Primo Maggio, Festa
dei Lavoratori
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L'arcivescovo Matteo Maria Zuppi ieri, alla manifestazione sindacale per il Primo Maggio a Bologna (foto da Repubblica.it)
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La Festa del Primo Maggio è dedicata ai
lavoratori, non al lavoro. Ebbe origine sindacale, negli Stati Uniti d’America,
a fine Ottocento, in particolare dopo una dura repressione di una
manifestazione sindacale a Chicago, nello stato dell’Illinois. Ma in Europa
assunse anche un significato marcatamente politico, dopo che fu adottata, nel
1889 a Parigi, dalla Seconda Internazionale Socialista, l’organizzazione che
riuniva i movimenti operai.
Nel corso dell’Ottocento i movimenti operai si batterono, in Europa e in
America, per la riduzione per legge dell’orario di lavoro e per altre riforme
in favore dei lavoratori, in particolare per proteggere le donne lavoratrici e
vietare il lavoro dei fanciulli. Quei moti si poterono organizzare per il
convergere nei centri urbani di grandi masse operaie impiegate nell’industria,
con condizioni di lavoro particolarmente dure e sfiancanti. In Inghilterra, in
particolare, fu osservato un netto peggioramento delle condizioni di salute del
ceto operaio, e questo nell’epoca di maggior potenza e ricchezza di quella
nazione. Il sindacalismo nasce quindi per liberare
il tempo dei lavoratori, in particolare per ridurre a otto ore l’orario di
lavoro quotidiano, che andava molto oltre quel limite. Otto ore per lavorare,
otto ore per dormire e otto ore per far altro. Che cosa? In Europa si cominciò
a progettare di impiegare quel tempo liberato
per elevare la classe lavoratrice, la maggioranza della popolazione, al governo
delle società, in particolare attraverso una specifica attività formativa che
producesse una coscienza politica in masse le quali, in genere, nell’Ottocento
erano escluse dalla politica (il diritto di voto era in genere attribuito per
censo o per istruzione). Questo processo politico, vivamente contrastato negli
stati liberali e in quelli assolutistici che ancora rimanevano, portò al
suffragio universale, prima solo maschile, poi anche femminile (a seguito di
dure lotte, in particolare in Inghilterra). Le democrazie di popolo
contemporanee sono fondate su questa elevazione politica dei lavoratori: ad
essi e al loro lavoro viene riconosciuta una dignità, umana e politica, che nell’Ottocento non avevano. Con la Festa del Lavoro si vuole mantenere
vivo il movimento collettivo per difenderla: essa infatti è sempre minacciata. Non
si tratta quindi solo di commemorare,
ma di suscitare e rinnovare un impegno sociale.
La dottrina sociale fino all’ultima guerra mondiale fu fortemente e
dichiaratamente antisocialista. Accettò l'idea socialista che gli operai non dovessero essere sfruttati ingiustamente e privati del tempo da dedicare alle loro
famiglie, ma contrastò duramente l’idea che si dovesse lottare per elevare i lavoratori e, in particolare, che potessero
farlo gli stessi lavoratori, liberandosi con le loro lotte. Attendeva il miglioramento
delle condizioni dei lavoratori dai governanti,
che però all’epoca erano espressi dalle classi che sfruttavano i lavoratori. Dichiarò
illecito, quindi peccaminoso dal punto di vista religioso, lo sciopero, la
principale arma del movimento operaio.
“95. Lo sciopero è vietato; se le parti non si possono
accordare, interviene il Magistrato”: è scritto nell’enciclica Il Quarantennale, del 1931, del papa Achille Ratti, riprendendo ciò
che era stato ordinato quarant’anni prima nell’enciclica Le Novità del papa Vincenzo Gioacchino Pecci.
La nostra Costituzione dichiara che il lavoro, non il privilegio dinastico o
la rendita finanziaria, è al fondamento della Repubblica (art.1), che occorre
rimuovere gli ostacoli alla partecipazione dei lavoratori al governo del Paese (art.3, 2° comma), che il lavoro dignitoso non è una condanna ma un
dovere di tutti e quindi anche un obiettivo politico della Repubblica
(art.4), che ogni lavoratore (cittadino e non) ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del
suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare alla famiglia una esistenza
libera e dignitosa (art.36), che l’organizzazione
sindacale è libera (ar.39) e
che lo sciopero è un diritto (art.40),
recependo così la concezione socialista della dignità del lavoro come base per
la riforma politica della società in senso più giusto. Il Primo Maggio divenne
festa nazionale della nuova Repubblica post-fascista.
Alla scrittura della Costituzione
collaborarono anche molti politici cattolici, in particolare i
cattolico-democratici Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Amintore Fanfani,
Aldo Moro e Costantino Mortati. I cattolico-democratici avevano imparato la
giustizia sociale dai socialisti. Avrebbero potuta impararla direttamente dalla
teologia della loro fede? In parte sì. Bisogna tener conto, tuttavia, che nell’era
antica in cui originarono le nostre scritture bibliche c’era lo schiavismo, che
non venne ripudiato dal cristianesimo se non molto più tardi, a partire Settecento,
e seguendo i principi libertari proclamati dai rivoluzionari francesi, dal
liberalismo politico e dal socialismo. Lo schiavismo fu poi abolito dagli
europei nel corso dell’Ottocento (veniva da loro ancora praticato essenzialmente nelle
colonie americane). La giustizia sociale richiede l’elevazione del lavoratore
dalla condizione di schiavo a quella di cittadino, quindi l’attribuzione reale
non solo di dignità al lavoro, di libertà di sindacalismo, ma anche della libertà della politica democratica,
anelito che era anacronistico nei tempi antichi e che si sviluppò solo nell’Ottocento.
Le nostre Scritture sacre non sono quindi sufficienti per fondare un’azione
sindacale anche se ispirata dalla fede.
Nel 1955 il papa Eugenio Pacelli
dedicò il Primo Maggio alla solennità di San Giuseppe lavoratore permettendo ai
fedeli di unirsi alla Festa dei lavoratori.
La dottrina sociale ostile al sindacalismo
mutò però solo a partire dal Concilio Vaticano 2° (1962-1965) e, in
particolare, con il papa Karol Wojtyla e con la sua enciclica sociale Il
lavoratore, del 1981. La potete leggere sul WEB all’indirizzo
http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_14091981_laborem-exercens.html
Egli la scrisse sulla base delle esperienze
e delle esigenze del sindacalismo polacco di allora: era stato da poco fondato
il sindacato-partito Solidarietà, del
quale quell’enciclica si può considerare il manifesto ideologico. Il sindacalismo operaio polacco ebbe da subito una marcata impronta
politica, collegando l’elevazione dei lavoratori alla riforma politica della
società, secondo la concezione socialista ma contro il socialismo antidemocratico e totalitario realizzato nella Polonia di allora. Quindi, operando in un regime
comunista, continuò ad avere marcata impostazione antisocialista, come del
resto la stessa dottrina del Wojtyla.
Il mutamento delle concezioni
sul sindacalismo nel pensiero religioso, rispetto alla prime due encicliche sociali del 1891 e del 1931, può essere ben rappresentato dalla
partecipazione dell’arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi, ieri, alla
manifestazione sindacale del Primo Maggio nella sua città.
Nel nostro mondo di fede, e in particolare, mi pare, nella nostra parrocchia in cui da tempo sembra prevalente tra i fedeli che la frequentano un'impostazione politica di destra, non vi è consenso unanime sul movimento dei lavoratori, sulle sue finalità, sui metodi da impiegare e anche sul giudizio storico sul suo passato. Non di rado la legislazione per la tutela dei lavoratori viene percepita come inutile e opprimente burocrazia. E' ancora sensibile un vivo risentimento contro i sindacati dei lavoratori, in particolare contro la loro attività politica per l'elevazione dei lavoratori alla piena cittadinanza, vista talvolta come irreligiosa. Il sindacalismo viene ancora non di rado considerato come una forma immorale di ribellione all'ordine sociale costituito e alla stessa gerarchia del clero, secondo i primi orientamenti della dottrina sociale.
Tuttavia la reale accettazione e l'autentica e sincera pratica della democrazia, secondo i recenti orientamenti della dottrin sociale, non può prescindere dal confrontarsi con il problema dell'elevazione di tutti, lavoratori compresi, alla cittadinanza, quindi con quel sindacalismo. Oggi il problema si è fatto più grave per la presenza in Italia di lavoro sostanzialmente schiavo nel quale sono sfruttati gli immigrati stranieri, nei confronti dei quali, nonostante gli indirizzi dell'attuale gerarchia del clero, resistono, e si sono addirittura incrementati, forti pregiudizi nel nostro popolo di fede.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli