24 dicembre 2023 - Vigilia di Natale - il bel presepe allestito da Rosario nella chiesa parrocchiale |
Pensiero di Natale 2023 “Sul presepe”
Le regole della
cronaca raccomandano di chiarire “chi, come, dove, quando, perché”. Su
questi punti il racconto della Natività, che troviamo più estesamente nel Vangelo
secondo Luca, al capitolo 2, versetti da 1 a 20 [Lc 2, 1-20], mentre in quello
secondo Matteo, al capitolo 1, versetto 25, e al capitolo 2, versetto 1 [Mt
1,25 - 2,2]«E senza che avessero avuto fin’allora rapporti matrimoniali,
Maria partorì il bambino e Giuseppe gli diede nome Gesù. Gesù nacque a Betlemme, una città nella regione della
Giudea al tempo del re Erode»[versione TILC Traduzione
interconfessionale in lingua corrente], è molto più sintetico, ha
integralmente carattere mitico e quindi non va considerato come una cronaca.
In quel
tempo l’imperatore Augusto con un decreto ordinò il censimento di tutti gli
abitanti dell’impero romano. Questo primo censimento fu fatto quando
Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a far scrivere il
loro nome nei registri, ciascuno nel proprio luogo d’origine.
Anche
Giuseppe partì da Nàzaret, in Galilea, e salì a Betlemme, la città del re
Davide, in Giudea. Andò là perché era un discendente diretto del re
Davide, e Maria sua sposa, che era incinta, andò con lui.
Mentre
si trovavano a Betlemme, giunse per Maria il tempo di partorire, ed essa
diede alla luce un figlio, il suo primogenito. Lo avvolse in fasce e lo mise a
dormire nella mangiatoia di una stalla, perché per loro non c’era posto
nell’alloggio.
In
quella stessa regione c’erano anche alcuni pastori. Essi passavano la notte
all’aperto per fare la guardia al loro gregge. Un angelo del
Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce, ed essi
ebbero una grande paura. L’angelo disse: «Non temete! Io vi porto una bella notizia [nel greco evangelico si ha εὐαγγελίζομαι , che si legge evangelìzomai e che significa vi evangelizzo, cioè vi porto un vangelo, una buona
notizia] che procurerà una grande gioia a tutto il
popolo: oggi per voi, nella Città di Davide, è nato il Salvatore,
il Cristo, il Signore. Lo riconoscerete così: troverete un bambino
avvolto in fasce che giace in una mangiatoia».
Subito
apparvero con lui molti altri angeli. Essi lodavano Dio con questo canto:
«Gloria
a Dio in cielo e sulla terra pace per quelli che egli ama».
Poi gli angeli si allontanarono dai pastori e
se ne tornarono in cielo.
Intanto
i pastori dicevano gli uni agli altri: «Andiamo fino a Betlemme per vedere quel
che è accaduto e che il Signore ci ha fatto sapere». Giunsero in fretta a
Betlemme e là trovarono Maria, Giuseppe e il bambino che giaceva nella
mangiatoia. Dopo averlo visto, fecero sapere ciò
che avevano sentito di questo bambino. Tutti quelli che ascoltarono i
pastori si meravigliarono di quello che essi raccontavano. Maria, da parte
sua, custodiva il ricordo di tutti questi fatti e li meditava dentro di
sé. I pastori, sulla via del ritorno, lodavano Dio e lo ringraziavano
per quel che avevano sentito e visto, perché tutto era avvenuto come l’angelo
aveva loro detto. [versione TILC]
E
questo benché, come notano i biblisti, nella narrazione di Luca si tenga a
inserire elementi storici sicuri, come la menzione dell’imperatore Augusto e del
governatore romano di Siria Quirinio.
Comunque noi, nella nostra spiritualità, possiamo senz’altro leggere
quella storia come una cronaca, mantenendo tuttavia consapevolezza che la sua verità
non sta nella descrizione realistica
dei fatti, anche se, comunque, è una verità, vale a dire un orientamento
su come si debba essere religiosi volendo seguire la via cristiana.
Per
inciso la vita sociale degli umani è possibile solo in base ai miti, anche
oggi. Di solito ricordo che hanno carattere mitico le idee di popolo e di democrazia. L’altro elemento
indispensabile per la nostra socialità è il diritto. La verità come
fattore di regolazione sociale contiene sempre entrambe quelle componenti: il mito e il
diritto. Essa dipende dalla volontà di
chi vuole formare una società secondo un certo ordinamento. Nella nostra fede
essa è quella superna.
Verità
può essere intesa anche come
corrispondenza di una narrazione di un evento sociale o di una descrizione di
un fenomeno naturale a come si sono realmente sviluppati,
e in questo caso essa dipende dall’affidabilità delle fonti. Nella
cronaca si mira alla verità in questo senso e il cronista mette molta cura nel
citare le proprie fonti. Il racconto della Natività nel Vangelo secondo Luca ha, sotto questo
profilo, un problema di attendibilità delle fonti. Da chi l’autore del testo
evangelico ha appreso quel racconto, posto che non dichiara di esserne stato
diretto testimone? Nei detti evangelici, il Maestro di quell’evento non fa
menzione. E si potrebbe proseguire ancora.
Il Maestro tenne a comunicarci che la sua
missione era un adempimento delle Scritture, che erano quelle
dell’antico giudaismo che ora noi abbiamo raccolto in quello che chiamiamo Antico
Testamento. Nel giudaismo del suo tempo c’era l’attesa di un Salvatore mandato
dal Cielo, un Messia [parola tradotta con Cristo nel greco evangelico e che significa unto nel senso di incaricato
dal Cielo] avvalorata dalle interpretazioni di certi brani nelle
Scritture. In particolare ci si attendeva che fosse un discendente del re
Davide. Il Maestro, oltre che come rabbì (parola ebraica che significa
mio maestro), si presentò appunto come Messia.
Nel racconto evangelico
della Natività in Luca compare un
angelo che porta un annuncio a dei pastori. Nelle Scritture gli
angeli erano messaggeri del Cielo. Dunque di lassù venne detto loro « Io vi porto una bella notizia [nel greco evangelico si ha εὐαγγελίζομαι , che si legge evangelìzomai e che significa vi evangelizzo, cioè vi porto un vangelo, una buona notizia]
che procurerà una grande gioia a tutto il
popolo: oggi per voi, nella Città
di Davide [Betlemme], è nato il Salvatore, il Cristo, il Signore» e
vennero detto loro che lo avrebbero riconosciuto in un bambino il quale, avvolto
in fasce, giaceva in una mangiatoia. Si narra che poi apparvero moltissimi altri
angeli che cantarono un canto di lode: «Gloria a Dio [il greco
evangelico ha Θεῷ, che si legge Teò, e significa a Dio] in cielo e sulla terra
pace [ il greco evangelico ha εἰρήνη
che si legge eirène e significa pace,
da cui l’italiano irenico, aggettivo che significa che opera per
la pace] agli uomini che egli ama
[il greco evangelico ha ἐν ἀνθρώποις εὐδοκίας , che si legge en
antròpoi eudokìas e che significa tra
gli uomini che gli sono graditi»]. L’annuncio e il canto degli angeli
potrebbero essere usati come didascalia del presepe: contengono la verità della Natività, vale a dire il suo
senso profondo per noi.
I
pastori poi decisero autonomamente, e per così dire sinodalmente,
quindi dialogando, di andare a Betlemme ad incontrare il bimbo; «Intanto
i pastori dicevano gli uni agli altri: “Andiamo fino a Betlemme per vedere quel
che è accaduto e che il Signore ci ha fatto sapere”». Non ebbero
difficoltà ad intendere il messaggio angelico. Giunti dov’erano il bambino,
Maria e Giuseppe, si fecero anch’essi evangelizzatori: «Dopo averlo visto,
fecero sapere ciò che avevano sentito di questo bambino. Tutti quelli che
ascoltarono i pastori si meravigliarono di quello che essi
raccontavano. Maria, da parte sua, custodiva il ricordo di tutti questi
fatti e li meditava dentro di sé». Chi e quanti erano quei tutti? Non
è scritto. Viene distinto da quelli
degli altri che c’erano lì l’atteggiamento di Maria, perché era stata
destinataria, mesi prima, di un altro analogo annuncio angelico «[…]Avrai un
figlio, lo darai alla luce e gli metterai nome Gesù. Egli sarà grande e
Dio, l’Onnipotente, lo chiamerà suo Figlio. Il Signore lo farà re, lo porrà sul
trono di Davide, suo padre, ed egli regnerà per sempre sul popolo
d’Israele. Il suo regno non finirà mai» [dal Vangelo secondo Luca, capitolo
1, versetti da 30 a 33 – Lc 1,30-33].
Sul
racconto evangelico si sono costruite altre narrazioni che ne hanno esteso
l’interpretazione. C’è, ad esempio,
quella di Francesco d’Assisi, ottocento anni fa, e di molti altri dopo di lui,
che vi sovrappone l’elemento della povertà del nuovo nato e dei suoi genitori, che però
nella narrazione evangelica non c’è. Non è scritto che la famiglia fosse
povera. Cercava posto in un alloggio, quindi aveva di che pagare. Di chi era la
stalla in cui si accomodarono? Dovettero comunque pagare qualcosa? Non è
scritto. La stalla, lo sa chi ha potuto entrarci, è un luogo caldo. A noi rende
l’idea di un luogo sporco, ma tra le popolazioni rurali, e anche in Italia
fino a non molti decenni fa, non si
disdegna talvolta di abitarvi, proprio perché calda. Mio padre mi raccontava
che, quando dopo l’8 settembre del 1943 il suo reparto militare di stanza in
Puglia si era dissolto ed egli aveva risalito la costa adriatica fino alla
Romagna, aveva dormito sempre in stalle e pagliai e ci si era trovato bene.
«Mentre si trovavano a Betlemme, giunse per
Maria il tempo di partorire, ed essa diede alla luce un figlio, il suo
primogenito». A quell’epoca le partorienti erano di solito aiutate da altre
donne, mentre non era costume degli uomini assistere al parto. Chi c’era vicino
a Maria al momento della nascita del bimbo? Non è scritto. La teologia ha poi
fatto del parto di Maria un fatto
straordinario e prodigioso, ma nella narrazione evangelica non si danno
particolari su questo: «essa diede alla luce un figlio, il suo primogenito».
Non vengono riferiti problemi di sorta durante il parto, né si menziona un particolare disagio della madre e
del bimbo dopo.
Nella
predicazione si sottolinea spesso che la
gente di Betlemme, pastori a parte, rimase indifferente. Ma gli angeli non le
avevano recato l’annuncio. Perché solo ai pastori? Su questo si è molto
ragionato, già nell’antichità. Si è sottolineato che quelle persone umili
accettarono subito l’annuncio del vangelo che veniva recato loro e con gioia si
recarono dal nuovo nato, a differenza di ciò che poi avvenne nel giudaismo di
allora, gran parte del quale lo respinse (anche se tutti i primi cristiani
furono giudei, come lo stesso Gesù di Nazaret, Maria e Giuseppe). I biblisti
sottolineano anche che a quell’epoca i pastori in Giudea avevano pessima fama
per vari motivi e che, nonostante ciò, il primo annuncio fu recato proprio a
loro: dunque nessuno deve ritenersi escluso dal vangelo e gli umili sono
nell’atteggiamento migliore per
accoglierlo.
«I pastori, sulla via del ritorno, lodavano
Dio e lo ringraziavano per quel che avevano sentito e visto, perché tutto era
avvenuto come l’angelo aveva loro detto».
Da una visita ad un presepe, quindi avendo fatto memoria di quella Natività,
potrebbe essere questo lo spirito
adeguato andandosene. Ma bisogna accettare che anche per noi quel bimbo è il Salvatore, il Cristo: questa
fu la grandiosa costruzione del cristianesimo, che tuttavia ai giorni nostri
fatica ad affermarsi. E’ la dimensione dell’attesa, e della gioia dell’attesa,
che spesso manca. Del futuro abbiamo più spesso paura. In particolare, di questi tempi, riguardo alla guerra, che
ormai circonda la nostra Unione Europea e minaccia di coinvolgerci
direttamente.
Concludo
con una citazione da una recensione di
Elisabetta Moro al nuovo libro di Chiara
Frugoni, Il presepe di san Francesco.
Storia del Natale di Greccio, Il Mulino 2023, pubblicata sull’ultimo numero
di La lettura del Corriere dalla Sera (n.630 del 24-12-23):
«In quella notte magica di otto secoli fa nel
borgo di Greccio, oggi provincia di Rieti, accade una piccola grande
rivoluzione culturale. Francesco fa allestire una mangiatoia e lì accanto metto
un bue e un asino, due animali simbolici che stanno a rappresentare
rispettivamente gli ebrei e i pagani, in particolare i musulmani. E mentre un
prete celebra la messa, lui canta i passi del Vangelo di Luca che rievocano la
nascita di Gesù. Quando nomina il
“bambino di Betlemme”, lui bela “beeetleeeeemme”, perché nel nome della città
fa risuonare il verso della pecora per
ricordare a tutti che il bambino è l’agnello di Dio che toglie i peccati del
mondo. Un Infante divino destinato a morire sulla croce per salvare l’umanità.
Insomma il dono-perdono di Dio.
Di
fatto nella mangiatoia non c’è nessun bambino preso a prestito dai pastori del
luogo. Basta l’ostia per evocarlo e immaginarlo disteso sulla paglia. A
differenza di quello che dipingono Giotto nella basilica di Assisi, Coppo di
Marcovaldo in Santa Croce a Firenze,
Benozzo Gozzoli nella chiesa di San Francesco a Montefalco, il
Bramantino nella Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano e altri pittori che
invece inseriscono nella Natività un bambinello aureolato. E spesso aggiungono la Madonna. Che via via diventa sempre più
protagonista dell’iconologia cristiana. Al punto che nell’affresco che si trova nella cappella del presepe di
Greccio, dipinto da un anonimo di fine del Trecento, c’è Maria che allatta al
seno suo figlio, proprio accanto alla rievocazione dell’invenzione del presepe.
Che, non va dimenticato, prende il suo nome dal termine latino praesepium (si
legge presepium), che significa greppia.»
Buon
Natale a tutti i lettori! Che ogni persona possa anche ai nostri tempi gioire per
la nascita del suo Salvatore! Che la pace del nostro Salvatore rimanga tra voi.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli