Discernimento comunitario
19-10-23
L’altro ieri ho pubblicato il testo del discorso del cardinal Vicario dello scorso 29 giugno con la sintesi del lavoro sinodale sulla pastorale (l’azione sociale delle e nelle comunità di fede) svolto dal 2017 ed il programma per la prosecuzione della partecipazione della Diocesi di Roma ai processi sinodali iniziati nell’ottobre del 2021 che, destinati a trovare una sintesi a livello mondiale nella seconda sessione dell’Assemblea generale ordinaria sulla sinodalità del prossimo ottobre, nelle intenzioni di papa Francesco dovrebbero durare anche molto oltre. Bisogna dire che il Papa è molto anziano e quindi ci si può aspettare una sua successione nel giro di alcuni anni. È stato un legislatore prudente, per cui in genere di questa attività si è consapevoli solo tra gli addetti ai lavori, ma molto produttivo e creativo. Quest’anno, con la Costituzione apostolica Nella comunione delle Chiese – In ecclesiarum communione, promulgata lo scorso 6 gennaio ha rivoluzionato l’ordinamento giuridico della Dicesi di Roma, incidendo anche, da ultimo con il nuovo Statuto dei Consigli pastorali parrocchiali dello scorso 8 settembre, in quella delle parrocchie. Ha voluto che la sua Diocesi fosse all’avanguardia nel processo di riforma sinodale, ed oggi non mi pare che lo sia.
L’autorità ecclesiale di un Papa verso la fine del suo ministero tende fatalmente a calare e quindi non penso che nelle parrocchie Roma e si assisterà a una vera effervescenza sinodale, in particolare per cercare di attivare i Consigli pastorali parrocchiali secondo il nuovo Statuto. I preti, anche i più giovani, alla sinodalità non sono stati formati, ma nemmeno l’altra gente di fede lo è stata e per i più mi pare che la vita religiosa consista essenzialmente nell’ andare a messa nei giorni festivi, anche se poi vi partecipa il 22% (dati 2017 da Roberto Cipriani, L’incerta fede, FrancoAngeli 2020). Quindi probabilmente non vedrò il nuovo Consiglio pastorale parrocchiale da noi a San Clemente. Quando qualche settimana fa il vescovo ausiliare di Settore, venuto tra noi in visita pastorale, ne ha sollecitato l’istituzione, mi dicono che gli è stato risposto che senza un aiuto dalla Diocesi non ce la facciamo. La gente che frequenta la parrocchia è profondamente divisa nelle idee sulla religione, chi ha tempo e voglia di partecipare in parrocchia lo vuole fare secondo le proprie concezioni e quelle del proprio gruppo di riferimento e diffida di quelle delle altre persone. Mi raccontano che quando ci si riuniva in Consiglio pastorale si finiva per litigare. Del resto questo problema non è di oggi e, anzi, se ne trova menzione già negli scritti neotestamentari attribuiti a Paolo di Tarso, i più antichi di quelli raccolti nel Nuovo Testamento.
Negli ultimi anni ha poi preso piede vivere le consuetudini religiose come sostegno alla psicologia personale, nell’ottica della fede come medicina dell’anima. E questo anche se la nostra religione è sotto questo aspetto molto meno efficace di altre, perché molto centrata su colpevolizzazione e rimorso. In questo quadro chi cura la formazione è tentato ad improvvisarsi psicologo, ma l’improvvisazione in questo delicato campo non è mai consigliabile e può anche fare male, nonostante le buone intenzioni. È ciò che si constata nei movimenti di orientamento fondamentalista organizzati al modo di sette.
Vediamo che il vangelo ha sempre meno credito in società: lo stiamo constatando, ad esempio, sul tema della costruzione della pace. Dipende dalla scarsa efficacia della nostra azione sociale, che è parte di quel campo che in gergo viene definito pastorale e che comprende anche liturgia, formazione e spiritualità, assistenza ai bisognosi, relazioni interreligiose, cultura, sport, spettacolo. L’azione sociale comprende la partecipazione politica e quella all’animazione sociale. I problemi essenzialmente derivano dall’invecchiamento delle persone che praticano, dall’allontanamento delle persone più giovani che nella religione non trovano più nulla di veramente utile per la loro vita, da una teologia comunitaria povera e irrealistica e infine dalla tendenza di clero e religiosi di fare tutto da sé e a considerare tutte le altre persone di fede più che altro come un gregge (mentre in Italia si è in genere insofferenti ad essere trattati come tali).
I legami comunitari si sono molto allentati e in genere, a parte le persone che sono vincolate come chierici o religiosi, sono più che altro con gruppi particolari. Non si è abituati a vivere la parrocchia con spirito comunitario. Non ci si conosce, non ci si incontra veramente e non si sente nemmeno il bisogno di farlo. Non si è pratici di questo è quando ci si trova con persone diverse da quelle del proprio ambiente consueto non si sa che dire. Sono difficoltà che non vanno sottovalutate.
Nella nostra fantasiosa teologia comunitaria, la via sarebbe quella, incontrandosi, innanzi tutto di pregare e fare silenzio, per ascoltare lo Spirito. Ma questo in realtà non basta, in particolare a costruire una mentalità e orientamenti condivisi,
lavoro che viene anche chiamato discernimento comunitario. Che sarebbe poi capire la volontà superna e obbedirle.
Questo è puro mito, e certamente di miti c’è bisogno per la costruzione delle società umane, non se ne può fare a meno, ma in società non ci determina con quelle dinamiche, ma con quelle proprie di tutte le società umane, in particolare secondo il contesto sociale e culturale di riferimento. Solo a posteriori in una certa azione sociale si può riconosce l’azione dello Spirito. È senz’altro non può essere considerato elemento decisivo la decisione dell’autorità gerarchica, tenuto conto del fatto che a posteriori essa è risultato non di rado assai poco spirituale e anche che, nell’ultimo Concilio, si è riconosciuto l’importanza del contributo anche dell’altra gente, in particolare in campo sociale. Piuttosto, un indice di sinodalità può essere visto nell’ampio e pacificato consenso comunitario, tenendo conto tuttavia che l’obiettivo dell’unanimità non è mai realistico, perché non siamo la società delle formiche. Bisogna accettare serenamente l’inevitabile pluralismo delle società umane, e quindi anche della nostra Chiesa. Le concezioni organicistiche, che concepiscono la Chiesa come un corpo biologico, indubbiamente presenti nella Bibbia e che considerano il dissenso una malattia, presentano questo problema, come ci ha spiegato all’ultimo incontro del Meic Lazio un amico che è biologo ma anche professore di filosofia: in natura gli organismi muoiono.
Le società umane non funzionano come organismi biologici perché sono fatte per durare nonostante la brevità delle vite delle persone che le compongono. Mediante mito e diritto integrano le nuove generazioni e le contaminazioni culturali. Per fare società non basta far forza sulla psicologia personale e nemmeno sulla gerarchia nei poteri pubblici. Le società umane sono le risultanti di relazioni sociali tra gruppi e strati di popolazioni connotate da rapporti di forza e rese intelligibili da prassi dialogiche, sulle quali si costruiscono narrazioni. Si può osservare che il consenso comunitario produce sempre narrazioni, che poi, entrando in consuetudini comunitarie producono miti e diritto.
Mario Ardigó- Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli