Quinto incontro del
ciclo Immìschiati per avvicinare alla dottrina sociale della
Chiesa, sulla partecipazione
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[Dal Compendio della dottrina
sociale della Chiesa (2004)]
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html
V. LA PARTECIPAZIONE
189 Caratteristica conseguenza della sussidiarietà è la partecipazione, che si esprime,
essenzialmente, in una serie di attività mediante le quali il cittadino, come
singolo o in associazione con altri, direttamente o a mezzo di propri
rappresentanti, contribuisce alla vita culturale, economica, sociale e politica
della comunità civile cui appartiene. La
partecipazione è un dovere da esercitare consapevolmente da parte di tutti, in
modo responsabile e in vista del bene comune.
Essa non può essere delimitata o ristretta a
qualche contenuto particolare della vita sociale, data la sua importanza per la crescita, innanzi tutto umana, in ambiti
quali il mondo del lavoro e le attività economiche nelle loro dinamiche
interne, l'informazione
e la cultura e, in massimo grado, la vita sociale e politica fino ai livelli
più alti, quali sono quelli da cui dipende la collaborazione di tutti i popoli
per l'edificazione di una comunità internazionale solidale. In tale prospettiva, diventa
imprescindibile l'esigenza di favorire la partecipazione soprattutto dei più
svantaggiati e l'alternanza dei dirigenti politici, al fine di evitare che si
instaurino privilegi occulti; è necessaria inoltre una forte tensione morale,
affinché la gestione della vita pubblica sia il frutto della corresponsabilità
di ognuno nei confronti del bene comune.
b) Partecipazione e democrazia
190 La partecipazione alla vita comunitaria non è soltanto una delle
maggiori aspirazioni del cittadino, chiamato ad esercitare liberamente e
responsabilmente il proprio ruolo civico con e per gli altri, ma anche uno dei pilastri
di tutti gli ordinamenti democratici, oltre
che una delle maggiori garanzie di permanenza della democrazia. Il governo
democratico, infatti, è definito a partire dall'attribuzione, da parte del
popolo, di poteri e funzioni, che vengono esercitati a suo nome, per suo conto
e a suo favore; è evidente, dunque, che ogni
democrazia deve essere partecipativa. Ciò
comporta che i vari soggetti della comunità civile, ad ogni suo livello, siano
informati, ascoltati e coinvolti nell'esercizio delle funzioni che essa svolge.
191 La partecipazione si può ottenere in tutte le possibili relazioni tra il
cittadino e le istituzioni: a questo fine, particolare
attenzione deve essere rivolta ai contesti storici e sociali nei quali essa
dovrebbe veramente attuarsi. Il superamento degli ostacoli culturali,
giuridici e sociali, che spesso si frappongono come vere barriere alla partecipazione solidale dei
cittadini alle sorti della propria comunità, richiede un'opera informativa ed
educativa. Meritano una preoccupata considerazione, in questo senso,
tutti gli atteggiamenti che inducono il cittadino a forme partecipative
insufficienti o scorrette e alla diffusa disaffezione per tutto quanto concerne
la sfera della vita sociale e politica: si pensi, ad esempio, ai tentativi dei
cittadini di «contrattare » le condizioni più vantaggiose per sé con le
istituzioni, quasi che queste fossero al servizio dei bisogni egoistici, e alla
prassi di limitarsi all'espressione della scelta elettorale, giungendo anche,
in molti casi, ad astenersene.
Sul fronte della partecipazione, un'ulteriore fonte di preoccupazione è data dai
Paesi a regime totalitario o dittatoriale, in cui il fondamentale diritto a
partecipare alla vita pubblica è negato alla radice, perché considerato una
minaccia per lo Stato stesso; dai
Paesi in cui tale diritto è enunciato soltanto formalmente, ma concretamente
non si può esercitare; da altri ancora in cui l'elefantiasi dell'apparato
burocratico nega di fatto al cittadino la possibilità di proporsi come un vero
attore della vita sociale e politica.
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Lo scorso venerdì sei maggio, con inizio alle 19:30, si è tenuto in
parrocchia l’ultimo degli incontri del ciclo Immìschiati per avvicinare
alla bellezza della dottrina sociale della Chiesa. Era dedicato alla partecipazione.
Dopo il consueto filmato in cui si vede il
Papa, in udienza pubblica, che invita a immischiarsi
nella politica, perché, se condotta
con spirito evangelico, può essere un’alta forma di carità, è stata proiettata
parte di una puntata della rubrica televisiva Le Iene, con filmati girati
in un campo profughi di tende dove erano stati accolti gli sfollati dopo il
terremoto di L’Aquila del 2009. Abbiamo visto le immagini di case sventrate,
con gli ambienti domestici, i mobili, i
letti, i quadri alle pareti, visibili dall’esterno attraverso le pareti squarciate.
Poi le telecamere hanno girato tra le tende e sono state intervistate diverse
persone lì rifugiate. Tutte hanno detto di essere state felici di aver
riscoperto la bellezza di frequentare gli altri, in particolare di incontrarsi
con loro negli orari che di solito trascorrevano in solitudine in poltrona davanti alla televisione. Le
persone intervistate erano in prevalenza donne di mezz’età o anziani. Hanno
parlato anche due bambini. Che ne pensavano gli altri? Probabilmente erano
impegnati tra le macerie delle loro case e a cercare di ricostruire le loro
vite.
I bambini, in particolare, hanno detto di aver scoperto la libertà di
girare in mezzo alla gente, che gli era negata prima del terremoto, così come è
negata ai bambini del nostro quartiere.
Due signore, che prima della catastrofe
abitavano in appartamenti vicini senza incontrarsi quasi mai, erano andate a
vivere nella stessa tenda e si trovavano molto bene insieme.
Nel servizio televisivo sfilavano facce abruzzesi, aquilane in
particolare. In una grande città come Roma arriva gente da tutt’Italia e anche
da tutto il mondo. Ci sono facce di tutti i tipi. In una regione come l’Abruzzo
è diverso: le persone che abitano nei paesi hanno un po’ tutte un’aria di famiglia.
Ogni paese un tipo di faccia. Ecco perché ho riconosciuto facce aquilane (per un po’ ho vissuto in
Abruzzo, dove è nata la mia primogenita). Così ci si sente effettivamente in famiglia,
quando ci si ritrova insieme. Ma non è solo un fatto fisico, di faccia e facciata. Tra “paesani” c’è una
solidarietà che non si sperimenta tra i quartieri anonimi nelle grandi città, abitati da quelle
che i sociologi definisco folle solitarie.
Da più giovane ho lavorato per tre anni in una cittadina sulla costa abruzzese
ed è un realtà umana, quella abruzzese, che ho vissuto personalmente e mi è
piaciuta moltissimo, mi ha molto coinvolto. Là mi sentivo a casa come non mi sono mai
sentito in altre parti, né prima né dopo. Venni adottato non solo dalla
gente del posto, ma anche dagli abruzzesi della diaspora. Quando tornavo qui a
Roma, mi bastava dire di abitare laggiù per avere la solidarietà dei molti
abruzzesi che ci sono qui in città. Penso quindi che dopo il terremoto la gente
dell’Aquila si sia fatta forza di questo profondo legame di tipo familiare che
c’era già prima, l’abbia riscoperto per sopravvivere in condizioni molto
difficili. In una grande città come Roma quel legame manca. Costruirlo è
difficile, certe cose non si improvvisano. Ma ci si può provare, soprattutto da
giovani, età in cui certe relazioni vengono spontanee ed è più facile superare
certe remore e certi pregiudizi sugli altri.
Il giovane docente che ci spiegava la dottrina
sociale della Chiesa sulla partecipazione ha tratto spunto dalle immagini per
dare una prima idea della partecipazione secondo quell’insegnamento: uscire
dalle proprie case per incontrare gli altri. Ha ricordato anche il testo della
canzone C’è solo la strada, cantata
da Giorgio Gaber, del 1974, secondo il quale “appena una porta si chiude si comincia ad ammuffire e la strada è l'unica salvezza/c'è solo la voglia e il
bisogno di uscire/ di esporsi nella strada e nella piazza.”
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Testo
della canzone C’è solo la strada (1974),
cantata da Giorgio Gaber
Maria ti
amo. Maria ho bisogno di te. Poi la stringo e la bacio, infagottato d'amore e
di vestiti. E anche lei si muove, felice della sua apparenza e del nostro
amore. E la cosa continua bellissima per giorni e giorni. Una nave, con una
rotta precisa che ci porta dritti verso una casa, una casa con noi due soli,
una gran tenerezza e una porta che si chiude.
Nelle
case
non c'è niente di buono
appena una porta si chiude
dietro un uomo
Succede
qualcosa di strano
non c'è niente da fare
è fatale quell'uomo
incomincia a ammuffire
Ma basta
una chiave
che chiuda la porta d'ingresso
che non sei già più come prima
e ti senti depresso.
La chiave è
tremenda
appena si gira la chiave
siamo dentro una stanza
si mangia si dorme si beve.
Ne ho
conosciute tante di famiglie, la famiglia è più economica e protegge di più. Ci
si organizza bene, una minestra per tutti, tranquillanti aspirine per tutti,
gli assorbenti il cotone i confetti Falqui, soltanto quattrocento lire per
purgare tutta la famiglia, un affare. Si caga, in famiglia, si caga bene, lo si
fa tutti insieme.
Nelle
case
non c'è niente di buono
appena una porta si chiude
dietro un uomo.
Quell'uomo
è pesante
e passa di moda sul posto
incomincia a marcire
a puzzare molto presto.
Nelle
case
non c’è niente di buono
c'è tutto che puzza di chiuso e di cesso
si fa il bagno ci si lava i denti
ma puzziamo lo stesso.
Amore ti
lascio ti lascio.
C'è solo la
strada
su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza.
Perché il
giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.
C'è solo la
strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza.
Perché il
giudizio universale
non passa per le case
e gli angeli non danno appuntamenti
e anche nelle case più spaziose
non c’è spazio per verifiche e confronti.
Laura, ti
amo. Laura, ho bisogno di te. Con te io ritrovo la strada, le piazze i giovani,
gli studenti. Li avevo lasciati qualche anno fa con la cravatta. Sono molto
cambiati, sono molto più belli. Le idee sì, le idee sono cambiate, e i loro
discorsi e il modo di vestire. Gli esseri meno, gli esseri non sono molto
cambiati. Vanno ancora nelle aule di scuola a brucare un po' di medicina,
fettine di chimica, pezzetti di urbanistica con inserti di ecologia, a ore
pressappoco regolari, ed esiste ancora il bar, tra un intervallo e l'altro. E
poi l'amore, per fabbricarsi una felicità. Come noi ora, una coppia e ancora
tante coppie. Unica diversità un viaggio in India su una Due Cavalli. Due, come
noi.
E poi
ancora una porta
e ancora una casa
ma siamo convinti
che sia un'altra cosa
Perché
abbiamo esperienze diverse
non può finir male
perché abbiamo una chiave moderna
abbiamo una Yale.
Perché è
tutto un rapporto diverso
che è molto più avanti
ma c’è sempre una casa
con altre aspirine e calmanti.
E di nuovo
mi trovo a marcire
in un altra famiglia la nostra la mia
abbracciarla guardando la porta
è la mia poesia.
Amore ti
lascio vado via.
C'è solo la
strada
su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza.
C'è solo la
voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada nella piazza.
Perché il
giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.
Lidia, ti
amo. Lidia, ho bisogno di te. Ma per favore, in un hotel meublè.
Perché il
giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.
C'è solo la
strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza.
C'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada nella piazza.
Perché il
giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.
Perché il
giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.
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Ma come
interagire con gli altri? Come partecipare?
Il docente ha ricordato che, a volte, la
politica viene considerata un affare da affidare solo ai migliori. In questa
concezione è bene che vi siano ostacoli
alla partecipazione, perché così solo coloro che arrivano a superarli, coloro
che dimostrano di avere la forza per superarli, i migliori, arrivano a fare politica. Si tratterà sempre di una
minoranza, che arriverà al potere dopo una selezione. Al vertice troveremo
quindi una oligarchia (parola che deriva dal greco antico e che
significa potere dei pochi), che
concepirà sé stessa come una aristocrazia (anche questa una parola che
deriva del greco antico e che significa potere
dei migliori). Questa concezione è dietro anche all’ideale di meritocrazia: una parola nuova dei
nostri tempi che significa che deve comandare chi l’ha meritato, vale a dire chi ha dato prova del proprio valore. Secondo
il docente queste idee della politica avrebbero a che fare con la concezione liberale della politica, ma questo mi pare piuttosto
opinabile in quanto il liberalismo nasce storicamente combattendo oligarchie e
aristocrazie.
Il docente ha proseguito presentando l’ideale,
opposto al primo, della politica come democrazia
diretta, in cui a tutti è consentito
di esprimere il proprio parere, di parlare su tutto. Questo ai tempi nostri si
può fare più agevolmente sfruttando le possibilità concesse dalle reti
telematiche su internet. Ma quando tutti parlano si fa una gran confusione e
non ci si capisce più nulla. Allora questa concezione della politica richiede
la creazione di imponenti segreterie politiche, che dal centro dirigono la
gente, che viene organizzata in sezioni territoriali in modo che ciascuno possa farvi
parte, dovunque. In definitiva la personalità individuale viene coartata.
Mi pare che si siano accostate due esperienze
molto diverse: quella dei partiti di una volta, di massa, con le loro organizzazioni pesanti,
strutturate, diffuse, e quella degli attuali partiti liquidi basati sui contatti telematici. Questi ultimi sono
nati all’epoca della crisi della democrazia, dell’allentarsi dei legami sociali, mentre i
primi, sviluppatisi in epoche in cui si faceva molto conto sull’azione
collettiva, la democrazia l’hanno sostenuta e sviluppata, e soprattutto
insegnata a diverse generazioni consentendo anche di farne tirocinio, non solo
di parlarne.
A questo punto sono state presentate alcune
sequenze del film La febbre del 2005, diretto da Antonio D’Alatri.
Le potete rivedere su Youtube all’indirizzo
https://www.youtube.com/watch?v=FSpfMqA6M_g
Racconta un sogno del
protagonista, Mario un giovane che
vorrebbe aprire una discoteca ma incontra tante difficoltà burocratiche. Il presidente, impersonato dall’attore
Arnoldo Foà, in bicicletta arriva nel locale del giovane e, sorseggiando una
birra, e gli parla. Il giovane gli
restituisce la carta d’identità, non vuole più essere un cittadino, non vuole
più essere italiano, ma solo sé stesso e basta, getta la spugna. Perché?,
domanda il presidente. Mi avevate fatto
credere che avevate bisogno di me, che potevo partecipare, e invece mi avete
solo preso in giro, risponde il giovane, il gioco è truccato. E’ adesso che non
sei più niente, che farai?, gli replica il presidente.
Me ne starò qui nel mio bar, un posto, mio, tutto mio. Ah, Mario, Mario, tu
vuoi sfuggire la realtà, osserva il presidente,
e la speranza chi te la salva?, la poesia dalla vita. Signor presidente, la salvi lei. Adesso tocca a
quelli come te, dice il presidente. Io ci ho provato, ma ho trovato un verme sulla
mia strada, risponde Mario. Il presidente ridacchia e fa: i vermi hanno buon gusto,
quando hanno fame scelgono la frutta migliore. Allunga a Mario la sua carta d’identità
dicendo di riprendersela, perché anche se sarà solo, nel suo bar, gli potrà
sempre servire.
La partecipazione, nella concezione della dottrina
sociale della Chiesa, ha detto il docente, è anzitutto un impegno per il bene
comune. “La partecipazione è un dovere da esercitare consapevolmente da
parte di tutti, in modo responsabile e in vista del bene comune.”, è
scritto nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa.
Ha poi preso la parola un giovane studente
universitario che collabora nell’animazione degli incontri Immìschiati e ha spiegato il collegamento che c’è tra tutti i temi
trattati nel ciclo di eventi: persona,
bene comune, solidarietà, sussidiarietà, partecipazione.
Ci sono due atteggiamenti negativi: la sola indignazione e la rassegnazione.
Non basta indignarsi,
protestare per l’offesa alla propria dignità, occorre impegnarsi. E non serve rassegnarsi,
restituire la propria dignità di
cittadino, come fa Mario nel film La
febbre con la sua carta d’identità.
In entrambi i casi ci si ritira e
questo non è degno della persona. Se
le cose non funzionano dobbiamo impegnarci senza attendere che altri, le
istituzioni, risolvano i problemi: è il principio di sussidiarietà. Per cambiare ciò che non va dobbiamo tener conto
anche degli altri, perché si è veramente persona solo nelle nostre relazioni con gli altri e
tenendo conto anche di loro: il nostro vero
bene può essere allora solo un bene comune, solidale. Realizzarlo
richiede di partecipare, di resistere
alla tentazione di ritirarsi.
Posso aggiungere che, storicamente, la partecipazione democratica si è
sviluppata con l’emergere di una coscienza politica di classe, prima della
borghesia, di quella parte della popolazione che aveva cominciato ad avere un
ruolo sempre più importante nell’economia della modernità, e poi dei ceti
popolari, di tutti i lavoratori. Ci si è fatti uno spazio politico che i gruppi
prima dominanti erano restii a concedere. La partecipazione democratica è stata
quindi, e ancora è, anche un’esperienza di lotta. Senza una coscienza politica
non c’è partecipazione democratica e non c’è solidarietà. Questo, di creare una
coscienza politica nella gente, era uno dei lavori più importanti che facevano le
vecchie organizzazioni dei partiti popolari. Sì, certo, c’è il bene comune, quello che ci fa sentire
felici insieme agli altri, ma questo non basta. C’è una resistenza al
miglioramento: chi resiste, chi si oppone? E che fare per vincere questa
resistenza? Ce ne ha parlato don Ciotti quando è venuto in parrocchia. E poi:
serve veramente unirsi in tanti per fare le cose che servono? Che cosa ci
unisce? Possiamo veramente fidarci gli uni degli altri? La politica
democratica, infine, è anche e anzi fondamentalmente un’esperienza di libertà.
Si è iniziato a partecipare
democraticamente quando si è riusciti a desiderare e progettare la liberazione.
Sussidiarietà significa anche questo: un’esperienza di
libertà. Ma nella nostra fede la libertà è vista ancora con tanto sospetto. La
si sospetta di egoismo e spesso questo sospetto viene indotto da gerarchie (ora
non solo clericali) gelose della propria libertà, a scapito della nostra. Così, non di
rado la libertà è diffamata in religione. La riscoperta del valore religioso della
libertà fu al centro della ribellione dei resistenti cattolici durante l’ultima
guerra mondiale. Riporto di seguito la trascrizione di alcuni passi di un’intervista
che fu fatta a don Giovanni Barbareschi, protagonista della Resistenza lombarda,
andata in onda su Rai TG-R settimanale con il titolo “Don Giovanni Barbareschi
- il prete della libertà”:
Commentatrice: Un prete della
Resistenza don Giovanni Barbareschi. Nasce a Milano novant’anni fa, è un
bambino sotto il regime fascista.
Barbareschi: “Questa è la mia fotografia di Balilla, avevo dodici anni e
mezzo. Alla domenica dovevo andare alle adunate … fasciste, evidentemente.
Tornavo a casa tutto contento e dicevo a papà: «Papà, ci hanno portato anche a Messa!». E papà rispondeva: «Quella
messa non vale niente!». «Perché?...». «Perché siete andati obbligati».
Commentatrice: In famiglia, anche
a costo di pagarla cara, nessuno prende la tessera fascista.
Barbareschi: “E questo mi ha innamorato della libertà, questa
educazione di famiglia.”
Commentatrice: Così l’8 settembre,
quando Badoglio proclama l’armistizio con gli Alleati e nel Centro-Nord
d’Italia con la repubblica di Salò comincia la barbarie dell’occupazione
nazi-fascista, Babareschi non ha dubbi.
Barbareschi: “Il 9 settembre 1943 sono entrato nella Resistenza.”
Commentatrice: Barbareschi entra
nelle brigate Fiamme Verdi. E’ tra i
fondatori del giornale clandestino Il Ribelle, con Teresio Olivelli, Carlo
Bianchi, David Maria Turoldo, Mario Apollonio, Dino Del Bo. Olivelli e Bianchi
pagheranno con la vita il loro impegno per la libertà. Il giornale esce come e
quando può ha un solo motto:
Barbareschi: “Non ci sono liberatori, ma solo uomini che si
liberano. Insomma, il primo atto di
fede che un uomo deve fare non è in Dio. Il primo atto di fede che deve fare è
nella sua libertà, cioè nella sua capacità di diventare persona libera. Altrimenti la religione sarebbe
superstizione, se non fosse un atto libero. Sarebbe fanatismo o sarebbe superstizione.
Invece è un atto libero. E questo è un
atto di fede.”
E, visto che nell’incontro sulla
partecipazione è stata ricordata una canzone di Gaber, trascrivo il testo di un’altra molto in tema,
Libertà è partecipazione, che
presenta la partecipazione come esperienza di libertà, che dà un senso umano
alla libertà che altrimenti è vuota:
“Vorrei essere libero
libero come un uomo
Come un uomo appena nato
che ha di fronte solamente
la natura
che cammina dentro un bosco
con la gioia di inseguire
un’avventura
Sempre libero e vitale
fa l’amore come fosse
un animale
incosciente come un uomo
compiaciuto della propria
libertà
Gaber con il coro:
La libertà
non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
Vorrei essere libero come un uomo
Come un uomo che ha bisogno
di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio
solamente nella sua democrazia
Che ha il diritto di votare
e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare
ha trovato la sua nuova libertà
Gaber con il coro:
La libertà
non è star sopra un albero
non è neanche avere un’opinione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
la libertà
non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
Vorrei essere libero come un uomo
Come l’uomo più evoluto che si innalza
con la propria intelligenza
e che sfida la natura con la forza
incontrastata della scienza
Con addosso l’entusiasmo di spaziare
senza limiti nel cosmo
è convinto che la forza del pensiero
sia la sola libertà
Gaber con il coro:
La libertà non è star sopra un albero
non è neanche un gesto un’invenzione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
la libertà
non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione
la libertà
non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.
Al termine dell’incontro i giovani animatori
di Immìschiati hanno invitato tutti a
partecipare al loro lavoro: ne hanno tanto bisogno (per ulteriori
informazioni: http://www.ol3roma.it/). Basta dare la propria disponibilità, poi
si sarà contattati. Si tratta di andare per tutta l’Italia a proporre la
dottrina sociale della Chiesa con il loro metodo veramente molto efficace. Loro
giò partecipavano ad attività in parrocchia, ma hanno sentito il bisogno di
fare di più, di uscire per incontrare gente nuova. E’ proprio quell’impegno che è insegnato dalla dottrina
sociale della Chiesa.
Il 20 maggio prossimo, alle ore 19:30 in sala
rossa, si terrà l’ultimo incontro del ciclo sulla dottrina sociale della Chiesa,
con la partecipazione del prof. Pizzimenti. In quell’occasione potranno essere
fatte domande e osservazioni.
Io vorrei farne due: quelle che propongo di
seguito.
E’ vero che la dottrina sociale ha avuto una
evoluzione, dalla Rerum Novarum - Le
novità del papa Leone 13° - Vincenzo Gioacchino Pecci alla Laudato si’ di papa Francesco - Jorge Mario Bergoglio? Se
sì, che cosa ha provocato questa evoluzione? Il mondo del laicato di fede ha
avuto qualche ruolo in questo e può averne ancora?
La seconda è legata alla prima.
La dottrina
sociale è solo una parte della teologia che può
essere proclamata con autorità esclusivamente dal Papa e dai vescovi, o è anche
un insegnamento che non ha solo un significato teologico, ma
anche sociale, politico, alla cui elaborazione possono, e anzi devono,
partecipare anche i laici, man mano che
si scoprono e si fa esperienza delle novità
sociali?
Voglio concludere con un forte apprezzamento
per il lavoro che gli animatori di Immischìati,
del gruppo Ol3, promosso da Gigi De Paolo, hanno fatto nella nostra parrocchia,
veramente molto efficace. In particolare mi sono reso conto che, con il loro
metodo, quello che dicono rimane fortemente impresso nella memoria, collegato
com’è alle tante emozioni suscitate dai
brani di film che vengono proposti. Anzi, in un prossimo intervento proporrò la
filmografia degli incontri Immìschiati nella nostra parrocchia. Ho acquistato i DVD
dei film che non avevo. Mia moglie, che insegna alle medie, ha proposto il film
Bianca come il latte, Rossa come il
sangue ai suoi alunni. Un film che non conoscevo, lo avevo sottovalutato
quando è uscito e non l’ero andato a vedere, ma che mi è piaciuto moltissimo,
così come la colonna sonora dei Modà.
Bravi, bravi tutti.
Mario Ardigò - Azione Cattolica
in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli