Perseverare nel tirocinio di sinodalità
Una riforma sinodale del modo di vivere nella nostra
Chiesa ci è necessaria per svolgere bene la nostra missione che è quella di
trasformare le società in cui siamo immersi o, detto con le parole del Concilio
Vaticano 2°, ordinarle secondo Dio [“Per loro vocazione
è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e
ordinandole secondo Dio.” - dalla
Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti – Lumen gentium n.31]. Da questo compito sono esclusi chierici
e religiosi? Naturalmente no. In quel documento non si riuscì a superare l’idea,
non corrispondente alla realtà dei fatti,
dei campi diversi di impegno, smentita comunque in altre parti di quello stesso
documento e da altri documenti conciliari. In Italia, in particolare, abbiamo
una grande tradizione di chierici impegnati nel sociale, tanto che il primo
partito politico italiano di ispirazione cristiana, il Partito
popolare italiano, ebbe tra i
fondatori e come primo segretario politico il prete Luigi Sturzo. L’idea di una
democrazia cristiana ebbe tra i
primi teorici il prete Romolo Murri. Tra il 1942 e 1947 la Democrazia
Cristiana, succeduta al Partito popolare italiano nel corso della
caduta del regime mussoliniano, ebbe tra soci fondatori occulti, ma nemmeno poi
tanto. la Segreteria di stato della Santa Sede, al tempo in cui vi lavorava
Giovanni Battista Montini, poi divenuto papa Paolo 6° dal 1963. Quel partito egemonizzò
il governo italiano fino al 1994 (dal 1993 riprendendo la precedente denominazione
di Partito popolare).
Di sinodalità
si parla poco nella nostra parrocchia e, soprattutto, non la si pratica.
Sinodalità significa un modo più partecipato, meno intimistico, di
vivere la religione. Significa anche non chiudersi nel proprio piccolo mondo di
persone amiche che la pensano tutti più o meno nello stesso modo.
Andare d’accordo
stando vicini non è mai facile, ma in particolare in religione, dove sono in questione
i propri fondamenti esistenziali. In parrocchia di solito ci si ignora al di fuori
delle proprie cerchie ristrette. A tenere tutto insieme sono i preti. E’ questo
che va cambiato. L’età media dei fedeli è cresciuta molto e per gli anziani cambiare
è più difficile. Così però accade che poi le persone giovani si allontano, perché
la religione diventa inutile per loro.
Ci sono
ancora molte persone cristiane nei posti che contano in società, ma la capacità
di influenzarla secondo il vangelo si è molto ridotta. Certo, è vero che c’è
anche meno gente acculturata alla religione, ma c’è anche che la missione si è
fatta poco efficace per il modo in cui si vive la fede.
L’Azione Cattolica
parrocchiale è uno dei luoghi in cui si vive realmente la sinodalità. Possiamo allora
pensare di rendere un servizio ai parrocchiani aiutandoli a capirla e a farne
tirocinio.
Possiamo iniziare da ciò che il cardinal
Vicario ha detto nel giugno scorso, riassumendo ciò che s’è fatto negli ultimi
anni. Noterete che, nel corso del 2021, è intervenuto il Papa per imprimere un’accelerazione
al processo. Nell’ottobre di quell’anno è stato iniziato il cammino sinodale che vedrà un momento decisivo
nel prossimo ottobre, alla vigilia dell’Anno Santo del 2025.
De Donatis
ha cercato di spiegare che cosa significa discernimento comunitario, un lavoro
fondamentale nel vivere la sinodalità: significa cercare di intendersi alla
luce del Vangelo.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli
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Linee guida per il Cammino Sinodale
– Fase Sapienziale
2023-2024
Di seguito l’intervento del cardinale vicario Angelo De Donatis del 29 giugno
2023
“Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.” (Lc 24,31)
Carissimi,
sento la necessità di ripercorrere con
voi in modo breve alcuni dei passaggi vissuti come Chiesa di Roma negli ultimi
anni, per poter meglio collocarci nel presente e per aiutarci a dare l’avvio
all’anno pastorale che ci aspetta.
Fare questo esercizio di
memoria, far riaffiorare al cuore il ricordo di ciò che si è vissuto, non è
dettato da un intento apologetico rispetto alle scelte compiute o dal bisogno
di evidenziare una linea coerente e consequenziale. Al contrario, ciò che conta
è il cammino effettivamente vissuto, con tutto il suo bagaglio di passaggi
imprevisti, di ripensamenti ed arretramenti, di esperienze di crescita
comunitaria ma anche di situazioni di disorientamento, di frattura e di
conflitto. È comunque il cammino del Popolo di Dio che è in Roma, e questo
cammino è un luogo teologico, direi, in cui si rivelano, come nella storia di
Israele e della prima Chiesa, la fedeltà di Dio e insieme anche le miserie
degli uomini.
In accordo con quello che ci ha
sempre detto Papa Francesco, abbiamo superato fin dall’inizio la logica dei
piani pastorali annuali e dei convegni. È stata una decisione coraggiosa.
Bisognava mettere in evidenza che al centro della missione della Chiesa c’è lo
Spirito Santo e non la capacità umana di saper pianificare. È lo Spirito Santo
la sorgente e il segreto motore dell’evangelizzazione, non la Chiesa, non noi.
Sembra un’affermazione evidente, o addirittura scontata, ma non lo è affatto.
Cambia tutto, se la prendiamo sul serio: implica uno sguardo radicalmente
diverso sulla nostra vita pastorale e sulla realtà intera, e soprattutto esige
e chiede alle nostre comunità uno stile e dei ritmi di cammino molto dlversi da
quelli a cui siamo abituati, più centrati sulle tappe di maturazione a cui il
Signore ci vuole portare e meno preoccupati delle iniziative da realizzare. Ciò
che è fondamentale è sperimentare la sinodalità del Popolo di Dio, che cammina
insieme aprendosi a tutte quelle situazioni, volti, voci che contengono
un’ispirazione dello Spirito.
Provo a riassumere quanto
abbiamo vissuto.
L’obiettivo del primo anno
(2017-2018) è stato quello di verificare le malattie spirituali delle nostre
comunità parrocchiali (grazie al secondo capitolo di Evangelii Gaudium,
nella parte dedicata a “le tentazioni degli operatori pastorali”); la verifica
è stata realizzata dal 70% delle parrocchie e si è conclusa con l’assemblea del
14 maggio 2018 nella Basilica di San Giovanni in Laterano. In quell’occasione
abbiamo presentato a Papa Francesco la sintesi delle riflessioni emerse
(l’autoreferenzialità, il pessimismo sterile e la guerra tra noi, sono state le
malattie più segnalate) e il Papa ci invitò ad adottare un paradigma biblico,
quello dell’Esodo, per il percorso dei sette anni, spiegandoci il senso e la
bellezza di farsi illuminare da un paradigma biblico per il cammino.
L’anno successivo le comunità
parrocchiali hanno fatto memoria di come il Signore le ha guidate e fatte
maturare nel tempo, attraverso i diversi passaggi della stagione postconciliare
e lo hanno raccontato in assemblee parrocchiali e di Prefettura.
Vi ricordate? Sull’esempio del
Deuteronomio (Ricordati di tutto il cammino…) abbiamo cercato non di scrivere
una “cronaca” storica, ma di sviluppare insieme, comunitariamente, uno sguardo
contemplativo sull’opera che Dio ha compiuto nella Chiesa di Roma. Era un
obiettivo ambizioso, se volete, ma alla portata delle nostre comunità, che
venivano così aiutate non a raccontare fatti ma a discernere l’opera di Dio, a
constatare che l’aiuto del Signore non era venuto meno nel tempo e che aveva
senso continuare a confidare nella sua guida, a riconoscere nella fede le mille
situazioni e anche le persone attraverso le quali Egli aveva parlato. In
tantissime comunità, lo ricordo anche personalmente, abbiamo vissuto momenti
intensi e ricchi. Inoltre nella Quaresima del 2019 abbiamo vissuto un forte
momento di riconciliazione comunitaria, una richiesta reciproca di perdono, non
solo tra le persone ma anche tra gruppi e associazioni ecclesiali, in modo tale
che il riconoscimento reciproco della comune debolezza aprisse uno spazio
maggiore all’azione della Grazia.
Il 9 maggio 2019 Papa Francesco
ha lanciato nella Basilica di San Giovanni in Laterano il cammino dei due anni
successivi (2019-2021): abitare con il cuore la città, mettendosi in ascolto
del grido dei giovani, delle famiglie, delle persone povere e fragili, un
ascolto contemplativo che permettesse di cogliere la presenza di Dio nella
città e nella vita delle persone. Il riferimento nel paradigma dell’Esodo era
al terzo capitolo, quando Dio dice a Mosè nel roveto ardente di aver ascoltato
il grido degli Ebrei e di voler inviare lui a liberare il Popolo.
Richiamandoci il discorso di
Firenze 2015, Papa Francesco ci raccomandò lo stile di questo ascolto e dialogo
con tutti: umiltà, disinteresse e testimonianza della beatitudine dell’incontro
con Gesù. In quell’occasione il Papa ci disse che la conversione missionaria
non punta a creare una Diocesi più efficiente, ma a renderci più capaci di
ascoltare lo Spirito, e questo significa accettare di essere “squilibrati” in
vista di una nuova armonia realizzata dallo Spirito. Nella Veglia di Pentecoste
2019 a Piazza San Pietro il Papa affidò a tutti i cristiani di Roma il “mandato
dell’ascolto”.
Nel frattempo, sulla scorta
delle parole del Papa, invitammo tutte le parrocchie a costituire un’équipe
pastorale formata da dodici “squilibrati” per animare questa tappa e per
raccogliere le indicazioni pastorali che da questo ascolto sarebbero scaturite:
queste équipe hanno ricevuto da lui uno specifico mandato il 9 novembre dello
stesso anno nella Basilica di San Giovanni in Laterano. La scelta dell’équipe,
lo ricorderete, puntava a coinvolgere nei processi di discernimento persone
diverse dalle “solite”, persone più “santamente intraprendenti”, in modo da
integrarle in un secondo momento negli abituali organismi di partecipazione,
nei consigli pastorali.
Di per sé questa tappa non
doveva durare due anni; ma il Covid 19 ci ha costretto tutti ad arrestarci e a
riflettere, riscoprendo una prossimità con gli abitanti della nostra città
fatta di ascolto, di cura delle relazioni, di solidarietà concreta. Non c’era
altro modo di attraversare la dura esperienza della pandemia se non continuando
a stare vicini gli uni agli altri, a custodirci, ad aspettarci a vicenda
evitando che qualcuno si isolasse o rimanesse indietro.
Il dilagare della malattia, la
proibizione di uscire e le relazioni vissute solo attraverso la rete online, la
Pasqua celebrata nella case, ci hanno fatto sperimentare una situazione
misteriosamente simile a quella vissuta dal Popolo in Egitto: le dieci piaghe,
la notte di Pasqua in casa per evitare l’angelo distruttore, e finalmente la
partenza verso il passaggio del Mar Rosso, in vista di un nuovo cammino e di
una rigenerazione (l’attraversamento del Mar Rosso allude alla rinascita
battesimale…). Avevamo la consapevolezza credente di un tempo totalmente
affidato al Signore, in cui a noi era chiesto di rimanere nell’unica realtà
essenziale, che è l’appartenenza a Lui e alla comunità umana. Privati dei mezzi
abituali con cui si esprime e si nutre la nostra fede, privati persino della
celebrazione dei sacramenti, ci siamo aggrappati al Signore e da Lui siamo
stati guidati a farci vicini e solidali a tutti gli uomini, condividendone la
vita, la percezione di incertezza, la fatica di aspettare ogni giorno qualche
buona notizia che alimentasse la speranza. Questa situazione così inedita, che
ci ha messo “tutti nella stessa barca”, ci ha insegnato anche l’atteggiamento
profondo con cui vivere il dialogo con tutti e l’ascolto: l’amore di amicizia.
L’abbiamo sottolineato nelle linee pastorali 2020-21: è necessario approcciare
gli altri senza la pretesa di essere superiori a nessuno, in uno stato di
povertà del cuore che permetta di essere presenti tra gli altri senza
arroganza, di annunciare il Vangelo senza esibirlo come un proprio merito, di
aiutare i poveri senza umiliarli. L’amore di amicizia disattiva il meccanismo
perverso dell’affermazione di sé e del proprio gruppo favorendo un dialogo e un
confronto senza “inquinamenti”, condizione necessaria per l’evangelizzazione; è
il frutto più bello, a livello delle relazioni con gli altri, di un cammino
personale e comunitario di conversione umile al primato dello Spirito, che
opera tutto in tutti e attraverso di tutti.
Nel giugno 2021, lo ricorderete,
avevamo immaginato, durante una “due giorni” con il Consiglio dei Prefetti e i
Direttori degli Uffici Pastorali del Vicariato, di puntare per l’anno pastorale
2021-22 sull’esperienza del kerigma (in generale, il terzo capitolo di Evangelii
Gaudium) per ripartire tutti insieme dal cuore dell’esperienza di
fede, l’incontro con il Risorto, incontro da cui inizia ogni rinascita
battesimale personale e comunitaria. Il cammino formativo delle équipe
pastorali sul libro del Papa “Senza di me non potete far nulla”, dedicato al
tema della missione della Chiesa, aveva posto le premesse per un linguaggio
comune sull’evangelizzazione, individuandone gli elementi fondamentali, le
dimensioni costitutive.
Ma ad un certo punto, durante
l’estate, in Papa Francesco matura la convinzione che fosse preferibile, per la
Chiesa di Roma, allinearsi sul cammino sinodale della Chiesa Universale e della
Chiesa italiana, anche se questo significava concretamente ritornare
sull’esperienza dell’ascolto reciproco e dell’ascolto di tutti per riconoscere
la voce dello Spirito. A molti sembrò di ritornare indietro. Eppure, alla luce
dei due anni trascorsi, dobbiamo riconoscere che abbiamo vissuto altri passaggi
importanti e decisivi per il nostro cammino ecclesiale.
Prima di tutto il Papa ci ha
regalato il discorso più bello sul senso del cammino sinodale, quello del 18
settembre 2021, rivolto proprio a noi, fedeli di Roma. L’inseparabilità
dell’ascolto della Scrittura e dell’ascolto di tutti, in vista di un’apertura
del cuore capace di intercettare le ispirazioni dello Spirito, sono dimensioni
da coltivare permanentemente. Ci ha fatto molto bene vivere l’esperienza dei
gruppi di ascolto tra di noi attraverso il metodo della conversazione
spirituale, a partire dai brani delle Beatitudini: ci ha spinto a vivere
incontri comunitari non centrati sul dibattito tra posizioni diverse, ma
sull’ascolto reciproco e sul discernimento comunitario della voce dello
Spirito. Così il cammino sinodale non è stato né un processo contro qualcuno né
tantomeno la semplice sagra delle lamentele, bensì un cammino in cui la ferita
dell’altro è la mia ferita, un aspetto critico e debole della comunità è il mio
punto debole, etc. Abbiamo vissuto un ascolto di Popolo di Dio, effettuato dal
Popolo di Dio, battezzati e pastori insieme. È stato un bel modo di “celebrare”
i sessant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano Il (1962-2022), di vivere
nella concretezza l’ecclesiologia conciliare di comunione.
Il frutto di questo ascolto è
stato fissato poi nella sintesi diocesana che abbiamo restituito a tutti a fine
giugno dell’anno scorso, alla vigilia della festa dei Santi Pietro e Paolo. Una
sintesi in cui sono confluite le voci, le vite, le parole di tante persone, di
tante situazioni.
Nell’economia del cammino sinodale, per come è stata poi declinata
dalla CEI, la fase narrativa della durata di due anni prevedeva la partenza di
“cantieri pastorali”, emersi dal confronto delle sintesi di tutte le diocesi
italiane. Ispirati dal brano biblico della visita di Gesù nella casa di Marta e
Maria a Betania, i quattro cantieri rappresentano i “luoghi” in cui le comunità
cristiane continuano il loro ascolto reciproco, la loro riflessione sui nodi
fondamentali della vita ecclesiale (la corresponsabilità dei laici, la
formazione spirituale, i sacerdoti…), ma anche il dialogo e l’ascolto di tutti.
Vero è il fatto che per noi è stato un anno atipico, o meglio, il nostro
cantiere principale ad un certo punto è diventata la Costituzione In
Ecclesiarum Communione, con la conseguente riforma del Vicariato, e gli
organi sinodali di partecipazione che siamo stati invitati a creare a tutti i
livelli della Chiesa Diocesana.
Quando abbiamo iniziato il
cammino, nel 2017, l’intenzione che ci ha esplicitamente guidato era “far funzionare” Evangelii
Gaudium come testo di riferimento per l’attivazione di tutto il
processo ecclesiale, come richiesto da Papa Francesco nell’Esortazione stessa
(EG 25). Di fatto abbiamo utilizzato i primi due capitoli dell’Esortazione,
insieme all’ultimo, dedicato alla spiritualità degli evangelizzatori. A dieci
anni dall’uscita di Evangelii Gaudium, nel novembre 2023, ci
piacerebbe fare una verifica della nostra “receptio”, non soltanto per
confermare la bontà e la fecondità dell’itinerario compiuto, ma soprattutto per
rilanciarla come bussola per la prosecuzione del nostro cammino ecclesiale.
FASE SAPIENZIALE
Dopo la fase narrativa,
con il nuovo anno pastorale il Cammino Sinodale entra nella sua fase
sapienziale. Che significa?
Abbiamo vissuto quattro anni
molto intensi, dedicati all’ascolto della Parola di Dio unito all’ascolto tra
di noi e all’ascolto di tutti. Il desiderio di allinearci al Cammino Sinodale
della Chiesa universale e della Chiesa italiana ci ha spinto a rimanere per un
tempo prolungato nella dinamica spirituale dell’ascolto contemplativo,
quasi un tempo di ricerca e di attesa, in modo da creare quello
spazio aperto, quell’allargamento della mente e del cuore, necessario perché lo
Spirito Santo possa parlare. Le narrazioni di vita, ascoltate soprattutto dalle
labbra di chi si sente lontano dalla Chiesa e dalle labbra dei poveri, sono
state fondamentali per realizzare in noi questo “allargamento”. Ci siamo resi
conto che non aveva senso continuare a girare intorno alle solite dinamiche e
ai soliti problemi ecclesiali, mentre insieme con i nostri contemporanei stiamo
vivendo un cambiamento d’epoca. Vi invito a meditare la memoria del cammino fin
qui compiuto perché aiuta a ricollocarci nel pellegrinaggio che ci porta fino
al Giubileo 2025.
Inaugurare quest’anno la fase
sapienziale significa decidere con coraggio di affrontare la sfida del discernimento
comunitario della voce dello Spirito.
È un passaggio importante.
Potremmo infatti pensare che, alla luce degli ascolti fatti, non ci rimanga che
tirare le fila e prendere conseguentemente delle decisioni, magari a
“maggioranza qualificata”. Sarebbe un errore! Dobbiamo evitare una certa fretta
decisionistica, e rimanere nel solco della vita spirituale, altrimenti
rischiamo di fare un semplice “maquillage” ecclesiale, sulla base soltanto
delle informazioni ed impressioni raccolte. In questa fase, come e forse più
della precedente, è indispensabile rafforzare la vita nello Spirito, la
preghiera individuale e comunitaria, e solo lentamente riusciremo a capire dove
ci sta portando il Signore.
Se poi pensate alla sintesi diocesana che abbiamo inviato alla CEI,
buona parte dei contenuti sono sottolineature di criticità, difficoltà, aspetti
problematici, cioè un insieme di elementi che spingono ad un certo rinnovamento
ecclesiale. Attenzione però, perché non basta questo per creare le condizioni
per un buon discernimento spirituale! Dibattere sul “negativo”, discutere tra
di noi a partire dai nodi irrisolti e dai passi falsi compiuti, prendere di
conseguenza le decisioni che sembrano più necessarie per evitare il fallimento
e recuperare “terreno” con le persone… mi sembra una modalità di discernimento
troppo “umano” o, per dirla con San Paolo, molto “carnale”.
Per spiegare cosa sia il
discernimento a cui siamo chiamati, vi invito a contemplare un’icona evangelica
che tutti conosciamo e che abbiamo già incontrato nel nostro cammino pastorale
di questi anni: i discepoli di Emmaus.
Sottolineerò tre passaggi:
1) Cleopa e il suo compagno (o si tratta di una donna? Che i due
discepoli siano in realtà una coppia di sposi è un’ipotesi esegetica realistica
e… interessante!) stanno andando via da Gerusalemme e discutono animatamente
tra di loro di tutto ciò che era accaduto. Sono in grado di raccontare ciò che
è successo, per filo e per segno, anche allo straniero che sta camminando con
loro e che sembra non sappia nulla degli eventi recenti. Sanno mettere tutto in
fila, ma solo per sottolineare la loro delusione, la loro sofferenza: “noi
speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele!”, e invece è
finito sulla croce. Raccontano del fallimento del Maestro, della sua morte, del
sepolcro vuoto e delle donne visionarie che dicono di aver ricevuto un annuncio
da parte degli angeli.
I due hanno fatto discernimento
e la loro conclusione è molto chiara: il fallimento di Gesù è il nostro
fallimento; non c’è niente da fare, non c’è futuro, e per quanto doloroso,
questa è la realtà da accettare. Invece le donne, che pure lo hanno visto morire
sulla croce, non si sono rassegnate e quindi è iniziata la follia, il delirio
di chi ritiene di averlo visto vivo. Ormai la comunità dei discepoli è
impazzita e divisa: meglio allora allontanarsi da questo gruppo di discepoli
resi ciechi e pazzi dal loro dolore, meglio ritornare a casa e alla vita di
prima.
Ecco, questo è il frutto del
discernimento dei due discepoli. Un discernimento senza Gesù, senza lo Spirito,
all’apparenza pieno di realismo, di intelligenza e di umano buon senso. Un
discernimento nato dall’ascolto reciproco di due discepoli che hanno conosciuto
il Signore ma che non ricordano più il cammino fatto insieme al Maestro verso
Gerusalemme. In quel viaggio, raccontato dall’evangelista Luca a partire
dal capitolo 9, Gesù annuncia per tre volte che a Gerusalemme lo attende la
passione, l’ingresso nel regno promesso dal Padre attraverso la croce. Egli non
si rivolge quasi più alle folle per dedicarsi all’insegnamento impartito ai
discepoli (quelli rimasti) e che, convinti che Gesù non parli “sul serio”, lo
seguono nonostante tutto, nonostante gli annunci profetici della sua morte. I
due discepoli di Emmaus non hanno custodito nella memoria nulla di questa
istruzione prepasquale sul Messia sofferente. Eppure sono stati con il Signore,
hanno camminato con Lui e lo hanno ascoltato, ma senza capire il senso profondo
della rivelazione contenuta nelle parole pronunciate durante il viaggio verso
Gerusalemme.
“Ma i loro occhi erano
impediti di vederlo…” Non lo riconoscono, non distinguono nel
forestiero la presenza del Risorto. Per poter vedere hanno bisogno di occhi
nuovi (solo chi rinasce dall’alto può vedere il regno di Dio, dice Gesù a
Nicodemo) ma questi occhi nuovi, capaci di cogliere la presenza di Dio nella
storia umana, ce li consegna solo la Pasqua di Gesù, lo Spirito del Risorto.
Comprendiamo allora che c’è una
grande differenza tra il ragionamento umano, dove al massimo regna la logica e
il “buon senso”, e la rivelazione della volontà di Dio che lo Spirito ci vuole
donare. Forse non ci prestiamo molta attenzione, ma questa è davvero la domanda
da farsi: cosa ci guida, quando nelle nostre comunità ci ritroviamo insieme per
riflettere e decidere? Perché talvolta la volontà di Dio va in una direzione
opposta al realismo troppo umano! Lo Spirito ribalta i tavoli, ci ha detto Papa
Francesco, e crea scompiglio per creare una nuova armonia. Lo Spirito dona
quella fede soprannaturale che ci fa credere che Gesù è risorto, che è presente
in mezzo a noi e che è il Signore della storia umana, al di là di ogni evento
che fa piombare nell’avvilimento o nella disperazione.
Per questo il discernimento
comunitario non è una discussione di gruppo, ma si realizza in un contesto
di preghiera, dove ci mettiamo ai piedi del Signore, in ascolto della Parola di
Dio, nella ricerca della sua volontà e non della nostra. Ognuno di noi deve
accettare la possibilità che anche i suoi occhi siano incapaci di vedere e che
la strada indicata dal Signore sia un’altra rispetto a quella che ha
ipotizzato. Ho bisogno di ascoltare gli altri e di scrutare la Scrittura per
permettere al Signore di comunicarsi il suo punto di vista. È la rinuncia alla
volontà propria perché possa convertirmi alla volontà di Dio e non sentirmi
dire dal Signore “Stolto e lento di cuore a credere alla Parola…”.
2) Un secondo aspetto: se leggiamo il racconto evangelico “dalla parte”
di Gesù Risorto, comprendiamo meglio quali siano le intenzioni del Signore.
Egli non blocca la fuga dei discepoli, ma va loro incontro nelle vesti di un
viandante sconosciuto, cammina con loro, si mette in ascolto delle loro
delusioni, prova ad interagire nella discussione riaprendo il loro
discernimento e proponendo una prospettiva “altra”, diversa… la prospettiva
donata dalla Parola di Dio, testimoniata dalla parola dei profeti. Il Signore
non può sopportare che la sua piccola comunità, con una missione storica così
importante, perda la fede, si divida e si disperda, ma come Buon Pastore va in
cerca di tutti i suoi fratelli per riportarli nel Cenacolo di Gerusalemme. Egli
conosce il cuore dei discepoli di Emmaus: sa che può ancora ardere a contatto
con la Parola di Dio. Egli è convinto che i suoi due amici non si ripiegheranno
nel loro scetticismo triste e senza prospettiva, anche se in questo momento
sono poco disposti a dare credibilità alle fantasie delle donne e alle parole
di uno straniero. Hanno solo bisogno di fare ancora un pezzo di strada con Lui,
di ascoltarlo ancora mentre mostra il filo rosso che lega Isacco, il servo
sofferente di Jhwh cantato da Isaia, Geremia e il suo dolore solitario, i
profeti perseguitati e messi a morte, fino a Lui e alla sua croce, Lui che è il
Messia e Figlio dell’uomo che viene sulle nubi del Cielo.
Vedete quanto è importante per
noi ascoltare il Signore, nella Scrittura e in ogni sconosciuto con cui
entriamo in contatto nelle strade dei quartieri della nostra città? È solo la
nostra stupidità spirituale che ci fa ritenere di non averne bisogno, l’indurimento
del nostro cuore dovuto ad una sorta di superbia fatta di senso di superiorità
e di autosufficienza. Il Signore vuole davvero che il nostro Cammino Sinodale
sia fatto di ascolto della Parola e di disponibilità al dialogo con tutti,
oppure come ha detto Papa Francesco per due volte nel suo discorso
all’assemblea della CEI di maggio scorso: con “tutti, tutti, tutti”.
In effetti, noi saremmo tentati
di affidare il discernimento comunitario ad un gruppo di persone qualificate e
ben formate: prendiamo “i migliori” e chiediamo loro di dirci cosa vuole da noi
il Signore. Ma non funziona. Il Padre rivela i misteri del Regno non ai
sapienti e ai dotti, ma a chi si fa piccolo, così piccolo da fare spazio agli
altri e a Dio, così umile e mansueto da essere come un bue che si fa mettere al
collo il giogo della Parola di Dio per farsi guidare (Mt 11,25-30). Per Gesù
questo “altro” con cui Egli cammina può essere “pagano e idolatra”, come la
donna sirofenicia, o persino “nemico”, come il centurione romano: egli scopre
con gioia che la loro piccolezza nasconde una statura grande di fede. Anche una
persona lontana dalla comunità o a noi sconosciuta, può essere la finestra
attraverso cui arriva tanta luce perché ci rendiamo conto che lo Spirito
accompagna non solo la vita dei credenti, ma anche la ricerca inquieta di tanti
nostri contemporanei, e che spesso è anche la nostra. Ecco che può succedere
che un viandante inatteso ci ponga le domande giuste, quelle dell’uomo di oggi,
con le quali scrutare la Scrittura; o ci testimoni, sorprendendoci, una
sapienza di vita permeata di Vangelo; o persino che ci faccia ardere il cuore,
perché ci rivela che quel brano biblico, tante volte letto distrattamente,
contiene il fuoco dello Spirito, la risposta che cercavamo. La Chiesa
cammina con tutti, non allontana nessuno, perché ogni uomo può essere il
Signore Risorto che si avvicina: anche questo è a fondamento di ogni
discernimento comunitario. Perché
porti frutto, è necessario che la comunità cristiana rinunci ad ogni mentalità
elitaria, ma custodisca la consapevolezza di essere Popolo di Dio e si ponga
sempre in un atteggiamento di apertura verso tutti, soprattutto verso i piccoli
e i poveri.
3) In ultimo, vorrei farvi notare che gli occhi dei discepoli sono
guariti e si aprono per la Parola di Gesù e per il segno dello spezzare il
Pane, manifestazioni della presenza del Risorto. L’Eucarestia che celebriamo ha
il potere di aprirci gli occhi. In questo senso, come scrive Mons. Erio
Castellucci, “non c’è solo un’analogia, ad unire le due celebrazioni (sia
l’Eucarestia che il Sinodo si celebrano) ma è una co- implicazione tale, che si
potrebbe definire la Sinassi Eucaristica un Sinodo concentrato e
il Cammino Sinodale, un’Eucarestia dilatata”. È proprio così: quando la
Chiesa ha il coraggio di vivere e camminare in maniera sinodale, non fa che
prolungare, “dilatare” l’Eucarestia. Non solo perché l’assemblea eucaristica,
di cui fanno parte tutti i battezzati, si riunisce per discernere e decidere,
in dialogo con tutti gli uomini; ma perché al centro del discernimento della
Chiesa c’è il Signore Crocifisso e Risorto: gli occhi nuovi, capaci di cogliere
la presenza di Dio nella storia umana, ce li consegna solo la Pasqua di Gesù.
I due discepoli di Emmaus hanno
udito le parole dei profeti che annunciano la realizzazione delle promesse di
Dio grazie alle sofferenze dell’inviato di Dio: “non bisognava che il Cristo
patisse queste sofferenze per entrare nella sua Gloria?”, e hanno sentito
che il loro cuore “ardeva”; ma solo nel momento in cui il viandante accolto
nella loro casa spezza il Pane, essi comprendono il senso profondo del gesto
del Maestro durante l’ultima cena, un gesto in cui egli ha voluto concentrare
tutta la sua vita consegnata e donata, il memoriale dell’amore di Dio che fa
della croce l’Albero della Vita. Il fallimento di Gesù è spiegato
dall’Eucarestia: non è la fine di tutto, ma la pienezza della manifestazione
dell’amore di Dio e la realizzazione della salvezza per tutti gli uomini.
In sostanza, ogni discernimento
che prescinda dal fatto che il Signore realizza il Regno in ciò che dal punto
di vista umano sembra un fallimento, è un discernimento che non coglie l’opera
di Dio. Chi non vive nella luce del Crocifisso Risorto non è capace di uno
sguardo contemplativo, non coglie la presenza e l’opera di Dio nella storia
umana, i suoi occhi vedono solo i fatti negativi, senza riuscire a realizzare
che proprio attraverso questi eventi all’apparenza incomprensibili e
spiazzanti, nei quali emerge tutta la debolezza della comunità cristiana, il
Signore sta preparando novità che sanno di Resurrezione!
Vorrei che fissassimo nel cuore
questo terzo punto della nostra riflessione sui discepoli di Emmaus. Siamo
chiamati a riprendere in mano la sintesi, che sia quella diocesana o della
nostra comunità parrocchiale, sempre e comunque partendo da un brano della
Scrittura, e rileggere i racconti e le condivisioni, il frutto del nostro
ascolto reciproco e dei nostri dialoghi con tutti, con una chiave spirituale chiara: la Pasqua di Gesù, il suo
Mistero di Crocifisso Risorto, di cui siamo tutti resi partecipi attraverso il
Battesimo e l’Eucarestia e con il quale sono messi in contatto dallo Spirito
Santo tutti gli uomini (Gaudium et spes 22).
È proprio nel momento in cui il
Signore spezza il Pane che si realizza un’irruzione dello Spirito Santo nel
cuore dei discepoli, una Pentecoste che apre gli occhi e li spinge a ritornare
di notte (una corsa “folle” …) nel Cenacolo di Gerusalemme per confermare agli
apostoli la Resurrezione del Signore. L’annuncio delle donne non suona più
assurdo e incredibile: davvero il Signore è risorto ed è apparso anche a noi! La missione della Chiesa nasce da questa
sovrabbondanza di Spirito Santo, dall’incontro con il Signore che riempie
di gioia e di entusiasmo. Qui non c’è bisogno di un lungo lavoro di
discernimento… È talmente tanto evidente che dall’Eucarestia nasce la missione!
Dopo aver meditato il brano
evangelico, ritorniamo con più chiarezza alla fase sapienziale. Alla luce del
brano dei discepoli di Emmaus, che significa “discernimento comunitario”? Non è
una “tecnica pastorale”, ma una dimensione essenziale e permanente della vita
della Chiesa e di ogni comunità ecclesiale: è l’assemblea eucaristica che, in ascolto della Parola e sentendosi in
cammino e in dialogo con tutti gli uomini, cerca la volontà di Dio qui e ora
alla luce della Pasqua di Gesù, permettendo allo Spirito Santo di irrompere
nella sua vita, di guidarla nelle scelte, di convertirla alla missione. Già
lo scorso anno, utilizzando il metodo della “conversazione spirituale” nei
gruppi sinodali, abbiamo di fatto vissuto in germe l’esperienza del
discernimento comunitario. In tutte le Chiese d’Italia è stata confermata la
bellezza e l’efficacia di questo metodo, e quest’anno potremo viverlo con più
consapevolezza. Nessuno di noi si illude
che il discernimento comunitario sia un’esperienza semplice; non è semplice
nemmeno il discernimento individuale, con il quale abbiamo una certa
dimestichezza, come potrebbe esserlo quello comunitario?
Tuttavia sarebbe insensato
metterlo da parte. Dobbiamo invece creare le condizioni perché possiamo
viverlo.
Per favorire la riflessione
comune, vorrei sintetizzarvi in un elenco alcune attenzioni da avere. Sono
frutto del lavoro comune compiuto con gli altri Vescovi ausiliari, i parroci
prefetti e i direttori degli Uffici della Diocesi e l’Équipe pastorale
Diocesana:
1. Il soggetto che discese è la comunità che si riunisce in ascolto
della Parola ed intorno all’Eucarestia e che si “mette in discussione”, in
stato di conversione pastorale e di riforma, perché vuole davvero ascoltare lo
Spirito per aderire con tutta sé stessa alla volontà di Dio. Non demanda ad
alcuni il discernimento, ma coinvolge tutti i battezzati, sentendosi in cammino
e in dialogo costante con gli uomini del nostro tempo, abitando i villaggi e le
strade della città.
2. Quanto all’oggetto del discernimento: in ogni riunione di gruppi o di
comunità che vogliano discernere insieme la volontà di Dio, è importante
circoscrivere e precisare quale sia l’oggetto del discernimento e verificare
che tutti abbiano le informazioni necessarie per poter valutare e decidere.
3. Fare discernimento significa entrare in un processo di preghiera,
che permetta a tutti di mettersi davanti al Signore con lo scopo di ascoltare
la sua volontà e ridimensionare la propria. In sostanza, viene proposto a tutti
di assumere l’atteggiamento della conversione: un atteggiamento contrario
all’individualismo e all’autosufficienza, per ribadire la necessità di
comprendere insieme agli altri cosa ci chieda il Signore, di lasciarsi
inspirare dallo Spirito che può parlare attraverso tutti, anche i più deboli.
4. Mettersi in ascolto della Parola di Dio: interpretare la situazione
presente alla luce della Parola di Dio, fare memoria di alcuni brani della
Scrittura che sono particolarmente significativi perché indicano come Dio
“vede” la realtà e come agisce nella storia.
5. Ricercare un tempo lungo e sereno per ascoltare la Parola di Dio e per
ascoltare tutti.
6. Condividere con gli atri, in un dialogo aperto e sincero, i pensieri
e i sentimenti che ciascuno prova. Non aver paura di esprimere anche il proprio
senso di delusione o di frustrazione o l’insicurezza che ci ha lasciato nel
cuore la memoria di alcuni momenti bui vissuti. Nello stesso tempo, far
presente le proprie speranze, i desideri, le attese, soprattutto se si pensa
che dietro vi sia un’ispirazione dello Spirito.
7. Oltre al proprio mondo interiore, è bene raccontare le tradizioni da cui
veniamo, le prassi consolidate, le esperienze vissute, le indicazioni
magisteriali che ci hanno guidato nel passato; a questo punto è importante
condividere anche le intuizioni che sembrano orientarci per il presente e il
futuro, per verificare insieme agli altri se vengono dallo Spirito.
8. Provare ad individuare tra le cose dette e ascoltate quelle che
contengono l’indicazione della volontà di Dio. Convergere su una direzione
comune che ci sembra sia inspirata dallo Spirito, e che accolga la verità di
ciò che è stato condiviso. Il pastore, che fino adesso si è limitato a favorire
il processo del discernimento (custodendo il clima della comunione, garantendo
l’ascolto di tutti, ecc.) conferma o corregge le conclusioni, riconoscendo nel
processo compiuto l’azione di Dio. Ognuno è chiamato ad accogliere le decisioni
frutto del discernimento comune e della conferma del pastore.
Sono personalmente convinto che,
se nelle nostre comunità, sapremo custodire questo clima di preghiera e di
apertura all’azione di Dio, sperimenteremo una grande ricchezza. Nel discorso,
a cui ho già fatto riferimento, di Papa Francesco all’Assemblea CEI egli ci ha
lasciato quattro importanti consegne: continuate a camminare; continuate a fare
Chiesa insieme; ad essere una Chiesa aperta a tutti; ad essere una Chiesa
inquieta nelle inquietudini del nostro tempo. Soprattutto egli ci ha invitato a
non aver paura di essere una Chiesa “vulnerabile”, che rifugge da ogni
autoreferenzialità e da ogni clericalismo, e ad avere grande fiducia nell’opera
che lo Spirito Santo va realizzando. Vi leggo un bel passaggio: “È Lui il
protagonista del processo sinodale, Lui, non noi! È Lui che apre i singoli e le
comunità all’ascolto; è Lui che rende autentico e fecondo il dialogo; è Lui che
illumina il discernimento; è Lui che orienta le scelte e le decisioni. È Lui
soprattutto che crea l’armonia, la comunione nella Chiesa, l’armonia”.
Con questa fiducia nel cuore,
possiamo affrontare il prossimo anno pastorale. Vorrei presentare, insieme agli
altri Vescovi, alcune concrete linee, facendo riferimento alle tre parole del
Sinodo dei Vescovi di ottobre: comunione, partecipazione, missione. A breve
usciranno poi le linee guida della CEI, per cui rimaniamo aperti ad eventuali
altri suggerimenti e nuove indicazioni.
COMUNIONE:
Alla base del Cammino Sinodale,
ciò che lo rende possibile, è che lo Spirito custodisce la Chiesa nella
Comunione, come il succo tiene insieme i chicchi del melograno. Unità nella
pluralità dei ministeri e dei carismi, per cui è lo stesso Spirito che diversifica
i doni rendendo ricca e poliedrica la Comunione.
Per questo, facendo nostra e
attuale l’esortazione di San Paolo, è davvero importante “conservare l’unità
dello Spirito per mezzo del vincolo della pace” (Ef 4,3), vale a dire custodire
il primato dello Spirito Santo in tutto quello che faremo. Mi riferisco al
fatto che, conformemente alla Costituzione Apostolica In Ecclesiarum
Communione, porteremo avanti il processo di conversione sinodale delle
strutture e degli organismi della nostra Chiesa locale, a partire dai consigli
pastorali parrocchiali, per poi arrivare al livello di Prefettura, di Settore e
Diocesano. Questa conversione sinodale, come sapete, riguarda anche il
Consiglio Episcopale stesso e gli uffici del Vicariato. Questa riforma potrà
funzionare solo se questi organismi di partecipazione, di discernimento e di
decisione nella Chiesa, saranno davvero luoghi in cui abitualmente ci metteremo
in ascolto dello Spirito e non solo di esercizio di “buon senso umano”.
Altrimenti scadranno immediatamente in “riunioni di condominio”! Nel cammino
che abbiamo compiuto, per evitare fin dall’inizio questo rischio, abbiamo
puntato sulle équipe pastorali, realtà più “carismatiche” che istituzionali.
Ora è tempo di far confluire le équipe negli organismi ordinari, che sono i
Consigli Pastorali; il metodo della “conversazione spirituale” ci ha aiutato e
ci aiuterà ad evitare ogni deriva negativa, ogni ritorno alla condizione dei
discepoli di Emmaus prima dell’incontro con il Risorto.
Ma soprattutto è necessario che
in ogni momento possiate “misurare la temperatura” del clima e dello stile
delle vostre comunità e dei suoi organismi di partecipazione. Quando non si
mette al centro la Parola di Dio e l’Eucarestia, quando salta la comunione,
bisogna fare molta attenzione e ripartire dalla conversione al Signore.
C’è un brano che cito spesso,
per spiegare come si manifesta la comunione suscitata dallo Spirito. Lo
racconterò ancora. È preso dal Colloquio con Motovilov, di San Serafino di
Sarov (+1833), un grande santo russo. San Serafino riceve un giorno la visita
del giovane Nikolaj. Nasce un dialogo, che inizia con la domanda del giovane:
“Come posso scorgere in me la manifestazione dello Spirito Santo?”.
“Ti ho già detto che è molto semplice. Cosa vuoi ancora?”. “Ho bisogno di
capirlo ancora meglio”, rispose Nikolaj. Allora padre Serafino mi prese per le
spalle, mi abbracciò e mi disse. “Siamo entrambi nella pienezza dello Spirito
Santo. Perché non mi guardi?”. “Non posso, padre, dei lampi brillano nei suoi
occhi e il suo volto è diventato più luminoso del solito. Mi fanno male gli
occhi”. Non aver paura, amico di Dio, anche tu sei diventato luminoso come me,
anche tu adesso sei nella pienezza dello Spirito Santo. Altrimenti non avresti
potuto vedermi”.
Dopo l’esperienza della
trasfigurazione dei volti il colloquio tra Serafino e Nikolaj continua così:
“Come ti senti adesso?”, chiese Padre Serafino. Stavano sulla neve e
c’era molto freddo. “Eccezionalmente bene, sento un tepore nel cuore”. “Come
bene? Cosa intendi con bene?’. “La mia anima è colma di un silenzio e di una
pace inesprimibili”. “Amico di Dio, è quella pace di cui il Signore parlava
quando diceva ai suoi discepoli “vi do la mia pace, non come la dà il mondo”.
quando ne siamo coinvolti come persone e come comunità. E a sua volta “lo
Spirito cresce quando rimaniamo nella pace, quando c’è lo sguardo di
benevolenza verso gli altri. Lo Spirito c’è quando siamo nell’uTYliltà, quando
siamo nel gusto delle cose create, quando siamo nell’amicizia con la nostra
fragilità, quando siamo nella pazienza verso noi stessi e verso gli altri,
quando siamo nella gratitudine silenziosa, a volte fino alle lacrime. Lì lo
Spirito c’è. Questi sono segnali dello Spirito Santo” (Giuseppe Forlai,
Vestirsi di luce. Introduzione pratica alla vita dello Spirito, ed. Paoline,
2018, p. 142).
PARTECIPAZIONE:
Un processo sinodale riesce se
coinvolge tutti, se permette a tutti di partecipare, di esercitare la propria
corresponsabilità. Sarà davvero importante fare in modo che ogni consiglio, a
tutti i livelli, sia “uno spazio aperto a tutti, dove ciascuno trovi posto,
abbla la possibilità di prendere la parola, sentendosi ascoltato e imparando ad
ascoltare” (Proemio, §6), dove i sogni e le inquietudini delle persone possano
essere espressi e diventare oggetto di discernimento. Quando si dà alla vita
delle persone la possibilità di “venire allo scoperto”, si accendono mille
“fuochi dello Spirito”, che dovremo aver cura di non spegnere con le nostre
paure. La corresponsabilità chiede senso di appartenenza reciproca, poiché
siamo un unico corpo, percezione del bisogno dell’altro rinunciando a fare da
soli, premura e cura gli uni degli altri perché si è accomunati dalla
vulnerabilità e dalla debolezza. In questa maniera il senso della fede di cui
ogni battezzato è munito, il fiuto o il gusto delle cose di Dio, converge
insieme con gli altri in un consenso di fede di tutti i fedeli, segno che lo
Spirito ha parlato.
I “luoghi” in cui eserciteremo
il discernimento comunitario sono prima di tutto i cantieri sinodali che
abbiamo già fatto partire e che rappresentano alcuni snodi fondamentali della
vita della Diocesi: la Chiesa in uscita che incontra e ascolta tutti con amore
di amicizia (come abbiamo detto altre volte, è già l’inizio della missione!),
la formazione di tutti (il cantiere delle diaconie e della formazione
spirituale), i ministri ordinati (il quarto cantiere che abbiamo scelto come
Diocesi di Roma), la forma sinodale della vita della Chiesa e lo snellimento
delle strutture (il cantiere della casa) e gli altri cantieri che avete
attivato nelle vostre comunità.
Con l’aiuto di alcune schede
(saranno sei), ogni realtà ecclesiale vivrà il discernimento comunitario su
altrettante questioni fondamentali della nostra vita pastorale. Ogni scheda
partirà da un brano della Parola di Dio e inviterà a procedere secondo il
metodo della “conversazione spirituale”. Cercheremo di fare in modo che questi
incontri sinodali siano momenti intensi di preghiera e di ascolto dello
Spirito. Non scoraggiamoci, se all’inizio incontreremo qualche difficoltà, se
cadremo nei due pericoli di cui parla il Papa: “le polarizzazioni”, quando ci
blocchiamo in una posizione per motivi ideologici, o il “falso irenismo”,
quando non affrontiamo le questioni più complesse per evitare il conflitto e
custodire una pace solo “di facciata”. Cercheremo invece di vivere il
“traboccamento”. Ascoltiamo questo bellissimo passaggio del Papa, in cui spiega
che cosa intende con “traboccamento”: “questo progresso avviene come un dono
nel dialogo, quando le persone si fidano a vicenda e cercano umilmente il bene
insieme, e nel farlo sono disposti ad imparare l’una dall’altra in uno scambio
reciproco di doni. In momenti del genere, la soluzione a un problema
inestricabile arriva in modi inattesi e imprevisti, come risultato di una nuova
e maggiore creatività liberata, per così dire, dall’esterno. Lo chiamo
“traboccamento”, perchè rompe gli argini che confinavano il nostro pensiero e
fa sgorgare, come da una fonte traboccante, le risposte che prima la
contrapposizione non ci permetteva di vedere. Riconosciamo in questo processo
un dono di Dio perché è l’azione dello Spirito stesso, descritta nella
Scrittura ed evidente nella storia. […] La mia preoccupazione come Papa è stata
quella di incoraggiare traboccamenti del genere all’interno della Chiesa,
ridando vigore all’antica pratica della sinodalità. Ho voluto ravvivare questo
antico processo non solo per il bene della Chiesa, ma come servizio a un’umanità
che è così spesso bloccata da discordie paralizzanti” (Papa Francesco,
Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore, ed. Piemme, 2020).
Ci aiuteremo ad avviare delle Scuole di Preghiera.
MISSIONE:
Lo Spirito ci mette in stato di
permanente conversione in vista della missione. Come abbiamo ascoltato nel
brano dei discepoli di Emmaus, la missione nasce dalla gioia e dall’entusiasmo
dell’incontro con il Risorto, grazie agli occhi che si aprono per l’irruzione
dello Spirito.
Vi invito a fare memoria di
questo incontro con il Signore e a celebrarlo vivendo un pellegrinaggio
quaresimale alla Cattedrale e al Battistero di San Giovanni. Il Capitolo dei
Canonici della Cattedrale si è reso disponibile a facilitare e accompagnare le
comunità in questo pellegrinaggio alla vigilia del Giubileo, che ci permette di
riscoprire le radici della nostra identità più profonda: siamo battezzati,
figli di Dio immersi nel corpo di Cristo Risorto, membra gli uni degli altri,
discepoli missionari inviati per l’annuncio del Vangelo e la trasformazione del
mondo nel regno di Dio. Si può organizzare questo pellegrinaggio sotto forma di
una “Statio” quaresimale, anche a livello di Prefettura, per vivere questo
momento celebrativo in una dimensione più esplicitamente comunionale ed
ecclesiale.
Il 25 novembre, poi, è il
decennale della pubblicazione di Evangelii Gaudium, il testo
programmatico del pontificato di Papa Francesco, bussola che ha orientato il
nostro cammino dei sette anni in vista del Giubileo. Vorremmo in
quell’occasione verificare i passi compiuti nella direzione della nostra
conversione pastorale, verificare cioè la nostra “recezione” dell’Esortazione
apostolica.
Basilica di San Giovanni in Laterano, 23 giugno 2023