INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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domenica 31 dicembre 2023

L’evangelizzazione corre solo tra relazioni personali significative

 L’evangelizzazione corre solo tra relazioni personali significative

 

   Quando sento parlare di pastorale  e di evangelizzazione, di solito i discorsi che si fanno sono di impronta teologica e non manifestano realistica consapevolezza di come vanno le cose.

  Evangelizzazione  è la trasmissione da persona a persona, da gruppo a persona o da persona a gruppo del vangelo, una narrazione che presenta due aspetti: l’idea di un Salvatore  e  quella della via per seguirlo. La pastorale è costituita da tutte le attività organizzate per l’evangelizzazione, quindi l’azione sociale con quell’obiettivo, e si distingue dal lavoro di formulazione delle definizioni  delle  verità  di fede, vale a dire di quegli enunciati ritenuti necessari per venire riconosciuti come ortodossi, quindi seguaci della retta dottrina e, come tali, in comunione  con la Chiesa. L’ortodossia  è ritenuta pare della via per la salvezza.

  Prescindo qui dall’aspetto soprannaturale dell’evangelizzazione, che risalta molto nella dottrina e che è al centro delle riflessioni teologiche e anche della predicazione. Non sono né voglio essere né un teologo né un predicatore.

  L’evangelizzazione da persona a persona dipende dalla qualità e dalla forza della relazione che intercorre tra esse.

  Ogni persona è legata con fasci di relazioni all’ambiente umano di prossimità, ognuna di varia qualità e forza. Queste ultime sono massime nella cerchia più vicina, composta di pochissime altre persone, addirittura intorno a cinque. Mi riporto su questo punto e nel seguito alle idee espresse dall’antropologo Robin Dunbar nel suo Amici. Comprendere il potere delle nostre relazioni più importanti, Einaudi 2022.

  Una relazione di amore nascente ha di solito la migliore qualità e la massima forza. All’interno di questa relazione si è aperti a ricevere dall’altra persona e ciò che viene trasmesso lascia una traccia profonda nell’interiorità. In altre fasi successive della medesima relazione qualità e forza variano per molte ragioni: difficoltà della vita, emotività nella vita comune, l’avanzare dell’età e il decadere della sessualità e via dicendo.

  Qualcosa di analogo si vive tra genitori e figli piccoli: con il crescere della prole qualità e forza delle relazioni tendono a deteriorarsi, per poi magari riprendere in altre età della vita.

  Man mano che le relazioni riguardano persona delle cerchie meno prossime, qualità e forza diminuiscono.

  In particolare non si danno di solito relazioni forti tra persone in diverse età della vita. La forza delle relazioni dipende da un’emotività analoga a quella della sessualità: ci si deve piacere e si deve sviluppare una intimità che in genere esiste solo tra  persone coetanee o giù di lì.

  Le relazioni tra gruppi sono di solito sorrette solo da elementi culturali. Quelle tra persone e gruppi, nelle due direzioni, dipende dal ruolo delle persone nei gruppi e anche dalle dimensioni di questi ultimi. In genere solo l’inclusione i piccoli gruppi, di non più di una trentina di persone, consente relazioni di qualità e forza sufficienti per sostenere l’evangelizzazione. Non vi è vera evangelizzazione solo per il tramite di elementi culturali (miti e diritto), questo risalta chiaramente nelle narrazioni evangeliche. In tali casi si parla di pre-evangelizzazione.  Un forma di pre-evangelizzazione  è, ad esempio, la lettura di un libro di argomento spirituale o religioso, innanzi tutto testi biblici, ma anche la partecipazione, all’interno di una massa indistinta di persone, ad un grande evento religioso.

  Una descrizione molto precisa dell’evangelizzazione si trova nell’episodio evangelico dell’incontro dei discepoli con il Signore risorto sulla via di Emmaus che troviamo nel vangelo secondo Luca:

 

Quello stesso giorno due discepoli stavano andando verso Emmaus, un villaggio lontano circa undici chilometri da Gerusalemme. Lungo la via parlavano tra loro di quel che era accaduto in Gerusalemme in quei giorni.

Mentre parlavano e discutevano, Gesù si avvicinò e si mise a camminare con loro. Essi però non lo riconobbero, perché i loro occhi erano come accecati.

Gesù domandò loro:

— Di che cosa state discutendo tra voi mentre camminate?

Essi allora si fermarono, tristi. Uno di loro, un certo Clèopa, disse a Gesù:

— Sei tu l’unico a Gerusalemme a non sapere quel che è successo in questi ultimi giorni?

Gesù domandò:

— Che cosa?

Quelli risposero:

— Il caso di Gesù, il Nazareno! Era un profeta potente davanti a Dio e agli uomini, sia per quel che faceva sia per quel che diceva. Ma i capi dei sacerdoti e il popolo l’hanno condannato a morte e l’hanno fatto crocifiggere. Noi speravamo che fosse lui a liberare il popolo d’Israele! Ma siamo già al terzo giorno da quando sono accaduti questi fatti. Una cosa però ci ha sconvolto: alcune donne del nostro gruppo sono andate di buon mattino al sepolcro di Gesù ma non hanno trovato il suo corpo. Allora sono tornate indietro e ci hanno detto di aver avuto una visione: alcuni angeli le hanno assicurate che Gesù è vivo. Poi sono andati al sepolcro altri del nostro gruppo e hanno trovato tutto come avevano detto le donne, ma lui, Gesù, non l’hanno visto.

Allora Gesù disse:

— Voi capite poco davvero; come siete lenti a credere quel che i profeti hanno scritto! Il Messia non doveva forse soffrire queste cose prima di entrare nella sua gloria?

 Quindi Gesù spiegò ai due discepoli i passi della Bibbia che lo riguardavano. Cominciò dai libri di Mosè fino agli scritti di tutti i profeti.

Intanto arrivarono al villaggio dove erano diretti, e Gesù fece finta di continuare il viaggio. Ma quei due discepoli lo trattennero dicendo: «Resta con noi perché il sole ormai tramonta». Perciò Gesù entrò nel villaggio per rimanere con loro. Poi si mise a tavola con loro, prese il pane e pronunziò la preghiera di benedizione; lo spezzò e cominciò a distribuirlo.

  In quel momento gli occhi dei due discepoli si aprirono e riconobbero Gesù, ma lui sparì dalla loro vista. Si dissero l’un l’altro: «Non ci sentivamo come un fuoco nel cuore, quando egli lungo la via ci parlava e ci spiegava la Bibbia?».

Quindi si alzarono e ritornarono subito a Gerusalemme. Là, trovarono gli undici discepoli riuniti con i loro compagni.

  Questi dicevano: «Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone». A loro volta i due discepoli raccontarono quel che era loro accaduto lungo il cammino, e dicevano che lo avevano riconosciuto mentre spezzava il pane.

[Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 24, versetti da 13 a 35 – Lc 24,13-35 -  Versione TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

  I discepoli era stati sottoposti a forme di ciò che ho definito pre-evangelizzazione, ma l’evangelizzazione vera e propria inizia quando, nel corso del dialogo con il viandante non riconosciuto come il Signore, la qualità e la forza della relazione aumentano determinando un’emotività critica, il fuoco nel cuore, il riconoscimento. Non basta solo quella che chiameremmo   predicazione, in particolare la spiegazione di come le Scritture si adattassero alla drammatica situazione che si era vissuta con il supplizio del Maestro. Fu necessario un gesto di condivisione di elevata forza simbolica: la frazione liturgica del pane.

  Il processo di evangelizzazione, nella narrazione,  prosegue nel piccolo gruppo degli altri discepoli con un’ulteriore fase dialogica: «Quindi si alzarono e ritornarono subito a Gerusalemme. Là, trovarono gli undici discepoli riuniti con i loro compagni.

  Questi dicevano: “Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone”. A loro volta i due discepoli raccontarono quel che era loro accaduto lungo il cammino, e dicevano che lo avevano riconosciuto mentre spezzava il pane.» Si era in un gruppo in cui il riconoscimento faccia a faccia era ancora possibile. 

Qui sopra trovate lo schema delle cerchie  dell’amicizia esposto da Robin Dunbar nel libro che ho citato: è l’orizzonte della nostra socialità, determinata dalle insuperabili caratteristiche fisiologiche della nostra mente. “150” è detto  numero di Dunbar e definisce l’ambito sociale nel quale una persona può mantenere relazioni significative, ma la qualità e forza delle relazioni necessarie per l’evangelizzazione si ha solo quando il gruppo di riferimento è tra la seconda e la terza cerchia: una trentina di persone, il numero, in genere, dei componenti dei governi e degli altri organismi di vertice di enti collettivi, quello che consente incontri collettivi faccia a faccia, nei quali si riesce ancora a mantenere consapevolezza dell’insieme. Oltre quel numero di persone le attività collettive sono possibili solo se mediate da miti e diritto, in particolare da procedure, in particolare da quelle particolari procedure in cui consistono le liturgie.

 E tuttavia il numero giusto  non basta. La qualità e forza delle relazioni interpersonali sono fortemente condizionate dall’età, dal sesso e da altri elementi di carattere culturale. L’evangelizzazione, in particolare, richiede una relazione caratterizzata da intimità, vale a dire da una qualità altissima, che nei gruppi di adulti europei occidentali  si ha solo tra persone della stessa fascia d’età e sesso. Così anche nell’episodio evangelico che ho sopra citato.

  Nel gruppo che seguì il Maestro nella sua attività pubblica in giro per la Palestina c’erano anche delle donne (almeno una sposata, ma non si precisa che con loro andavano anche i mariti), se ne fa precisa ed espressa menzione nelle narrazione evangeliche, ma non ci viene  raccontato come esse vennero agganciate.

  Un aggancio  intergenerazionale si manifesta, almeno nella nostra società, prevalentemente in gruppi parentali e verso i più piccoli. Possiamo facilmente constatare che, invece, questo non accade nelle relazioni tra insegnanti e  i loro scolari.  E  neanche tra preti, religiosi, figure che possiamo assimilare agli insegnati,  e le persone molto più giovani che cercano di evangelizzare. Tra insegnati e scolari è possibile solo la pre-evangelizzazione.

 Se si accetta l’ordine di idee che ho esposto, derivato anche dalla concreta esperienza personale, emerge con chiarezza il problema fondamentale che, nella nostra società, parte della cultura europea occidentale, abbiamo nell’evangelizzare: ci sono venute progressivamente a mancare le persone di età tra i venti e i quarant’anni d’età che hanno la  reale possibilità di creare con le persone coetanee quelle relazioni altamente significative mediante le quali può passare l’evangelizzazione.

 Per un diciottenne, una persona della mia età è del tutto invisibile, non è significativa, anche se appartiene ad una sua cerchia  di prossimità, addirittura se è un genitore.

  Si danno molte spiegazioni di ciò che è accaduto.

  Non mi convincono quelle che fanno riferimento alla miscredenza verso i fatti soprannaturali, che a me sembra ancora ben radicata, anche se molto meno di un tempo con riferimento al soprannaturale cristiano.

  A me paiono più persuasive quelle che fanno riferimento alle caratteristiche degli ambiti sociali e dei relativi miti e procedure. Nell’Europa occidentale la religione è divenuta progressivamente inutile per la costruzione sociale e quindi per i più giovani, il cui principale problema è di produrre nella società in cui sono immersi i cambiamenti necessari per farsi largo in essa. Causa ne è stato l’orientamento sempre più conservatore che si è imposto, non solo nella nostra Chiesa, dagli anni  ’80. Si tratta, quindi, di un problema tutto sommato recente, tenendo conto dei tempi lunghissimi dei processi di trasformazione religiosa. In Gran Bretagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca, Svezia Norvegia, Finlandia, le statistiche della religiosità danno per sostanzialmente annientata la presenza delle Chiese cristiane, che permane più che altro nelle liturgie collegate agli organismi di stato. In Germania, Italia, Portogallo e Spagna ci sono numeri più elevati, ma riguardano più che altro la popolazione anziana, mentre tra le persone più giovani si sta assistendo a un crollo verticale. Le indagini statistiche più recenti di cui sono  a conoscenza segnalano anche una crescente disaffezione tra le donne cattoliche, ancora pesantemente discriminate.

  Si stanno provando varie strategie per rimediare. La nostra Chiesa dispone di strutture universitarie di elevata qualità che stanno studiando su  questi temi e stanno dando una formazione molto completa alle persone che desiderano impegnarsi nell’evangelizzazione, una di queste istituzioni è proprio vicino a noi ed è la Pontificia università salesiana.

  Nella nostra parrocchia quasi tutte le forze residuate dalla liturgia sono spese nella formazione di base dei più giovani, fino alla Cresima. Consiglierei di dedicarsi maggiormente ai genitori di bambini e ragazzi che frequentano i catechismi, cercando di formare un gruppo che possa poi evangelizzare i coetanei. Questa attività non dovrebbe essere presentata come un catechismo: dobbiamo fare pre-evangelizzazione. E mai e poi mai, assolutamente mai!, bisogna presentarsi come quelli che pretendono di insegnare ai genitori a fare i genitori. E’ purtroppo un errore gravissimo ma piuttosto comune quando nelle parrocchie si organizzano attività del genere. Gli ultimi, poi, che possono pretendere di insegnare ai genitori a fare i genitori sono i preti e i religiosi, che hanno, in genere, una conoscenza solo teorica, vaga e per di più inquinata da vari pregiudizi, dei problemi della genitorialità.

  Nel nuovo Statuto  dei Consigli pastorali parrocchiali  è prevista una presenza come componente addirittura  di diritto di un coppia  che possa dare una mano anche in quel campo, «nominata     dal       Parroco, sempre  con particolare attenzione all'accompagnamento, discernimento e integrazione (Amoris laetitia, §241-246; 291-312) delle «situazioni imperfette», «complesse» o «dette "irregolari"» (Amoris laetitia, §§78-79; 247ss.; 297; 301)», quindi non una coppia di anziani e non di orientamento fondamentalista o tradizionalista.

 Nel quadro dei processi sinodali, che ci si dovrebbe considerare impegnati a praticare visto che (almeno in teoria) la Chiesa italiana si sta dando da fare in materia, bisognerebbe porre, infine, particolare cura a fare spazio  alle persona tra i venti e i quarant’anni che risiedano nel quartiere (se una persona viene solo per frequentare un gruppo e poi vive altrove, e non si vede mai in parrocchia, ci è poco utile).

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 


giovedì 28 dicembre 2023

Sviluppare una trama sociale

 

Sviluppare una trama sociale

 

  Evangelizzare significa costruire una trama di relazioni sociali, ce ne rendiamo conto?

 

Giunsero in fretta a Betlemme e là trovarono Maria, Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia. Dopo averlo visto, fecero sapere [ἐγνώρισαν - egnòrisan , da verbo del greco antico γνωρίζω – gnōrìzō, che significava far conoscere, rivelare, proclamare, riconoscere] ciò che avevano sentito di questo bambino. Tutti quelli che ascoltarono i pastori si meravigliarono di quello che essi raccontavano. [dal Vangelo secondo Luca, capitolo 2, versetti da 16 a 18 – Lc 2,16-18 - versione in italiano TILC – Traduzione interconfessionale in lingua corrente]

 

  Questo quadro inserito nella narrazione della Natività  nel Vangelo secondo Luca ci comunica una cosa che mi pare molto importante: la fede si diffonde per comunicazione interpersonale.

  I pastori avevano avuto l’annuncio angelico, ma anche Maria e Giuseppe:

 

Quando Elisabetta fu al sesto mese Dio mandò l’angelo Gabriele a Nàzaret, un villaggio della Galilea. L’angelo andò da una fanciulla che era fidanzata con un certo Giuseppe, discendente del re Davide. La fanciulla si chiamava Maria. L’angelo entrò in casa e le disse:

— Ti saluto, Maria! Il Signore è con te: egli ti ha colmata di grazia.

A queste parole Maria rimase sconvolta e si domandava che significato poteva avere quel saluto. Ma l’angelo le disse:

— Non temere, Maria! Tu hai trovato grazia presso Dio. Avrai un figlio, lo darai alla luce e gli metterai nome Gesù. Egli sarà grande e Dio, l’Onnipotente, lo chiamerà suo Figlio. Il Signore lo farà re, lo porrà sul trono di Davide, suo padre, ed egli regnerà per sempre sul popolo d’Israele. Il suo regno non finirà mai.

Allora Maria disse all’angelo:

— Come è possibile questo, dal momento che io sono vergine?

L’angelo rispose:

— Lo Spirito Santo verrà su di te, e l’Onnipotente Dio, come una nube, ti avvolgerà. Per questo il bambino che avrai sarà santo, Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, alla sua età aspetta un figlio. Tutti pensavano che non potesse avere bambini, eppure è già al sesto mese. Nulla è impossibile a Dio!

Allora Maria disse:

— Eccomi, sono la serva del Signore. Dio faccia con me come tu hai detto.

Poi l’angelo la lasciò.

[dal Vangelo secondo Luca, capitolo 1, versetti da 28 a 38 – Lc 1,28-38 – versione TILC]

 

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Ecco come è nato Gesù Cristo. Maria, sua madre, era fidanzata con Giuseppe; essi non vivevano ancora insieme, ma lo Spirito Santo agì in Maria ed ella si trovò incinta. Ormai Giuseppe stava per sposarla. Egli voleva fare ciò che era giusto, ma non voleva denunziarla di fronte a tutti. Allora decise di rompere il fidanzamento, senza dire niente a nessuno.

 Ci stava ancora pensando, quando una notte in sogno gli apparve un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, discendente di Davide, non devi aver paura di sposare Maria, la tua fidanzata: il bambino che lei aspetta è opera dello Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu gli metterai nome Gesù, perché lui salverà il suo popolo da tutti i suoi peccati».

[dal Vangelo secondo Matteo, capitolo 1, versetti da 18 a 21 – Mt 1,18-21 – versione TILC]

 

  Furono però i pastori a trasmettere agli altri che trovarono a Betlemme intorno al nuovo nato ciò che  avevano saputo dagli angeli. Avevano deciso di recarsi in città dopo aver discusso tra loro, in modo sinodale  si potrebbe dire:

 

Poi gli angeli si allontanarono dai pastori e se ne tornarono in cielo.

Intanto i pastori dicevano gli uni agli altri: «Andiamo fino a Betlemme per vedere quel che è accaduto e che il Signore ci ha fatto sapere». 

[Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 2, versetti 15 e 16 – Lc 2,15-16 – versione TILC]

 

 Gente che aveva deciso di andare a vedere se gli angeli avevano detto il vero e che, dopo aver riscontrato che le cose stavano come era stato loro detto, ne parlava con altra gente, che si meravigliava. Questo è l’inizio della tessitura sociale, esattamente come ancor oggi ne possiamo fare esperienza.

   Un annuncio di gioia era stato quello degli angeli e anche il successivo racconto dei pastori appare essere stato pieno di quell’emotività.  Le emozioni spingono ad agire, quelle negative alla fuga, quelle positive a radunarsi per condividerle.

  L’efficacia della comunicazione dipende molto all’intensità delle relazioni sociali entro cui avviene: l’emotività positiva, socializzante, le consolida.

  Secondo quanto espone l’antropologo Robin Dunbar nel suo Amici, Einaudi 2022, la nostra socialità si sviluppa entro cerchie concentriche, in un sistema in cui quelle più interne e a noi più vicine presentano relazioni più forti, mentre quelle più esterne via via meno intense, fino a dissolversi oltre l’ultima cerchia di semplici conosciuti di vista,  composta da circa 150 persone. Più all’esterno la società è collegata solo per mezzo dei miti e del diritto, quindi da elementi culturali.

  Si può stimare che fino ad una trentina di persone, all’esterno della cerchia delle relazioni più forti, si possano avere relazioni sociali che consentano di influire sugli altri, conosciuti almeno per nome. Si può immaginare che sia a questo livello nel quale possa ancora operare quella forma di comunicazione forte  che chiamiamo evangelizzazione, perché è la trasmissione della buona novella, esattamente quella recata dagli angeli ai pastori.

  Qualche anno fa avevo stimato, sulla base dell’ultimo censimento e delle percentuali correnti dei praticanti in religione, che la nostra parrocchia fosse frequentata  regolarmente da circa un migliaio di persona. Qualche giorno fa ho scritto che in parrocchia lavorano assiduamente alle attività cosiddette pastorali, che sinteticamente si possono riassumere nella trasmissione dell’annuncio evangelico, una trentina di persone, preti e diaconi compresi. Mi sono accorto che moltiplicando 30 (operatori) per 30 (persone della cerchia utile per l’evangelizzazione che ruota intorno a ciascun operatore) si ha 900 (persone raggiunte da un forma di evangelizzazione socialmente forte). In sostanza si può sospettare che il numero dei praticanti  corrisponda alle cerchia delle persone raggiunte da ciascun operatore pastorale.

  Di solito si mette in relazione la diminuzione della pratica  religiosa, che in Europa occidentale ha raggiunto livelli vertiginosi, in particolare nel Nord Europa, con la secolarizzazione della gente, ma andrebbe vagliata l’ipotesi ricostruttiva che essa, in realtà, dipenda maggiormente dall’insufficienza della gente che, come i pastori, si sente spinta a comunicare l’annuncio soprannaturale che ha ricevuto. In questo caso non sarebbe stata la tela ad essersi logorata e disfatta, ma il problema sarebbe dipeso dalla carenza di tessitori.

  Accreditando quest’ultima conclusione, allora la soluzione dell’incremento della sinodalità ecclesiale, chiamando e formando più gente a farsi annunciatrice della buona novella, cooperando attivamente senza rimanersene solo nella condizione passiva di gregge, si presenterebbe come una soluzione valida. Ma da dove può venire la spinta interiore a cooperare?

  Si può partire, penso, dal prendere consapevolezza della propria e altrui condizione umana nella società in cui viviamo, e una via per riuscirci è quella dell’incontrarsi per parlarne. Nell’episodio evangelico dei pastori ci si parla subito dopo l’allontanamento degli angeli, per decidere di avviarsi verso Betlemme,  e dopo aver visto che, lì dove gli  angeli avevano detto, c’era effettivamente il nuovo nato.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

  

 

martedì 26 dicembre 2023

Salvezza

 

Salvezza

 

  Vivere significa fare esperienza della propria fragilità.

  Costruendo società cerchiamo di farci forza e di durare di più, ma la nostra biologia ci limita. E anche le nostre società sono soggette al degrado, ad un certo punto si dissolvono e più frequentemente si trasformano profondamente, ibridandosi tra loro.

  La fede cristiana si fonda sulla fiducia in un Salvatore soprannaturale: è questo il senso dell’annuncio dell’angelo nella narrazione della Natività, «Non temete! Io vi porto una bella notizia [nel greco evangelico si ha εὐαγγελίζομαι , che si legge evangelìzomai e che significa vi evangelizzo, cioè vi porto un vangelouna buona notizia che procurerà una grande gioia a tutto il popolo: oggi per voi, nella Città di Davide, è nato il Salvatore, il Cristo, il Signore». Tuttavia nella formazione religiosa dei più non si riesce a rendere credibile una prospettiva di salvezza e così, ad una considerazione realistica, si può concludere che le cose vanno come sono sempre andate, e poi si muore, e non ci si può fare nulla. In definitiva, si dispera, nonostante tutta l’importanza che nella nostra fede si dà all’idea che ci sia data  una salvezza.

  Di solito si ricorda che questo modo di pensare è esposto in un libro della nostra Bibbia, quello del Qoelet:

 

 L’uomo si affatica e tribola per tutta una vita.

Ma che cosa ci guadagna?

 Passa una generazione e ne viene un’altra;

ma il mondo resta sempre lo stesso.

 Il sole sorge, il sole tramonta;

si alza e corre verso il luogo

da dove rispunterà di nuovo.

 Il vento soffia ora dal nord ora dal sud,

gira e rigira, va e ritorna di nuovo.

 Tutti i fiumi vanno nel mare,

ma il mare non è mai pieno.

 E l’acqua continua a scorrere

dalle sorgenti dove nascono i fiumi.

 Tutte le cose sono in continuo movimento,

non si finirebbe mai di elencarle.

 Eppure gli occhi non si stancano di vedere

né gli orecchi di ascoltare.

 Tutto ciò che è già avvenuto accadrà ancora;

tutto ciò che è successo in passato succederà anche in futuro.

Non c’è niente di nuovo sotto il sole.

 Qualcuno forse dirà: «Guarda, questo è nuovo!».

Invece quella cosa esisteva già

molto tempo prima che noi nascessimo.

 Nessuno si ricorda delle cose passate.

Anche quello che succede oggi

sarà presto dimenticato da quelli che verranno.

[…]

 Gli uomini e le bestie hanno lo stesso destino:

tutti devono morire.

 Tutti hanno lo stesso spirito vitale

ma l’uomo non è superiore agli animali.

Tutto è come un soffio.

 Tutti vanno allo stesso luogo.

 Tutti vengono dalla polvere e tutti alla polvere ritorneranno.

 Chi può sapere se lo spirito degli uomini sale veramente in alto

e lo spirito degli animali scende sotto terra?

 Ho concluso che la cosa migliore per noi

è goderci i frutti del nostro lavoro.

 Questo è il nostro destino.

 Noi non possiamo sapere

quel che accadrà in futuro.

[dal libro del Qoelet, capitolo 1, versetti da 1 a 11 e capitolo 3 versetti da 19 a 22 – Qo 1, 1-11; 3, 19-22]

 

 Poi però la riflessione biblica va oltre e spinge ad andare oltre e a darsi da fare.

 A conti fatti, mi pare che la formazione religiosa manchi di qualcosa in questo campo, che i preti non riescono a suscitare e neanche le altre persone che a quel lavoro collaborano.

  Osservo che tra  noi in religione, ma in genere nella società, vi sono diverse idee di salvezza. E, storicamente, anche nelle Chiese cristiane se ne sono avute varie concezioni. Fino al Concilio Vaticano 2° prevalse quella che cominciò ad essere teorizzata in teologia dal Dodicesimo secolo (quello che va dal 1101 al 1200), in concomitanza con una grandiosa riforma della  Chiesa cattolica, la quale, nelle strutture fondamentali, è rimasta da allora più o meno sempre la stessa. E’ centrata sull’anelito a una vita beata soprannaturale dopo la morte fisica e sull’aiuto della Chiesa che elargisce il perdono per superare l’ostacolo del peccato, che ce ne escluderebbe. Lo scopo della vita terrena, in questa prospettiva,  diventa quello di guadagnarsi  quell’altra. E’ una delle materie dalle quali originarono le controversie che nel Cinquecento portarono al distacco della Chiese protestanti. Oltre vent’anni fa, la frattura si è ricomposta, con la  Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione firmata da cattolici e luterani ad Augusta (Germania) il 31 ottobre 1999, alla quale nel 2021 hanno aderito anche le Chiese anglicane, metodiste e  calviniste.

   Che valore ha il bene che si fa in questo mondo, in particolare mediante le riforme sociali? Storicamente i cristiani gli hanno dato sempre molta importanza, anche perché, secondo il vangelo, conta per la salvezza soprannaturale. I concetti di base della nostra fede furono formalizzati tra il Quarto e l’Ottavo secolo, nel quadro, prima, di una grandiosa riforma politica dell’antico Impero romano e, poi, nel corso di un altro complesso epocale di eventi derivato dalla conquista dell’Europa occidentale da parte di popolazioni di origine germanica che la invasero dal Nord Est, insediandovi propri regni. Tra esse,  molto importanti furono quelle gote, franche e longobarde (da cui prende il nome la regione Lombardia). A ragione si può dire che i cristianesimi  cambiarono l’Europa, perché vi rimasero centrali anche dopo di allora e fino a qualche decennio fa. Influssi che, interagendo con questioni di potenza politica, ebbero anche risvolti estremamente sanguinosi, perché l’obiettivo della pace cominciò ad essere preso in seria considerazione anche nell’organizzazione delle società civili e nelle relazioni internazionali solo molto di recente, fondamentalmente dopo la Seconda guerra mondiale (che in realtà dovrebbe essere considerata una guerra europea, perché scoppiò tra europei, i quali poi vi trascinarono quasi tutto il resto del mondo). L’ultima imponente realizzazione alla quale i cristianesimi cooperarono può essere considerata l’Unione Europea, nella cui costituzione i cattolici italiani e tedeschi ebbero un ruolo centrale insieme ad altre componenti cristiane.

  La dottrina sociale ci esorta ad occuparci degli affari sociali, non rassegnandoci all’idea che il mondo sia condannato ad andare (male) com’è sempre andato. Vale per tutte le persone di fede, ma quelle libere da particolari legami con il servizio ecclesiastico hanno ruoli molto importanti, fondamentalmente perché sono di più e perché nelle loro mani sono gran parte delle leve del potere. In ambienti democratici, poi, tutte le cittadine e tutti i cittadini posso in qualche modo  influirvi realmente.

  Qual è l’orientamento giusto: quello che punta sull’aldilà o quello che si spende per fare il bene in questa vita, in particolare nella costruzione sociale? Penso che si possa esprimere la propria fede in vari modi, con varie accentuazioni, secondo la propria indole, le età della vita,  la propria storia personale, la propria cultura, i propri ambienti di riferimenti, i propri maestri, le situazioni storiche in cui ci si trova,  tenendo presente il vangelo, secondo il quale l’aldilà è importante come anche lo sono la misericordia e la solidarietà. Dobbiamo abituarci a vivere in comunità di fede pluralistiche, distaccandoci in questo dai fondamentalismi del passato.

  Però per operare nella società occorre prepararsi bene e sapere di più di ciò che si impara nell’iniziazione alle fede. Non basta coltivare la spiritualità personale. E poiché bisogna sapere molto, bisogna imparare a lavorare insieme alle altre persone perché altrimenti non ce la si fa. In questo la via della sinodalità, che si sta aprendo, è un’opportunità molto importante.

  I cristianesimi hanno avuto una storia bimillenaria dalla quale abbiamo molto da apprendere e non di rado è una fatica che superficialmente si ritiene superflua. Si pensa, sbagliando, di potervi prescindere, mettendo tra parentesi tutto ciò che ci separa dalle origini. La meditazione biblica  è molto importante anche perché generazioni su generazioni si sono confrontate con i testi sacri, nella vita, nella costruzione sociale,  nella spiritualità, nella cultura, nella liturgia, e, dunque, facendo anche noi lo stesso possiamo confrontarci con la gente che ci ha preceduto, sia per proseguire il suo lavoro, sia per non ripetere i suoi errori.

  Mi pare però che nella nostra parrocchia, come in altre che conosco, non vi siano spazi dove le persone che vogliono possano formarsi collaborando e accostando anche chi ne sa di più.

  Al tempo della mia gioventù era diverso.

 Il fatto che le persone giovani ci lasciano  già durante l’adolescenza può dipendere da quella carenza? Io sono portato a ritenere di sì. Mi pare che si proponga anche a loro una spiritualità che si adatta meglio per i più anziani, che fatalmente tendono a staccarsi dalla vita attiva. La persona giovane deve farsi largo in società e questo la porta a sentire la necessità di cambiarla per costruirsi degli spazi accoglienti. Per questo le azioni di riforma sociale vedono in genere come protagoniste le persone più giovani. Ad esse la società così com’è va stretta: l’anelito a cambiarla è una manifestazione del desiderio di salvezza, che ha anche un valenza religiosa.

  In questo il nostro gruppo parrocchiale di Azione Cattolica potrebbe dare una mano alla parrocchia, senza alcun impegno aggiuntivo per i suoi preti, i quali hanno già troppo da fare. L’azione nella società è il campo privilegiato della nostra associazione.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

domenica 24 dicembre 2023

il presepe nella chiesa parrocchiale - Pensiero di Natale 2023 “Sul presepe”

24 dicembre 2023 - Vigilia di Natale - il bel presepe allestito da Rosario nella chiesa parrocchiale

Pensiero di Natale 2023 “Sul presepe

 

  Le regole della cronaca raccomandano di chiarire “chi, come, dove, quando, perché”. Su questi punti il racconto della Natività,  che troviamo più estesamente nel Vangelo secondo Luca, al capitolo 2, versetti da 1 a 20 [Lc 2, 1-20], mentre in quello secondo Matteo, al capitolo 1, versetto 25, e al capitolo 2, versetto 1 [Mt 1,25 - 2,2]«E senza che avessero avuto fin’allora rapporti matrimoniali, Maria partorì il bambino e Giuseppe gli diede nome Gesù. Gesù nacque  a Betlemme, una città nella regione della Giudea al tempo del re Erode»[versione TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente], è molto più sintetico, ha integralmente carattere mitico e quindi non va considerato come una cronaca.

 

  In quel tempo l’imperatore Augusto con un decreto ordinò il censimento di tutti gli abitanti dell’impero romano. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a far scrivere il loro nome nei registri, ciascuno nel proprio luogo d’origine.

 Anche Giuseppe partì da Nàzaret, in Galilea, e salì a Betlemme, la città del re Davide, in Giudea. Andò là perché era un discendente diretto del re Davide, e Maria sua sposa, che era incinta, andò con lui.

 Mentre si trovavano a Betlemme, giunse per Maria il tempo di partorire, ed essa diede alla luce un figlio, il suo primogenito. Lo avvolse in fasce e lo mise a dormire nella mangiatoia di una stalla, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

  In quella stessa regione c’erano anche alcuni pastori. Essi passavano la notte all’aperto per fare la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce, ed essi ebbero una grande paura. L’angelo disse: «Non temete! Io vi porto una bella notizia [nel greco evangelico si ha εὐαγγελίζομαι , che si legge evangelìzomai e che significa vi evangelizzo, cioè vi porto un vangelo, una buona notizia]  che procurerà una grande gioia a tutto il popolo: oggi per voi, nella Città di Davide, è nato il Salvatore, il Cristo, il Signore. Lo riconoscerete così: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia».

 Subito apparvero con lui molti altri angeli. Essi lodavano Dio con questo canto:

«Gloria a Dio in cielo e sulla terra pace per quelli che egli ama».

  Poi gli angeli si allontanarono dai pastori e se ne tornarono in cielo.

   Intanto i pastori dicevano gli uni agli altri: «Andiamo fino a Betlemme per vedere quel che è accaduto e che il Signore ci ha fatto sapere». Giunsero in fretta a Betlemme e là trovarono Maria, Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia. Dopo averlo visto, fecero sapere ciò che avevano sentito di questo bambino. Tutti quelli che ascoltarono i pastori si meravigliarono di quello che essi raccontavano. Maria, da parte sua, custodiva il ricordo di tutti questi fatti e li meditava dentro di sé. I pastori, sulla via del ritorno, lodavano Dio e lo ringraziavano per quel che avevano sentito e visto, perché tutto era avvenuto come l’angelo aveva loro detto. [versione TILC]

 

  E questo benché, come notano i biblisti, nella narrazione di Luca si tenga a inserire elementi storici sicuri, come la menzione dell’imperatore Augusto e del governatore romano di Siria Quirinio.

  Comunque noi, nella nostra spiritualità, possiamo senz’altro leggere quella storia come una cronaca, mantenendo tuttavia consapevolezza che la sua verità  non sta nella descrizione realistica dei fatti, anche se, comunque, è una verità, vale a dire un orientamento su come si debba essere religiosi volendo seguire la via cristiana.

  Per inciso la vita sociale degli umani è possibile solo in base ai miti, anche oggi. Di solito ricordo che hanno carattere mitico le idee di popolo  e di democrazia. L’altro elemento indispensabile per la nostra socialità è il diritto. La verità come fattore di regolazione sociale contiene sempre  entrambe quelle componenti: il mito e il diritto.  Essa dipende dalla volontà di chi vuole formare una società secondo un certo ordinamento. Nella nostra fede essa è quella superna.

  Verità  può essere intesa anche come corrispondenza di una narrazione di un evento sociale o di una descrizione di un fenomeno naturale a come si sono realmente  sviluppati,  e in questo caso essa dipende dall’affidabilità delle fonti. Nella cronaca si mira alla verità in questo senso e il cronista mette molta cura nel citare le proprie fonti. Il racconto della Natività   nel Vangelo secondo Luca ha, sotto questo profilo, un problema di attendibilità delle fonti. Da chi l’autore del testo evangelico ha appreso quel racconto, posto che non dichiara di esserne stato diretto testimone? Nei detti evangelici, il Maestro di quell’evento non fa menzione. E si potrebbe proseguire ancora.

   Il Maestro tenne a comunicarci che la sua missione era un adempimento delle Scritture, che erano quelle dell’antico giudaismo che ora noi abbiamo raccolto in quello che chiamiamo Antico Testamento. Nel giudaismo del suo tempo c’era l’attesa di un Salvatore mandato dal Cielo, un Messia [parola tradotta con Cristo  nel greco evangelico  e che significa unto nel senso di incaricato dal Cielo] avvalorata dalle interpretazioni di certi brani nelle Scritture. In particolare ci si attendeva che fosse un discendente del re Davide. Il Maestro, oltre che come rabbì (parola ebraica che significa mio maestro), si presentò appunto come Messia.

  Nel racconto evangelico della Natività  in Luca compare un angelo che porta un annuncio a dei pastori. Nelle Scritture gli angeli erano messaggeri del Cielo. Dunque di lassù venne detto loro « Io vi porto una bella notizia [nel greco evangelico si ha εὐαγγελίζομαι , che si legge evangelìzomai e che significa vi evangelizzo, cioè vi porto un vangelo, una buona notizia]  che procurerà una grande gioia a tutto il popolo: oggi per voi, nella Città di Davide [Betlemme], è nato il Salvatore, il Cristo, il Signore» e vennero detto loro che lo avrebbero riconosciuto in un bambino il quale, avvolto in fasce, giaceva in una mangiatoia. Si narra che poi apparvero moltissimi altri angeli che cantarono un canto di lode:  «Gloria a Dio [il greco evangelico ha Θεῷ,  che si legge Teò,  e significa a Dio] in cielo e sulla terra pace [ il greco evangelico ha εἰρήνη che si legge eirène  e significa pace, da cui l’italiano irenico, aggettivo che significa che opera per la pace] agli uomini che egli ama [il greco evangelico ha ἐν ἀνθρώποις  εὐδοκίας , che si legge en antròpoi eudokìas  e che significa tra gli uomini che gli sono graditi»]. L’annuncio e il canto degli angeli potrebbero essere usati come didascalia del presepe: contengono la verità  della Natività, vale a dire il suo senso profondo per noi.

  I pastori poi decisero autonomamente, e per così dire   sinodalmente, quindi dialogando,   di andare a Betlemme ad incontrare il bimbo; «Intanto i pastori dicevano gli uni agli altri: “Andiamo fino a Betlemme per vedere quel che è accaduto e che il Signore ci ha fatto sapere”». Non ebbero difficoltà ad intendere il messaggio angelico. Giunti dov’erano il bambino, Maria e Giuseppe, si fecero anch’essi evangelizzatori: «Dopo averlo visto, fecero sapere ciò che avevano sentito di questo bambino. Tutti quelli che ascoltarono i pastori si meravigliarono di quello che essi raccontavano. Maria, da parte sua, custodiva il ricordo di tutti questi fatti e li meditava dentro di sé». Chi e quanti erano quei tutti? Non è  scritto. Viene distinto da quelli degli altri che c’erano lì l’atteggiamento di Maria, perché era stata destinataria, mesi prima, di un altro analogo annuncio angelico «[…]Avrai un figlio, lo darai alla luce e gli metterai nome Gesù. Egli sarà grande e Dio, l’Onnipotente, lo chiamerà suo Figlio. Il Signore lo farà re, lo porrà sul trono di Davide, suo padre, ed egli regnerà per sempre sul popolo d’Israele. Il suo regno non finirà mai» [dal Vangelo secondo Luca, capitolo 1, versetti da 30 a 33 – Lc 1,30-33].

  Sul racconto evangelico si sono costruite altre narrazioni che ne hanno esteso l’interpretazione.  C’è, ad esempio, quella di Francesco d’Assisi, ottocento anni fa, e di molti altri dopo di lui, che vi sovrappone l’elemento della povertà  del nuovo nato e dei suoi genitori, che però nella narrazione evangelica non c’è. Non è scritto che la famiglia fosse povera. Cercava posto in un alloggio, quindi aveva di che pagare. Di chi era la stalla in cui si accomodarono? Dovettero comunque pagare qualcosa? Non è scritto. La stalla, lo sa chi ha potuto entrarci, è un luogo caldo. A noi rende l’idea di un luogo sporco, ma tra le popolazioni rurali, e anche in Italia fino  a non molti decenni fa, non si disdegna talvolta di abitarvi, proprio perché calda. Mio padre mi raccontava che, quando dopo l’8 settembre del 1943 il suo reparto militare di stanza in Puglia si era dissolto ed egli aveva risalito la costa adriatica fino alla Romagna, aveva dormito sempre in stalle e pagliai e ci si era trovato bene.

«Mentre si trovavano a Betlemme, giunse per Maria il tempo di partorire, ed essa diede alla luce un figlio, il suo primogenito». A quell’epoca le partorienti erano di solito aiutate da altre donne, mentre non era costume degli uomini assistere al parto. Chi c’era vicino a Maria al momento della nascita del bimbo? Non è scritto. La teologia ha poi fatto del parto di  Maria un fatto straordinario e prodigioso, ma nella narrazione evangelica non si danno particolari su questo: «essa diede alla luce un figlio, il suo primogenito». Non vengono riferiti problemi di sorta durante il parto, né si  menziona un particolare disagio della madre e del bimbo dopo.

  Nella predicazione si sottolinea spesso  che la gente di Betlemme, pastori a parte, rimase indifferente. Ma gli angeli non le avevano recato l’annuncio. Perché solo ai pastori? Su questo si è molto ragionato, già nell’antichità. Si è sottolineato che quelle persone umili accettarono subito l’annuncio del vangelo che veniva recato loro e con gioia si recarono dal nuovo nato, a differenza di ciò che poi avvenne nel giudaismo di allora, gran parte del quale lo respinse (anche se tutti i primi cristiani furono giudei, come lo stesso Gesù di Nazaret, Maria e Giuseppe). I biblisti sottolineano anche che a quell’epoca i pastori in Giudea avevano pessima fama per vari motivi e che, nonostante ciò, il primo annuncio fu recato proprio a loro: dunque nessuno deve ritenersi escluso dal vangelo e gli umili sono nell’atteggiamento  migliore per accoglierlo.

«I pastori, sulla via del ritorno, lodavano Dio e lo ringraziavano per quel che avevano sentito e visto, perché tutto era avvenuto come l’angelo aveva loro detto».  Da una visita ad un presepe, quindi avendo fatto memoria di quella Natività,  potrebbe essere questo lo spirito adeguato andandosene. Ma bisogna accettare che anche per noi  quel bimbo è il Salvatore, il Cristo: questa fu la grandiosa costruzione del cristianesimo, che tuttavia ai giorni nostri fatica ad affermarsi. E’ la dimensione dell’attesa, e della gioia dell’attesa,  che spesso manca. Del futuro abbiamo più spesso paura. In particolare, di questi tempi, riguardo alla guerra, che ormai circonda la nostra Unione Europea e minaccia di coinvolgerci direttamente.

 Concludo con una citazione da una  recensione di Elisabetta Moro al nuovo libro di  Chiara Frugoni,  Il presepe di san Francesco. Storia del Natale di Greccio, Il Mulino 2023, pubblicata sull’ultimo numero di La lettura del Corriere dalla Sera (n.630 del 24-12-23):

 

«In quella notte magica di otto secoli fa nel borgo di Greccio, oggi provincia di Rieti, accade una piccola grande rivoluzione culturale. Francesco fa allestire una mangiatoia e lì accanto metto un bue e un asino, due animali simbolici che stanno a rappresentare rispettivamente gli ebrei e i pagani, in particolare i musulmani. E mentre un prete celebra la messa, lui canta i passi del Vangelo di Luca che rievocano la nascita di Gesù.  Quando nomina il “bambino di Betlemme”, lui bela “beeetleeeeemme”, perché nel nome della città fa risuonare il verso della pecora  per ricordare a tutti che il bambino è l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Un Infante divino destinato a morire sulla croce per salvare l’umanità. Insomma il dono-perdono di Dio.

  Di fatto nella mangiatoia non c’è nessun bambino preso a prestito dai pastori del luogo. Basta l’ostia per evocarlo e immaginarlo disteso sulla paglia. A differenza di quello che dipingono Giotto nella basilica di Assisi, Coppo di Marcovaldo in Santa Croce a Firenze,  Benozzo Gozzoli nella chiesa di San Francesco a Montefalco, il Bramantino nella Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano e altri pittori che invece inseriscono nella Natività un bambinello aureolato.  E spesso aggiungono  la Madonna. Che via via diventa sempre più protagonista dell’iconologia cristiana. Al punto che nell’affresco  che si trova nella cappella del presepe di Greccio, dipinto da un anonimo di fine del Trecento, c’è Maria che allatta al seno suo figlio, proprio accanto alla rievocazione dell’invenzione del presepe. Che, non va dimenticato, prende il suo nome dal termine latino praesepium (si legge presepium), che significa greppia.»

 

 Buon Natale a tutti i lettori! Che ogni persona possa anche ai nostri tempi gioire per la nascita del suo Salvatore! Che la pace del nostro Salvatore rimanga tra voi.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

Tessitura sociale

 

Tessitura sociale

 

  Per una disposizione della Conferenza episcopale italiana del 1984, il mandato dei parroci dura nove anni, anche se i vescovi possono decidere di mantenerli in carica anche dopo.

  I primi parroci di San Clemente papa ai Prati fiscali durarono molto più a lungo: don Vincenzo Pezzella dal 1955 al 1983, ventotto anni, don Carlo Quieti dal 1983 al 2015, trentadue anni. L’attuale parroco, don Remo, è tra noi al 2015 e quindi l’anno prossimo scadranno i suoi nove anni. Il cambio di un parroco è sempre traumatico per la gente che viene in chiesa se quel ministero è il solo a reggerne la tessitura sociale. In effetti, nel 1983 e nel 2015 cambiò tutto molto velocemente e, per quel che ricordo, non furono successioni vissute serenamente. Il nuovo  Statuto  dei Consigli pastorali parrocchiali  della Diocesi di Roma vorrebbe modificare la situazione, facendo del Consiglio  l’elemento centrale di raccordo tra ufficio gerarchia ecclesiastica  e componente comunitaria in quella delicata fase. Leggiamo:

 

[…]

Finalità

Articolo 3. II Consiglio Pastorale Parrocchiale (CPP) ha le seguenti finalità:

[…]

f. collaborare con il Vescovo per il discernimento da attuare in occasione del cambio del Parroco;

[…]

 E prevede anche che:

Articolo 4. II CPP dura in carica quattro anni.

Articolo 5. In caso di nomina di un nuovo parroco il CPP rimane nelle sue funzioni un anno, al termine del quale decade e deve essere rinnovato.

 

   Come si attuerà quella collaborazione in occasione del cambio del parroco non è scritto nello Statuto, ma, se attuata realmente, sarà una procedura piuttosto complessa, perché nella Diocesi di Roma ci sono 337 parrocchie (suddivise amministrativamente tra 36 Prefetture, con a capo un Prefetto scelto dai rispettivi parroci, e cinque Settori, con a capo un Vescovo ausiliare, nominato dal Papa) e ogni anno in una ventina di esse cambia il parroco.

  Penso che si vorrebbe assicurare una certa continuità di azione, ma questo richiede che il Consiglio  non sia solo espressione dell’orientamento del parroco che l’ha nominato, ma delle varie componenti sociali della parrocchie e addirittura del quartiere:

[…]

Finalità

Articolo 3. II CPP ha le seguenti finalità:

[…]

d.        individuare le esigenze pastorali e culturali della parrocchia e del territorio e proporre ai pastori gli interventi opportuni;

[…]

Articolo 10. Tenendo canto della concreta realtà di ogni parrocchia e guardando ai «più gravi e urgenti impegni che attendono la Chiesa di Roma» (IEC, Proemio, §14) oltre che ai corrispondenti Uffici del vicariato (IEC 33), si faccia ii possibile affinché, tra i membri del CPP eletti o nominati, vi siano figure operanti negli ambiti della povertà e delle migrazioni, della scuola e dell'università, della cultura, dell'ecumenismo e del dialogo interreligioso, della salute (a partire dagli anziani e dalle persone diversamente abili), del carcere, del lavoro, dell'ambiente, dello sport.

  Si discute se, con la cessazione di un parroco, debba decadere anche il Consiglio pastorale parrocchiale da lui nominato. Il nuovo Statuto  ha scelto una soluzione intermedia tra la decadenza e la sopravvivenza: deve essere rinnovato dopo un anno dalla nomina del nuovo parroco. Lo Statuto Ruini del 1994 non aveva una disposizione in materia.

  Personalmente mi auguro che in Diocesi si consenta a don Remo di continuare il suo ministero tra noi, naturalmente se il parroco darà il suo consenso, ma, comunque, la scadenza del novennio dal suo mandato rende urgente insediare un nuovo  Consiglio, per fare ciò che gli è richiesto quando si tratta di scegliere un nuovo parroco. Anche perché si tratta di preparare la gente che frequenta la chiesa e, così facendo, di individuarne le necessità e i problemi. E’ quel lavoro di tessitura sociale  che mi pare dovrebbe essere la funzione principale del Consiglio. Si tratta di indurre pazientemente delle relazioni positive tra i mondi vitali che ruotano intorno alla chiesa e che ora generalmente si ignorano reciprocamente. Ci vuole tempo e costanza. Non si tratta di vivere la cosa con spirito burocratico, bisogna coinvolgere gente che abbia la passione e anche, appunto, il tempo per le altre persone. Sappiamo che non è facile trovarla. E infatti lo staff  parrocchiale, il gruppo di chi si attiva realmente nell’organizzazione e del lavoro, è composto da una trentina di persone, preti compresi. Tutto il resto della gente ha relazioni più labili con la chiesa parrocchiale: la parrocchia è in genere situata, adottando il criterio delle cerchie  di amicizia dell’antropologo Robin Dunbar, nelle cerchie più esterne, e questo anche nel caso dei cosiddetti praticanti, vale a dire di coloro che vanno a messa  la domenica.

 L’allargamento e il rafforzamento  della tessitura sociale richiede che collaborino sempre più persone e ognuna può influire da vicino e realmente su circa una trentina di altre persone. Anni fa, sulla base dell’ultimo censimento e delle statistiche sui praticanti  in Italia, ho stimato che si dovrebbe lavorare su un migliaio di persone circa, per raggiungere i nostri. A conti fatti la trentina dello staff  è adeguata. Ma poi ci sono almeno altre ottomila altre persone che fanno riferimento alla fede cristiana nell’etica e per il senso della vita e allora per questi non si è abbastanza. Naturalmente più ci si propone di intensificare le relazioni della persone con la chiesa parrocchiale, più impegno e più tempo occorre, e allora già ora non si è in numero sufficiente anche solo per i praticanti.

  La formazione religiosa delle persone adulte appare piuttosto carente: in genere è rimasta quella di quand’erano ragazzi. Con il tempo la comunità religiosa è stata spostata nelle loro vite nelle cerchie più esterne, o addirittura al di là di quella più esterna, dove la relazione è mediata solo da miti e diritto. E in quel momento che si perde, ad esempio, l’abitudine alla preghiera personale, che è sorretta dalla frequenza alle liturgie.

  Più ci si avvicina alle persone, più tempo e impegno occorrono.  La comunità è un insieme di persone con relazioni più intense di quelle che ci sono nel resto della  popolazione. Il Consiglio pastorale parrocchiale,  come configurato  nel nuovo Statuto (ne sono state molto ampliate le finalità rispetto al vecchio), dovrebbe spendersi particolarmente in quel campo, coinvolgendo e formando altre persone che se ne occupino, a partire dai giovani che hanno ricevuto la Cresima e che quindi hanno completato la formazione religiosa di base, e che invece ora in massima parte si allontanano.

  I due rappresentanti dei giovani  nel Consiglio  dovrebbero cercare di rimediare a quel problema, in modo che nell’organismo non ci si limiti a parlare  (spesso a sparlare) di giovani, ma se ne apprezzi la collaborazione.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

sabato 23 dicembre 2023

Dai molti uno

 

Dai molti uno

 

 Sullo stemma degli Stati uniti d’America c’è il motto “Ex pluribus unum”, che significa “Dai molti, uno” ed evoca la concordia popolare per costruire il nuovo stato americano. Potrebbe andar bene anche per indicare uno degli scopi del nuovo Statuto dei Consigli pastorali parrocchiali della Diocesi di Roma:

FINALITÀ

art. 3

[…]

j.       favorire la comunione tra i cristiani di diversa formazione culturale, sociale e religiosa e tra i gruppi ecclesiali, al fine di costituire insieme la comunità ecclesiale; […]

 

 Costituire  la comunità ecclesiale è cosa diversa dal semplice governarla. E il suo governo  va oltre la semplice amministrazione dei beni parrocchiali, che comprende anche l’assegnazione degli spazi e delle attrezzature parrocchiali ai vari gruppi che la parrocchia abitano.

  Fare dei molti uno va però oltre le possibilità degli esseri umani, la cui individualità, legata al possesso di una mente, non è comprimibile se non in limiti piuttosto contenuti. Insomma, i molti rimarranno sempre molti. In questo, le politiche che vorrebbero costruire le società umane rendendole come organismi viventi, facendone diventare i molti  solo delle loro parti,  sono irrealistiche. Quella delle società-corpi rimarrà solo una metafora per indicare relazioni più intense, appunto comunitarie.

  La socialità umana più intensa, quindi comunitaria, si manifesta solo su piccola scala. Rimando su questo all’interessante libro dell’antropologo inglese Robin Dunbar, Amici, pubblicato in traduzione italiana da Einaudi 2022, anche in e-book e kindle. Formiamo società immense, ma la nostra indole comunitaria si manifesta in gruppi molto piccoli, in cerchie, secondo il lessico di Dunbar, tanto più piccole quanto più intese sono le relazioni tra i loro membri. In genere la cerchia più larga in cui siamo coinvolti non conta più di centocinquanta persone. Oltre ci sono solo delle folle indistinte. La cerchia con le relazioni più intense conta circa cinque persone. Ma quando facciamo conversazione, riusciamo a dialogare contemporaneamente con non più di tre persone. I gruppi di cinque, allora, si dividono in uno da due e uno da tre. Nelle riunioni con più di una trentina di persone fatichiamo a seguire tutte. Ci viene spontaneo costituire gli organismi collegiali decidenti, nei quali bisogna discutere il da farsi, in modo che non superino la trentina di persone. E, così, anche i Consigli pastorali parrocchiali riformati a Roma  saranno composti da circa venticinque membri.

  In natura non esistono popoli, ma solo queste cerchie, che si intrecciano tra loro in vari tipi di relazioni, mediate da miti e diritto. Sono questi ultimi che, fino ai nostri tempi, ci hanno consentito di costituire società enormemente più grandi piccole cerchie in cui altrimenti saremmo confinati, mantenendo tuttavia la percezione emotiva di essere in comunità. Ad essi si stanno aggiungendo gli strumenti di trattamento di informazioni che vanno sotto il nome di Intelligenza artificiale, espressione fuorviante perché non si tratta di intelligenza, ma solo di sistemi di trattamento dei dati che imitano le reti neurali del nostro cervello, né di qualcosa di artificiale, bensì di sistemi non umani. I sistemi di intelligenza artificiale ci rendono in grado di mantenere consapevolezza anche nel caso di realtà estremamente complesse, che sfuggirebbero ai nostri sensi e alle nostre menti. Una folla composta da persone dotate ciascuna di un dispositivo che trasmetta informazioni personali a un sistema di intelligenza artificiale non è più un insieme indistinto: è ciò che già ora accade con la grande diffusione degli smart phone, espressione che letteralmente significa telefono intelligente, ma che in realtà indica un dispositivo in grado di relazionarsi con sistemi di intelligenza artificiale. Comunque, diritto e intelligenza artificiale non bastano a fare comunità, senza il mito. Il mito può renderlo possibile perché è carico di elementi emotivi e la nostra è una mente emotiva.

  In filosofia quelle nostre cerchie  di socialità, dense di elementi emotivi, sono state anche definite mondi vitali, o espressioni simili, perché è in esse e da esse  che ogni persona ricava il senso emotivo della sua esistenza. L’organizzazione sociale in grande ci è necessaria, ai tempi nostri in cui siamo in otto miliardi sul pianeta, per sopravvivere; ma lo sono anche i nostri, molto più limitati, mondi vitali, e quelli in cui siamo più coinvolti li sentiamo come delle famiglie.

  La parrocchia è una istituzione sociale in grande, mediata da miti e diritto. Il nuovo Statuto rientra in quest’ultimo. La mitologia è attualmente quella religiosa di tipo comunitario, con marcata impronta organicista. Nella parrocchia si manifestano molti mondi vitali e la sfida dello Statuto  è quelli di mantenerli collaboranti e in pace tra loro, e anche di attrarne altri da fuori. In qualche modo, il nuovo Consiglio pastorale parrocchiale  viene presentato come un nuovo  mondo vitale, quindi caratterizzato da intense intese emotive tra chi vi partecipa, che ha lo scopo di tessere relazioni positive, collaborative, tra i mondi vitali attratti nell’ambito parrocchiale. Altrimenti, ce ne rendiamo bene conto, essi rimangono estranei l’uno all’altro. L’equilibrio che così si vuole comporre sarà però sempre instabile, perché questa è la condizione permanente di tutte le società umane, e quindi il lavoro di costruzione comunitaria non avrà mai fine: questo perché le persone che fanno comunità cambiano nel tempo, non solo nell’avvicendarsi delle generazioni ma anche per il passaggio di ogni persona nelle varie età della vita.

  Molto giustamente è stato osservato che, per raggiungere quello scopo, non basta istituire procedure come quelle che in altri enti territoriali, ad esempio in un Comune, sono usate per legittimare politicamente e giuridicamente organismi di governo e programmi di azione. In questo senso, la sinodalità come viene prospettata nei processi sinodali in corso di questi tempi, dei quali lo stesso nuovo Statuto  è espressione, non si esaurisce nel decidere chi e come comanda e le forme di partecipazione allargata alle decisioni, ma vorrebbe indurre nuovi intrecci di mondi vitali in modo da suscitare quella che potremmo definire la gioia del partecipare, vale a dire quel desiderio emotivo delle persone dello stare e del lavorare insieme senza il quale una realtà come quella di una chiesa non si manifesta (e allora la gente viene solo come spettatrice o utente, quando le serve).

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli