Diacone? Ora si può discuterne. L'ha detto il Papa
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[Dal discorso
a domanda e riposte del papa
Francesco all’udienza per le 900 religione della UISG - Unione Internazionale
delle Superiori generali riunite a Roma nell’assemblea plenaria sul tema “Tessere
la solidarietà globale per la vita”, tenuto il 12 maggio scorso in aula
Paolo 6°, in Vaticano]
Domanda:
Il ruolo delle donne consacrate nella Chiesa
Le donne consacrate lavorano già tanto con i poveri e con gli
emarginati, insegnano la catechesi, accompagnano i malati e i moribondi,
distribuiscono la comunione, in molti Paesi guidano le preghiere comuni in
assenza di sacerdoti e in quelle circostanze pronunciano l’omelia. Nella Chiesa
c’è l’ufficio del diaconato permanente, ma è aperto solo agli uomini, sposati e
non. Cosa impedisce alla Chiesa di includere le donne tra i diaconi permanenti,
proprio come è successo nella Chiesa primitiva? Perché non costituire una
commissione ufficiale che possa studiare la questione? Ci può fare qualche
esempio di dove Lei vede la possibilità di un migliore inserimento delle donne
e delle donne consacrate nella vita della Chiesa?
Papa Francesco
Questa domanda va nel senso del “fare”: le donne consacrate
lavorano già tanto con i poveri, fanno tante cose… nel “fare”. E tocca il
problema del diaconato permanente. Qualcuno potrà dire che le “diaconesse
permanenti” nella vita della Chiesa sono le suocere [ride, ridono]. In effetti
questo c’è nell’antichità: c’era un inizio... Io ricordo che era un tema che mi
interessava abbastanza quando venivo a Roma per le riunioni, e alloggiavo alla
Domus Paolo VI; lì c’era un teologo siriano, bravo, che ha fatto l’edizione
critica e la traduzione degli Inni di Efrem il Siro. E un giorno gli ho
domandato su questo, e lui mi ha spiegato che nei primi tempi della Chiesa
c’erano alcune “diaconesse”. Ma che cosa sono queste diaconesse? Avevano
l’ordinazione o no? Ne parla il Concilio di Calcedonia (451), ma è un po’
oscuro. Qual era il ruolo delle diaconesse in quei tempi? Sembra – mi diceva
quell’uomo, che è morto, era un bravo professore, saggio, erudito – sembra che
il ruolo delle diaconesse fosse per aiutare nel battesimo delle donne, l’immersione,
le battezzavano loro, per il decoro, anche per fare le unzioni sul corpo delle
donne, nel battesimo. E anche una cosa curiosa: quando c’era un giudizio
matrimoniale perché il marito picchiava la moglie e questa andava dal vescovo a
lamentarsi, le diaconesse erano le incaricate di vedere i lividi lasciati sul
corpo della donna dalle percosse del marito e informare il vescovo. Questo,
ricordo. Ci sono alcune pubblicazioni sul diaconato nella Chiesa, ma non è
chiaro come fosse stato. Credo che chiederò alla Congregazione per la Dottrina
della Fede che mi riferiscano circa gli studi su questo tema, perché io vi ho
risposto soltanto in base a quello che avevo sentito da questo sacerdote che
era un ricercatore erudito e valido, sul diaconato permanente. E inoltre vorrei
costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione: credo che
farà bene alla Chiesa chiarire questo punto; sono d’accordo, e parlerò per fare
una cosa di questo genere.
Poi dite: “Siamo d’accordo con lei, Santo Padre, che ha più volte
riportato la necessità di un ruolo più incisivo delle donne nelle posizioni
decisionali nella Chiesa”. Questo è chiaro. “Ci può fare qualche esempio di
dove Lei vede la possibilità di un migliore inserimento delle donne e delle
donne consacrate nella vita della Chiesa?”. Dirò una cosa che viene dopo,
perché ho visto che c’è una domanda generale. Nelle consultazioni della
Congregazione per i religiosi, nelle assemblee, le consacrate devono andare:
questo è sicuro. Nelle consultazioni sui tanti problemi che vengono presentati,
le consacrate devono andare. Un’altra cosa: un migliore inserimento. Al momento
non mi vengono in mente cose concrete, ma sempre quello che ho detto prima:
cercare il giudizio della donna consacrata, perché la donna vede le cose con
una originalità diversa da quella degli uomini, e questo arricchisce: sia nella
consultazione, sia nella decisione, sia nella concretezza.
Questi lavori che voi fate con i poveri, gli emarginati, insegnare
la catechesi, accompagnare i malati e i moribondi, sono lavori molto “materni”,
dove la maternità della Chiesa si può esprimere di più. Ma ci sono uomini che
fanno lo stesso, e bene: consacrati, ordini ospedalieri… E questo è importante.
Dunque, sul diaconato, sì, accetto e mi sembra utile una commissione
che chiarisca bene questo, soprattutto riguardo ai primi tempi della Chiesa.
Riguardo a un migliore inserimento, ripeto quello che ho detto
prima.
Se c’è qualcosa da
concretizzare, domandatelo adesso: su questo che ho detto, c’è qualche domanda
in più, che mi aiuti a pensare? Avanti…
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Dunque, ora di conferimento dell’Ordine sacro alle donne si può
discutere. Questa la grande novità, dopo
le parole di Jorge Mario Bergoglio dell’altro giorno. Finora farlo poteva
costare molto caro a un prete, a un religioso o a un teologo laico.
Si può discuterne perché lo ha detto il Papa l’altro
ieri parlando alle religiose dell’UISG in Vaticano. Centinaia di milioni di
fedeli, in particolare in Occidente, chiedevano di poterlo fare, ma contavano
meno di quest’unica persona, e ancora bisogna accettare questo modo di
procedere.
“In
America Latina, per esempio, il clericalismo è molto forte, molto marcato. I
laici non sanno che cosa fare, se non domandano al prete… E’ molto forte. E per
questo la consapevolezza del ruolo dei laici in America Latina è molto in
ritardo.”, ha detto nello
stesso discorso il Bergoglio (solo in America Latina?). E ha imputato al clericalismo del clero gli ostacoli
posti alla possibilità di reintrodurre il diaconato femminile nelle nostre
collettività di fede. La possiamo considerare un’autocritica da parte del
papato? Storicamente non c’è stata un’istituzione più clericale del papato.
Tanto che il principale impedimento al diaconato femminile è ora costituito,
nella nostra confessione, sembra, dai pronunciamenti del papa Wojtyla, che
volle essere ultimativo sulla questione: mai e poi mai l’Ordine sacro alle
donne.
Finora venivano
tacciate di clericalismo le donne che
invocavano l’Ordine sacro anche per loro.
Non i clericali del clero che sbarravano loro la strada.
Certo, c’è un clericalismo dei laici, ma quello più eclatante e pericoloso,
retrivo e reazionario, è appunto quello del clero. Il primo è solo un riflesso
del secondo. I clericali del clero impongono il clericalismo ai laici, che
talvolta ci mettono del loro. Ma bisogna combattere il clericalismo degli uni e
degli altri: questa volta lo dice un papa.
La domenica qualche volta mi capita di
ascoltare la bella trasmissione Culto
evangelico alla radio. Svolgono
sermoni anche le pastore e quanto a cultura, profondità, ispirazione religiosa
non sono da meno di quelli tenuti dagli uomini. Pensare che le donne, in
ragione del loro sesso, debbano essere escluse da certi ministeri
religiosi è un controsenso nella cultura
contemporanea. Osservano che, duemila anni fa, nelle nostre prime comunità di
fede c’erano le diacone. Poi l’istituto venne obliterato dall’imponente moto di
clericalismo maschile che presto si sviluppò prendendo il sopravvento. Ma
quello che c’era duemila anni fa non basta. Eppure nemmeno quello c’è tra noi.
In prospettiva è tutta l’organizzazione
gerarchica delle nostre collettività di fede che sarebbe meritevole di riforma, una parola molto usata dal
Bergoglio. Ha una struttura feudale: è possibile che sia indispensabile
mantenerla ai giorni nostri? E come vi sarebbero inserite le diacone? Ancora
permanentemente soggette, in ragione solo del loro sesso, all’autorità degli
uomini ordinati?
Aver aperto alla discussione ha voluto dire
molto, però, in materia di diaconato femminile. Perché, se l’Ordine sacro è
attualmente solo maschile, non è così per la teologia: dopo l’ultimo Concilio
si è sviluppata una cultura teologia e anche una tradizione teologica al femminile,
elaborata da teologhe, che insegnano ai futuri preti e vescovi anche nelle
università religiose. Questo renderà fecondo il lavoro dell’istituenda
commissione sul diaconato, se vedrà anche la loro partecipazione.
Di seguito pubblico per intero il discorso del
Bergoglio e anche un articolo di commento del teologo Vito Mancuso, pubblicato
ieri su La Repubblica.
Che significato può avere la nuova situazione
nella vita di una parrocchia come la nostra? Già mi pare di sentire molto di
meno certi discorsi desolatamente maschilisti che in modo ricorrente ascoltavo
da noi. Ad esempio quando si proponeva come modello religioso quello fascista
del marito-padre dominante, autoritario, capo
della famiglia, della moglie e dei figli, dotato per natura di un carisma di comando, al modo dei preti. Possiamo
stupirci se poi le donne fuggono? Ecco, possiamo cominciare da qui, dal modello
familiare che proponiamo quando, ad esempio, spieghiamo agli adolescenti e a
giovani che vogliono sposarsi come dev’essere
la famiglia di fede.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALL'UNIONE INTERNAZIONALE SUPERIORE GENERALI (UISG)
Aula Paolo VI
Giovedì, 12 maggio 2016
Prima domanda
Per un migliore inserimento delle donne nella
vita della Chiesa
Papa Francesco, Lei ha detto che “il genio
femminile è necessario in tutte le espressioni della vita della Chiesa e della
società”, e tuttavia le donne sono escluse dai processi decisionali nella
Chiesa, soprattutto ai più alti livelli, e dalla predicazione nell’Eucaristia.
Un importante impedimento all’abbraccio pieno della Chiesa del “genio
femminile” è il legame che sia i processi decisionali che la predicazione hanno
con l’ordinazione sacerdotale. Lei vede un modo per separare dall’ordinazione
sia i ruoli di leadership che la predicazione all’Eucaristia, in modo che la
nostra Chiesa possa essere più aperta a ricevere il genio delle donne, in un
futuro molto prossimo?
Papa Francesco
Sono varie cose qui che dobbiamo distinguere.
La domanda è legata alla funzionalità, è legata molto alla funzionalità, mentre
il ruolo della donna va oltre. Ma io adesso rispondo alla domanda, poi
parliamo… Ho visto che ci sono altre domande che vanno oltre.
E’ vero che le donne sono escluse dai
processi decisionali nella Chiesa: escluse no, ma è molto debole l’inserimento
delle donne lì, nei processi decisionali. Dobbiamo andare avanti. Per esempio -
davvero io non vedo difficoltà - credo che nel Pontificio Consiglio Giustizia e
Pace che porta avanti la segreteria sia una donna, una religiosa. E’ stata
proposta un’altra e io l’ho nominata, ma lei ha preferito di no, perché doveva
andare da un’altra parte a fare altri lavori della sua Congregazione. Si deve
andare oltre, perché per tanti aspetti dei processi decisionali non è
necessaria l’ordinazione. Non è necessaria. Nella riforma della Cost. ap. Pastor
Bonus, a proposito dei Dicasteri, quando non c’è la giurisdizione che viene
dall’ordinazione – cioè la giurisdizionale pastorale – non si vede scritto che
può essere una donna, non so se capo dicastero, ma… Per esempio per i migranti:
al dicastero per i migranti una donna potrebbe andare. E quando c’è necessità –
adesso che i migranti entrano in un dicastero – della giurisdizione, sarà il
Prefetto a dare questo permesso. Ma nell’ordinario può andare, nell’esecuzione
del processo decisionale. Per me è molto importante l’elaborazione delle
decisioni: non soltanto l’esecuzione, ma anche l’elaborazione, e cioè che le
donne, sia consacrate sia laiche, entrino nella riflessione del processo e
nella discussione. Perché la donna guarda la vita con occhi propri e noi uomini
non possiamo guardarla così. E’ il modo di vedere un problema, di vedere
qualsiasi cosa, in una donna è diverso rispetto a quello che è per l’uomo.
Devono essere complementari, e nelle consultazioni è importante che ci siano le
donne.
Io ho avuto l’esperienza a Buenos Aires di un
problema: vedendolo con il Consiglio presbiterale – quindi tutti uomini – era
ben trattato; poi, il vederlo con un gruppo di donne religiose e laiche ha
arricchito tanto, tanto, e favorito la decisione con una visione complementare.
E’ necessario, è necessario questo! E penso che dobbiamo andare avanti, su
questo poi il processo decisionale vedrà.
C’è poi il problema della predicazione nella
Celebrazione Eucaristica. Non c’è alcun problema che una donna – una religiosa
o una laica – faccia la predica in un Liturgia della Parola. Non c’è problema.
Ma nella Celebrazione Eucaristica c’è un problema liturgico-dogmatico, perché
la celebrazione è una - la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica, è
un’unità – e Colui che la presiede è Gesù Cristo. Il sacerdote o il vescovo che
presiede lo fa nella persona di Gesù Cristo. E’ una realtà teologico-liturgica.
In quella situazione, non essendoci l’ordinazione delle donne, non possono
presiedere. Ma si può studiare di più e spiegare di più questo che molto
velocemente e un po’ semplicemente ho detto adesso.
Invece nella leadership non
c’è problema: in quello dobbiamo andare avanti, con prudenza, ma cercando le
soluzioni…
Ci sono due tentazioni qui, dalle quali
dobbiamo guardarci.
La prima è il femminismo: il ruolo della
donna nella Chiesa non è femminismo, è diritto! E’ un diritto di battezzata con
i carismi e i doni che lo Spirito ha dato. Non bisogna cadere nel femminismo,
perché questo ridurrebbe l’importanza di una donna. Io non vedo, in questo
momento, un grande pericolo riguardo a questo tra le religiose. Non lo
vedo. Forse una volta, ma non in genere non c’è.
L’altro pericolo, che è una tentazione molto
forte e ne ho parlato parecchie volte, è il clericalismo. E questo è molto
forte. Pensiamo che oggi più del 60 per cento delle parrocchie – delle diocesi
non so, ma solo un po’ meno – non hanno il consiglio per gli affari economici e
il consiglio pastorale. Questo cosa vuol dire? Che quella parrocchia e quella
diocesi è guidata con uno spirito clericale, soltanto dal prete, che non attua
quella sinodalità parrocchiale, quella sinodalità diocesana, che non è una
novità di questo Papa. No! E’ nel Diritto Canonico, è un obbligo che ha il
parroco di avere il consiglio dei laici, per e con laici, laiche e religiose
per la pastorale e per gli affari economici. E questo non lo fanno. E questo è
il pericolo del clericalismo oggi nella Chiesa. Dobbiamo andare avanti e
togliere questo pericolo, perché il sacerdote è un servitore della comunità, il
vescovo è un servitore della comunità, ma non è il capo di una ditta. No!
Questo è importante. In America Latina, per esempio, il clericalismo è molto
forte, molto marcato. I laici non sanno che cosa fare, se non domandano al
prete… E’ molto forte. E per questo la consapevolezza del ruolo dei laici in
America Latina è molto in ritardo. Si è salvato un po’ di questo solo nella
pietà popolare: perché il protagonista è il popolo e il popolo ha fatto le cose
come venivano; e ai preti quell’aspetto non interessava tanto, e qualcuno non
vedeva di buon occhio questo fenomeno della pietà popolare. Ma il clericalismo è
un atteggiamento negativo. Ed è complice, perché si fa in due, come il Tango
che si balla in due… Cioè: il sacerdote che vuole clericalizzare il laico, la
laica, il religioso e la religiosa, il laico che chiede per favore di essere
clericalizzato, perché è più comodo. E’ curioso questo. Io, a Buenos Aires, ho
avuto questa esperienza tre o quattro volte: un parroco bravo, che viene e mi
dice “Sa, io ho un laico bravissimo in parrocchia: fa questo, fa questo, sa
organizzare, si dà da fare, è davvero un uomo di valore…Lo facciamo diacono?”.
Cioè: lo “clericalizziamo?”. “No! Lascia che rimanga laico. Non farlo diacono”.
Questo è importante. A voi succede questo, che il clericalismo tante volte vi
frena nello sviluppo lecito della cosa.
Io chiederò – e forse alla Presidente lo farò
arrivare – alla Congregazione per il Culto che spieghi bene, in modo
approfondito, quello che ho detto un po’ leggermente sulla predicazione
nella Celebrazione Eucaristica. Perché non ho la teologia e la chiarezza
sufficiente per spiegarlo adesso. Ma bisogna distinguere bene: una cosa è la
predicazione in una Liturgia della Parola, e questo si può fare; altra cosa è
la Celebrazione eucaristica, qui c’è un altro mistero. E’ il Mistero di Cristo
presente e il sacerdote o il vescovo che celebrano in persona Christi.
Per la leadership è chiaro…
Sì credo che questa possa essere la mia risposta in generale alla prima
domanda. Vediamo la seconda.
Seconda domanda
Il ruolo delle donne consacrate nella Chiesa
Le donne consacrate lavorano già tanto con i
poveri e con gli emarginati, insegnano la catechesi, accompagnano i malati e i
moribondi, distribuiscono la comunione, in molti Paesi guidano le preghiere
comuni in assenza di sacerdoti e in quelle circostanze pronunciano l’omelia.
Nella Chiesa c’è l’ufficio del diaconato permanente, ma è aperto solo agli
uomini, sposati e non. Cosa impedisce alla Chiesa di includere le donne tra i
diaconi permanenti, proprio come è successo nella Chiesa primitiva? Perché non
costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione? Ci può
fare qualche esempio di dove Lei vede la possibilità di un migliore inserimento
delle donne e delle donne consacrate nella vita della Chiesa?
Papa Francesco
Questa domanda va nel senso del “fare”: le
donne consacrate lavorano già tanto con i poveri, fanno tante cose… nel “fare”.
E tocca il problema del diaconato permanente. Qualcuno potrà dire che le
“diaconesse permanenti” nella vita della Chiesa sono le suocere [ride, ridono].
In effetti questo c’è nell’antichità: c’era un inizio... Io ricordo che era un
tema che mi interessava abbastanza quando venivo a Roma per le riunioni, e
alloggiavo alla Domus Paolo VI; lì c’era un teologo siriano, bravo, che ha
fatto l’edizione critica e la traduzione degli Inni di Efrem il Siro. E un
giorno gli ho domandato su questo, e lui mi ha spiegato che nei primi tempi
della Chiesa c’erano alcune “diaconesse”. Ma che cosa sono queste diaconesse?
Avevano l’ordinazione o no? Ne parla il Concilio di Calcedonia (451), ma è un
po’ oscuro. Qual era il ruolo delle diaconesse in quei tempi? Sembra – mi
diceva quell’uomo, che è morto, era un bravo professore, saggio, erudito –
sembra che il ruolo delle diaconesse fosse per aiutare nel battesimo delle
donne, l’immersione, le battezzavano loro, per il decoro, anche per fare le
unzioni sul corpo delle donne, nel battesimo. E anche una cosa curiosa: quando
c’era un giudizio matrimoniale perché il marito picchiava la moglie e questa
andava dal vescovo a lamentarsi, le diaconesse erano le incaricate di vedere i
lividi lasciati sul corpo della donna dalle percosse del marito e informare il
vescovo. Questo, ricordo. Ci sono alcune pubblicazioni sul diaconato nella
Chiesa, ma non è chiaro come fosse stato. Credo che chiederò alla Congregazione
per la Dottrina della Fede che mi riferiscano circa gli studi su questo tema,
perché io vi ho risposto soltanto in base a quello che avevo sentito da questo
sacerdote che era un ricercatore erudito e valido, sul diaconato permanente. E inoltre
vorrei costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione:
credo che farà bene alla Chiesa chiarire questo punto; sono d’accordo, e
parlerò per fare una cosa di questo genere.
Poi dite: “Siamo d’accordo con lei, Santo
Padre, che ha più volte riportato la necessità di un ruolo più incisivo delle
donne nelle posizioni decisionali nella Chiesa”. Questo è chiaro. “Ci può fare
qualche esempio di dove Lei vede la possibilità di un migliore inserimento
delle donne e delle donne consacrate nella vita della Chiesa?”. Dirò una cosa
che viene dopo, perché ho visto che c’è una domanda generale. Nelle
consultazioni della Congregazione per i religiosi, nelle assemblee, le
consacrate devono andare: questo è sicuro. Nelle consultazioni sui tanti problemi
che vengono presentati, le consacrate devono andare. Un’altra cosa: un migliore
inserimento. Al momento non mi vengono in mente cose concrete, ma sempre quello
che ho detto prima: cercare il giudizio della donna consacrata, perché la donna
vede le cose con una originalità diversa da quella degli uomini, e questo
arricchisce: sia nella consultazione, sia nella decisione, sia nella
concretezza.
Questi lavori che voi fate con i poveri, gli
emarginati, insegnare la catechesi, accompagnare i malati e i moribondi, sono
lavori molto “materni”, dove la maternità della Chiesa si può esprimere di più.
Ma ci sono uomini che fanno lo stesso, e bene: consacrati, ordini ospedalieri…
E questo è importante.
Dunque, sul diaconato, sì, accetto e mi
sembra utile una commissione che chiarisca bene questo, soprattutto riguardo ai
primi tempi della Chiesa.
Riguardo a un migliore inserimento, ripeto
quello che ho detto prima.
Se c’è qualcosa da concretizzare, domandatelo
adesso: su questo che ho detto, c’è qualche domanda in più, che mi aiuti a
pensare? Avanti…
Terza domanda
Il ruolo dell’Unione Internazionale delle
Superiore Generali
Che ruolo potrebbe avere l’Unione
Internazionale delle Superiore Generali, in modo che possa avere una parola nel
pensiero della Chiesa, una parola che sia ascoltata, dal momento che porta con
sé la voce di duemila istituti di religiose? Come è possibile che molto spesso
veniamo dimenticate e non rese partecipi, per esempio dell’assemblea generale
della Congregazione degli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita
Apostolica, lì dove si parla della vita consacrata? Può la Chiesa permettersi
di continuare a parlare di noi, invece di parlare con noi?
Papa Francesco
Suor Teresina abbia un po’ di pazienza,
perché mi è venuto in mente quello che era sfuggito dell’altra domanda, su “che
cosa può fare la vita consacrata femminile?”. E’ un criterio che voi dovete
rivedere, che anche la Chiesa deve rivedere. Il vostro lavoro, il mio e quello
di tutti noi, è di servizio. Ma io, tante volte, trovo donne consacrate che
fanno un lavoro di servitù e non di servizio. E’ un po’ difficile da spiegare,
perché non vorrei che si pensasse a casi concreti, che forse sarebbe un cattivo
pensiero, perché nessuno conosce bene le circostanze. Ma pensiamo a un parroco,
un parroco che per sicurezza immaginiamo: “No, no, la mia canonica è in mano a
due suore” – “E sono loro che gestiscono?” – “Sì, sì!” – “E cosa fanno di
apostolato, catechesi?” – “No, no, soltanto quello!”. No! Questo è servitù! Mi
dica, signor parroco, se nella sua città non ci sono donne brave, che hanno
bisogno di lavoro. Ne prenda una, due, che facciano quel servizio. Queste due
suore, che vadano nelle scuole, nei quartieri, con gli ammalati, con i poveri.
Questo è il criterio: lavoro di servizio e non di servitù! E quando, a voi
Superiore, chiedono una cosa che è più di servitù che di servizio, siate
coraggiose nel dire “no”. Questo è un criterio che aiuta parecchio, perché
quando si vuole che una consacrata faccia un lavoro di servitù, si svaluta la vita
e la dignità di quella donna. La sua vocazione è il servizio: servizio alla
Chiesa, ovunque sia. Ma non servitù!
Ecco, adesso [rispondo a] Teresina: “Qual è,
secondo lei, il posto della vita religiosa apostolica femminile all’interno
della Chiesa? Che cosa mancherebbe alla Chiesa se non ci fossero più le
religiose?”. Mancherebbe Maria il giorno di Pentecoste! Non c’è Chiesa senza
Maria! Non c’è Pentecoste senza Maria! Ma Maria era lì, non parlava forse…
Questo l’ho detto, ma mi piace ripeterlo. La donna consacrata è una icona della
Chiesa, è un’icona di Maria. Il prete, il sacerdote, non è icona della Chiesa;
non è icona di Maria: è icona degli apostoli, dei discepoli che sono inviati a
predicare. Ma non della Chiesa e di Maria. Quando dico questo voglio farvi
riflettere sul fatto che “la” Chiesa è femminile; la Chiesa è donna: non è “il”
Chiesa, è “la” Chiesa. Ma è una donna sposata con Gesù Cristo, ha il suo Sposo,
che è Gesù Cristo. E quando un vescovo è scelto per una diocesi, il vescovo –
in nome di Cristo – sposa quella Chiesa particolare. La Chiesa è donna! E la
consacrazione di una donna la fa icona proprio della Chiesa e icona della
Madonna. E questo noi uomini non possiamo farlo. Questo vi aiuterà ad
approfondire, da questa radice teologica, un ruolo grande nella Chiesa. E
questo vorrei che non sfuggisse.
Mi trovo totalmente d’accordo [sulla
conclusione della terza domanda]. La Chiesa: la Chiesa siete voi, siamo tutti.
La gerarchia – diciamo – della Chiesa deve parlare di voi, ma prima e nel momento
deve parlare con voi! Questo è sicuro. Nell’Assemblea della CIVCSVA voi dovete
essere presenti. Sì, sì! Io questo lo dirò al Prefetto: nell’Assemblea voi
dovete essere presenti! E’ chiaro, perché parlare di un assente non è neanche
evangelico: deve poter sentire, ascoltare che cosa si pensa, e poi facciamo
insieme. Sono d’accordo. Io non immaginavo tanto distacco, davvero. E grazie di
averlo detto così coraggiosamente e con quel sorriso.
Mi permetto una battuta. Lei lo ha fatto con
quel sorriso, che in Piemonte si dice il sorriso della mugna quacia [con
una faccia ingenua]. Brava! Sì, voi avete ragione in questo. Credo che sia
facile riformare, io ne parlerò con il Prefetto. “Ma questa Assemblea generale
non parlerà delle suore, parlerà di un’altra cosa…” – “E’ necessario sentire le
suore perché hanno un’altra visione della cosa”. E’ quello che avevo detto
prima: è importante che siate sempre inserite... Vi ringrazio della domanda.
Qualche chiarimento riguardo a questo?
Qualcosa di più? E’ chiaro?
Ricordate bene questo: cosa mancherebbe alla
Chiesa se le religiose non esistessero? Mancherebbe Maria nel giorno di
Pentecoste. La religiosa è icona della Chiesa e di Maria; e la Chiesa è
femminile, sposata da Gesù Cristo.
Quarta domanda
Gli ostacoli che incontriamo come donne
consacrate all’interno della Chiesa.
Carissimo Santo Padre, molti istituti stanno
affrontando la sfida di portare novità nella forma di vita e nelle strutture
rivedendo le Costituzioni. Questo si sta rivelando difficile, perché ci
ritroviamo bloccate dal Diritto Canonico. Lei prevede cambiamenti nel Diritto
Canonico, in modo da facilitare questa novità?
Inoltre i giovani oggi hanno difficoltà a
pensare ad un impegno permanente, sia nel matrimonio che nella vita religiosa.
Potremmo essere aperte a impegni temporanei?
E un altro aspetto: svolgendo il nostro
ministero in solidarietà con i poveri e gli emarginati, veniamo spesso
erroneamente considerate come attiviste sociali o come se prendessimo posizioni
politiche. Alcune autorità ecclesiali vorrebbero che fossimo più mistiche e
meno apostoliche. Quale valore viene dato alla vita consacrata apostolica e in
particolare alle donne, da alcune parti della Chiesa gerarchica?
Papa Francesco
Primo: i cambiamenti che si devono fare per
assumere le nuove sfide: Lei ha parlato di novità, novità nel senso positivo,
se ho capito bene, cose nuove che vengono… E la Chiesa è maestra in questo,
perché ha dovuto cambiare tanto, tanto, tanto nella storia. Ma in ogni
cambiamento ci vuole il discernimento, e non si può fare discernimento senza
preghiera. Come si fa il discernimento? La preghiera, il dialogo, poi il
discernimento in comune. Bisogna chiedere il dono del discernimento, di saper
discernere. Per esempio, un imprenditore deve fare cambiamenti nella sua ditta:
lui valuta con concretezza, e quello che la sua coscienza gli dice, lo fa.
Nella nostra vita, c’entra un altro personaggio: lo Spirito Santo. E per fare
un cambiamento, dobbiamo valutare tutte le circostanze concrete, questo è vero,
ma per entrare in un processo di discernimento con lo Spirito Santo ci vogliono
preghiera, dialogo e discernimento comune. Credo che su questo punto noi non
siamo ben formati – quando dico “noi” parlo anche dei sacerdoti – nel
discernimento delle situazioni, e dobbiamo cercare di avere esperienze e anche
cercare qualche persona che ci spieghi bene come si fa il discernimento: un
buon padre spirituale che conosca bene queste cose e ci spieghi, che non è un
semplice “pro e contro”, fare la somma, e avanti. No, è qualcosa di più. Ogni
cambiamento che si deve fare, richiede di entrare in questo processo di
discernimento. E questo vi darà più libertà, più libertà! Il Diritto Canonico:
ma non c’è nessun problema. Il Diritto Canonico nel secolo scorso è stato
cambiato – se non sbaglio – due volte: nel 1917 e poi sotto san Giovanni Paolo
II. Piccoli cambiamenti si possono fare, si fanno. Questi invece sono stati due
cambiamenti di tutto il Codice. Il Codice è un aiuto disciplinare, un aiuto per
la salvezza delle anime, per tutto questo: è l’aiuto giuridico della Chiesa per
i processi, tante cose, ma che nel secolo scorso due volte, è stato totalmente
cambiato, rifatto. E così si possono cambiare delle parti. Due mesi fa è
arrivata una richiesta di cambiare un canone, non ricordo bene… Ho fatto fare
lo studio e il Segretario di Stato ha fatto le consultazioni e tutti erano
d’accordo che sì, questo si doveva cambiare per il maggior bene, ed è cambiato.
Il Codice è uno strumento, questo è molto importante. Ma insisto: mai fare un
cambiamento senza fare un processo di discernimento, personale e comunitario. E
questo vi darà libertà, perché mettete lì, nel cambiamento, lo Spirito Santo.
E’ questo che ha fatto san Paolo, san Pietro stesso, quando ha sentito che il
Signore lo spingeva a battezzare i pagani. Quando noi leggiamo il libro degli
Atti degli Apostoli, ci meravigliamo di tanto cambiamento, tanto cambiamento…
E’ lo Spirito! Interessante, questo: nel libro degli Atti degli Apostoli, i
protagonisti non sono gli apostoli, è lo Spirito. “Lo Spirito costrinse a fare
quello”; “lo Spirito disse a Filippo: vai là e là, trova il ministro
dell’economia e battezzalo”; “Lo Spirito fa”, “lo Spirito dice: no, qui non
venite”… E’ lo Spirito. E’ lo Spirito che ha dato il coraggio agli apostoli per
fare questo cambiamento rivoluzionario di battezzare i pagani senza fare la
strada della catechesi ebraica o delle prassi ebraiche. E’ interessante: nei
primi capitoli c’è la Lettera che gli apostoli, dopo il Concilio di
Gerusalemme, inviano ai pagani convertiti. Raccontano tutto quello che hanno
fatto: “Lo Spirito Santo e noi abbiamo deciso questo”. Questo è un esempio di
discernimento che hanno fatto. Ogni cambiamento, fatelo così, con lo Spirito
Santo. Cioè: discernimento, preghiera e anche valutazione concreta delle
situazioni.
E per il Codice non c’è problema, questo è
uno strumento.
Riguardo all’impegno permanente dei giovani.
Noi viviamo in una “cultura del provvisorio”. Mi raccontava un vescovo, tempo
fa che era andato da lui un giovane universitario, che aveva finito
l’università, 23/24 anni, e gli aveva detto: “Io vorrei diventare sacerdote, ma
solo per dieci anni”. E’ la cultura del provvisorio. Nei casi matrimoniali è
cosi. “Io ti sposo finché dura l’amore e poi ciao”. Ma l’amore inteso in senso
edonistico, nel senso di questa cultura di oggi. Ovviamente questi matrimoni
sono nulli, non sono validi. Non hanno coscienza della perpetuità di un
impegno. Nei matrimoni è così. Nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia leggete
la problematica, è nei primi capitoli, e leggete come preparare il matrimonio.
Mi diceva una persona: “Io questo non lo capisco: per diventare prete dovete
studiare, prepararvi per otto anni, più o meno. E poi, se la cosa non va, o se
ti innamori di una bella ragazza, la Chiesa ti permette: vai, sposati,
incomincia un’altra vita. Per sposarsi – che è per tutta la vita, che è “per”
la vita – la preparazione in tante diocesi sono tre, quattro conferenze… Ma
questo non va! Come può un parroco firmare che questi sono preparati al
matrimonio, con questa cultura del provvisorio, con quattro spiegazioni
soltanto? E’ un problema molto serio. Nella vita consacrata, a me sempre ha
colpito – positivamente – l’intuizione di san Vincenzo de Paoli: lui ha visto che
le Suore della Carità dovevano fare un lavoro così forte, così “pericoloso”,
proprio in frontiera, che ogni anno devono rinnovare i voti. Soltanto per un
anno. Ma lo aveva fatto come carisma, non come cultura del provvisorio: per
dare libertà. Io credo che nella vita consacrata i voti temporanei facilitino
questo. E, non so, voi vedete, ma io sarei piuttosto favorevole forse di
prolungare un po’ i voti temporanei, per questa cultura del provvisorio che
hanno i giovani oggi: è… prolungare il fidanzamento prima di fare il
matrimonio! Questo è importante.
[Ora il Papa risponde a una parte della
domanda che non è stata letta ma era scritta]
Le richieste di soldi nelle nostre Chiese
locali. Il problema dei soldi è un problema molto importante, sia nella vita consacrata,
sia nella Chiesa diocesana. Non dobbiamo mai dimenticare che il diavolo entra
“per le tasche”: sia per le tasche del vescovo, sia per le tasche della
Congregazione. Questo tocca il problema della povertà, ne parlerò dopo. Ma
l’avidità di denaro è il primo scalino per la corruzione di una parrocchia, di
una diocesi, di una Congregazione di vita consacrata, è il primo scalino. Credo
che fosse a questo proposito: il pagamento per i sacramenti. Guardate, se
qualcuno vi chiede questo, denunciate il fatto. La salvezza è gratuita. Dio ci
ha inviato gratuitamente; la salvezza è come uno “spreco di gratuità”. Non c’è
salvezza a pagamento, non ci sono sacramenti a pagamento. E’ chiaro questo? Io
conosco, ho visto nella mia vita corruzione in questo. Ricordo un caso, appena
nominato vescovo, avevo la zona più povera di Buenos Aires: è divisa in quattro
vicariati. Lì c’erano tanti migranti dei Paesi americani, e succedeva che
quando venivano a sposarsi i parroci dicevano: “Questa gente non ha il
certificato di battesimo”. E quando lo richiedevano nel loro paese dicevano
loro: “Sì, ma manda prima 100 dollari – ricordo un caso – e poi te lo invio”.
Ho parlato con il cardinale, il cardinale ha parlato con il vescovo del posto…
Ma nel frattempo la gente poteva sposarsi senza il certificato di battesimo,
con il giuramento dei genitori o dei padrini. E questo è il pagamento, non solo
del sacramento ma dei certificati. Ricordo una volta a Buenos Aires che è
andato un giovane, che doveva sposarsi, alla parrocchia per chiedere il nulla
osta per sposarsi in un’altra: è un mezzo semplice. Gli ha detto la segretaria:
“Sì, passi domani, venga domani che ci sarà, e questo costa tanto”: una bella
somma. Ma è un servizio: è soltanto constatare i dati e riempire. E lui –
questo è un avvocato, giovane, bravo, molto fervente, molto buon cattolico – è
venuto da me: “Adesso cosa faccio?” – “Vai domani e dille che hai inviato
l’assegno all’arcivescovo, e che l’arcivescovo le darà l’assegno”. Il commercio
dei soldi.
Ma qui tocchiamo un problema serio, che è il
problema della povertà. Io vi dico una cosa: quando un istituto religioso – e
questo vale anche per altre situazioni –, ma quando un istituto religioso si
sente morire, sente che non ha capacità di attirare nuovi elementi, sente che
forse è passato il tempo per il quale il Signore aveva scelto quella
Congregazione, la tentazione è l’avidità. Perché? Perché pensano: “Almeno
abbiamo i soldi per la nostra vecchiaia”. Questo è grave. E qual è la soluzione
che dà la Chiesa? L’unione di vari istituti con carismi che si assomigliano, e
andare avanti. Ma mai, mai il denaro è una soluzione per i problemi spirituali.
E’ un aiuto necessario, ma tanto quanto. Sant’Ignazio diceva, sulla povertà,
che è “madre” e “muro” della vita religiosa. Ci fa crescere nella vita
religiosa come madre, e la custodisce. E si incomincia la decadenza quando
manca la povertà. Ricordo, nell’altra diocesi, quando un collegio di suore
molto importante doveva rifare la casa delle suore perché era vecchia, si
doveva rifare; e hanno fatto un bel lavoro. Hanno fatto un bel lavoro. Ma in
quei tempi – sto parlando dell’anno ’93, ’94 più o meno – dicevano: “Facciamo
tutte le comodità, la stanza con il bagno privato, e tutto, e anche il
televisore…”. In quel collegio, che era tanto importante, dalle 2 alle 4 del
pomeriggio tu non trovavi una suora in collegio: erano tutte in stanza a
guardare la telenovela! Perché è mancanza di povertà, e questo ti porta alla
vita comoda, alle fantasie… E’ un esempio, forse è l’unico nel mondo, ma per
capire il pericolo della troppa comodità, della mancanza di povertà o di una
certa austerità.
[Altra parte della domanda non letta ma
scritta]
“Le religiose non ricevono uno stipendio per
i servizi che svolgono, come lo ricevono i preti. Come possiamo dimostrare un
volto attraente della nostra sussistenza? Come possiamo trovare le risorse
finanziare necessarie per compiere la nostra missione?”.
Papa Francesco
Vi dirò due cose. Prima: vedere come è il
carisma, l’interno del vostro carisma – ognuno ha il proprio – e qual è il
posto della povertà, perché ci sono congregazioni che esigono una vita di
povertà molto, molto forte; altre, non tanto, e tutte e due approvate dalla
Chiesa. Cercare la povertà secondo il carisma. Poi: i risparmi. E’ prudenza
avere un risparmio; è prudenza avere una buona amministrazione, forse con
qualche investimento, quello è prudente: per le case di formazione, per portare
avanti le opere povere, portare avanti scuole per i poveri, portare avanti i
lavori apostolici… Una fondazione della propria congregazione: questo lo si
deve fare. E come la ricchezza può far male e corrompere la vocazione, la
miseria pure. Se la povertà diventa miseria, anche questo fa male. Lì si vede
la prudenza spirituale della comunità nel discernimento comune: l’economa
informa, tutti parlano, sì è troppo, non è troppo… Quella prudenza materna. Ma
per favore, non lasciatevi ingannare dagli amici della congregazione, che poi
vi “spenneranno” e vi toglieranno tutto. Ho visto tante case, o mi hanno
raccontato altri, di suore che hanno perduto tutto perché si sono fidati di
quel tale… “molto amico della congregazione”! Ci sono tanti furbi, tanti furbi.
La prudenza è non consultare mai una sola persona: quando avete bisogno,
consultare varie persone, diverse. L’amministrazione dei beni è una
responsabilità molto grande, molto grande, nella vita consacrata. Se non avete
il necessario per vivere, ditelo al vescovo. Dire a Dio: “Dacci oggi il nostro
pane”, quello vero. Ma parlare col vescovo, con la Superiora generale, con la
Congregazione per i religiosi. Per il necessario, perché la vita religiosa è un
cammino di povertà, ma non è un suicidio! E questa è la sana prudenza. E’
chiaro questo?
E poi, dove ci sono conflitti per quello che
le Chiese locali vi chiedono, bisogna pregare, discernere e avere il coraggio,
quando si deve, di dire “no”; e avere la generosità, quando si deve, di dire
“sì”. Ma voi vedete quanto è necessario il discernimento in ogni caso!
Domanda (ripresa)
“Mentre svolgiamo il nostro ministero, rimaniamo
solidali con i poveri e gli emarginati, veniamo spesso erroneamente considerate
come attiviste sociali o come se prendessimo posizioni politiche. Alcune
autorità ecclesiali guardano negativamente al nostro ministero, sottolineando
che dovremmo essere più concentrate su una forma di vita mistica. In queste
circostanze, come possiamo vivere la nostra vocazione profetica…”.
Risposta (continua)
Sì. Tutte le religiose, tutte le consacrate
devono vivere misticamente, perché il vostro è uno sposalizio; la vostra è una
vocazione di maternità, è una vocazione di essere al posto della Madre Chiesa e
della Madre Maria. Ma quelli che vi dicono questo, pensano che essere mistico è
essere una mummia, sempre così pregando… No, no. Si deve pregare e lavorare
secondo il proprio carisma; e quando il carisma ti porta ad andare avanti con i
rifugiati, con i poveri tu devi farlo, e ti diranno “comunista”: è il meno che
ti diranno. Ma devi farlo. Perché il carisma ti porta a questo. In Argentina,
ricordo una suora: è stata provinciale della sua congregazione. Una brava
donna, e lavora ancora… ha quasi la mia età, sì. E lavora contro i trafficanti
di giovani, di persone. Io ricordo, nel governo militare in Argentina, volevano
mandarla in carcere, facevano pressione sull’arcivescovo, facevano pressione
sulla superiora provinciale, prima che lei stessa diventasse provinciale,
“perché questa donna è comunista”. E questa donna ha salvato tante ragazze,
tante ragazze! E sì, è la croce. Di Gesù che cosa hanno detto? Che era Belzebù,
che aveva il potere di Belzebù. La calunnia, siate preparate. Se fate il bene,
con preghiera, davanti a Dio, assumendo tutte le conseguenze del vostro carisma
e andate avanti, preparatevi per la diffamazione e la calunnia, perché il
Signore ha scelto questa via per Sé! E noi, vescovi, dobbiamo custodire queste
donne che sono icona della Chiesa, quando fanno cose difficili e sono
calunniate, e sono perseguitate. Essere perseguitati è l’ultima delle
Beatitudini. Il Signore ci ha detto: “Beati voi quando sarete perseguitati,
insultati” e tutte queste cose. Ma qui il pericolo può essere: “Io faccio la
mia” – no, no: tu senti questo, ti perseguitano: parla. Con la tua comunità,
con la tua superiora, parla con tutti, cerca consiglio, discerni: un’altra
volta la parola. E questa religiosa della quale parlavo ora, un giorno l’ho
trovata che piangeva, e diceva: “Guarda la lettera che ho ricevuto da Roma –
non dirò da dove –: cosa devo fare?” – “Tu sei figlia della Chiesa?” – “Sì!” –
“Tu vuoi obbedire alla Chiesa?” – “Sì!” – “Rispondi che tu sarai obbediente
alla Chiesa, e poi va’ dalla tua superiora, va’ dalla tua comunità, va’ dal tuo
vescovo – che ero io – e la Chiesa dirà cosa devi fare. Ma non una lettera che
viene da 12.000 km”. Perché lì un amico dei nemici della suora aveva scritto,
era stata calunniata. Coraggiose, ma con umiltà, discernimento, preghiera,
dialogo.
Conclusione
“Una parola di incoraggiamento a noi leader,
che sopportiamo il peso della giornata”.
Papa Francesco
Ma datevi anche un respiro! Il riposo, perché
tante malattie vengono dalla mancanza di un sano riposo, riposo in famiglia…
Questo è importante per sopportare il peso della giornata.
Voi menzionate qui anche le suore anziane e
ammalate. Ma queste suore sono la memoria dell’istituto, queste suore sono
quelle che hanno seminato, che hanno lavorato, e adesso sono paralitiche o
molto malate o lasciate da parte. Queste suore pregano per l’Istituto. Questo è
molto importante, che si sentano coinvolte nella preghiera per l’Istituto.
Queste suore hanno anche un’esperienza tanto grande: chi più, chi meno.
Ascoltarle! Andare da loro: “Mi dica, sorella, cosa pensa lei di questo, di
questo?”. Che si sentano consultate e dalla loro saggezza uscirà un buon
consiglio. State sicure.
Questo è quello che mi viene di dirvi. So che
io sempre mi ripeto e dico le stesse cose, ma la vita è così… A me piace
sentire le domande, perché mi fanno pensare e mi sento come il portiere, che
sta lì, aspettando il pallone dove viene… Questo è buono e questo fate anche
voi nel dialogo.
Queste cose che ho promesso di fare, le farò.
E pregate per me, io prego per voi. E andiamo avanti. La nostra vita è per il
Signore, per la Chiesa e per la gente, che soffre tanto e ha bisogno della
carezza del Padre, tramite voi! Grazie!
Vi propongo una cosa: finiamo con la Madre.
Ognuna di voi, nella propria lingua, preghi l’Ave Maria. Io la pregherà
in spagnolo.
Ave Maria…
Benedizione
E pregate per me, perché possa servire bene
la Chiesa.
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