Ciclo di
incontri Immischiati
sulla
bellezza della dottrina sociale della Chiesa
I resoconti
di tutti gli incontri
IMMISCHIATI!
“Un buon cattolico
s’immischia in politica” (papa Francesco)
La parrocchia
San Clemente ha proposto
5 INCONTRI
per avvicinare alla
bellezza della DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA.
Per una nuova generazione di laici cristiani capaci
di dedicarsi al servizio del bene comune.
18 marzo #Persona
8 aprile #BenComune
15 aprile #Solidarietà
29 aprile #Sussidiarietà
6 maggio #Partecipazione
Perché lo abbiamo fatto?
- Perché anche nella politica c’è una bellezza da
raccontare e da vivere.
- Perché un cristiano ha una bussola per orientarsi in
questo mondo complesso.
- Perché è il momento di non avere paura e di immischiarsi
in politica.
- Perché il futuro delle giovani generazioni si decide
adesso.
IL PROSSIMO
20 MAGGIO, ALLE 19:30, IN SALA ROSSA SI TERRA’ L’INCONTRO CONCLUSIVO, CON LA
PARTECIPAZIONE DEL PROF. PIZZIMENTI. IN QUESTA OCCASIONE POTRANNO ESSERE
PROPOSTE DOMANDE E OSSERVAZIONI SUI PRECEDENTI INCONTRI.
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Due domande che vorrei fare al prof.
Pizzimenti:
1) E’ vero che la
dottrina sociale ha avuto una evoluzione, dalla Rerum Novarum - Le novità del papa Leone 13° - Vincenzo Gioacchino
Pecci alla Laudato si’ di papa Francesco - Jorge Mario Bergoglio? Se
sì, che cosa ha provocato questa evoluzione? Il mondo del laicato di fede ha
avuto qualche ruolo in questo e può averne ancora?
La seconda domanda è legata alla prima.
2) La dottrina sociale
è solo una parte della teologia che può essere proclamata con autorità
esclusivamente dal Papa e dai vescovi, o è anche un insegnamento che non ha solo
un significato teologico, ma anche sociale, politico, alla cui elaborazione
possono, e anzi devono, partecipare anche i
laici, man mano che si scoprono e si fa esperienza delle novità sociali?
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- 1 -
Primo incontro dell’evento Immìschiati sulla dottrina
sociale della Chiesa: la persona
Resoconto dell’incontro
1. Ieri sera in
sala rossa si è tenuto il primo incontro dell’evento Immìschiati, che la
parrocchia propone per avvicinare alla bellezza della dottrina sociale
della Chiesa.
Non si è potuto utilizzare il teatro, come
annunciato durante le Messe, perché occupato dall’allestimento di altro evento
programmato per il giorno successivo, mi è stato detto, senza coordinarlo con
l’iniziativa parrocchiale. Così si è stati piuttosto stretti. L’episodio rivela
ancora qualche difficoltà tra noi a comprendere la differenza tra il semplice abitare la
parrocchia, al mondo di un condominio, e il parteciparvi al
modo di una comunità. Di fatto uno spazio comune in cui era programmata
un’importante attività parrocchiale inaspettatamente non è stato più
disponibile.
Hanno parlato due giovani professori di università
pontificie, un uomo e una donna, e un ragazzo studente di giurisprudenza. Non
era previsto un dibattito, ma, dopo cinque incontri se ne farà un sesto in cui
ci sarà la possibilità di intervenire. Siamo stati quindi invitati a annotarci
domande e impressioni (cosa che ho fatto di seguito, nella sezione “Mie
osservazioni”).
L’incontro si è articolato in filmati e spiegazioni
da parte dei relatori.
Le prime immagini sono state quelle del papa
Francesco che invitava a fare politica, a immischiarsi nella politica. La
politica è una manifestazione della carità, ha detto, come già i suoi
predecessori Ratti e Montini. Perché si pensa che sia una cosa sporca? Forse
perché i cristiani se ne sono tenuti lontano (annoto: può sembrare strano
sostenerlo in una nazione come l’Italia dove un partito cristiano è
stato egemone del 1948 al 1994).
Il primo relatore, un professore della vicina
Università Salesiana, ha spiegato che la dottrina sociale non è di destra né di
sinistra e nemmeno una cosa intermedia tra quella due. Ha radici profonde nella
nostra fede. Di solito viene considerata noiosa perché è sovraccaricata
di concetti e testi difficili, ma è bella come la nostra
fede, perché ne è una manifestazione.
La dottrina sociale non è ideologia perché tiene
conto della realtà vera degli esseri umani. Per renderne l’idea ci è stato
presentato un filmato in cui si raccontava la storia di un neonato fatto
nascere prima per farlo incontrare con il padre morente per una malattia
cerebrale. E’ l’incontro tra persone concrete, vive, che conta.
Ha poi preso la parola il giovane studente in
diritto il quale ha spiegato che in politica si è partiti da due concezioni
sull’uomo: una che riteneva che fosse originariamente cattivo (che può essere
rappresentata dal pensiero del filosofo inglese del Seicento Thomas Hobbes) e
che quindi richiedesse uno stato forte e invadente per contenerne la malvagità;
l’altra che riteneva che fosse originariamente buono e che quindi l’invadenza
dello stato dovesse essere contenuta al minimo (e ha citato il filosofo inglese
del Seicento John Locke). Le politiche basate sulla prima concezione
inseriscono gli esseri umani in una sorta di ingranaggi sociali in cui
l’individuo conta solo perché partecipa all’insieme, come un mattone in un
edificio. Quelle basate sull’altra concezione vedono l’essere umano solo nella
sua individualità, separato dagli altri dalla sua libertà.
Le concezioni individualistiche, promosse dal
liberalismo, ci spingono a disinteressarci delle sofferenze degli altri, a non
sentirsene responsabili. Si tratta di una concezione di libertà senza
responsabilità. Il suo ambiente sociale naturale è il mercato, in cui il valore
è stabilito da una contrattazione e ha per fine di consentire degli scambi tra
equivalenti. Chi non può partecipare al mercato, i sofferenti ad esempio, non
ha valore.
Le altre, storicamente espresse dalle politiche
socialiste, portano a rendere gli esseri umani infinitamente responsabili,
comprimendo la sfera della libertà. L’essere umano è annullato nell’ingranaggio
sociale. E’ una responsabilità senza libertà.
La dottrina sociale insegna invece che l’essere
umano è persona e che la sua personalità si sviluppa nelle relazioni con gli
altri, ma senza esserne totalmente assorbito. Il valore infinito attribuito
alla persona umana, in quanto creatura, così come la sua dimensione relazionale
sono caratteristici della dottrina sociale. In quanto essere
vivente in relazione la persona è responsabile verso
gli altri, non può rinchiudersi in un individualismo egoistico, ma non ne è
nemmeno totalmente compresso. Il suo valore preesiste alla relazione e la
fonda. Non può essere annullato per finalità sociali.
La professoressa ci ha poi spiegato che il grande
valore attribuito alla persone nella dottrina sociale dipende dall’unicità di
ciascuno di noi, per cui ogni persona è irriducibile alle altre in quanto
voluta da Dio. Ha ricordato la frase di Ireneo di Lione (Secondo secolo) “la
gloria di Dio è l’essere umano che vive”
Ci sono state poi presentate alcune sequenze del
film Shindler List, che racconta la storia realmente accaduta di
Oskar Shindler, il quale durante la Seconda guerra mondiale riuscì a salvare un
migliaio di ebrei, in Polonia, facendoli figurare come lavoratori nella sua
fabbrica. In quelle sequenza si vede Shindler che riceve come dono dai salvati
un anello in cui è incisa la frase del Talmuld (la raccolta di antichi commenti
e ragionamenti biblici utilizzata per la formazione religiosa degli ebrei e organizzata
tra il Secondo e il Quinto secolo) “Chi salva una persona salva il
mondo intero”, e poi piange rammaricandosi di non
aver salvato più gente. Questo per rendere l’idea del valore infinito
attribuito dalla fede alla persone umane. Esso, nella concezione di fede non
deriva da un riconoscimento della società, ma da Dio. Non siamo completamente
nelle mani della società, non possiamo essere costruiti da
essa. Siamo stati voluti da Dio e in questa la
grande importanza di ciascuno di noi e la ragione per cui, nella concezione
della dottrina sociale della Chiesa, non si vuole rinunciare a nessuno, neanche
a coloro che per qualche motivo appaiono imperfetti e addirittura all’essere
umano ancora in formazione, prima della sua nascita.
Ci è stato proposto, a questo proposito un brano del
film Gattaca - La Porta dell'Universo, in cui si vedono due
genitori che, dopo aver avuto un primo figlio con problemi fisici, ne
programmano un altro, in un futuro ormai non tanto lontano dalla nostra realtà,
rivolgendosi ad un’impresa che riesce a costruirlo con certe
caratteristiche fisiche e libero da malattie, perché sia il
meglio di loro due. Non è questa la concezione della persona
che ha la dottrina sociale della Chiesa. Tutta la politica della
dottrina sociale è centrata sul rispetto della persona umana. Si dice che la
dottrina sociale è sessista e fissata sulla
questione dell’aborto, ma non è così, secondo i relatori (anche se nel corso
dell’incontro ai problemi dell’aborto hanno dedicato molto spazio): tutto dipende
dalla concezione dell’essere umano come persona, per cui ci si
sente responsabili anche delle vite umane in formazione e si rifiuta di
assumere atteggiamenti egoistici, che facciano prevalere le proprie esigenze di
sviluppo individuale sulle vite degli altri.
E’ per la grande dignità che viene riconosciuta in
religione ad ogni vita umana, fin dal suo inizio, che la dottrina sociale ci
insegna a rifiutare l’aborto e ad accogliere in nuovi nati quali essi siano. Il
giovane docente universitario ci ha parlato della sua recente esperienza di
paternità e ci ha mostrato immagini ecografiche video con il cuore
pulsante della figlia. E’ questo, l’essere umano che vive, un cuore che batte,
il centro della dottrina sociale della Chiesa. La fede ci spinge ad accettarlo
anche con suoi difetti. Questo è alla base della sua visionepolitica come
forma di carità centrata sull’idea di bene comune, che sarà
l’oggetto del prossimo incontro. Ed anche la bellezza di quella dottrina
sociale.
Mie osservazioni (in vista del sesto incontro)
2. Si è trattato di un primo incontro, necessariamente schematico,
con la dottrina sociale della Chiesa. Quest’ultima non è sorta a fine
Ottocento, con l’enciclica Le Novità, del papa Pecci
(Leone 13°), ma in tempi molto più antichi, tra il Quarto e il Quinto
secolo della nostra era e fu centrata sui difficili rapporti tra la “città
di Dio”, la civiltà ispirata dalla fede in cui si vive secondo lo spirito, e
la “città terrena”, quella retta dai rapporti di forze umani in cui
si vive secondo la carne: questo è il cuore della questione sociale in
un'ottica di fede, il motivo dello sviluppo di quella speciale teologia che
definiamo dottrina sociale.“Città”, “polis” in
greco, da cui la parola italiana politica, che
significagoverno della città. Chi ha il potere di dire come
costruire la civiltà secondo la fede, come fare politica:
l’imperatore civile o un imperatore religioso (l'alternativa democratica era
all'epoca fuori del campo della cultura religiosa e lo rimase fino a fine Settecento)?
In merito ci furono opinioni diverse: lo scrittore Eusebio di Cesarea, vissuto
in Palestina nel Quarto secolo, riteneva che dovesse essere l’imperatore
civile, il vescovo di Roma Gelasio, vissuto nel Quinto secolo, pensava che
dovesse essere un imperatore religioso, che vedeva rappresentato
nell’istituzione da lui rappresentata, il papato all’epoca ancora agli esordi
in questo campo. Lo scrittore e vescovo nordafricano Agostino, vissuto
tra il Quarto e il Quinto secolo, affermò l’inconciliabilità tra lacittà di
Dio e quella terrena, quest'ultima destinata a un giudizio
finale, così anche le persone avrebbero una doppia cittadinanza e dovrebbero
muoversi verso la città di Dio per non essere condannati con
la città terrena.
Successivamente la dottrina sociale, nell’Europa
Occidentale, imparò la politica dall’impero Carolingio, dall’Ottavo secolo,
costruendo una visione organica della società in cui Cielo e Terra erano uniti
e il potere terreno era manifestazione di quello soprannaturale. Dall’Undicesimo
secolo questo portò alla creazione dell’istituzione papale come oggi la
conosciamo e la pretesa della nostra gerarchia del clero di dettare legge ai
principi terreni e religiosi, duramente e vivamente contrastata sia in un campo
che nell’altro. Per gran parte del secondo Millennio il problema politico principale
della nostra dottrina sociale fu di giustificare il dominio assoluto dei papi
sul popolo e su ogni altro principe, ogni altro capo civile o religioso. Questo
generò un orrendo sistema di polizia ideologica e politica, durato un tempo
lunghissimo, dal Dodicesimo al Diciannovesimo secolo, a cui pose fine
l’avvento dei regimi politici liberali. Dov’era la carità in
tutto questo? Fu la dottrina sociale del tempo a
spiegarlo. Il popolo doveva essere protetto da chi ne minacciava la salvezza
spirituale. Così furono fatte fuori grandi anime, come il domenicano fiorentino
Giacomo Savonarola nel Quattrocento e il domenicano campano Giordano Bruno nel
Cinquecento, ed altre furono insensatamente silenziate, come lo scienziato
toscano Galileo Galilei, vissuto tra il Cinquecento e il Seicento.
La dottrina sociale più recente, quella a cui di
solito ci si riferisce parlando di dottrina sociale, vale
a dire quella inaugurata dal papa Pecci con l’enciclica Le Novità del
1891, ha imparato da liberalismo e socialismo più di quanto in religione si sia
portati ad ammettere.
Il personalismo dell’attuale della
dottrina sociale della Chiesa ha incorporato il rispetto dell’individuo
predicato dal liberalismo, il quale esprime un'etica sociale molto esigente,
che appunto riguarda il rispetto della persona umana. La conquista più
importante che fu possibile conseguire da questa ibridazione fu il
riconoscimento dalla libertà di coscienza, che era negato
esplicitamente ancora nel magistero del papa Mastai Ferretti, a metà Ottocento,
colui che volle essere dichiarato infallibile nel corso
del Concilio Vaticano 1° e al cui regno laziale fu posta fine ad opera delle
truppe del Regno d’Italia, nell’anno 1870. Oggi in questa conquista militare si
arriva a riconoscere una manifestazione provvidenziale, ma all’epoca non fu
così. Il papato da allora cercò di sottrare il popolo italiano agli invasori
sabaudi ed è appunto questa la ragione principale dello sviluppo della prima
dottrina sociale in senso moderno. Essa nacque in polemica con il liberalismo,
ma anche con il socialismo, che nell’Ottocento era agli esordi e che voleva che
la politica tenesse conto anche di chi stava peggio, non rassegnandosi
all’ingiustizia sociale, e riteneva che la liberazione degli oppressi non
potesse farsi che da loro medesimi, per cui era necessario iniziarli alla politica,
che maturassero una coscienza politica.
Il socialismo, così come il liberalismo,
contrastava l’ordinamento feudale che la nostra gerarchia si era data, in
quanto non rispettoso del valore della persona umana. Alla base di socialismo e
liberalismo vi sono concezioni egualitarie profondamente avversate, a lungo,
dalla nostra gerarchia del clero, che invece concepiva la società come un
organismo, composto di parti diseguali, tutte necessarie
l’una all’altra, ma diseguali.
La dottrina sociale attualmente proclamata ha
imparato molto dal socialismo, là dove invita a tener conto di chi sta peggio e
a occuparsene attivamente, anche nell’attività politica. Le concezioni
socialiste sono alla base di una visione del potere politico inteso come servizio comunitario.
L’ibridazione tra dottrina sociale, liberalismo e
socialismo è recente e risale agli anni Trenta del secolo scorso, in
particolare con la filosofia/ideologia del personalismo comunitario espressa
dal filosofo francese Emmanuel Mounier (1905-1950). L’idea politica di
persona, come essere sociale di inestimabile valore che si
sviluppa nella relazione con gli altri, spiegata nel corso dell’incontro
di Immìschiati,risale sostanzialmente al Mounier, ma anche
all'esistenzialismo francese coevo. Si è operata una mediazione
culturale che ha avuto notevolissimi sviluppi a partire
dagli anni Sessanta, quando entrò a far parte della dottrina
sociale della Chiesa, con il Concilio Vaticano 2° e il magistero dei papi
Roncalli, Montini e Wojtyla. Città di Dio e città
terrena si sono avvicinate.
Un altro campo di ibridazione è stato quello della
liberazione e promozione della donna, dove la dottrina sociale ha iniziato ad
accogliere, faticosamente perché proclamata da una gerarchia tutta al maschile,
alcune istanze femministe. L’immagine divina si va lentamente scostando da
quella maschile.
La dottrina sociale non è sessista? In realtà lo è
ancora abbastanza. La retorica della differenza punta
ancora a mantenere una certa discriminazione nella dignità dei due sessi, a
danno delle donne.
In questo contesto si ha difficoltà a
comprendere che la rivendicazione femminista dell’aborto in ambito sanitario e
legato alla determinazione della donna (libero e garantito),
nell’Italia degli anni ’70, non fu manifestazione di egoismo
individualistico da parte delle donne, ma della volontà di
liberare il corpo delle donne dal dominio sociale, ciò che le rendeva diverse
dagli uomini, non soggetti a queste pretese. Il doloroso (per le donne)
fenomeno sociale dell’aborto era semmai prodotto di una società maschilistica
che non aveva creato le strutture e le istituzioni per essere contemporaneamente
libere e madri. Sono di questi giorni polemiche su questo tema, dove a una
politica è stato rimproverato di volere essere candidata sindaca a Roma e
madre. La polemica antiabortista viene quindi solitamente utilizzata
strumentalmente in ambito religioso per polemizzare contro le rivendicazioni
egualitarie delle donne e provengono dai settori reazionari del pensiero
sociale religioso. E qui fioccano gli insulti arrivando a definire criminali le
donne che decidono di abortire, colpite da una scomunica automatica che non si
affibbia nemmeno a certi veri criminali. Ma le vite nascenti centrano poco con
tutto questo, si coglie invece il vivissimo risentimento verso le pretese delle
donne di essere liberate da un dominio sociale che colpisce solo
loro. Si proclama il rispetto per ogni vita umana, ma è ancora tanto difficile,
soprattutto nell’ambito della dottrina sociale, rispettare veramente quelle
delle donne. C’è ancora molto da fare.
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- 2 -
Il secondo incontro
del ciclo Immischiati: il bene comune
[Dal Compendio della Dottrina sociale
della Chiesa (2004)]
164 Dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone
deriva innanzi tutto il principio del bene comune, al quale ogni aspetto della
vita sociale deve riferirsi per trovare pienezza di senso. Secondo una prima e vasta accezione, per bene
comune s'intende « l'insieme di quelle condizioni della vita sociale
che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la
propria perfezione più pienamente e più celermente » [citazione dalla
costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo La
gioia e la speranza, del Concilio Vaticano 2° (1962-1965),
n.26].46
Il bene comune non
consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del
corpo sociale. Essendo
di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto
insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del
futuro. Come l'agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene,
così l'agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene
comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del
bene morale.
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Si è tenuto ieri in parrocchia il
secondo incontro del ciclo Immischiati, sulla dottrina sociale
della Chiesa. Ci si propone di fondare e stimolare un nuovo impegno in politica
delle persone di fede, secondo gli auspici del papa Francesco.
L’incontro si è appunto aperto
con alcune immagini da un’udienza del Papa in cui egli invitava i fedeli
a lavorare in politica. La politica non è forse considerata una cosa sporca
perché le persone di fede se ne sono allontanate?, si è chiesto. Questo
dimostra che viene veramente da molto lontano. Le persone di fede, in Italia,
non si sono mai allontanate dalla politica.
Per dare un’idea della
politica sporca sono state proiettate alcune immagini dal film Gli
onorevoli, del 1963, con Totò e altri grandi del cinema italiano, in cui il
personaggio interpretato da Totò viene spinto a candidarsi alle elezioni
politiche dal partito monarchico, ma scopre che è stato scelto solo per
imbrogliare gli elettori, promettendo cose per cui il partito non intende
veramente impegnarsi, dal momento che i suoi esponenti intendono solo ricavare
profitti personali dalla politica. Questa, è stato spiegato, è la politica come
dominio degli altri per fini personali, al servizio di chi la pratica, non
degli altri.
La politica è dominio,
perché governa la società, ma è anche servizio, è stato osservato. Ma servizio
per sé stessi o per gli altri?. Secondo i relatori dell’incontro, la dottrina
sociale della Chiesa propone una politica che è dominio di sé per il servizio
degli altri, a differenza del liberalismo che proporrebbe l’individualismo
basato sugli interessi dei singoli individui e del socialismo che negherebbe la
libertà per dirigere gli altri verso certi progetti politici ideati a fini
altruistici (dominio degli altri al servizio degli altri). Questa impostazione
è veramente discutibile e rimanda inutilmente alla prima polemica della
dottrina sociale della Chiesa con il liberalismo e il socialismo, dai quali i
vegliardi che hanno emanato la dottrina sociale hanno faticosamente
imparato il rispetto politico per la persona umana, la
giustizia sociale e, soprattutto, ma molto lentamente, la democrazia.
La dottrina sociale ha
cominciato ad occuparsi delle masse, senza considerarle semplicemente un
insieme di sudditi, dopo un secolo di liberalismo e ha cominciato a pensare
alla giustizia sociale dopo circa mezzo secolo di movimenti socialisti. Ha
cominciato a trattare di impegno sociale delle persone di fede dopo circa
vent’anni nei quali esso era attivamente praticato in Europa. Si era
nell’Ottocento. Proveniva da posizioni retrivamente reazionarie in politica, e
in Italia avverse al processo di unificazione nazionale, e le ha mantenute a
lungo, fulminando, agli inizi del Novecento, i democratici di fede che ai tempi
nostri vuole invece incoraggiare. Per i papi Pecci e Sarto, agli inizi del
Novecento, modernismo e democrazia politica facevano
tutt’uno, erano eresie antireligiose.
Senza le conquiste politiche
del liberalismo, i vegliardi della dottrina sociale starebbero ancora, forse, a
bruciare gli eretici in piazza.
Senza le conquiste dei
movimenti socialisti sarebbero, forse, sulla medesima linea rinunciataria in
materia di conquiste sociali espressa dal papa Pecci nell’enciclica Le
novità, del 1891, considerato il primo documento della moderna dottrina
sociale della Chiesa:
1 - Necessità delle
ineguaglianze sociali e del lavoro faticoso
14. Si stabilisca
dunque in primo luogo questo principio, che si deve sopportare la condizione
propria dell'umanità: togliere dal mondo le disparità sociali, è cosa
impossibile. Lo tentano, è vero, i socialisti, ma ogni tentativo contro la
natura delle cose riesce inutile. Poiché la più grande varietà esiste per
natura tra gli uomini: non tutti posseggono lo stesso ingegno, la stessa
solerzia, non la sanità, non le forze in pari grado: e da queste inevitabili
differenze nasce di necessità la differenza delle condizioni sociali. E ciò
torna a vantaggio sia dei privati che del civile consorzio, perché la vita
sociale abbisogna di attitudini varie e di uffici diversi, e l'impulso
principale, che muove gli uomini ad esercitare tali uffici, è la disparità
dello stato. Quanto al lavoro, l'uomo nello stato medesimo d'innocenza non
sarebbe rimasto inoperoso: se non che, quello che allora avrebbe liberamente
fatto la volontà a ricreazione dell'animo, lo impose poi, ad espiazione del
peccato, non senza fatica e molestia, la necessità, secondo quell'oracolo
divino: Sia maledetta la terra nel tuo lavoro; mangerai di essa in
fatica tutti i giorni della tua vita (Gen 3,17). Similmente il dolore
non mancherà mai sulla terra; perché aspre, dure, difficili a sopportarsi sono
le ree conseguenze del peccato, le quali, si voglia o no, accompagnano l'uomo
fino alla tomba. Patire e sopportare è dunque il retaggio dell'uomo; e
qualunque cosa si faccia e si tenti, non v'è forza né arte che possa togliere
del tutto le sofferenze del mondo. Coloro che dicono di poterlo fare e
promettono alle misere genti una vita scevra di dolore e di pene, tutta pace e
diletto, illudono il popolo e lo trascinano per una via che conduce a dolori
più grandi di quelli attuali. La cosa migliore è guardare le cose umane quali
sono e nel medesimo tempo cercare altrove, come dicemmo, il rimedio ai mali.
Storicamente il liberalismo ha
insegnato anche ai socialisti il rispetto della persona, e i socialisti al
liberalismo l’esigenza di giustizia sociale per il mantenimento della pace e
del benessere sociale.
Il liberalismo è portatore di
un’etica pubblica molto esigente, come emerge, ad esempio, nell’esperienza storica
degli Stati Uniti d’America. Esso insegna ai potenti a non abusare del loro
potere e ad accettare di rendere conto del suo esercizio, e a ciascuno insegna
a rispettare la persona e i beni degli altri. Capisce bene che l’ordine sociale
richiede istituzioni pubbliche forti e infatti le genera (gli stati liberali
sono stati storicamente sistemi sociali ordinati, non dissoluti), pur creando
meccanismi giuridici perché nessuna di essa prevalga arbitrariamente, ma
ritiene che esse non debbano invadere totalmente le vite dei cittadini: occorre
lasciare uno spazio di autonomia alla società civile. E’ dal liberalismo che la
Chiesa ha imparato ciò che le è servito per proclamare il cosiddetto principio
di sussidiarietà (i poteri superiori devono rispettare le autonomie
locali), che insegna e tuttavia non pratica al suo interno, come del resto
accade anche in altre materie. Il liberalismo è entrato in conflitto con
la gerarchia cattolica in quanto e fino a che quest’ultima dal Settecento
mantenne la sua antica alleanza con i sovrani assoluti che pretendevano di
continuare a dominare da despoti il continente, contrastando gli sviluppi
democratici.
Il socialismo nacque in Europa
come forza di liberazione sociale, nella specie come movimento per l’elevazione
sociale e l’autoliberazione delle masse sfruttate da oligarchie
economiche che usavano anche la religione per perpetuare il proprio potere
dispotico, e lo è rimasto ancora oggi nella versione corrente
nell’Europa occidentale. Esso è una delle grandi forze politiche che, insieme
ai democratici cristiani, regge la nostra nuova Europa unita, fondata sulla
democrazia, i diritti universali, il rispetto della persona umana, l’intervento
attivo per correggere i mali sociali. La versione sovietica, che per
circa settant’anni dominò le popolazioni dell’antico impero russo e dal secondo
dopoguerra tutta l’Europa orientale, ne va considerata una degenerazione
proprio perché, contro gli obiettivi ideologici dichiarati dal
socialismo, creò un regime totalitario e illiberale, non più fondato
sui soviet, le assemblee di base del popolo lavoratore,
ma su un’estesissima polizia politica e sulla repressione durissima dei
dissenzienti, secondo i costumi che a lungo, e per certi versi ancora oggi
secondo i suoi critici, sono praticati nella Chiesa cattolica, uno degli ultimi
sistemi politici totalitari nel mondo (e non solo nel suo piccolo regno
vaticano romano).
Nell’incontro di ieri è stato
ricordato che il bene comune non consiste in un
insieme di beni materiali, ma nell'insieme di quelle condizioni della vita
sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di
raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente (secondo
quanto si legge nel brano del Compendio della dottrina sociale della
Chiesa che ho sopra trascritto e che cita un passo della
costituzione Luce per le genti del Concilio Vaticano
2°). Ha quindi natura relazionale e corrisponde alla natura relazionale della
persona umana affermata dalla dottrina sociale. L’essere umano, per quest’ultima,
non è un solo un individuo separato dagli altri, né una parte di un ingranaggio
sociale, ma un essere in relazione, che solo nella relazione con gli altri
realizza pienamente la sua umanità.
Per far capire questa idea di
bene comune sono state proiettate alcune scene dal film Acqua e sapone,
del 1983, diretto e interpretato da Carlo Verdone, in cui si vede il
protagonista, un professore di lettere, che viene continuamente interrotto e
disturbato dalla nonna (Lella Fabrizi) mentre cerca faticosamente di insegnare
l’italiano a degli adulti, tre africani e un italiano. In quel contesto
il professore non riesce a fare lezione perché non ci sono le condizioni giuste
per farlo e la piccola comunità, composta dal professore e dai suoi allievi, non
riesce a raggiungere i fini che si propone. Il bene comune come
lo intende la dottrina sociale consiste appunto nello sforzo di creare le
condizioni giuste per la realizzazione più piena della persona umana.
Chi deve operare per il bene
comune?
Tutti noi e non solo con il
voto.
La dottrina sociale sul bene
comune invita a non prendersela solo con gli altri, ma iniziare col fare
la propria parte. Inutile cercare capri espiatori, su cui riversare
di volta in volta la responsabilità del male che c’è e finirla lì.
Per far intendere la politica
basata sul capro espiatorio sono state proiettate alcune scene
del film Il cavaliere oscuro, del 2008, in cui il personaggio
di Batman, per consentire alla città di continuare a credere all’immagine
positiva di un magistrato paladino contro la criminalità che invece ad un certo
punto era degenerato e aveva iniziato a farsi giustizia da sé, si accolla i
delitti del magistrato e accetta di divenire, appunto, un capro
espiatorio.
Occorre fare dovunque la
propria parte, anche nelle piccole comunità locali in cui siamo inseriti, anche
nelle parrocchie. Non dobbiamo far conto solo su altri che vengano a risolvere
i nostri problemi, ma chiederci se e come noi stessi possiamo fare
qualcosa.
E' sicuramente condivisibile l'esigenza etica di non prendersela solo con
i capi per i mali sociali, ma certamente occorre anche, in politica,
comprendere bene il senso della storia in cui ci si inserisce, nella quale le
responsabilità aumentano man mano che cresce il potere che si è esercitato. La
critica realistica dei poteri sociali è la base dei sistemi democratici. In
democrazia i poteri sociali di solito, per la complessità delle società
contemporanee, non si concentrano più solo nelle persone dei maggiori
esponenti politici, ad esempio in un presidente di una Repubblica, un regnante
o un papa. Dietro ogni potere c'è un processo sociale e ci sono condizioni che
lo favoriscono. In questo senso occorre considerarci tutti responsabili dei
mali sociali e impegnati al loro risanamento. Individuare quale sia, in
concreto, ilbene comune è lavoro che richiede il dialogo
democratico. Altrimenti la vita pubblica diventa solo un conflitto disordinato
di interessi, in cui, a seconda delle maggioranze che di volta in volta si
riescono a formare coalizzandone alcuni, prevalgono alcuni a scapito degli
altri.
La brevità dell’incontro, poco
meno di un’ora, non ha consentito di chiarire meglio il nesso tra bene
comune e democrazia del quale la dottrina
sociale degli ultimi cinquant’anni è ben consapevole, tanto che il brano
del Compendio riguardante il significato
dell’espressione bene comune che ho sopra citato si apre con
l’affermazione “Dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone
deriva innanzi tutto il principio del bene comune”, che rimanda agli ideali
liberali democratici difraternità e uguaglianza.
L’ideale dell’unità delle persone umane, nella dignità ed
eguaglianza, rimanda invece al socialismo storico. E quello della libertà, l’altro
pilastro del liberalismo? La libertà, nella dottrina sociale, è
ancora una difficile libertà, nel senso che è
ancora il lato più ostico, per i vegliardi che la promulgano, di quel campo
della teologia. Del resto essi sono ancora organizzati come un anacronistico
impero religioso, con autorità che pretendono di essere obbedite senza tante
storie, appunto ciò che le democrazie avversano come non degno di una persona
umana. Ma sono ancora a scuola di democrazia nel mondo che li circonda e sono
studenti un po' meno ostici di un tempo.
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- 3 -
Terzo incontro del
ciclo Immìschiati, sulla solidarietà nella dottrina sociale
della Chiesa
Dal Compendio della dottrina
sociale della Chiesa (2004)
sul WEB all’indirizzo
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html
La solidarietà come
principio sociale e come virtù morale
193 Le nuove relazioni di interdipendenza tra uomini e popoli,
che sono, di fatto, forme di solidarietà, devono trasformarsi in relazioni tese
ad una vera e propria solidarietà etico-sociale, che è l'esigenza morale insita in tutte le relazioni
umane. La solidarietà si presenta, dunque, sotto due aspetti complementari:
quello di principio sociale e quello di virtù
morale.
La solidarietà deve
essere colta, innanzi tutto, nel suo valore di principio sociale ordinatore
delle istituzioni, in base al quale
le « strutture di peccato », che dominano i rapporti tra
le persone e i popoli, devono essere superate e trasformate in strutture
di solidarietà, mediante la creazione o l'opportuna modifica di leggi,
regole del mercato, ordinamenti.
La solidarietà è
anche una vera e propria virtù morale, non un « sentimento di vaga compassione o di superficiale
intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è
la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene
comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo
veramente responsabili di tutti ». La solidarietà assurge
al rango di virtù sociale fondamentale poiché si colloca nella
dimensione della giustizia, virtù orientata per eccellenza al bene
comune, e nell'« impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in
senso evangelico, a “perdersi” a favore dell'altro invece di sfruttarlo, e a
“servirlo” invece di opprimerlo per il proprio tornaconto (cf. Mt 10,40-42;
20,25; Mc 10,42-45; Lc 22,25-27) ».
Solidarietà e
crescita comune degli uomini
194 Il messaggio della dottrina sociale circa la solidarietà
mette in evidenza il fatto che esistono stretti vincoli tra solidarietà e bene
comune, solidarietà e destinazione universale dei beni, solidarietà e
uguaglianza tra gli uomini e i popoli, solidarietà e pace nel mondo. Il termine « solidarietà », ampiamente impiegato
dal Magistero, esprime in sintesi l'esigenza di riconoscere nell'insieme
dei legami che uniscono gli uomini e i gruppi sociali tra loro, lo spazio
offerto alla libertà umana per provvedere alla crescita comune, condivisa da
tutti. L'impegno in questa direzione si traduce nell'apporto positivo da non
far mancare alla causa comune e nella ricerca dei punti di possibile intesa
anche là dove prevale una logica di spartizione e frammentazione, nella
disponibilità a spendersi per il bene dell'altro al di là di ogni individualismo
e particolarismo.
195 Il principio della solidarietà comporta che gli uomini del
nostro tempo coltivino maggiormente la consapevolezza del debito che hanno nei
confronti della società entro la quale sono inseriti: sono debitori di quelle condizioni che rendono vivibile
l'umana esistenza, come pure di quel patrimonio, indivisibile e indispensabile,
costituito dalla cultura, dalla conoscenza scientifica e tecnologica, dai beni
materiali e immateriali, da tutto ciò che la vicenda umana ha prodotto. Un
simile debito va onorato nelle varie manifestazioni dell'agire sociale, così
che il cammino degli uomini non si interrompa, ma resti aperto alle generazioni
presenti e a quelle future, chiamate insieme, le une e le altre, a condividere,
nella solidarietà, lo stesso dono.
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Ieri sera, in parrocchia, in sala rossa, si è tenuto il terzo incontro
del ciclo Immìschiati, sulla solidarietà secondo la
dottrina sociale della Chiesa.
Si è iniziato mettendo in
evidenza il collegamento tra il valore e la pratica della solidarietà e il bene
comune.
E’ stata proiettata una
sequenza del film A Beautiful mind - Una mente
meravigliosa, del 2001, che racconta la vita del matematico statunitense
John Nash, premio Nobel nel 1994, ideatore della teoria economica detta dei giochi (1950).
In un bar il giovane Nash,
studente nell’università di Princeton, e i suoi colleghi di studi notano un
gruppo di belle ragazze, tra le quali una appare la più attraente. Gli altri
studenti propongono di cercare tutti un approccio con quest’ultima, per vedere
chi l’avrebbe conquistata. Nash sostiene che, facendo così, combattendo ognuno
solo nel proprio interesse, tutto il gruppo sarebbe rimasto senza ragazza.
Infatti, puntando tutti insieme sulla ragazza più bella, si sarebbero
ostacolati a vicenda e nessuno l’avrebbe conquistata. Poi si sarebbero rivolti
alle altre, ma queste ultime li avrebbero rifiutati perché nessuna avrebbe
voluto essere un ripiego, una seconda scelta. Per il giovane Nash, nel film, la
soluzione giusta era quella di puntare alle altre, dividendosi gli obiettivi:
così tutti avrebbero avuto una ragazza. Quindi bisognava pensare nell’interesse
proprio, ma anche nell’interesse del gruppo. Sviluppando il
ragionamento, il giovane Nash osserva come la prima strategia corrisponde a
quella consigliata dall’economista scozzese Adam Smith (1723-1790), capostipite
del pensiero economico moderno, secondo il quale, in una condizione di
uguaglianza giuridica, se ciascuno punta al proprio interesse non è
necessario un intervento regolatore pubblico, perché una mano
invisibile consente che sia assicurato anche l’interesse
generale. Per Nash, invece, quest’ultimo si realizza quando ciascuno, facendo
il proprio interesse, prende in considerazione anche quello del gruppo.
Il relatore ha sostenuto che
con la caduta dei regimi socialisti dell’Europa Orientale e con la vittoria su
quei sistemi politici delle nazioni coalizzate nella NATO, il Trattato del Nord
Atlantico, alleanza politico-militare che dal 1949 riunisce nazioni occidentali
europee, Canada e Stati Uniti d’America, si è diffusa nel mondo
l’ideologia liberale che spinge le persone all'individualismo, a fare solo il
proprio interesse nelle relazioni sociali ed economiche.
Non condivido questa visione di
quel processo storico. Se il crollo dei regimi socialisti dell’Europa orientale
fosse conseguito veramente ad una vittoria della NATO,
il mondo come oggi lo viviamo probabilmente non esisterebbe più, perché ci
sarebbe stata una guerra nucleare globale. Quei regimi socialisti si
disgregarono perché erano nati e si erano sviluppati come sistemi politici
autoritari e totalitari e non avevano mai realizzato quella liberazione di
tutti gli esseri umani, in particolare di tutti i lavoratori, che fin dalle
origini era l’obiettivo dei movimenti socialisti. Non si disgregarono in
quanto socialisti, ma perché erano rimasti socialisti solo di nome. Erano
dominati da una nomenklatura, da una burocrazia politica, che
tiranneggiava i lavoratori in modo simile a ciò che accadeva nei sistemi
capitalistici da parte dei capitalisti. La forza propulsiva del
socialismo sovietico si era da tempo esaurita, come osservò nel 1981 l’italiano
Enrico Berlinguer. Non ne fu possibile la riforma, tentata, avviata, dal
presidente sovietico Mikhail Gorbaciov negli anni ’80. Le ragioni di questo
fallimento sono in buona parte quelle all’origine della crisi dell’Unione
Europea contemporanea, grande sistema politico continentale multinazionale che
vuole essere fondato sulla libertà civili, uguaglianza in dignità e, appunto,
solidarietà. La rinuncia alla violenza politica da parte del Gorbaciov, sia
all’interno dell’Unione Sovietica che verso i regimi satelliti dell’Europa
Orientale, consentì la metamorfosi in senso occidentale dei
regimi politici che avevano assoggettato i russi e tanti altri popoli di quello
che era diventato un impero sovietico, erede e in fondo
emulo di quello zarista. La stessa NATO rimase sorpresa della loro velocissima
dissoluzione. Karol Wojtyla, profondo loro conoscitore, fu tra i pochi nel
mondo ad intuirne i prodromi. La transizione pacifica verso sistemi politici di
democrazia avanzata di tipo Occidentale fu possibile per l’intesa che si
sviluppò tra il Gorbaciov, il suo successore Boris Eltsin e il cancelliere
della Germania Federale Helmut Kohl (che fu capo del governo tedesco dal 1982
al 1998), democratico cristiano.
Nell’Europa occidentale si era
invece sviluppato un socialismo dal volto umano. Esso ha
collaborato a costruire l’Unione Europea e ne è parte fondamentale, insieme
alle componenti democratico-cristiane e liberali. Il sistema dei diritti umani
fondamentali su cui si fonda la nostra nuova Europa, un insieme politico
fortemente solidaristico, è anche frutto del socialismo dell’Europa
Occidentale. In particolare è un fecondo esempio di economia solidale fecondo
quello della Germania contemporanea con la sua economia sociale di
mercato, marcatamente divergente dal liberismo economico promosso
negli anni ’80 dal governo britannico di Margaret Thatcher e da quelli
statunitensi dei presidenti federali Ronald Reagan e George H.W. Bush.
Certamente dagli anni ’80
si è sviluppata, a livello mondiale, un’economia liberista poco sensibile alle
istanze solidaristiche. Al suo centro c’è lo sviluppo delle individualità e dei
loro interessi. Crede ancora, tutto sommato, nella mano
invisibile di cui scrisse Adam Smith nel Settecento, quindi in una
regolazione spontanea dei mercati che consentirebbe di realizzare l’interesse
generale. Tuttavia a livello globale manca una condizione fondamentale che
secondo Smith poteva consentire quel meccanismo di automatica regolazione
dell’economia, vale a dire l’uguaglianza giuridica. Di fatto, le ricorrenti
crisi economiche a livello mondiale dimostrano l’esigenza di interventi
correttivi molto penetranti da parte dei poteri pubblici, azione che è
difficile da attuare a livello globale e che l’Unione Europea sta tentando di
organizzare a livello continentale, basandosi sulla solidarietà politica che è
alla base del patto fondativo delle 28 nazioni che la compongono.
Il giovane relatore che ci ha
intrattenuto nella prima parte dell’incontro ha fatto vari esempi di
insufficienza di comportamenti basati sul solo interesse individuale.
La piccola autovettura Smart è
comoda per parcheggiare, risponde bene alle esigenze individuali, ma porta solo
due persone. Non va bene per un famiglia più numerosa, ad esempio con figli.
Non c’è spazio per più di due persone.
Gli appartamenti che vengono
proposti alle giovani coppie sono piccoli e vanno bene per due persone. Ma se
arrivano figli o anche amici?
Usiamo dei condizionatori per
rinfrescare gli ambienti domestici d’estate. Buttano aria fredda dentro e aria
calda fuori. Quindi si raffreddano gli ambienti privati, ma si riscaldano
quelli fuori, la città, l’ambiente in cui tutti vivono parte della loro
vita.
Sull’autostrada può accadere di
dover andare in fila, molto lenti, per il traffico. C’è chi allora percorre la
corsia di emergenza, massimizzando l’utile individuale. Ma se tutti facessero
in quel modo, dove transiterebbero i veicoli dei servizi di emergenza?
La solidarietà, ci è stato
detto, ha a che fare con il bene comune. Siamo tutti interdipendenti, per
essere veramente felici abbiamo bisogno degli altri. Il bene comune è quello
che consente di essere veramente felici e non si misura solo in termini di
ricchezza monetaria.
L’insufficienza dei sistemi
politici liberali e socialisti risiede, è stato detto, nel fatto che danno
troppa importanza alla moneta. I liberali vogliono che la ricchezza fluisca in
mani private, i socialisti vogliono omologare la gente realizzando
un’uguaglianza in ricchezza. E’ una visione piuttosto semplicistica e non
condivisibile di queste ideologie. Il liberalismo politico e filosofico propone
un’etica forte, non pensa di instaurare regimi dissoluti in cui l’utile privato
vada a scapito dell’interesse generale. Uno dei principi cardine del
liberalismo è l’eguaglianza in dignità, il rispetto di tutte le
persone umane e dei loro beni. E’ un’ideologia che si è formata in
contrapposizione con regimi politici assolutistici. Pretende che tutti possano
partecipare democraticamente alla gestione della cosa pubblica. Quanto al
socialismo non bisogna prendere come riferimento solo quello realizzato in Unione
Sovietica e nei Paesi da essa dominati, che del socialismo fu una progressiva
degenerazione. Il socialismo, in particolare quello marxista, nacque e si
sviluppò come forza di liberazione delle masse dei lavoratori che nei sistemi
economici capitalistici si trovavano nella condizione di schiavi, a stento con
i mezzi minimi di sussistenza, senza possibilità di riscatto, esclusi dalla
politica di governo. Anch’esso volle realizzare l’uguaglianza in dignità di
tutti gli esseri umani, mediante la trasformazione dei sistemi di produzione
economica, visti come origine dei problemi politici. Nonostante che i documenti
della dottrina sociale siano stati fin dall’inizio fortemente polemici con il
socialismo, la critica sociale in essa contenuta dipende in gran parte proprio
dalle argomentazioni socialiste. In definitiva, la dottrina sociale è debitrice
sia del liberalismo sia del socialismo, presentando tuttavia aspetti
caratteristici propri di origine teologica.
E’ stato detto che la politica
solidale insegnata dalla dottrina sociale della Chiesa punta alla felicità
delle persone, non solo all’aumento della ricchezza monetaria. Questa è un’idea
sviluppata a fine Settecento dai rivoluzionari liberali statunitensi.
Essi, nell’atto fondativo del nuovo stato federale che si separava dal regno
inglese, dichiararono che ogni essere umano ha diritto alla ricerca
della felicità.
“Noi
riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini
sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili
diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento
della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini
governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni
qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo
ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su
tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo
meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità.”
[Dalla Dichiarazione
di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, 4 luglio 1776]
Sull’insufficienza della
ricchezza monetaria, valutabile in termini monetari come si fa con l’indice
economico del Prodotto Interno Lordo “P.I.L.”, sono state ricordate le parole
di Robert Kennedy, “Bob”, fratello del presidente John F. Kennedy, “Jack”,
ministro federale della giustizia sotto la presidenza del fratello, assassinato
nel 1968 mentre svolgeva da candidato la campagna elettorale per le elezioni
presidenziali:
«Con troppa
insistenza e troppo a lungo, sembra che abbiamo rinunciato alla eccellenza
personale e ai valori della comunità, in favore del mero accumulo di beni
terreni. Il nostro Pil ha superato 800 miliardi di dollari l'anno, ma quel PIL
- se giudichiamo gli USA in base ad esso - comprende anche l'inquinamento
dell'aria, la pubblicità per le sigarette e le ambulanze per sgombrare le
nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il Pil mette nel conto
le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che
cercano di forzarle. Comprende il fucile di Whitman e il coltello di Speck, ed
i programmi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere giocattoli
ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate
nucleari e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i
bassifondi popolari. Comprende le auto blindate della polizia per fronteggiare
le rivolte urbane. Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie,
della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago.
Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori
famigliari o l'intelligenza del nostro dibattere. Il Pil non misura né la
nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra
conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura
tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere
vissuta. Può dirci tutto sull'America ma non se possiamo essere orgogliosi di
essere americani».
[da un discorso pronunciato il
18-3-1968 nell’Università del Kansas]
La nostra felicità dipende
dagli altri perché siamo tutti interdipendenti, e questo è sempre più manifesto
nelle società globalizzate dei nostri tempi. E dipende anche dalle relazioni
positive tra le persone, non solo dalla ricchezza che ciascuno riesce a
conseguire in società.
Per rendere un’idea di questo
concetto è stata proiettata una sequenza del film del 2010, del regista Daniele
Luchetti, La nostra vita. In cui un uomo, che aveva perduto la
moglie e si era trovato a subire rovesci di fortuna sul lavoro è sostenuto dal
fratello e la sorella, i quali, in un momento di sua disperazione gli dicono
che ci saranno sempre.
Affrontare la vita con spirito solidale significa
anche mettere nel lavoro che ci è stato assegnato qualcosa di più, non solo il
minimo contrattuale, ma qualcosa che spinga gli altri ad essere riconoscenti
dicendo “grazie!”, rinsaldando la trama della società, riconoscendosi
debitori gli uni degli altri. Dirci grazie gli uni gli
altri per quel di più che mettiamo nei compiti che svolgiamo è un modo per
riscoprire le relazioni positive che sono alla base della solidarietà sociale.
Gli altri possono darci
la felicità, sono necessari per la nostra felicità, perché siamo compatibili gli
uni con gli altri.
Non dobbiamo pensare alla
solidarietà come a un sentimento vago, né confonderla con l’elemosina. E’ un
atteggiamento di vita con rilevanti aspetti pratici. Non si deve essere
solidali a intermittenza, ma sempre. Karol Wojtyla, nell’enciclica La
sollecitudine sociale, del 1988, lo descrisse come «la determinazione
ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il
bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente
responsabili di tutti». Si è solidali anche, ad esempio,
praticando con costanza la differenziazione dei rifiuti, quindi separando la
carta, l'umido, la plastica e il vetro da tutto il resto, che è più
difficilmente riciclabile. Lo si fa nell'interesse generale, ma anche nel
proprio perché ci saranno meno rifiuti da distruggere, ad esempio negli
inceneritori o con altre tecniche che comunque hanno ripercussione
sull'ambiente in cui si vive, e recuperare materiale da riciclare e da mettere
di nuovo sul mercato abbasserà i costi del servizio di raccolta dei rifiuti. E'
una pratica che va fatta tutti i giorni, con costanza, cambiando abitudini che
si hanno da molto tempo.
Si tiene conto degli altri e anche delle generazioni più giovani: i più
anziani danno la vita ai giovani ma devono anche lasciare un ambiente e
le risorse che consentano ai più giovani di vivere. Poi i più giovani
sosterranno gli anziani, ad esempio versando contributi previdenziali con i
quali saranno pagate le pensioni d'anzianità.
Per far comprendere
la pratica della solidarietà secondo la dottrina sociale
della Chiesa, è’ stata proiettata una sequenza del film Bianco come il
latte, rosso come il sangue, del 2013, del regista Giacomo
Campiotti, in cui un ragazzo minorenne che si era iscritto, falsificando la
firma dei genitori, come donatore di midollo, per curare la leucemia di una
compagna di scuola della quale si era innamorato, Beatrice, con la quale però
era risultato non compatibile, viene chiamato per donare il midollo per
un’estranea, con la quale invece risulta compatibile. I genitori all’inizio si
oppongono, ma poi, anche per l’intervento della fidanzata del ragazzo,
accettano, comprendendo la bellezza dell’altruismo del figlio, che è diventato
una bella persona anche per merito loro. Nel film, poi, il ragazzo assiste alla
gioia del marito della donna che si è salvata da una malattia ematologica
ricevendo il suo midollo. Siamo compatibili, per questo possiamo
salvarci la vita gli uni gli altri. La solidarietà salva. Si
tratta di un’esperienza che ho fatto personalmente, perché sono sopravvissuto
solo per la donazione del midollo fatta da mio fratello Lucio nel 2004: io e
lui adesso abbiamo lo stesso sangue e il suo sangue finora mi ha protetto da
recidiva di malattia.
“Il principio della
solidarietà comporta che gli uomini del nostro tempo coltivino maggiormente la
consapevolezza del debito che hanno nei confronti della società entro la quale
sono inseriti”, si legge nel brano del Compendio che
ho sopra trascritto e che è stato letto ieri sera. Siamo interdipendenti e compatibili:
per questo la nostra felicità dipende dalla società in cui viviamo, da come
realizza, solidalmente, il bene comune.
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- 4 -
Quarto incontro del
ciclo Immìschiati, sulla sussidiarietà
[Dal Compendio della
dottrina sociale della Chiesa (2004), leggibile per intero sul WEB
all’indirizzo
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html ]
185 La sussidiarietà è tra le più costanti e caratteristiche
direttive della dottrina sociale della Chiesa, presente fin dalla prima grande enciclica sociale. È
impossibile promuovere la dignità della persona se non prendendosi cura della
famiglia, dei gruppi, delle associazioni, delle realtà territoriali locali, in
breve, di quelle espressioni aggregative di tipo economico, sociale, culturale,
sportivo, ricreativo, professionale, politico, alle quali le persone danno spontaneamente
vita e che rendono loro possibile una effettiva crescita sociale. È
questo l'ambito della società civile, intesa come l'insieme dei
rapporti tra individui e tra società intermedie, che si realizzano in forma
originaria e grazie alla « soggettività creativa del cittadino ». La rete
di questi rapporti innerva il tessuto sociale e costituisce la base di una vera
comunità di persone, rendendo possibile il riconoscimento di forme più elevate
di socialità.
186 […] In base a tale principio, tutte le società di
ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto (« subsidium
») — quindi di sostegno, promozione, sviluppo — rispetto alle
minori. In tal modo, i corpi sociali intermedi possono adeguatamente
svolgere le funzioni che loro competono, senza doverle cedere ingiustamente ad
altre aggregazioni sociali di livello superiore, dalle quali finirebbero per
essere assorbiti e sostituiti e per vedersi negata, alla fine, dignità propria
e spazio vitale.
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Ieri sera si è tenuto, in
parrocchia, in sala rossa, il quarto incontro del ciclo Immìschiati, sulla
sussidiarietà.
All’inizio è stata proiettata
una breve sequenza del film-cartone animato La Nuova Avventura di Scrat, Una ghianda è per sempre(2006), dove il protagonista, lo scoiattolo
Scrat, prima tenta di incastrare, facendo forza, l’ultima ghianda tra tante che
ha accumulato in un tronco di un albero cavo, poi dopo che l’albero si è
crepato, precipita nel vuoto, dal punto molto alto in cui si trovava l’albero,
insieme alla montagna di ghiande, tentando disperatamente di recuperarle
e di compattarle insieme in volo, per un po’ ci riesce, ma sta sempre cadendo
con tutte le ghiande, e quindi alla fine si abbatte sulla neve con tutte le ghiande.
Ci è
stato detto che viviamo in tempi simili a quelli del volo di Scrat nel vuoto.
Fino
agli anni ’80 erano in lotta due sistemi politici, uno basato sull’idea di
libertà e l’altro su quella di uguaglianza. Il docente che ne parlava si
riferiva a quello basato sull’economia di mercato e a quello basato
sull’economia socialista. Ad un certo punto [tra il 1989 e il 1991, nota mia]
ha vinto il primo e si è pensato di liberare l’economia da impacci delle regole
date dagli stati alla libera attività d’impresa, per spingere la gente ad
accumulare il più possibile, come Scrat nell’albero cavo con le sue ghiande [è
ciò che negli Stati Uniti d'America sotto la presidenza di Ronald Reagan si era
cominciato a chiamare deregulation (=deregolamentazione); nota
mia]. Questa libertà di accumulare con poche regole ha fatto saltare il
sistema, ha causato un crack, una crepatura nel sistema, appunto come
nel cartone animato, e tutto ha cominciato a cadere nel vuoto, tra il 2001 e il
2006. Ci troviamo ancora in questa fase. Come Scrat, a volte, ci sembra di
poter recuperare, di mettere insieme ciò che si era disperso cadendo, ad
esempio ci rincuoriamo per un aumento minimo dell’occupazione o se la
differenza tra i tassi d’interesse del nostro debito pubblico e quelli delle nazioni
più forti, il cosiddetto spread, si abbassa, ma in realtà
stiamo ancora cadendo e non si riesce a vedere la fine di questa caduta.
Il
problema, ci è stato spiegato, è che abbiamo puntato tutto sulla libertà e
sull’uguaglianza, ma si tratta di principi che tendenzialmente
confliggono. L’uguaglianza ci omologa e tende a limitare la
nostra libertà. La libertà ci fa meno uguali.
La dottrina
sociale invita ad agire anche secondo il principio della fraternità.
Libertà,
uguaglianza e fraternità erano del resto
i grandi principi che, all’epoca in cui in Europa originarono le democrazia
contemporanee, a fine Settecento, vennero considerati fondamentali.
Siamo
stati invitati, a questo punto, a rispondere ad alcune domande, un vero e
proprio test.
Chi si sente
veramente libero?, è stato chiesto. Nessuno si sentiva veramente
libero.
Chi si sente
veramente uguale a un altro? Nessuno.
Poi è stato
chiesto chi avesse avuto l’esperienza della vita con un fratello. Molti.
L’esperienza
della fraternità è profondamente umana e cambia il modo di considerare le cose
quando si prendono delle decisioni. Allora non teniamo conto solo della nostra
libertà e dell’esigenza dell’uguaglianza, ma anche della relazione di vita con
queste persone di famiglia con le quali siamo legati da un profondo affetto.
E’ stato fatto
un esempio tratto dalla vita personale del docente che ci parlava. Il suo
fratello maggiore, che usava il telefono cellulare per lavoro, voleva cambiarlo
con un altro più potente ed evoluto. Ha proposto al docente di acquistarlo; il
ricavato sarebbe servito al maggiore per pagare parte del prezzo del nuovo
telefono. Poi il secondogenito poteva vendere il suo vecchio telefono alla
sorella e quest’ultima il suo vecchio al fratellino più piccolo, che andava
ancora a scuola. Il docente però aveva il denaro per acquistare il
telefono vecchio del fratello maggiore, ma la sorella non aveva i soldi per
acquistare il suo vecchio e tanto meno il ragazzo più piccolo quello vecchio
della sorella. Il sistema basato sull’economia di mercato non avrebbe
consentito a tutti di rinnovare il proprio telefono. In base al principio di
uguaglianza si sarebbe potuto vendere il telefono del fratello più grande e,
con il ricavato, acquistare tutti lo stesso telefono, ma così il fratello
più grande avrebbe avuto un telefono insufficiente per il suo lavoro e il più
piccolo un telefono con prestazioni troppo potenti per quello che gli serviva.
Allora, i fratelli, sulla base del principio di fraternità, hanno deciso
che i tre minori avrebbero dato al maggiore ciò che avevano a disposizione per
acquistare un telefono, e lui si sarebbe accontentato: poi il secondogenito
avrebbe donato alla sorella il suo telefono vecchio e la sorella il suo vecchio
all’ultimogenito: così tutti i fratelli hanno avuto un telefono adeguato alle
loro esigenze.
E’
stata poi proiettata una sequenza del film La ricerca della felicità(2006),
del regista Gabriele Muccino, con Will Smith, in cui il protagonista parla con
il figlio bambino in un campetto di basket, con il seguente dialogo:
Figlio:
Guarda pa’, diventerò un professionista!
Chris:
Sì, cioè, non lo so. Forse giocherai più o meno come giocavo io. È così che
funziona, sai, io ero abbastanza negato. Quindi, probabilmente, arriverai, non
so, al mio stesso livello, forse. Sarai bravissimo in un sacco di cose. In
questa, non credo. Perciò non voglio che stai qui a tirare la palla per tutto
il giorno, ok?
Figlio:
ok. [Il bambino, deluso, ripone il pallone in una busta]
Chris:
Ehi…
Figlio:
Sì…
Chris:
Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa. Neanche a me.
Ok?
Figlio:
ok
Chris:
Se hai un sogno, tu lo devi proteggere. Quando le persone non sanno fare
qualcosa lo dicono a te che non la sai fare. Se vuoi qualcosa, vai e inseguila.
Punto.
La scena del film è stata lo
spunto per leggere e commentare il brano del Compendio della dottrina
sociale della Chiesa che ho trascritto all’inizio.
C’è una società con tante
formazioni sociali fatte da persone, che dalle relazioni con le
altre persone traggono il senso e le motivazioni della vita. Innanzi tutto la
famiglia, poi le varie forme di aggregazioni sociali, come la parrocchia, i
gruppi sportivi, i partiti e via dicendo. Secondo la dottrina sociale della
Chiesa i poteri pubblici da un lato, in positivo, devono stimolarli
e sostenerli, e dall’altro, in negativo, devono “astenersi
da quanto restringerebbe, di fatto, lo spazio vitale delle cellule minori ed
essenziali della società. La loro iniziativa, libertà e responsabilità non
devono essere soppiantate.” Questo perché è proprio “la rete
di questi rapporti [che] innerva il tessuto sociale e
costituisce la base di una vera comunità di persone, rendendo possibile il
riconoscimento di forme più elevate di socialità”, vale a dire di una
comunità fraterna e in quanto fraterna, partecipe e solidale,
in cui ognuno si senta valorizzato e non indotto ad attendere solo da altri la
soluzione dei problemi sociali.
E’ stata infine proiettata una sequenza del film
Bianco Rosso e Verdone, del 1981, con protagonista in vari ruoli e regista
l’attore Carlo Verdone. Nelle immagini si vede una famiglia, composta da papà,
mamma e due bambini, mentre si sta accingendo a partire in automobile per le
vacanze. L’uomo è molto pedante e insistente nel far fare alla moglie una sorta
di revisione di tutto ciò che doveva essere caricato e anche nel progettare il
viaggio, tutto secondo schemi molto precisi e dettagliati, elaborati da lui
solo, per cui la moglie appare insofferente.
Se ne è tratto spunto per
criticare la burocrazia che è spesso di intralcio alle iniziative sociali e
imprenditoriali dei cittadini con tutte le sue pretese di rispetto di precise
formalità e istruzioni. E’ stata vista come una lesione del principio di
sussidiarietà che è ora entrato anche nella Costituzione della nostra
Repubblica, all’art.118, e addirittura in quella dell’Unione Europea.
Questa è stata senz’altro la
parte meno convincente dei ragionamenti esposti nel corso dell’incontro. Non
tutta la burocrazia intorno alle attività private è inutile.
Non lo sono tutte le
prescrizioni in materia di sicurezza e igiene dei posti di lavoro, anche se si
verta in materia di attività svolte da volontari. Qui è in ballo l’integrità e
la salute della persona umana. Perché ogni attività umana presenta dei rischi,
anche salire su una scala per tinteggiare volonterosamente e gratuitamente la
scuola dei propri figli (è l'esempio che è stato fatto nel corso dell'incontro
per dare un'idea di un'attività utile, ideata dalla base sociale, ma ostacolata
dalla burocrazia). La scala deve essere a norma. Ci deve essere
un’assicurazione. Perché se un papà, tinteggiando da volontario, cade, batte la
testa e diventa un tronco umano, che ne sarà dei suoi figli? Allora si
rimpiangerà di non aver osservato quelle prescrizioni e del fatto che non si è
assicurati.
Non lo sono le prescrizioni
igienico-sanitarie e in materia di sicurezza degli ambienti anche se riguardano
attività pubbliche svolte senza fini di lucro, come quelle che potrebbero
essere svolte nel nostro teatrino parrocchiale e che ora, giustamente, non
possono essere svolte perché non è a norma. Che accadrebbe se, in caso di un
incendio, la gente si trovasse intrappolata dentro senza poter evacuare
rapidamente l’ambiente per mancanza di efficienti uscite di sicurezza?
E’ stato poi evocato, come
esempio di burocrazia oppressiva, l’obbligo del DURC per qualsiasi tipo di
lavoro in appalto, pubblico o privato. Il DURC è il documento unico di
regolarità contributiva che viene rilasciato dagli enti previdenziali ai datori
di lavoro che intendano assumere appalti pubblici o privati e serve a
dimostrare che non vengono impiegati lavoratori in nero, che
quindi per quei lavoratori vengono pagati i contributi previdenziali per il
caso di infortunio, malattia e per la pensione di vecchiaia.
Tutte queste prescrizioni sono
proprio espressione dell’obbligo di solidarietà sociale che rientra nel
principio di fraternità.
E’ proprio il liberismo economico
criticato all’inizio dell’incontro a pretendere che si sia liberati dall’osservanza
di quelle regole di solidarietà sociale.
E, insomma, mi è parso di
notare una apparente contraddizione tra l’impostazione iniziale e quella
dell’ultima parte, svolta da colui che ci è stato presentato come il
fondatore dell’iniziativa Olt3. Su questo occorrerebbe una
maggiore riflessione da parte sua, dei suoi collaboratori e anche nostra.
Bisogna ricordare che il
principio di sussidiarietà, che ha avuto tanta fortuna anche al di fuori dei
nostri ambienti religiosi tanto da improntare la nostra nuova Europa, con
l’importante contributo di politici formatisi nella nostra dottrina
sociale, venne elaborato sulla base di una lunga, vasta e intensa esperienza di
impegno sociale fatta dal nostro popolo di fede fin dall’Ottocento, sulla quale
ha tanto scritto ad esempio una persona come Giuseppe Toniolo (1845-1918.
Economista, sociologo, protagonista della riforma dell’Azione Cattolica a
inizio Novecento e infine beato).
Esso venne così formulato per
la prima volta in modo compiuto, nell’enciclica Il Quarantennale (1931,
del papa Achille Ratti, per il quarantennale della prima enciclica
sociale, la Le novità del papa Vincenzo Gioacchino Pecci, del 1891):
80. È vero
certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze,
molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove
prima si eseguivano anche delle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il
principio importantissimo nella filosofa sociale: che siccome è illecito
togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e
l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a
una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si
può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto
ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della
società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo
sociale, non già distruggerle e assorbirle.
81. Perciò è
necessario che l'autorità suprema dello stato, rimetta ad associazioni minori e
inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali
essa del resto sarebbe più che mai distratta ; e allora essa potrà eseguire con
più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano,
perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza di incitamento,
di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque
fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto
l'ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della
funzione suppletiva dell'attività sociale, tanto più forte riuscirà l'autorità
e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione
dello Stato stesso.
Tuttavia nella prima dottrina
sociale, marcatamente antisocialista, antiliberale, e avversa allo statalismo
laico, il richiamo alla società civile venne inteso essenzialmente come mezzo
per il mantenimento di uno spazio in cui il potere autocratico dei
pontefici potesse ancora dispiegarsi. Si era, nel 1931, nel quadro del
compromesso concluso dal Ratti con il regime mussoliniano, con i Patti
Lateranensi, nell’illusione di poter mantenere quello spazio pur in un regime
statale autoritario e totalitario come quello del fascismo storico. I Papi
infatti predicavano allo stato un principio, quello di sussidiarietà, che
poi non osservavano nell’esercizio del proprio potere religioso, che fino
all’ultimo Concilio, e per certi versi tuttora, rimase fortemente accentrato
nella romana Santa Sede, autocratico, autoritario.
In Italia, nell’attuale regime
democratico, viene inteso molto diversamente, in modo più ampio e soprattutto
riferito all’articolazione democratica della società.
Nella dottrina sociale rimane
però sempre difficile il rapporto con le esigenze di libertà, che nella
concezione liberale non significa mancanza di regole ma rispetto delle persone,
e di uguaglianza, che nella concezione socialista non significa omologazione e
coartazione ma rispetto della dignità e della libertà di tutti.
La fraternità poi, alla base
delle concezioni socialiste della società, viene intesa talvolta in religione
non nel suo aspetto liberante, in particolare dall’ingiustizia e
dal servaggio sociale, ma in quello della comune soggezione a un padre autoritario,
quale i papi, dai quali la dottrina sociale promana, e
i loro collaboratori del clero intendono ancora essere. Così si finisce
anche col pensare che la vera libertà possa sperimentarsi solo nel quadro di un dovere,
per cui, qualunque cosa accada si debba fare ciò che si deve, e, in
definitiva, la vera libertà consista nello scegliersi un sovrano a cui cederla,
quindi nel disfarsene.
Conseguentemente, allora,
questa società civile in cui la persona è inserita, e che si vuole
difendere dalle ingerenze degli stati, finisce anche con il diventare un
insieme di organizzazioni, a cominciare dalla famiglia, in cui la libertà delle
singole persone viene coartata, invece che sviluppata: appunto quello che i
rivoluzionari francesi di fine Settecento vollero smembrare, con riferimento
all’organizzazione corporativa del regno di allora e per
un’esigenza di liberazione delle persone. Ed ecco
che poi la pretesa, liberante, dello stato il quale, quando si
organizzano dei lavoratori per una qualsiasi attività, pretende che vengano
corrisposti regolarmente i contributi previdenziali può essere sentita come
un’oppressiva e impeditiva burocratizzazione dell’attività privata, mentre, in
realtà, impiegare lavoratori in nero, quindi non regolarmente
denunciati agli enti previdenziali, è questa sì una forma di coartazione della
libertà dei lavoratori, la cui condizione può avvicinarsi molto a quella
degli schiavi antichi. Qui chi opprime non è lo stato, ma chi impiega lavoratori
in quel modo.
Si vorrebbe, in questa
concezione, uno stato pagatore, ma non regolatore. Lo stato
democratico non dovrebbe immischiarsi nell'organizzazione delle
formazioni minori se non per sovvenzionarle: in questo modo però le
persone sarebbero lasciate all'arbitrio di chi quelle formazioni domina, non
sempre in modo democratico e rispettoso della personalità
individuale. Nelle formazioni sociali in fondo si preferirebbe
un’organizzazione modellata su quella della famiglia, con capi naturali e biologici,
i genitori, e con persone soggette per natura e per
sempre alla loro autorità, i figli. E appunto come figli appariamo
ai nostri capi religiosi del clero e anche a quest'ultimo (in religione siamo
sottomessi a una schiera sterminata di padri). Appare insomma ancora
lunga la via per l’inculturazione dei processi democratici in religione. La
democrazia è un potere che si sviluppa dal basso, sulla base dei principi di
libertà e uguaglianza e, come loro derivazione e non sulla base di soggezione
ad un’unica autorità paterna, di fraternità.
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- 5 -
Quinto incontro del
ciclo Immìschiati per avvicinare alla dottrina sociale
della Chiesa, sulla partecipazione
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[Dal Compendio
della dottrina sociale della Chiesa (2004)]
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html
V. LA
PARTECIPAZIONE
a) Significato e
valore
189 Caratteristica conseguenza della sussidiarietà è la
partecipazione, che si
esprime, essenzialmente, in una serie di attività mediante le quali il
cittadino, come singolo o in associazione con altri, direttamente o a mezzo di
propri rappresentanti, contribuisce alla vita culturale, economica, sociale e
politica della comunità civile cui appartiene. La partecipazione è
un dovere da esercitare consapevolmente da parte di tutti, in modo responsabile
e in vista del bene comune.
Essa non può essere
delimitata o ristretta a qualche contenuto particolare della vita sociale, data la sua importanza per la crescita, innanzi tutto
umana, in ambiti quali il mondo del lavoro e le attività economiche nelle loro
dinamiche interne, l'informazione e la cultura e, in massimo grado, la vita
sociale e politica fino ai livelli più alti, quali sono quelli da cui dipende
la collaborazione di tutti i popoli per l'edificazione di una comunità
internazionale solidale. In tale prospettiva, diventa imprescindibile
l'esigenza di favorire la partecipazione soprattutto dei più svantaggiati e
l'alternanza dei dirigenti politici, al fine di evitare che si instaurino
privilegi occulti; è necessaria inoltre una forte tensione morale, affinché la
gestione della vita pubblica sia il frutto della corresponsabilità di ognuno
nei confronti del bene comune.
b) Partecipazione e
democrazia
190 La partecipazione alla vita comunitaria non è soltanto una
delle maggiori aspirazioni del cittadino, chiamato ad esercitare liberamente e
responsabilmente il proprio ruolo civico con e per gli altri, ma anche uno
dei pilastri di tutti gli ordinamenti democratici, oltre che una
delle maggiori garanzie di permanenza della democrazia. Il governo
democratico, infatti, è definito a partire dall'attribuzione, da parte del
popolo, di poteri e funzioni, che vengono esercitati a suo nome, per suo conto
e a suo favore; è evidente, dunque, che ogni democrazia deve essere
partecipativa. Ciò comporta che i vari soggetti della comunità civile,
ad ogni suo livello, siano informati, ascoltati e coinvolti nell'esercizio
delle funzioni che essa svolge.
191 La partecipazione si può ottenere in tutte le possibili
relazioni tra il cittadino e le istituzioni: a questo fine, particolare attenzione deve essere
rivolta ai contesti storici e sociali nei quali essa dovrebbe veramente
attuarsi. Il superamento degli ostacoli culturali, giuridici e sociali, che
spesso si frappongono come vere barriere alla partecipazione
solidale dei cittadini alle sorti della propria comunità, richiede
un'opera informativa ed educativa. Meritano una preoccupata
considerazione, in questo senso, tutti gli atteggiamenti che inducono il
cittadino a forme partecipative insufficienti o scorrette e alla diffusa
disaffezione per tutto quanto concerne la sfera della vita sociale e politica:
si pensi, ad esempio, ai tentativi dei cittadini di «contrattare » le
condizioni più vantaggiose per sé con le istituzioni, quasi che queste fossero
al servizio dei bisogni egoistici, e alla prassi di limitarsi all'espressione
della scelta elettorale, giungendo anche, in molti casi, ad astenersene.
Sul fronte della partecipazione,
un'ulteriore fonte di preoccupazione è data dai Paesi a regime
totalitario o dittatoriale, in cui il fondamentale diritto a partecipare
alla vita pubblica è negato alla radice, perché considerato una minaccia per lo
Stato stesso; dai Paesi in cui tale diritto è enunciato soltanto
formalmente, ma concretamente non si può esercitare; da altri ancora in cui
l'elefantiasi dell'apparato burocratico nega di fatto al cittadino la possibilità
di proporsi come un vero attore della vita sociale e politica.
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Lo scorso venerdì sei maggio,
con inizio alle 19:30, si è tenuto in parrocchia l’ultimo degli incontri del
ciclo Immìschiati per avvicinare alla bellezza della
dottrina sociale della Chiesa. Era dedicato alla partecipazione.
Dopo il consueto filmato in cui
si vede il Papa, in udienza pubblica, che invita a immischiarsi nella
politica, perché, se condotta con spirito evangelico, può essere un’alta forma
di carità, è stata proiettata parte di una puntata della rubrica
televisiva Le Iene, con filmati girati in un campo
profughi di tende dove erano stati accolti gli sfollati dopo il terremoto di
L’Aquila del 2009. Abbiamo visto le immagini di case sventrate, con gli
ambienti domestici, i mobili, i letti, i quadri alle pareti, visibili
dall’esterno attraverso le pareti squarciate. Poi le telecamere hanno girato
tra le tende e sono state intervistate diverse persone lì rifugiate. Tutte
hanno detto di essere state felici di aver riscoperto la bellezza di
frequentare gli altri, in particolare di incontrarsi con loro negli orari che
di solito trascorrevano in solitudine in poltrona davanti alla
televisione. Le persone intervistate erano in prevalenza donne di mezz’età o
anziani. Hanno parlato anche due bambini. Che ne pensavano gli altri?
Probabilmente erano impegnati tra le macerie delle loro case e a cercare di
ricostruire le loro vite.
I bambini, in particolare,
hanno detto di aver scoperto la libertà di girare in mezzo alla gente, che gli
era negata prima del terremoto, così come è negata ai bambini del nostro
quartiere.
Due signore, che prima della
catastrofe abitavano in appartamenti vicini senza incontrarsi quasi mai, erano
andate a vivere nella stessa tenda e si trovavano molto bene insieme.
Nel servizio televisivo
sfilavano facce abruzzesi, aquilane in particolare. In una grande città come
Roma arriva gente da tutt’Italia e anche da tutto il mondo. Ci sono facce di
tutti i tipi. In una regione come l’Abruzzo è diverso: le persone che abitano
nei paesi hanno un po’ tutte un’aria di famiglia. Ogni paese un tipo di faccia.
Ecco perché ho riconosciuto facce aquilane (per un po’ ho
vissuto in Abruzzo, dove è nata la mia primogenita). Così ci si sente
effettivamente in famiglia, quando ci si ritrova insieme. Ma non è solo un
fatto fisico, di faccia e facciata. Tra
“paesani” c’è una solidarietà che non si sperimenta tra i quartieri
anonimi nelle grandi città, abitati da quelle che i sociologi definisco folle
solitarie. Da più giovane ho lavorato per tre anni in una cittadina sulla
costa abruzzese ed è un realtà umana, quella abruzzese, che ho vissuto
personalmente e mi è piaciuta moltissimo, mi ha molto coinvolto. Là mi
sentivo a casa come non mi sono mai sentito in altre
parti, né prima né dopo. Venni adottato non solo dalla
gente del posto, ma anche dagli abruzzesi della diaspora. Quando tornavo qui a
Roma, mi bastava dire di abitare laggiù per avere la solidarietà dei molti abruzzesi
che ci sono qui in città. Penso quindi che dopo il terremoto la gente
dell’Aquila si sia fatta forza di questo profondo legame di tipo familiare che
c’era già prima, l’abbia riscoperto per sopravvivere in condizioni molto
difficili. In una grande città come Roma quel legame manca. Costruirlo è
difficile, certe cose non si improvvisano. Ma ci si può provare, soprattutto da
giovani, età in cui certe relazioni vengono spontanee ed è più facile superare
certe remore e certi pregiudizi sugli altri.
Il giovane docente che ci
spiegava la dottrina sociale della Chiesa sulla partecipazione ha tratto spunto
dalle immagini per dare una prima idea della partecipazione secondo
quell’insegnamento: uscire dalle proprie case per incontrare gli altri. Ha
ricordato anche il testo della canzone C’è solo la strada, cantata
da Giorgio Gaber, del 1974, secondo il quale “appena una porta si chiude si
comincia ad ammuffire e la strada è l'unica salvezza/c'è solo la voglia e il
bisogno di uscire/ di esporsi nella strada e nella piazza.”
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Testo della canzone C’è solo
la strada (1974), cantata da Giorgio Gaber
Maria ti amo. Maria ho bisogno di te. Poi la stringo e la
bacio, infagottato d'amore e di vestiti. E anche lei si muove, felice della sua
apparenza e del nostro amore. E la cosa continua bellissima per giorni e
giorni. Una nave, con una rotta precisa che ci porta dritti verso una casa, una
casa con noi due soli, una gran tenerezza e una porta che si chiude.
Nelle case
non c'è niente di buono
appena una porta si chiude
dietro un uomo
Succede qualcosa di strano
non c'è niente da fare
è fatale quell'uomo
incomincia a ammuffire
Ma basta una chiave
che chiuda la porta d'ingresso
che non sei già più come prima
e ti senti depresso.
La chiave è tremenda
appena si gira la chiave
siamo dentro una stanza
si mangia si dorme si beve.
Ne ho conosciute tante di famiglie, la famiglia è più
economica e protegge di più. Ci si organizza bene, una minestra per tutti,
tranquillanti aspirine per tutti, gli assorbenti il cotone i confetti Falqui,
soltanto quattrocento lire per purgare tutta la famiglia, un affare. Si caga,
in famiglia, si caga bene, lo si fa tutti insieme.
Nelle case
non c'è niente di buono
appena una porta si chiude
dietro un uomo.
Quell'uomo è pesante
e passa di moda sul posto
incomincia a marcire
a puzzare molto presto.
Nelle case
non c’è niente di buono
c'è tutto che puzza di chiuso e di cesso
si fa il bagno ci si lava i denti
ma puzziamo lo stesso.
Amore ti lascio ti lascio.
C'è solo la strada
su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.
C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
e gli angeli non danno appuntamenti
e anche nelle case più spaziose
non c’è spazio per verifiche e confronti.
Laura, ti amo. Laura, ho bisogno di te. Con te io ritrovo
la strada, le piazze i giovani, gli studenti. Li avevo lasciati qualche anno fa
con la cravatta. Sono molto cambiati, sono molto più belli. Le idee sì, le idee
sono cambiate, e i loro discorsi e il modo di vestire. Gli esseri meno,
gli esseri non sono molto cambiati. Vanno ancora nelle aule di scuola a brucare
un po' di medicina, fettine di chimica, pezzetti di urbanistica con inserti di
ecologia, a ore pressappoco regolari, ed esiste ancora il bar, tra un
intervallo e l'altro. E poi l'amore, per fabbricarsi una felicità. Come noi
ora, una coppia e ancora tante coppie. Unica diversità un viaggio in India su
una Due Cavalli. Due, come noi.
E poi ancora una porta
e ancora una casa
ma siamo convinti
che sia un'altra cosa
Perché abbiamo esperienze diverse
non può finir male
perché abbiamo una chiave moderna
abbiamo una Yale.
Perché è tutto un rapporto diverso
che è molto più avanti
ma c’è sempre una casa
con altre aspirine e calmanti.
E di nuovo mi trovo a marcire
in un altra famiglia la nostra la mia
abbracciarla guardando la porta
è la mia poesia.
Amore ti lascio vado via.
C'è solo la strada
su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza.
C'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada nella piazza.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.
Lidia, ti amo. Lidia, ho bisogno di te. Ma per favore, in
un hotel meublè.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.
C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza.
C'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada nella piazza.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.
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Ma come interagire con
gli altri? Come partecipare?
Il docente ha ricordato che, a
volte, la politica viene considerata un affare da affidare solo ai migliori. In
questa concezione è bene che vi siano ostacoli alla partecipazione,
perché così solo coloro che arrivano a superarli, coloro che dimostrano di
avere la forza per superarli, imigliori, arrivano a fare
politica. Si tratterà sempre di una minoranza, che arriverà al potere dopo
una selezione. Al vertice troveremo quindi una oligarchia (parola
che deriva dal greco antico e che significapotere dei pochi), che
concepirà sé stessa come una aristocrazia(anche questa una
parola che deriva del greco antico e che significa potere dei migliori).
Questa concezione è dietro anche all’ideale di meritocrazia: una parola
nuova dei nostri tempi che significa che deve comandare chi l’ha meritato,
vale a dire chi ha dato prova del proprio valore. Secondo il docente queste
idee della politica avrebbero a che fare con la concezione liberale della
politica, ma questo mi pare piuttosto opinabile in quanto il liberalismo nasce
storicamente combattendo oligarchie e aristocrazie.
Il docente ha proseguito
presentando l’ideale, opposto al primo, della politica come democrazia
diretta, in cui a tutti è consentito di esprimere il proprio parere,
di parlare su tutto. Questo ai tempi nostri si può fare più agevolmente
sfruttando le possibilità concesse dalle reti telematiche su internet. Ma
quando tutti parlano si fa una gran confusione e non ci si capisce più nulla.
Allora questa concezione della politica richiede la creazione di imponenti
segreterie politiche, che dal centro dirigono la gente, che viene organizzata
in sezioni territoriali in modo che ciascuno possa farvi
parte, dovunque. In definitiva la personalità individuale viene coartata.
Mi pare che si siano accostate
due esperienze molto diverse: quella dei partiti di una volta, di massa,
con le loro organizzazioni pesanti, strutturate, diffuse, e quella degli
attuali partiti liquidi basati sui contatti telematici. Questi
ultimi sono nati all’epoca della crisi della
democrazia, dell’allentarsi dei legami sociali, mentre i primi,
sviluppatisi in epoche in cui si faceva molto conto sull’azione collettiva, la
democrazia l’hanno sostenuta e sviluppata, e soprattutto insegnata a diverse
generazioni consentendo anche di farne tirocinio, non solo diparlarne.
A questo punto sono state
presentate alcune sequenze del film La febbre del 2005,
diretto da Antonio D’Alatri.
Le potete rivedere su Youtube all’indirizzo
https://www.youtube.com/watch?v=FSpfMqA6M_g
Racconta un sogno del
protagonista, Mario un giovane che vorrebbe aprire una
discoteca ma incontra tante difficoltà burocratiche. Il presidente,
impersonato dall’attore Arnoldo Foà, in bicicletta arriva nel locale del giovane
e, sorseggiando una birra, e gli parla. Il giovane gli restituisce la
carta d’identità, non vuole più essere un cittadino, non vuole più essere
italiano, ma solo sé stesso e basta, getta la spugna. Perché?, domanda il presidente.
Mi avevate fatto credere che avevate bisogno di me, che potevo partecipare, e
invece mi avete solo preso in giro, risponde il giovane, il gioco è truccato.
E’ adesso che non sei più niente, che farai?, gli replica il presidente.
Me ne starò qui nel mio bar, un posto, mio, tutto mio. Ah, Mario, Mario, tu
vuoi sfuggire la realtà, osserva il presidente, e la speranza chi
te la salva?, la poesia dalla vita. Signor presidente, la salvi
lei. Adesso tocca a quelli come te, dice il presidente. Io
ci ho provato, ma ho trovato un verme sulla mia strada, risponde Mario.
Il presidente ridacchia e fa: i vermi hanno buon gusto,
quando hanno fame scelgono la frutta migliore. Allunga a Mario la
sua carta d’identità dicendo di riprendersela, perché anche se sarà solo, nel
suo bar, gli potrà sempre servire.
La partecipazione, nella
concezione della dottrina sociale della Chiesa, ha detto il docente, è
anzitutto un impegno per il bene comune. “La partecipazione è un dovere da
esercitare consapevolmente da parte di tutti, in modo responsabile e in vista
del bene comune.”, è scritto nel Compendio della
dottrina sociale della Chiesa.
Ha poi preso la parola un
giovane studente universitario che collabora nell’animazione degli
incontri Immìschiati e ha spiegato il collegamento che c’è tra
tutti i temi trattati nel ciclo di eventi: persona, bene comune,
solidarietà, sussidiarietà, partecipazione.
Ci sono due atteggiamenti
negativi: la sola indignazione e la rassegnazione.
Non basta indignarsi,
protestare per l’offesa alla propria dignità, occorre impegnarsi. E
non serve rassegnarsi, restituire la propria
dignità di cittadino, come fa Mario nel film La
febbre con la sua carta d’identità. In entrambi i casi ci
si ritira e questo non è degno della persona. Se le cose non
funzionano dobbiamo impegnarci senza attendere che altri, le istituzioni,
risolvano i problemi: è il principio di sussidiarietà. Per cambiare ciò
che non va dobbiamo tener conto anche degli altri, perché si è veramente persona solo
nelle nostre relazioni con gli altri e tenendo conto anche di loro: il
nostro vero bene può essere allora solo un bene
comune, solidale. Realizzarlo richiede di partecipare, di
resistere alla tentazione di ritirarsi.
Posso aggiungere che,
storicamente, la partecipazione democratica si è sviluppata con l’emergere di
una coscienza politica di classe, prima della borghesia, di quella parte della
popolazione che aveva cominciato ad avere un ruolo sempre più importante
nell’economia della modernità, e poi dei ceti popolari, di tutti i lavoratori.
Ci si è fatti uno spazio politico che i gruppi prima dominanti erano restii a
concedere. La partecipazione democratica è stata quindi, e ancora è, anche
un’esperienza di lotta. Senza una coscienza politica non c’è partecipazione
democratica e non c’è solidarietà. Questo, di creare una coscienza politica
nella gente, era uno dei lavori più importanti che facevano le vecchie
organizzazioni dei partiti popolari. Sì, certo, c’è il bene comune,
quello che ci fa sentire felici insieme agli altri, ma questo non basta. C’è
una resistenza al miglioramento: chi resiste, chi si oppone? E che fare per
vincere questa resistenza? Ce ne ha parlato don Ciotti quando è venuto in
parrocchia. E poi: serve veramente unirsi in tanti per fare le cose che
servono? Che cosa ci unisce? Possiamo veramente fidarci gli uni degli altri? La
politica democratica, infine, è anche e anzi fondamentalmente un’esperienza di
libertà. Si è iniziato a partecipare democraticamente quando si è
riusciti a desiderare e progettare la liberazione. Sussidiarietà significa
anche questo: un’esperienza di libertà. Ma nella nostra fede la libertà è vista
ancora con tanto sospetto. La si sospetta di egoismo e spesso questo sospetto
viene indotto da gerarchie (ora non solo clericali) gelose della propria libertà,
a scapito della nostra. Così, non di rado la libertà è diffamata in religione.
La riscoperta del valore religioso della libertà fu al centro della ribellione dei
resistenti cattolici durante l’ultima guerra mondiale. Riporto di seguito la
trascrizione di alcuni passi di un’intervista che fu fatta a don Giovanni
Barbareschi, protagonista della Resistenza lombarda, andata in onda su Rai TG-R
settimanale con il titolo “Don Giovanni Barbareschi - il prete della libertà”:
Commentatrice: Un prete della
Resistenza don Giovanni Barbareschi. Nasce a Milano novant’anni fa, è un
bambino sotto il regime fascista.
Barbareschi: “Questa è la mia
fotografia di Balilla, avevo dodici anni e mezzo. Alla domenica dovevo andare
alle adunate … fasciste, evidentemente. Tornavo a casa tutto contento e dicevo
a papà: «Papà, ci hanno portato anche a Messa!». E papà rispondeva: «Quella
messa non vale niente!». «Perché?...». «Perché siete andati obbligati».
Commentatrice: In famiglia,
anche a costo di pagarla cara, nessuno prende la tessera fascista.
Barbareschi: “E questo mi
ha innamorato della libertà, questa educazione di famiglia.”
Commentatrice: Così l’8
settembre, quando Badoglio proclama l’armistizio con gli Alleati e nel
Centro-Nord d’Italia con la repubblica di Salò comincia la barbarie
dell’occupazione nazi-fascista, Babareschi non ha dubbi.
Barbareschi: “Il 9 settembre 1943
sono entrato nella Resistenza.”
Commentatrice: Barbareschi
entra nelle brigate Fiamme Verdi. E’ tra i fondatori del giornale
clandestino Il Ribelle, con Teresio Olivelli, Carlo Bianchi, David Maria
Turoldo, Mario Apollonio, Dino Del Bo. Olivelli e Bianchi pagheranno con la
vita il loro impegno per la libertà. Il giornale esce come e quando può
ha un solo motto:
Barbareschi: “Non ci sono
liberatori, ma solo uomini che si liberano. Insomma, il primo atto
di fede che un uomo deve fare non è in Dio. Il primo atto di
fede che deve fare è nella sua libertà, cioè nella sua capacità
di diventare persona libera. Altrimenti la religione sarebbe
superstizione, se non fosse un atto libero. Sarebbe fanatismo
o sarebbe superstizione. Invece è un atto libero. E questo è un atto difede.”
E, visto che nell’incontro
sulla partecipazione è stata ricordata una canzone di Gaber, trascrivo il
testo di un’altra molto in tema, Libertà è partecipazione, che
presenta la partecipazione come esperienza di libertà, che dà un senso umano
alla libertà che altrimenti è vuota:
“Vorrei essere libero
libero come un uomo
Come un uomo appena nato
che ha di fronte solamente
la natura
che cammina dentro un bosco
con la gioia di inseguire
un’avventura
Sempre libero e vitale
fa l’amore come fosse
un animale
incosciente come un uomo
compiaciuto della propria
libertà
Gaber con il coro:
La libertà
non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
Vorrei essere libero come un uomo
Come un uomo che ha bisogno
di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio
solamente nella sua democrazia
Che ha il diritto di votare
e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare
ha trovato la sua nuova libertà
Gaber con il coro:
La libertà
non è star sopra un albero
non è neanche avere un’opinione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
la libertà
non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
Vorrei essere libero come un uomo
Come l’uomo più evoluto che si innalza
con la propria intelligenza
e che sfida la natura con la forza
incontrastata della scienza
Con addosso l’entusiasmo di spaziare
senza limiti nel cosmo
è convinto che la forza del pensiero
sia la sola libertà
Gaber con il coro:
La libertà non è star sopra un albero
non è neanche un gesto un’invenzione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
la libertà
non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
la libertà
non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.
Al termine dell’incontro i
giovani animatori di Immìschiati hanno invitato tutti a
partecipare al loro lavoro: ne hanno tanto bisogno (per ulteriori informazioni:
http://www.ol3roma.it/). Basta dare la propria disponibilità, poi si sarà
contattati. Si tratta di andare per tutta l’Italia a proporre la dottrina
sociale della Chiesa con il loro metodo veramente molto efficace. Loro giò
partecipavano ad attività in parrocchia, ma hanno sentito il bisogno di fare di
più, di uscire per incontrare gente nuova. E’ proprio
quell’impegno che è insegnato dalla dottrina sociale della Chiesa.
Il 20 maggio prossimo, alle ore
19:30 in sala rossa, si terrà l’ultimo incontro del ciclo sulla dottrina
sociale della Chiesa, con la partecipazione del prof. Pizzimenti. In
quell’occasione potranno essere fatte domande e osservazioni.
Io vorrei farne due: quelle che
propongo di seguito.
E’ vero che la dottrina sociale
ha avuto una evoluzione, dalla Rerum Novarum - Le novità del
papa Leone 13° - Vincenzo Gioacchino Pecci alla Laudato si’ di
papa Francesco - Jorge Mario Bergoglio? Se sì, che cosa ha provocato questa
evoluzione? Il mondo del laicato di fede ha avuto qualche ruolo in questo e può
averne ancora?
La seconda è legata alla prima.
La dottrina sociale
è solo una parte della teologia che può essere proclamata con autorità
esclusivamente dal Papa e dai vescovi, o è anche un insegnamento che
non ha solo un significato teologico, ma anche sociale, politico, alla cui
elaborazione possono, e anzi devono, partecipare anche i laici, man mano
che si scoprono e si fa esperienza delle novità sociali?
Voglio concludere con un forte
apprezzamento per il lavoro che gli animatori di Immischìati, del
gruppo Ol3, promosso da Gigi De Paolo, hanno fatto nella nostra parrocchia,
veramente molto efficace. In particolare mi sono reso conto che, con il loro
metodo, quello che dicono rimane fortemente impresso nella memoria, collegato
com’è alle tante emozioni suscitate dai brani di film che vengono
proposti. Anzi, in un prossimo intervento proporrò la filmografia degli
incontriImmìschiati nella nostra parrocchia. Ho acquistato i
DVD dei film che non avevo. Mia moglie, che insegna alle medie, ha proposto il
filmBianca come il latte, Rossa come il sangue ai suoi alunni. Un
film che non conoscevo, lo avevo sottovalutato quando è uscito e non l’ero
andato a vedere, ma che mi è piaciuto moltissimo, così come la colonna sonora
dei Modà.
Bravi, bravi tutti.
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Appendice
Dottrina sociale:
l’opinione dello storico Pietro Scoppola
Propongo di seguito alcune pagine
dello storico Pietro Scoppola (1926-2007) su dottrina sociale e democrazia
[Da: Pietro Scoppola, La
democrazia dei cristiani - Intervista a cura di Giuseppe Tognon, Laterza,
2005, €10,00. E’ alla portata di chi abbia terminato la scuola secondaria
superiore]
Domanda
Tognon: Recentemente è
stato diffuso il nuovo “bignamino” della dottrina sociale della Chiesa [si tratta del Compendio della dottrina sociale
della Chiesa. Nota mia]. I cattolici impegnati in politica sono
vincolati al rispetto di questa dottrina sociale? La dottrina sociale
della Chiesa è il manifesto politico dei cattolici italiani?
Scoppola: Il Compendio della dottrina sociale della Chiesa,
pubblicato il 25 ottobre 2004 ed elaborato su espresso incarico di Giovanni
Paolo II, è effettivamente una sintesi di molta dottrina già nota: non mi
sembra che offra grandi elementi di novità.
Sulla dottrina sociale il
discorso è molto complesso. Anzitutto: dottrina o insegnamento? Nel tempo sono
state utilizzate entrambe le formule: dottrina fa pensare a qualcosa di rigido
e stabile, insegnamento evoca sviluppo ed evoluzione, che in realtà vi sono
stati e molto profondi. La dottrina (o insegnamento) sociale della Chiesa è
stata a lungo intesa come un sistema concettuale rigido, come una deduzione
necessaria dai dati della natura umana e della Rivelazione e perciò vincolante
per il credente.
Vi sono stati gruppi,
specialmente in Francia, i quali affermavano che il movimento cattolico-sociale
rappresentava uno sviluppo logico, normale, oggettivo della dottrina immutabile
della Chiesa, e che parlavano di un diritto naturale come di una vera scienza…
una teoria oggettiva della conoscenza.
D. In sostanza la dottrina sociale veniva quasi assorbita
nell’ambito del dogma cattolico?
S. Non entrava direttamente nel dogma ma ne era in qualche
modo una conseguenza oggettiva e necessaria. E’ una questione
interessante perché investe, da un lato il tema del rapporto fra ragione e
fede, fra natura e grazia, dall’altro lato quello del rapporto tra
cattolicesimo e democrazia.
D. Puoi spiegare la sostanza del problema?
S. Posso provare a spiegare come io lo ho capito. Mi è stato
utile lo studio della grande opera dello storico tedesco Ernst Troeltsch Le
dottrine sociali delle chiese e i gruppi cristiani del 1912. E’
un’opera classica e l’autore non è un cattolico ma un protestante, come di vede
bene dalla sua argomentazione. Troeltsch si richiama all’eterno problema del
rapporto fra natura e grazia che aveva travagliato il pensiero agostiniano e
che, come si sa, è anche all’origine della Riforma protestante. Spiega come nel
pensiero tomista [il filone di pensiero originato da quello del teologo e
filosofo Tommaso D’Aquino (1225-1274)] esso appaia in qualche modo sanato: la
natura, ordinata in gradi ascendenti, è concepita quale premessa del regno
della grazia; la volontà di Dio è identificata con l’ordine della ragione,
l’etica cristiana identificata con il diritto di natura, anche se
superiore ad esso in ragione del precetto della carità; in definitiva ogni
aspetto della vita umana appare, in quella concezione, inquadrato in una
visione organica e gerarchica della realtà; le competenze della Chiesa e dello
Stato definite e distinte, restando peraltro il secondo subordinato alla prima
per la subordinazione stessa dei fini rispettivi.
D. Ma che cosa ha a che fare tutto ciò con la dottrina
sociale della Chiesa?
S. La condiziona profondamente. In questa visione del
tomismo, e i particolare del tomismo restaurato da Leone XIII, «l’ordine
universale - come nota Troeltsch - riposa sulla ragione, ma sulla ragione
divina e non sull’umana, sulla ragione oggettiva e non sulla soggettiva».
La tradizione cattolica si
oppone perciò in radice ad ogni forma di individualismo e stenta a fare i conti
con la soggettività; questo è il presupposto di quella visione della storia
moderna che è alla base dell’intransigenza cattolica ottocentesca [che si
opponeva ad ogni mediazione con le culture della modernità. Nota mia]: essa
vede nel «funesto e deplorevole spirito di novità - come si legge
nella Immortale Dei [enciclica del 1885. Nota mia] -
suscitatosi nel secolo XVI [sedicesimo] e cioè nell’individualismo
religioso della Riforma, travasato poi nel campo politico e da ultimo,
con il liberalismo, nella concezione stessa dello Stato, «la radice di tutti i
mali della moderna società».
D.Ti sembra di poter condividere l’analisi dello storico
tedesco?
S. Oggi, come vedremo, è decisamente superata. Ma riassume
efficacemente, anche se con qualche schematismo, l’orientamento del pensiero
cattolico prima del Concilio Vaticano II, un vecchio orientamento del quale si
avvertono ancora le tracce in alcuni ambienti cattolici.
La riflessione dello storico
tedesco (ma il tema è stato ripreso in anni a noi più vicini dal francese Emile
Poulat) pone infatti in luce il legame culturale fra la dottrina sociale della
Chiesa e le premesse ideologiche dell’intransigenza cattolica (della tendenza
cioè che rifiuta ogni concessione alla modernità): di fatto il cattolicesimo
sociale che è emerso vivace alla fine del XIX (diciannovesimo = Ottocento)
secolo, quello delle opere in campo associativo, cooperativo, assistenziale,
editoriale ecc. ha trascurato lo sforzo di talune componenti del cattolicesimo
ottocentesco e in particolare del cattolicesimo liberale, volto a cercare una
conciliazione tra la «ragione oggettiva» - per riprendere l’espressione di
Troeltsch - e la «ragione soggettiva». Sulla base di queste premesse culturali
l’insegnamento sociale della Chiesa assume quei caratteri che con varie
accentuazioni conserverà fino a Pio XII.
D. Perché dicevi che questa concezione condiziona il
rapporto tra cattolicesimo e democrazia?
S. Perché la democrazia è lo strumento in cui si esprime la
libera dinamica di una società ed è difficilmente compatibile con la
visione di un ordinamento astrattamente definito.
All’inizio del secolo scorso
[l’Ottocento nel momento in cui parlava Scoppola], quando si comincia a parlare
di democrazia cristiana, Leone XIII, nell’enciclica Graves de communi,
tenta di costringere la democrazia cristiana nascente entro gli spazi del
cattolicesimo sociale con la famosa definizione della democrazia cristiana come
“actio benefica in populo” (azione sociale in favore del popolo) che si
contrappone a quella proposta in Italia da Romolo Murri e in Francia da molti
esponenti del clero più impegnato politicamente, gli Abbes democrates,
ai quali si deve la formula «pour le peuple et par le peuple» [per il popolo
e dal popolo]. La democrazia cristiana, dunque, nasce sul ceppo del
cattolicesimo sociale, ma lo supera.
Di qui la
distinzione a tratti la polemica tra cattolicesimo sociale e
democrazia cristiana all’inizio del secolo: il cattolicesimo sociale è uno
spazio garantito dalla Chiesa entro il quale i cattolici agiscono sotto la
guida della Chiesa stessa e sono vincolati all’unità: la democrazia cristiana
nasce come iniziativa autonoma, implica un appello alla mobilitazione popolare
per l’attuazione della giustizia ed assume perciò tra i suoi obiettivi
quello della democrazia politica, dovendosi di conseguenza misurare con il
problema della libertà.
D. Che cosa rimane oggi di quelle vecchie posizioni del
cattolicesimo sociale?
S. Direi che lo stesso magistero della Chiesa ha
superato quelle posizioni. Nello sviluppo del magistero in materia sociale vi è
uno spartiacque che non spezza la continuità ma accentua il rinnovamento di
metodo e di contenuti: si può indicarlo nel magistero di Giovanni XXIII e
soprattutto nel Concilio. In sostanza si sostituisce al metodo deduttivo, per
cui si partiva dai principi e si arrivava alle prescrizioni operative, un
metodo induttivo e storico, che parte dalla lettura e dalla comprensione della
realtà storica per coglierne poi le implicazioni dal punto di vista cristiano.
Questa svolta è legata alla
nuova formula dei «segni dei tempi» che ha radici ecclesiologiche profonde: la
Chiesa non è tanto interprete e garante di un ordine di ragione, ma portatrice
di una tensione escatologica che agisce dentro la storia degli uomini; la sua
presenza nella storia e il suo stesso insegnamento sono un elemento di
giudizio e di crisi nella storia. La comunità cristiana e i cristiani stessi
sono portatori di un annuncio che è motivo di continuo inappagamento rispetto
ad ogni ordine costituito (in questo senso Aldo Moro parlava del «principio di
non appagamento»): non più l’ordine costituito (come nei documenti del
magistero ottocentesco) è l’obiettivo della loro azione, ma un miglioramento
sempre possibile e mai compiuto della società perché ogni concreta
realizzazione storica rimane sempre inadeguata rispetto al messaggio di Cristo.
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Resoconti di Mario Ardigò - Azione Cattolica in san Clemente papa -
Roma, Monte Sacro, Valli