Salvezza
Vivere significa fare esperienza della propria
fragilità.
Costruendo società cerchiamo di farci forza e
di durare di più, ma la nostra biologia ci limita. E anche le nostre società
sono soggette al degrado, ad un certo punto si dissolvono e più frequentemente
si trasformano profondamente, ibridandosi tra loro.
La fede cristiana si fonda sulla fiducia in
un Salvatore soprannaturale: è questo il senso dell’annuncio dell’angelo nella
narrazione della Natività, «Non
temete! Io vi porto una bella
notizia [nel greco evangelico si ha εὐαγγελίζομαι , che si legge evangelìzomai e che
significa vi evangelizzo, cioè
vi porto un vangelo, una buona
notizia] che procurerà una grande gioia a tutto il popolo: oggi
per voi, nella Città di Davide, è nato il Salvatore, il Cristo, il
Signore». Tuttavia nella formazione religiosa dei più non si riesce a rendere
credibile una prospettiva di salvezza e così, ad una considerazione
realistica, si può concludere che le cose vanno come sono sempre andate, e poi
si muore, e non ci si può fare nulla. In definitiva, si dispera, nonostante
tutta l’importanza che nella nostra fede si dà all’idea che ci sia data una salvezza.
Di solito si ricorda che questo modo di
pensare è esposto in un libro della nostra Bibbia, quello del Qoelet:
L’uomo si affatica e tribola per tutta una
vita.
Ma
che cosa ci guadagna?
Passa una generazione e ne viene un’altra;
ma
il mondo resta sempre lo stesso.
Il sole sorge, il sole tramonta;
si
alza e corre verso il luogo
da
dove rispunterà di nuovo.
Il vento soffia ora dal nord ora dal sud,
gira
e rigira, va e ritorna di nuovo.
Tutti i fiumi vanno nel mare,
ma
il mare non è mai pieno.
E l’acqua continua a scorrere
dalle
sorgenti dove nascono i fiumi.
Tutte le cose sono in continuo movimento,
non
si finirebbe mai di elencarle.
Eppure gli occhi non si stancano di vedere
né
gli orecchi di ascoltare.
Tutto ciò che è già avvenuto accadrà ancora;
tutto
ciò che è successo in passato succederà anche in futuro.
Non
c’è niente di nuovo sotto il sole.
Qualcuno forse dirà: «Guarda, questo è
nuovo!».
Invece
quella cosa esisteva già
molto
tempo prima che noi nascessimo.
Nessuno si ricorda delle cose passate.
Anche
quello che succede oggi
sarà
presto dimenticato da quelli che verranno.
[…]
Gli uomini e le bestie hanno lo stesso
destino:
tutti
devono morire.
Tutti hanno lo stesso spirito vitale
ma
l’uomo non è superiore agli animali.
Tutto
è come un soffio.
Tutti vanno allo stesso luogo.
Tutti vengono dalla polvere e tutti alla
polvere ritorneranno.
Chi può sapere se lo spirito degli uomini sale
veramente in alto
e
lo spirito degli animali scende sotto terra?
Ho concluso che la cosa migliore per noi
è
goderci i frutti del nostro lavoro.
Questo è il nostro destino.
Noi non possiamo sapere
quel
che accadrà in futuro.
[dal
libro del Qoelet, capitolo 1, versetti da 1 a 11 e capitolo 3 versetti da 19 a
22 – Qo 1, 1-11; 3, 19-22]
Poi
però la riflessione biblica va oltre e spinge ad andare oltre e a darsi da fare.
A
conti fatti, mi pare che la formazione religiosa manchi di qualcosa in questo
campo, che i preti non riescono a suscitare e neanche le altre persone che a
quel lavoro collaborano.
Osservo
che tra noi in religione, ma in genere
nella società, vi sono diverse idee di salvezza. E, storicamente, anche nelle
Chiese cristiane se ne sono avute varie concezioni. Fino al Concilio Vaticano
2° prevalse quella che cominciò ad essere teorizzata in teologia dal Dodicesimo
secolo (quello che va dal 1101 al 1200), in concomitanza con una grandiosa
riforma della Chiesa cattolica, la quale,
nelle strutture fondamentali, è rimasta da allora più o meno sempre la stessa.
E’ centrata sull’anelito a una vita beata soprannaturale dopo la morte fisica e
sull’aiuto della Chiesa che elargisce il perdono per superare l’ostacolo del
peccato, che ce ne escluderebbe. Lo scopo della vita terrena, in questa prospettiva,
diventa quello di guadagnarsi quell’altra. E’ una delle materie dalle quali
originarono le controversie che nel Cinquecento portarono al distacco della
Chiese protestanti. Oltre vent’anni fa, la frattura si è ricomposta, con la Dichiarazione congiunta sulla dottrina
della giustificazione firmata da cattolici e luterani ad Augusta (Germania)
il 31 ottobre 1999, alla quale nel 2021 hanno aderito anche le Chiese
anglicane, metodiste e calviniste.
Che valore ha il bene che si fa in questo
mondo, in particolare mediante le riforme sociali? Storicamente i cristiani gli
hanno dato sempre molta importanza, anche perché, secondo il vangelo, conta per
la salvezza soprannaturale. I concetti di base della nostra fede furono
formalizzati tra il Quarto e l’Ottavo secolo, nel quadro, prima, di una
grandiosa riforma politica dell’antico Impero romano e, poi, nel corso
di un altro complesso epocale di eventi derivato dalla conquista dell’Europa
occidentale da parte di popolazioni di origine germanica che la invasero dal
Nord Est, insediandovi propri regni. Tra esse,
molto importanti furono quelle gote, franche e longobarde (da cui prende
il nome la regione Lombardia). A ragione si può dire che i cristianesimi cambiarono l’Europa, perché vi rimasero centrali
anche dopo di allora e fino a qualche decennio fa. Influssi che, interagendo
con questioni di potenza politica, ebbero anche risvolti estremamente
sanguinosi, perché l’obiettivo della pace cominciò ad essere preso in seria
considerazione anche nell’organizzazione delle società civili e nelle relazioni
internazionali solo molto di recente, fondamentalmente dopo la Seconda guerra
mondiale (che in realtà dovrebbe essere considerata una guerra europea,
perché scoppiò tra europei, i quali poi vi trascinarono quasi tutto il resto
del mondo). L’ultima imponente realizzazione alla quale i cristianesimi
cooperarono può essere considerata l’Unione Europea, nella cui costituzione i
cattolici italiani e tedeschi ebbero un ruolo centrale insieme ad altre componenti
cristiane.
La dottrina sociale ci esorta ad occuparci
degli affari sociali, non rassegnandoci all’idea che il mondo sia condannato ad
andare (male) com’è sempre andato. Vale per tutte le persone di fede, ma quelle
libere da particolari legami con il servizio ecclesiastico hanno ruoli molto
importanti, fondamentalmente perché sono di più e perché nelle loro mani sono gran
parte delle leve del potere. In ambienti democratici, poi, tutte le cittadine e
tutti i cittadini posso in qualche modo influirvi realmente.
Qual è l’orientamento giusto: quello che
punta sull’aldilà o quello che si spende per fare il bene in questa vita, in particolare
nella costruzione sociale? Penso che si possa esprimere la propria fede in vari
modi, con varie accentuazioni, secondo la propria indole, le età della vita, la propria storia personale, la propria cultura,
i propri ambienti di riferimenti, i propri maestri, le situazioni storiche in
cui ci si trova, tenendo presente il
vangelo, secondo il quale l’aldilà è importante come anche lo sono la misericordia
e la solidarietà. Dobbiamo abituarci a vivere in comunità di fede
pluralistiche, distaccandoci in questo dai fondamentalismi del passato.
Però per operare nella società occorre
prepararsi bene e sapere di più di ciò che si impara nell’iniziazione alle
fede. Non basta coltivare la spiritualità personale. E poiché bisogna sapere
molto, bisogna imparare a lavorare insieme alle altre persone perché altrimenti
non ce la si fa. In questo la via della sinodalità, che si sta aprendo, è un’opportunità
molto importante.
I cristianesimi hanno avuto una storia
bimillenaria dalla quale abbiamo molto da apprendere e non di rado è una fatica
che superficialmente si ritiene superflua. Si pensa, sbagliando, di potervi
prescindere, mettendo tra parentesi tutto ciò che ci separa dalle origini. La
meditazione biblica è molto importante anche
perché generazioni su generazioni si sono confrontate con i testi sacri, nella
vita, nella costruzione sociale, nella
spiritualità, nella cultura, nella liturgia, e, dunque, facendo anche noi lo stesso
possiamo confrontarci con la gente che ci ha preceduto, sia per proseguire il suo
lavoro, sia per non ripetere i suoi errori.
Mi pare però che nella nostra parrocchia,
come in altre che conosco, non vi siano spazi dove le persone che vogliono possano
formarsi collaborando e accostando anche chi ne sa di più.
Al tempo della mia gioventù era diverso.
Il fatto che le persone giovani ci lasciano già durante l’adolescenza può dipendere da
quella carenza? Io sono portato a ritenere di sì. Mi pare che si proponga anche
a loro una spiritualità che si adatta meglio per i più anziani, che fatalmente
tendono a staccarsi dalla vita attiva. La persona giovane deve farsi largo in
società e questo la porta a sentire la necessità di cambiarla per costruirsi degli
spazi accoglienti. Per questo le azioni di riforma sociale vedono in genere
come protagoniste le persone più giovani. Ad esse la società così com’è va stretta:
l’anelito a cambiarla è una manifestazione del desiderio di salvezza, che ha
anche un valenza religiosa.
In questo il nostro gruppo parrocchiale di
Azione Cattolica potrebbe dare una mano alla parrocchia, senza alcun impegno
aggiuntivo per i suoi preti, i quali hanno già troppo da fare. L’azione nella società
è il campo privilegiato della nostra associazione.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli