regímenes comunistas en Europa del Este, en particular el
de la Unión Soviética, no fue vista como una confrontación entre la democracia
popular, que caracterizó a los regímenes políticos de Europa Occidental. y la
democracia comunista, degenerada en gerontocracia absolutista, luego, en última
instancia, en su opuesto, pero entre el capitalismo y la democracia. De hecho,
se descubrió que los sistemas políticos democráticos terminaban expresando
elementos del socialismo y esto por su conexión vital con la mayoría de las
poblaciones gobernadas, en las que no predominaban los tenedores del poder
económico, quienes obtenían las mayores ganancias del sistema económico. Las
democracias, por lo tanto, terminaron imponiendo límites basados en valores
sobre el capitalismo. De esto los capitalistas fueron intolerantes. Se
presentaron como una aristocracia y exigieron más poder en interés de todos.
Siguiendo su configuración, todos se beneficiarían de ello. Tenían por tanto
estos mayores poderes de las democracias. Las mismas democracias comenzaron a
organizarse tomando como modelo la empresa capitalista, modificando su propio
sistema de valores, en particular con referencia a la igualdad en dignidad.
Esto condujo a mayores poderes de los gobiernos ministeriales, en la cima de la
burocracia, en detrimento de la actividad gubernamental llevada a cabo en las
asambleas electivas. Los propios partidos políticos comenzaron a organizarse ya
actuar en las empresas como empresas. Las elites gobernantes, es decir, las
oligarquías que en este nuevo entorno habían llegado a afirmar y que
justificaban su poder con su propia competencia, afirmando ser aristocracias,
se volvieron a su vez intolerantes a los límites democráticos. Comenzaron a
simpatizar con las élites de las empresas y a asumir la jerga, las costumbres y
la misma actitud hacia los consumidores y los clientes, redefiniendo así a los
ciudadanos. Esto llevó fatalmente a las nuevas élites políticas a tener otros
intereses de referencia, en lugar del general, los suyos, análogamente a lo que
sucedía en los negocios, donde prevalecía el interés del capitalista. El
ambiente político se concibió progresivamente como una especie de mercado, en
el que los partidos compitieron por sus mayores ganancias y el interés general
habría sido el resultado de una especie de mano invisible, como se suponía que
sucedería en la dinámica del mercado económico. Todo esto condujo, como se
esperaba, a crecientes desigualdades sociales y luego también a un creciente
sufrimiento social. De hecho, las nuevas élites políticas se mostraron reacias
a usar los recursos públicos con fines puramente de bienestar, sin retorno
económico, como aquellos a favor de aquellos que aún no pueden trabajar,
aquellos que están definidos como descartes sociales en la terminología de la
doctrina social actual. De ahí un creciente malestar social, interceptado en
los últimos años por los partidos-compañías que han construido exitosamente su
propia ideología y acción de mercado electoral, sin activar realmente las
dinámicas democráticas, elevando el descontento a la participación política,
este último se requiere solo como una expresión de consentimiento instantáneo,
una X en una boleta en el momento adecuado o haga clic en un enlace. Las dinámicas
políticas democráticas son reemplazadas por tecnologías de marketing electoral,
a través de las cuales, al explotar la conexión generalizada y persistente a
través de terminales avanzados como los teléfonos inteligentes, es posible
influir en las psicologías individuales para que compartan una imagen
determinada, construida, de la situación y Se influyen de acuerdo a una cierta
orientación. Esto, al tiempo que interceptaba el descontento por la degradación
de los valores democráticos, terminó agravando la crisis de las democracias
populares, alejando a las masas de los asientos de las decisiones que cuentan,
lo que hace que sean solo los receptores emocionales de los estímulos desde
arriba. Lo correctivo que sería necesario es reanudar el trabajo de aculturar a
las masas a los valores democráticos que, por ejemplo, ha sido característico
de la Acción Católica desde su fundación. En el espacio de unos diez años,
condujo al primer partido político democrático de masas fundado en los valores
difundidos por la doctrina social, el Partido Popular Italiano de Luigi Sturzo,
fundado en 1919 (la fundación de la Acción Católica se remonta a 1906). El
beato Giuseppe Toniolo desempeñó un papel decisivo en la primera organización
de Acción Católica, con Romolo Murri, uno de los primeros teóricos de una
democracia cristiana (1), es decir, de una democracia fundada en los valores de la
doctrina social.
Mario Ardigò - Acción católica de
la parroquia Papa San Clemente - Roma, Monte Sacro, Valli
1) por Giuseppe Toniolo:
Programa de católicos
frente al socialismo (1894);
Direcciones y
conceptos sociales a principios del siglo XX (1900);
Democracia Cristiana
(1900);
Medidas sociales
populares (1902), también publicadas en Democracia
cristiana. Institutos y formas, Editorial Vaticana 1951.