Tessitura sociale
Per una disposizione della Conferenza episcopale
italiana del 1984, il mandato dei parroci dura nove anni, anche se i vescovi possono
decidere di mantenerli in carica anche dopo.
I primi parroci di San Clemente papa ai Prati
fiscali durarono molto più a lungo: don Vincenzo Pezzella dal 1955 al 1983, ventotto
anni, don Carlo Quieti dal 1983 al 2015, trentadue anni. L’attuale parroco, don
Remo, è tra noi al 2015 e quindi l’anno prossimo scadranno i suoi nove anni. Il
cambio di un parroco è sempre traumatico per la gente che viene in chiesa se quel ministero è il solo a reggerne la tessitura sociale. In effetti,
nel 1983 e nel 2015 cambiò tutto molto velocemente e, per quel che ricordo, non
furono successioni vissute serenamente. Il nuovo Statuto dei Consigli pastorali parrocchiali della Diocesi di Roma vorrebbe modificare la
situazione, facendo del Consiglio l’elemento centrale di raccordo tra ufficio
gerarchia ecclesiastica e componente
comunitaria in quella delicata fase. Leggiamo:
[…]
Finalità
Articolo 3. II Consiglio
Pastorale Parrocchiale (CPP) ha le seguenti finalità:
[…]
f. collaborare con il Vescovo per il
discernimento da attuare in occasione del cambio del Parroco;
[…]
E
prevede anche che:
Articolo 4. II CPP dura in
carica quattro anni.
Articolo
5.
In caso di nomina di un nuovo parroco il CPP rimane nelle sue funzioni un anno,
al termine del quale decade e deve essere rinnovato.
Come si attuerà quella collaborazione in
occasione del cambio del parroco non è scritto nello Statuto, ma, se
attuata realmente, sarà una procedura piuttosto complessa, perché nella Diocesi
di Roma ci sono 337 parrocchie (suddivise amministrativamente tra 36 Prefetture,
con a capo un Prefetto scelto dai rispettivi parroci, e cinque Settori,
con a capo un Vescovo ausiliare, nominato dal Papa) e ogni anno in una
ventina di esse cambia il parroco.
Penso che si vorrebbe assicurare una certa
continuità di azione, ma questo richiede che il Consiglio non sia solo espressione dell’orientamento del
parroco che l’ha nominato, ma delle varie componenti sociali della parrocchie e
addirittura del quartiere:
[…]
Finalità
Articolo 3. II CPP ha le
seguenti finalità:
[…]
d. individuare
le esigenze pastorali e culturali della parrocchia e del territorio e proporre ai pastori gli interventi opportuni;
[…]
Articolo
10. Tenendo canto della concreta realtà di ogni
parrocchia e guardando ai «più gravi e urgenti impegni che attendono la Chiesa
di Roma» (IEC, Proemio, §14) oltre che ai corrispondenti Uffici del vicariato
(IEC 33), si faccia ii possibile affinché, tra i membri del CPP eletti o
nominati, vi siano figure operanti negli ambiti della povertà e delle
migrazioni, della scuola e dell'università, della cultura, dell'ecumenismo e
del dialogo interreligioso, della salute (a partire dagli anziani e dalle
persone diversamente abili), del carcere, del lavoro, dell'ambiente, dello
sport.
Si discute se, con la
cessazione di un parroco, debba decadere anche il Consiglio pastorale parrocchiale
da lui nominato. Il nuovo Statuto ha scelto una soluzione intermedia tra la
decadenza e la sopravvivenza: deve essere rinnovato dopo un anno dalla nomina
del nuovo parroco. Lo Statuto Ruini del 1994 non aveva una disposizione
in materia.
Personalmente
mi auguro che in Diocesi si consenta a don Remo di continuare il suo ministero
tra noi, naturalmente se il parroco darà il suo consenso, ma, comunque, la scadenza
del novennio dal suo mandato rende urgente insediare un nuovo Consiglio, per fare ciò che gli è richiesto
quando si tratta di scegliere un nuovo parroco. Anche perché si tratta di
preparare la gente che frequenta la chiesa e, così facendo, di individuarne le
necessità e i problemi. E’ quel lavoro di tessitura sociale che mi pare dovrebbe essere la funzione principale
del Consiglio. Si tratta di indurre pazientemente delle relazioni
positive tra i mondi vitali che ruotano intorno alla chiesa e che ora generalmente
si ignorano reciprocamente. Ci vuole tempo e costanza. Non si tratta di vivere
la cosa con spirito burocratico, bisogna coinvolgere gente che abbia la passione
e anche, appunto, il tempo per le altre persone. Sappiamo che non è facile
trovarla. E infatti lo staff parrocchiale, il gruppo di chi si attiva
realmente nell’organizzazione e del lavoro, è composto da una trentina di
persone, preti compresi. Tutto il resto della gente ha relazioni più labili con
la chiesa parrocchiale: la parrocchia è in genere situata, adottando il criterio
delle cerchie di amicizia dell’antropologo
Robin Dunbar, nelle cerchie più esterne, e questo anche nel caso dei cosiddetti
praticanti, vale a dire di coloro che vanno a messa la domenica.
L’allargamento
e il rafforzamento della tessitura
sociale richiede che collaborino sempre più persone e ognuna può influire da
vicino e realmente su circa una trentina di altre persone. Anni fa, sulla base
dell’ultimo censimento e delle statistiche sui praticanti in Italia, ho stimato che si dovrebbe lavorare
su un migliaio di persone circa, per raggiungere i nostri. A conti fatti la
trentina dello staff è adeguata.
Ma poi ci sono almeno altre ottomila altre persone che fanno riferimento alla
fede cristiana nell’etica e per il senso della vita e allora per questi non si è
abbastanza. Naturalmente più ci si propone di intensificare le relazioni della
persone con la chiesa parrocchiale, più impegno e più tempo occorre, e allora
già ora non si è in numero sufficiente anche solo per i praticanti.
La
formazione religiosa delle persone adulte appare piuttosto carente: in genere è
rimasta quella di quand’erano ragazzi. Con il tempo la comunità religiosa è stata
spostata nelle loro vite nelle cerchie più esterne, o addirittura al di là di quella
più esterna, dove la relazione è mediata solo da miti e diritto. E in quel
momento che si perde, ad esempio, l’abitudine alla preghiera personale, che è
sorretta dalla frequenza alle liturgie.
Più
ci si avvicina alle persone, più tempo e impegno occorrono. La comunità è un insieme di persone con
relazioni più intense di quelle che ci sono nel resto della popolazione. Il Consiglio pastorale
parrocchiale, come configurato nel nuovo Statuto (ne sono state molto ampliate
le finalità rispetto al vecchio), dovrebbe spendersi particolarmente in quel
campo, coinvolgendo e formando altre persone che se ne occupino, a partire dai
giovani che hanno ricevuto la Cresima e che quindi hanno completato la
formazione religiosa di base, e che invece ora in massima parte si allontanano.
I due
rappresentanti dei giovani nel Consiglio
dovrebbero cercare di rimediare a
quel problema, in modo che nell’organismo non ci si limiti a parlare (spesso a sparlare) di giovani, ma se
ne apprezzi la collaborazione.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli