Capodanno
Capodanno
è un nuovo inizio del ciclico
computo dei mesi, che corrisponde più o meno alle stagioni del nostro ambiente
naturale ma che potrebbe essere diverso, volendo dare importanza ad altri
aspetti della vita sociale. Il computo degli anni, invece, corre in avanti
senza limiti, non è ciclico, parte da un inizio ormai molto lontano nel tempo,
ne abbiamo contati 2019. Si prende occasione del Capodanno per farne memoria,
anche liturgica. Il Capodanno è infatti l’ultimo giorno dell’Ottava di Natale,
in cui si celebra sempre uno stesso evento, il Natale. Il Vangelo della Messa
di oggi, nella solennità dedicata a Maria Santissima Madre di Dio, è lo stesso della Messa detta dell’Aurora di Natale, con l’aggiunta
del versetto 21 (dal Vangelo secondo Luca, 2, 16-21):
[16] Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e
Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia.[17] E dopo averlo visto,
riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. [18] Tutti
quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. [19]
Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. [20]
I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che
avevano udito e visto, com'era stato detto loro.
[21] Quando
furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo
nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel
grembo della madre.
[trad.it. CEI 2008]
Questo modo di contare
gli anni è quindi specificamente cristiano.
Il computo dei mesi invece no, tanto che Gennaio
era in origine dedicato al dio Giano. Non c’è nessun mese del nostro
calendario che sia stato denominato o ridenominato secondo la teologia dei
cristiani e questo ha un senso, come spiegherò. In Europa si iniziò ufficialmente a contare gli anni dalla data
della nascita stimata di Gesù, dal suo giorno natale, in sostanza quindi
dal Natale, tra l’Ottavo e il Nono
secolo, dopo che, nel corso di vari Concili ecumenici, si era approfondito il
senso della figura di Gesù come il Cristo atteso dalla fede. In sostanza:
prendendo lo spunto dall’evento del nuovo inizio ciclico, annuale, nel computo
dei mesi si fa memoria di un altro inizio, quella della nuova era introdotta
dall’evento originario del Natale. Questo nuovo inizio è molto più
significativo dell’altro, quello del
ciclo dei mesi, perché non si ripete. Ha un valore anche teologico che
investe il tempo precedente. E’ l’immagine di una nuova umanità che si è
iniziata a pensare dal Primo secolo della nostra era, quella cristiana. Questo modo di contare gli anni si è poi
diffuso a livello planetario, senza che, in altre culture, se ne colga più il
senso religioso. Questo ha seguito l’espansione globale della potenza degli
europei. Globalizzato il computo, anche questi ultimi hanno cominciato a perdere
consapevolezza della ragione del suo inizio in una certa epoca, quindi del suo
collegamento con il Natale. Chi partecipa consapevolmente alla liturgia la
capisce bene, proprio perché il Capodanno è inserito nell’Ottava di Natale.
Nell’antica Roma, il
trascorrere del tempo e il suo computo avevano anche un significato religioso,
tanto che il calendario era affidato ad un ordine di sacerdoti, i Pontefici. Una importante riforma del
calendario fu realizzata nell’anno 46 dell’era antica da Giulio Cesare, nella
qualità di Pontefice massimo, di capo
di quell’ordine. Il calendario che oggi abbiamo in uso in Italia fu riformato
poi da un altro Pontefice massimo, ma
in senso cristiano, vale a dire dal papa Gregorio 13°, nel 1582. Più o meno in
tutte le culture si riscontra questo
significato religioso che determina poi anche il modo in cui si festeggia il passaggio da un
anno all’altro, nei ciclico succedersi delle stagioni. Si attribuisce,
sostanzialmente, un significato magico-religioso
a questo evento. Esso in origine mancava nell’ideologia del calendario secondo la teologia cristiana: in essa era
veramente importante, da un punto di vista religioso, solo l’evento
fondativo della nuova era, collocato
molto lontano nel tempo e collegato ad un mistero irripetibile quale l’Incarnazione.
Se ne poteva solo fare memoria. Non
era previsto l’intervento successivo di potenze celesti nel passaggio da un
anno all’altro. Globalizzandosi il calendario ci è rifluita da altre culture la magia del calendario, e
ora è anche da noi all’origine di alcune usanze di significato specificamente
magico, come i botti, l’uso di indossare indumenti particolari o di fracassare
ritualmente oggetti usati o di dar loro fuoco. Va ricordato che anche nell’antica
Roma, dalla fine dell’era repubblicana, nel Primo secolo dell’era antica, l’inizio
dell’era corrente, e quindi del computo degli anni, venne collocato molto
indietro nel tempo, all’anno stimato della fondazione della città. Per la gente comune, comunque, era molto più
importante il computo del ciclo dei mesi che quello degli anni, del quale in
genere, a differenza che ai tempi nostri, non aveva chiara consapevolezza.
In definitiva, che accade a Capodanno? Nulla di veramente nuovo: il
trascorrere delle stagioni non lo è. E’ un’occasione per far festa, questo sì.
Da un lato perché si attribuisce carattere magico
alla ripresa del calendario da
gennaio: si spera fantasiosamente che
questo possa portare bene. Ma il
passato non è, in realtà, veramente passato,
e il tempo continua a scorrere senza interruzioni di continuità, come un fiume.
La fiducia che il nuovo inizio possa significare, magicamente, la fine dei
mali passati a prescindere da un nostro impegno collettivo secondo principi e
valori è del tutto infondata. D’altro lato perché c’è la memoria del Natale,
che ha segnato veramente un nuovo inizio e può segnarlo ancora nella vita di
ciascuno se ci si lascia coinvolgere dalla sua spiritualità, riuscendo a
condividere l’immagine di nuova umanità a cui è legato, quella di un’umanità
fraterna, tanto distante dalla nostra biologia di antiche belve che ci vorrebbe
tutti in lotta contro tutti. La fraternità e la pace universale sono importanti
valori e, insieme, il grande anelito del
Natale, anche a Capodanno se di quell’evento
si riesce ancora a fare memoria in
questo giorno, da cristiani. Riteniamo di riceverli come dono dal Cielo, perché
ce ne sentiamo tanto incapaci, sia nella vita quotidiana che in quella sociale,
fino alla politica internazionale. La salvezza che ci è stata promessa e che
invochiamo facendo memoria del Natale li include. Quando perseveriamo nell’invocare
“Liberaci dal male” e anche questo
che intendiamo. Con questo anelito di pace il parroco ha
concluso la Messa di ieri, nella vigilia della solennità di oggi, dopo la
lettura del Te Deum. Pace tra noi in parrocchia, e rimangono
problemi, non riusciamo ancora a dare un’immagine corale di noi, siamo una
parrocchia particolare, ha detto, ma pace anche
intorno a noi, in ogni società fino ad arrivare al mondo intero, secondo gli auspici che determinarono san
Paolo 6°, nel 1967, a istituire il 1
gennaio come Giornata mondiale della
pace, poiché, scrisse nel primo messaggio per quell’evento (lo trascrivo
integralmente più avanti), «per il cristiano proclamare
la Pace è annunciare Gesù Cristo», ed ecco il collegamento con il Natale.
Infatti, scrisse ancora, in quel documento,
«Pace […] proclama
i più alti ed universali valori della vita; la verità, la giustizia, la
libertà, l'amore.
Ed è per la
tutela di questi valori che Noi li poniamo sotto il vessillo della pace, e che
invitiamo uomini e Nazioni, e innalzare, all'alba dell'anno nuovo, questo
vessillo, che deve guidare la nave della civiltà, attraverso le inevitabili
tempeste della storia, al porto delle sue più alte mete.»
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
PAOLO VI
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
I GIORNATA DELLA PACE
1°
GENNAIO 1968
1°
GENNAIO: GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
Ci rivolgiamo a tutti gli uomini di buona
volontà per esortarli a celebrare "La Giornata della Pace", in
tutto il mondo, il primo giorno dell'anno civile, 1° gennaio 1968.
Sarebbe Nostro desiderio che poi, ogni anno,
questa celebrazione si ripetesse come augurio e come promessa - all'inizio del
calendario che misura e descrive il cammino della vita umana nel tempo - che
sia la Pace con il suo giusto e benefico equilibrio a dominare lo svolgimento
della storia avvenire:
Noi pensiamo che la proposta interpreti le
aspirazioni dei Popoli, dei loro Governanti, degli Enti internazionali che
attendono a conservare la pace nel mondo, delle Istituzioni religiose tanto
interessate alla promozione della Pace, dei Movimenti culturali, politici e
sociali che della Pace fanno il loro ideale, della Gioventù - in cui più viva è
la perspicacia delle vie nuove della civiltà, doverosamente orientate verso un
suo pacifico sviluppo - degli uomini saggi che vedono quanto oggi la Pace sia
al tempo stesso necessaria e minacciata.
La proposta di dedicare alla Pace il primo
giorno dell’anno nuovo non intende perciò qualificarsi come esclusivamente
nostra, religiosa cioè cattolica; essa vorrebbe incontrare l'adesione di tutti
i veri amici della pace, come fosse iniziativa loro propria, ed esprimersi in
libere forme, congeniali all'indole particolare di quanti avvertono quanto
bella e quanto importante sia la consonanza d'ogni voce nel mondo per
l'esaltazione di questo bene primario, che è la pace, nel vario concerto della
moderna umanità.
La Chiesa cattolica, con intenzione di
servizio e di esempio, vuole semplicemente "lanciare l'idea",
nella speranza ch'essa raccolga non solo il più largo consenso del mondo
civile, ma che tale idea trovi dappertutto promotori molteplici, abili e validi
a imprimere nella "Giornata della Pace", da celebrarsi
alle calende d'ogni anno nuovo, quel sincero e forte carattere d'umanità
cosciente e redenta dai suoi tristi e fatali conflitti bellici, che sappia dare
alla storia del mondo un più felice svolgimento ordinato e civile.
La Chiesa cattolica provvederà a richiamare i
suoi figli al dovere di celebrare la "Giornata della Pace" con
le espressioni religiose e morali della fede cristiana; ma ritiene doveroso
ricordare a tutti coloro che vorranno condividere l'opportunità di tale "Giornata",
alcuni punti che la devono caratterizzare; e primo fra essi: la necessità di
difendere la pace nei confronti dei pericoli, che sempre la minacciano:
- il pericolo
della sopravvivenza degli egoismi nei rapporti tra le nazioni;
- il pericolo
delle violenze, a cui alcune popolazioni possono lasciarsi trascinare per la
disperazione nel non vedere riconosciuto e rispettato il loro diritto alla vita
e alla dignità umana;
- il pericolo,
oggi tremendamente cresciuto, del ricorso ai terribili armamenti sterminatori,
di cui alcune Potenze dispongono, impiegandovi enormi mezzi finanziari, il cui
dispendio è motivo di penosa riflessione, di fronte alle gravi necessità che
angustiano lo sviluppo di tanti altri popoli;
- il pericolo
di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie
della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia,
l'equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali.
La pace si fonda soggettivamente sopra un
nuovo spirito, che deve animare la convivenza dei Popoli, una nuova mentalità
circa l'uomo ed i suoi doveri ed i suoi destini.
Lungo cammino ancora è necessario per rendere
universale ed operante questa mentalità; una nuova pedagogia deve educare le
nuove generazioni al reciproco rispetto delle Nazioni, alla fratellanza dei
Popoli, alla collaborazione delle genti fra loro, anche in vista del loro
progresso e sviluppo.
Gli Organismi internazionali, istituiti a
questo scopo, devono essere sostenuti da tutti, meglio conosciuti, dotati di
autorità e di mezzi, idonei alla loro grande missione.
La "Giornata della Pace" deve
rendere onore a queste Istituzioni e circondare la loro opera di prestigio, di
fiducia e di quel senso di attesa, che deve in esse tenere vigile il senso
delle loro gravissime responsabilità e forte la coscienza del mandato loro
affidato.
Un'avvertenza sarà da ricordare. La pace non
può essere basata su una falsa retorica di parole, bene accette perché
rispondenti alle profonde e genuine aspirazioni degli uomini, ma che possono
anche servire, ed hanno purtroppo a volte servito, a nascondere il vuoto di
vero spirito e di reali intenzioni di pace, se non addirittura a coprire
sentimenti ed azioni di sopraffazioni o interessi di parte.
Né di pace si
può legittimamente parlare, ove della pace non si riconoscano e non si
rispettino i solidi fondamenti: la sincerità, cioè, la giustizia e l'amore nei
rapporti fra gli Stati e, nell'ambito di ciascuna Nazione, fra i cittadini tra
di loro e con i loro governanti; la libertà, degli individui e dei popoli, in
tutte le sue espressioni, civiche, culturali, morali, religiose.
Altrimenti, non la pace si avrà - anche se,
per avventura, l'oppressione sia capace di creare un aspetto esteriore di
ordine e di legalità - ma il germinare continuo e insoffocabile di rivolte e di
guerre.
E' dunque alla pace vera, alla pace giusta ed
equilibrata, nel riconoscimento sincero dei diritti della persona umana e
dell'indipendenza delle singole Nazioni che Noi invitiamo gli uomini saggi e
forti a dedicare questa "Giornata".
Così, da ultimo, sarà da auspicare che la
esaltazione dell'ideale della pace non debba favorire l'ignavia di coloro che
temono di dover dare la vita al servizio del proprio Paese e dei propri
fratelli quando questi sono impegnati nella difesa della giustizia e della
libertà, ma cercano solamente la fuga della responsabilità, dei rischi
necessari per il compimento di grandi doveri e di imprese generose.
Pace non è pacifismo, non nasconde una
concezione vile e pigra della vita, ma proclama i più alti ed universali valori
della vita; la verità, la giustizia, la libertà, l'amore.
Ed è per la tutela di questi valori che Noi
li poniamo sotto il vessillo della pace, e che invitiamo uomini e Nazioni, e
innalzare, all'alba dell'anno nuovo, questo vessillo, che deve guidare la nave
della civiltà, attraverso le inevitabili tempeste della storia, al porto delle
sue più alte mete.
A voi, venerati fratelli nell'Episcopato; a
Voi, figli e fedeli carissimi della nostra santa Chiesa cattolica, rivolgiamo
l'invito, di cui sopra abbiamo dato l'annuncio; quello di dedicare ai pensieri
ed ai propositi della pace una particolare celebrazione nel primo giorno
dell'anno civile, l'uno gennaio del prossimo anno.
Questa
celebrazione non deve alterare il calendario liturgico, che riserva il «Capo
d'anno» al culto della divina maternità di Maria ed al nome beatissimo di
Gesù; anzi queste sante e soavi memorie religiose devono proiettare la loro
luce di bontà, di sapienza e di speranza sopra l'implorazione, la meditazione,
la promozione del grande e desiderato dono della Pace, di cui il mondo ha tanto
bisogno.
Vi sarete accorti, Fratelli veneratissimi e
Figli carissimi, quanto spesso la Nostra parola ripeta considerazioni ed
esortazioni circa il tema della Pace; non lo facciamo per cedere ad una facile
abitudine, ovvero per servirCi di argomento di pura attualità;
- lo facciamo
perché pensiamo essere ciò reclamato dal Nostro dovere di Pastore universale;
- lo facciamo
perché vediamo minacciata la pace in misura grave e con previsioni di
avvenimenti terribili, che possono essere catastrofici per nazioni intere e fors'anche
per gran parte dell'umanità;
- lo facciamo
perché negli ultimi anni della storia del nostro secolo è finalmente emerso
chiarissimo la pace essere l'unica e vera linea dell'umano progresso (non le
tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le
repressioni apportatrici di falso ordine civile);
- lo facciamo
perché la pace è nel genio della religione cristiana, poiché per il cristiano
proclamare la Pace è annunciare Gesù Cristo, "Egli è la nostra pace"
(Eph. 2, 14) ; "il Suo è Vangelo di pace" (Eph.
6, 15): mediante il Suo sacrificio sulla Croce Egli ha compiuto la
riconciliazione universale, e noi, Suoi seguaci, siamo chiamati ad essere «operatori
della pace» (Matth. 5, 9); e solo dal Vangelo, alla fine, può
effettivamente scaturire la pace, non per rendere fiacchi e molli gli uomini,
ma per sostituire nei loro animi agli impulsi della violenza e delle
sopraffazioni le virili virtù della ragione e del cuore d'un vero umanesimo;
- lo facciamo
infine perché vorremmo che non mai Ci fosse rimproverato da Dio e dalla storia
di aver taciuto davanti al pericolo d'una nuova conflagrazione fra i Popoli, la
quale, come ognuno sa, potrebbe assumere forme improvvise di apocalittica
terribilità.
Occorre sempre parlare di Pace!
Occorre educare il mondo ad amare la pace, a
costruirla, a difenderla; e contro le rinascenti premesse della guerra
(emulazioni nazionalistiche, armamenti, provocazioni rivoluzionarie, odio di
razze, spirito di vendetta, ecc.) , e contro le insidie di un pacifismo tattico,
che narcotizza l'avversario da abbattere, o disarma negli spiriti il senso
della giustizia, del dovere e del sacrificio, occorre suscitare negli uomini
del nostro tempo e delle generazioni venture il senso e l'amore della pace
fondata sulla verità, sulla giustizia, sulla libertà, sull'amore (cf. Giovanni
XXIII, "Pacem in terris").
La grande idea della Pace abbia, specialmente
per noi seguaci di Cristo, la sua Giornata solenne, all'inizio dell'anno nuovo
1968.
Noi credenti nel Vangelo possiamo infondere
in questa celebrazione un tesoro meraviglioso di idee originali e potenti: come
quella dell'intangibile e universale fratellanza di tutti gli uomini, derivante
dall'unica, sovrana e amabilissima Paternità di Dio, e proveniente dalla
comunione che - in re vel in spe - tutti ci unisce a Cristo;
ed anche dalla vocazione profetica, che nello Spirito Santo chiama il genere
umano all'unità, non solo di coscienza, ma di opere e di destini.
Noi possiamo,
come nessuno, parlare dell'amore del prossimo. Noi possiamo trarre
dall'evangelico precetto del perdono e della misericordia fermenti rigeneratori
della società.
Noi, soprattutto, Fratelli veneratissimi e
Figli dilettissimi, possiamo avere un'arma singolare per la pace: la preghiera,
con le sue meravigliose energie di tonificazione morale e di impetrazione, di
trascendenti fattori divini, di innovazioni spirituali e politiche; e con la
possibilità ch'essa offre a ciascuno di interrogarsi individualmente e
sinceramente circa le radici del rancore e della violenza, che possono
eventualmente trovarsi nel cuore di ognuno.
Vediamo allora d'inaugurare l'anno di grazia
1968 (anno della fede che diviene speranza) pregando per la pace; tutti,
possibilmente insieme nelle nostre chiese e nelle nostre case; è ciò che per
ora vi chiediamo: non manchi la voce di alcuno nel grande coro della Chiesa e
del mondo invocante da Cristo, immolato per noi: dona nobis pacem.
Dal
Vaticano, 8 dicembre 1967.
PAULUS PP. VI