L’evangelizzazione corre solo tra relazioni personali significative
Quando sento parlare di pastorale
e di evangelizzazione, di
solito i discorsi che si fanno sono di impronta teologica e non manifestano
realistica consapevolezza di come vanno le cose.
Evangelizzazione è la trasmissione da persona a persona, da gruppo a persona o da persona a gruppo del vangelo, una narrazione che presenta due aspetti: l’idea di un Salvatore e quella della via per seguirlo. La pastorale è costituita da tutte le attività organizzate per l’evangelizzazione, quindi l’azione sociale con quell’obiettivo, e si distingue dal lavoro di formulazione delle definizioni delle verità di fede, vale a dire di quegli enunciati ritenuti necessari per venire riconosciuti come ortodossi, quindi seguaci della retta dottrina e, come tali, in comunione con la Chiesa. L’ortodossia è ritenuta pare della via per la salvezza.
Prescindo qui dall’aspetto soprannaturale
dell’evangelizzazione, che risalta molto nella dottrina e che è al centro delle
riflessioni teologiche e anche della predicazione. Non sono né voglio essere né
un teologo né un predicatore.
L’evangelizzazione da persona a persona
dipende dalla qualità e dalla forza della relazione che intercorre tra esse.
Ogni persona è legata con fasci di relazioni
all’ambiente umano di prossimità, ognuna di varia qualità e forza. Queste
ultime sono massime nella cerchia più vicina, composta di pochissime altre
persone, addirittura intorno a cinque. Mi riporto su questo punto e nel seguito
alle idee espresse dall’antropologo Robin Dunbar nel suo Amici. Comprendere
il potere delle nostre relazioni più importanti, Einaudi 2022.
Una relazione di amore nascente ha di solito
la migliore qualità e la massima forza. All’interno di questa relazione si è
aperti a ricevere dall’altra persona e ciò che viene trasmesso lascia una
traccia profonda nell’interiorità. In altre fasi successive della medesima
relazione qualità e forza variano per molte ragioni: difficoltà della vita,
emotività nella vita comune, l’avanzare dell’età e il decadere della sessualità
e via dicendo.
Qualcosa di analogo si vive tra genitori e
figli piccoli: con il crescere della prole qualità e forza delle relazioni
tendono a deteriorarsi, per poi magari riprendere in altre età della vita.
Man mano che le relazioni riguardano persona
delle cerchie meno prossime, qualità e forza diminuiscono.
In particolare non si danno di solito
relazioni forti tra persone in diverse età della vita. La forza delle relazioni
dipende da un’emotività analoga a quella della sessualità: ci si deve piacere e
si deve sviluppare una intimità che in genere esiste solo tra persone coetanee o giù di lì.
Le relazioni tra gruppi sono di solito
sorrette solo da elementi culturali. Quelle tra persone e gruppi, nelle due
direzioni, dipende dal ruolo delle persone nei gruppi e anche dalle dimensioni
di questi ultimi. In genere solo l’inclusione i piccoli gruppi, di non più di
una trentina di persone, consente relazioni di qualità e forza sufficienti per
sostenere l’evangelizzazione. Non vi è vera evangelizzazione solo per il
tramite di elementi culturali (miti e diritto), questo risalta chiaramente
nelle narrazioni evangeliche. In tali casi si parla di pre-evangelizzazione.
Un forma di pre-evangelizzazione è, ad esempio, la lettura di un libro di
argomento spirituale o religioso, innanzi tutto testi biblici, ma anche la
partecipazione, all’interno di una massa indistinta di persone, ad un grande
evento religioso.
Una descrizione molto precisa
dell’evangelizzazione si trova nell’episodio evangelico dell’incontro dei
discepoli con il Signore risorto sulla via di Emmaus che troviamo nel vangelo
secondo Luca:
Quello stesso giorno
due discepoli stavano andando verso Emmaus, un villaggio lontano
circa undici chilometri da Gerusalemme. Lungo la via parlavano tra loro di
quel che era accaduto in Gerusalemme in quei giorni.
Mentre
parlavano e discutevano, Gesù si avvicinò e si mise a camminare con
loro. Essi però non lo riconobbero, perché i loro occhi erano come
accecati.
Gesù domandò loro:
— Di che cosa state discutendo tra voi mentre
camminate?
Essi
allora si fermarono, tristi. Uno di loro, un certo Clèopa, disse a Gesù:
— Sei tu l’unico a Gerusalemme a non sapere
quel che è successo in questi ultimi giorni?
Gesù domandò:
— Che cosa?
Quelli risposero:
— Il caso di Gesù, il Nazareno! Era
un profeta potente davanti a Dio e agli uomini, sia per quel che
faceva sia per quel che diceva. Ma i capi dei sacerdoti e il
popolo l’hanno condannato a morte e l’hanno fatto crocifiggere. Noi
speravamo che fosse lui a liberare il popolo d’Israele! Ma siamo già al terzo
giorno da quando sono accaduti questi fatti. Una cosa però ci ha
sconvolto: alcune donne del nostro gruppo sono andate di buon mattino al
sepolcro di Gesù ma non hanno trovato il suo corpo. Allora sono tornate
indietro e ci hanno detto di aver avuto una visione: alcuni angeli le
hanno assicurate che Gesù è vivo. Poi sono andati al sepolcro altri del
nostro gruppo e hanno trovato tutto come avevano detto le donne, ma lui, Gesù,
non l’hanno visto.
Allora Gesù disse:
— Voi capite poco davvero; come siete lenti a
credere quel che i profeti hanno scritto! Il Messia non doveva
forse soffrire queste cose prima di entrare nella sua gloria?
Quindi
Gesù spiegò ai due discepoli i passi della Bibbia che lo
riguardavano. Cominciò dai libri di Mosè fino agli scritti di tutti i profeti.
Intanto arrivarono al villaggio dove erano
diretti, e Gesù fece finta di continuare il viaggio. Ma quei due discepoli
lo trattennero dicendo: «Resta con noi perché il sole ormai tramonta». Perciò
Gesù entrò nel villaggio per rimanere con loro. Poi si mise a tavola con
loro, prese il pane e pronunziò la preghiera di benedizione; lo spezzò e
cominciò a distribuirlo.
In quel
momento gli occhi dei due discepoli si aprirono e riconobbero Gesù, ma lui
sparì dalla loro vista. Si dissero l’un l’altro: «Non ci sentivamo come un
fuoco nel cuore, quando egli lungo la via ci parlava e ci spiegava la Bibbia?».
Quindi si alzarono e ritornarono subito a
Gerusalemme. Là, trovarono gli undici discepoli riuniti con i loro compagni.
Questi
dicevano: «Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone». A loro
volta i due discepoli raccontarono quel che era loro accaduto lungo il cammino,
e dicevano che lo avevano riconosciuto mentre spezzava il pane.
[Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 24, versetti da 13 a 35 – Lc
24,13-35 - Versione TILC
Traduzione interconfessionale in lingua corrente]
I discepoli era stati sottoposti a forme di ciò
che ho definito pre-evangelizzazione, ma l’evangelizzazione vera e
propria inizia quando, nel corso del dialogo con il viandante non riconosciuto
come il Signore, la qualità e la forza della relazione aumentano determinando un’emotività
critica, il fuoco nel cuore, il riconoscimento. Non basta solo
quella che chiameremmo predicazione, in particolare la spiegazione
di come le Scritture si adattassero alla drammatica situazione che si era
vissuta con il supplizio del Maestro. Fu necessario un gesto di condivisione di
elevata forza simbolica: la frazione liturgica del pane.
Il
processo di evangelizzazione, nella narrazione, prosegue nel piccolo gruppo degli altri
discepoli con un’ulteriore fase dialogica: «Quindi si alzarono e ritornarono
subito a Gerusalemme. Là, trovarono gli undici discepoli riuniti con i loro
compagni.
Qui sopra trovate lo schema delle cerchie dell’amicizia esposto da Robin Dunbar nel libro
che ho citato: è l’orizzonte della nostra socialità, determinata dalle
insuperabili caratteristiche fisiologiche della nostra mente. “150” è
detto numero di Dunbar e definisce
l’ambito sociale nel quale una persona può mantenere relazioni significative,
ma la qualità e forza delle relazioni necessarie per l’evangelizzazione si ha
solo quando il gruppo di riferimento è tra la seconda e la terza cerchia: una
trentina di persone, il numero, in genere, dei componenti dei governi e degli altri
organismi di vertice di enti collettivi, quello che consente incontri
collettivi faccia a faccia, nei quali si riesce ancora a mantenere consapevolezza
dell’insieme. Oltre quel numero di persone le attività collettive sono
possibili solo se mediate da miti e diritto, in particolare da procedure, in
particolare da quelle particolari procedure in cui consistono le liturgie.
E
tuttavia il numero giusto non
basta. La qualità e forza delle relazioni interpersonali sono fortemente condizionate
dall’età, dal sesso e da altri elementi di carattere culturale. L’evangelizzazione,
in particolare, richiede una relazione caratterizzata da intimità, vale a dire
da una qualità altissima, che nei gruppi di adulti europei occidentali si ha solo tra persone della stessa fascia d’età
e sesso. Così anche nell’episodio evangelico che ho sopra citato.
Nel
gruppo che seguì il Maestro nella sua attività pubblica in giro per la Palestina
c’erano anche delle donne (almeno una sposata, ma non si precisa che con loro
andavano anche i mariti), se ne fa precisa ed espressa menzione nelle narrazione
evangeliche, ma non ci viene raccontato
come esse vennero agganciate.
Un aggancio
intergenerazionale si manifesta,
almeno nella nostra società, prevalentemente in gruppi parentali e verso i più piccoli.
Possiamo facilmente constatare che, invece, questo non accade nelle relazioni tra
insegnanti e i loro scolari. E neanche
tra preti, religiosi, figure che possiamo assimilare agli insegnati, e le persone molto più giovani che cercano di
evangelizzare. Tra insegnati e scolari è possibile solo la pre-evangelizzazione.
Se si
accetta l’ordine di idee che ho esposto, derivato anche dalla concreta
esperienza personale, emerge con chiarezza il problema fondamentale che, nella
nostra società, parte della cultura europea occidentale, abbiamo nell’evangelizzare:
ci sono venute progressivamente a mancare le persone di età tra i venti e i quarant’anni
d’età che hanno la reale possibilità di
creare con le persone coetanee quelle relazioni altamente significative
mediante le quali può passare l’evangelizzazione.
Per un
diciottenne, una persona della mia età è del tutto invisibile, non è significativa,
anche se appartiene ad una sua cerchia di prossimità, addirittura se è un genitore.
Si danno
molte spiegazioni di ciò che è accaduto.
Non mi
convincono quelle che fanno riferimento alla miscredenza verso i fatti
soprannaturali, che a me sembra ancora ben radicata, anche se molto meno di un
tempo con riferimento al soprannaturale cristiano.
A me paiono
più persuasive quelle che fanno riferimento alle caratteristiche degli ambiti
sociali e dei relativi miti e procedure. Nell’Europa occidentale la religione è
divenuta progressivamente inutile per la costruzione sociale e quindi per i più
giovani, il cui principale problema è di produrre nella società in cui sono
immersi i cambiamenti necessari per farsi largo in essa. Causa ne è stato l’orientamento
sempre più conservatore che si è imposto, non solo nella nostra Chiesa, dagli
anni ’80. Si tratta, quindi, di un
problema tutto sommato recente, tenendo conto dei tempi lunghissimi dei processi
di trasformazione religiosa. In Gran Bretagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi,
Danimarca, Svezia Norvegia, Finlandia, le statistiche della religiosità danno per
sostanzialmente annientata la presenza delle Chiese cristiane, che permane più
che altro nelle liturgie collegate agli organismi di stato. In Germania, Italia,
Portogallo e Spagna ci sono numeri più elevati, ma riguardano più che altro la
popolazione anziana, mentre tra le persone più giovani si sta assistendo a un
crollo verticale. Le indagini statistiche più recenti di cui sono a conoscenza segnalano anche una crescente
disaffezione tra le donne cattoliche, ancora pesantemente discriminate.
Si stanno
provando varie strategie per rimediare. La nostra Chiesa dispone di strutture
universitarie di elevata qualità che stanno studiando su questi temi e stanno dando una formazione
molto completa alle persone che desiderano impegnarsi nell’evangelizzazione,
una di queste istituzioni è proprio vicino a noi ed è la Pontificia università salesiana.
Nella nostra
parrocchia quasi tutte le forze residuate dalla liturgia sono spese nella
formazione di base dei più giovani, fino alla Cresima. Consiglierei di dedicarsi
maggiormente ai genitori di bambini e ragazzi che frequentano i catechismi,
cercando di formare un gruppo che possa poi evangelizzare i coetanei. Questa
attività non dovrebbe essere presentata come un catechismo: dobbiamo
fare pre-evangelizzazione. E mai e poi mai, assolutamente mai!, bisogna presentarsi come quelli che pretendono di insegnare ai genitori
a fare i genitori. E’ purtroppo un errore gravissimo ma piuttosto comune quando
nelle parrocchie si organizzano attività del genere. Gli ultimi, poi, che
possono pretendere di insegnare ai genitori a fare i genitori sono i preti e i
religiosi, che hanno, in genere, una conoscenza solo teorica, vaga e per di più
inquinata da vari pregiudizi, dei problemi della genitorialità.
Nel nuovo Statuto dei Consigli
pastorali parrocchiali è prevista una presenza come componente
addirittura di diritto di un coppia che possa dare una mano anche in quel campo, «nominata dal Parroco, sempre con particolare attenzione all'accompagnamento, discernimento
e integrazione (Amoris laetitia, §241-246; 291-312) delle «situazioni
imperfette», «complesse» o «dette "irregolari"» (Amoris laetitia,
§§78-79; 247ss.; 297; 301)», quindi non
una coppia di anziani e non di orientamento fondamentalista o
tradizionalista.
Nel quadro dei processi sinodali, che ci si
dovrebbe considerare impegnati a praticare visto che (almeno in teoria) la Chiesa
italiana si sta dando da fare in materia, bisognerebbe porre, infine, particolare
cura a fare spazio alle persona tra i
venti e i quarant’anni che risiedano nel quartiere (se una persona viene solo
per frequentare un gruppo e poi vive altrove, e non si vede mai in parrocchia, ci
è poco utile).
Mario Ardigò – Azione
Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli