ELEZIONI POLITICHE 2022
-18-
Appunti per una scelta consapevole
********************************************
Ogni gruppo
politico è un’organizzazione sociale. E’ politico perché si propone di influire sul governo di una società. In un ordinamento
democratico, il primo passo per riuscirci è quello di esprimere una forza
parlamentare sufficiente a deliberare leggi e a legittimare un governo. Per
questo i gruppi politici presentano candidati alle elezioni. Fanno propaganda
elettorale per convincere gli elettori a votarli. Il secondo passo è
organizzare la propria forza parlamentare perché elabori leggi e le faccia
deliberare dal Parlamento e organizzare un governo che si presenti al
Parlamento per ottenere la fiducia e prenda il controllo dell’amministrazione
dello stato. Quest’ultima non dipende dalla volontà degli elettori, è
precostituita per legge ed è un’organizzazione di funzionari, impiegati,
tecnici (come medici e ingegneri), militari, e altre figure professionali che
lavora per realizzare l’interesse pubblico in vari campi, ad esempio riscuote i
tributi, organizza la difesa nazionale e la polizia di sicurezza, gestisce le
relazioni con gli altri stati e con organizzazioni internazionali, realizza
opere pubbliche e via dicendo.
Il lavoro della propaganda elettorale,
necessario per costituire le condizioni per realizzare un programma politico, è
diverso da quello parlamentare e di governo. Un gruppo politico dovrebbe avere al suo interno persone capaci di svolgerli
entrambi o un’organizzazione di cui facciano parte, oltre alle persone che si
occupano di propaganda, anche altre che abbiano le competenze per l’altro
lavoro. Se queste ultime mancano, quel gruppo politico è sostanzialmente un comitato
elettorale. Se riuscirà ad avere una forza parlamentare cercherà di usarla
decidendo di volta in volta come, con l’obiettivo principale di accrescerla o,
almeno, di mantenerla. Finirà fatalmente per metterla a disposizione di progetti
altrui, perché in fondo non ne ha di
propri, salvo quello di occupare posizioni di potere. In queste condizioni è
alto il rischio di corruzione, che si ha quando un politico lavora per
arricchire sé e i suoi con la politica,
invece che agire nell’interesse di tutti. Un indizio del fatto che un gruppo
politico sia o sia diventato più che altro solo un comitato elettorale è dato
dai più frequenti cambi di gruppo, perché gli aderenti, ad un certo punto,
trovano più conveniente per sé transitare in un altro gruppo, ed altri
aderiscono per lo stesso motivo. Negli anni Settanta, un esponente politico di
un partito della coalizione di governo se ne uscì con questa frase: “Questo
partito è diventato come il cesso della stazione: gente che va, gente che viene…”;
poco dopo, anche lui uscì dal partito.
Di solito in campagna elettorale, circolano
prevalentemente, per tentare di suscitare il consenso della gente, le persone
che in un gruppo politico, partito, movimento e simili, si dedicano
prevalentemente alla propaganda. Spesso, però sono anche loro candidate. I
gruppi meglio organizzati commissionano ad agenzie pubblicitarie la campagna e
quelle la strutturano come se si trattasse di vendere un altro prodotto, una
automobile o un telefono cellulare. Di solito cercano di mettere in risalto
l’esponente principale di quel gruppo politico, in modo che rimanga più
impresso nella mente degli elettori. Gli associano degli slogan diretti
all’elettorato di riferimento di quel gruppo, che possano suggerire che, votando
i candidati di quel gruppo, la situazione per chi lo ha sostenuto migliorerà.
Si punta a suscitare emozioni, non una riflessione matura. Del resto, ciò che
importa è che l’elettore, il giorno della votazione tracci un segno sul simbolo
del gruppo, o, come ora in Italia, anche solo sul nome del candidato per la quota maggioritaria. Ottenuto questo,
non ha molta importanza se ci si è arrivati inducendo emozioni superficiali.
Il lavoro di chi fa propaganda è quello,
anche se certamente non rispetta la serietà che la dottrina sociale richiede in
ogni campo della politica, agli elettori, ai candidati e agli eletti.
Il lavoro degli elettori è un altro: è quello
di approfondire le scelte, mettendo un po’ da parte le prime impressioni
emotive. Due sono gli aspetti che vanno curati: conoscere meglio il gruppo
politico che presenta candidati e saperne di più sui candidati.
Il gruppo politico si presenta come un
semplice cartello elettorale? Non ha, ad esempio, nella sua organizzazione dei
settori di studio e approfondimento per capire meglio i problemi? Si sia
consapevoli, allora, che i suoi eletti faranno anzitutto i propri interessi e
si aggregheranno secondo le loro convenienze, non secondo la maggiore o minore
adesione a un certo programma. Se si vuole mandare in parlamento gente che si
limiti ad agitare un po’ le acque, può anche andare bene, ma bisogna mettere
nel conto che qualcuno degli eletti possa dover decidere questioni molto
rilevanti per ciascuno di noi e, allora, potrebbero essere dolori. Tanto più
grave sarebbe il problema se quell’eletto riuscisse ad essere incaricato di un
ufficio di governo.
Quanto ai candidati, mediante il Web, su
internet, si può sapere molto di loro. Che lavoro fanno nella vita? Che studi
hanno fatto? Le loro esperienze di studio o di lavoro sono state positive? Hanno
precedenti esperienze in organi collegiali simili al Parlamento, come i
consigli comunali o regionali? Hanno fatto parte di organi di governo di altri
enti pubblici, ad esempio sono stati sindaci o assessori di un comune? E che
riuscita hanno fatto? Nel lavoro negli organi collegiali hanno saputo
coalizzare maggioranze aggregando anche esponenti di altre formazioni?
Una persona che non ha mai avuto precedenti
esperienze in campi affini al lavoro parlamentare o di governo, anche se non è stata
mai parlamentare o ministra, avrà bisogno di maggior tempo per ambientarsi e,
quindi, potrà fare poco nei primi mesi e, se non è diligente nell’aggiornarsi e
assidua nella frequenza parlamentare, potrebbe rimanere tale fino alla scadenza
del servizio. E’ accaduto. Nomi di richiamo, ad esempio artisti, furono eletti
e si videro poco in Parlamento. Abbiamo detto che la competenza degli eletti e
dei membri del governo è cruciale per la buona riuscita del loro servizio, ma
anche per le nostre vite, perché quando legittimiamo una classe parlamentare e
di governo nazionale mettiamo nelle sue mani le nostre vite.
Inoltre: i candidati sono persone buone?
Come sono, in altre parole, le loro relazioni con la gente? Tendono a dominare
sopraffacendo o sono aperti al dialogo? Sono persone violente? Inutile
illudersi che cambieranno una volta eletti o incaricati di funzioni di governo.
Mettere la nostra democrazia in mani simili significa porla in pericolo: una
volta al potere cercheranno di mantenerlo con ogni mezzo, passando sopra le
altre persone. In Italia è già accaduto dagli anni ’20 alla metà degli anni ’40
nel fascismo mussoliniano. Benito Mussolini fu sicuramente una personalità
violenta e sopraffattrice, così come molti dei suoi. Chi lo apprezza ancora
oggi va considerato elemento sospetto di inaffidabilità democratica.
Per la persona cattolica è anche importante
vedere che rapporto un candidato ha con la nostra Chiesa e non solo con la
gerarchia. Quest’ultima, infatti, in genere si è comportata in maniera
piuttosto opportunistica e spregiudicata in politica, contraddicendo in tal
modo la sua dottrina sociale, tanto è vero che considerò uomo della
Provvidenza il Mussolini, un ateo conclamato e pervicace, un uomo violento e
profondamente avverso all’etica evangelica.
Allora si può vedere nella biografia nel
candidato se c’è, ad esempio, la partecipazione ad associazioni o movimenti
ecclesiali o se è nota la sua attiva frequenza nella parrocchia di residenza. E
poi se nei suoi propositi elettorali entra qualcosa della dottrina sociale
corrente. Se ci fosse, ad esempio, la volontà di respingere in massa con la
violenza i miseri che cercano di giungere da noi per salvarsi la vita da
condizioni estreme, questo contrasterebbe palesemente con essa. Si tratterebbe
di proporre un gravissimo peccato sociale e, in più, una violazione palese
delle leggi italiane in merito, delle direttive dell’Unione Europea e dei
Trattati internazionali. Lo ha ripetuto chiaro e forte più volte papa
Francesco.
Tutto questo, naturalmente, per vagliare
l’affidabilità del candidato che in propaganda elettorale fa esplicita
professione di cattolicità o di cristianità. E’ solo un atteggiamento
strumentale per avere il nostro voto di persone di fede o risponde a una
convinzione profonda?
Naturalmente si osserva che pochi candidati,
oggi, e a differenza dei tempi della Democrazia Cristiana, mettono di mezzo la
loro professione di fede come virtù politica di cui gli elettori dovrebbero
tener conto.
Ma che fare se un candidato, che non tira in
ballo la sua fede religiosa, esprime propositi compatibili o addirittura
combacianti con la dottrina sociale, ma anche altri che sono con essa
incompatibili, ad esempio propone di introdurre la possibilità di ricorrere al
suicidio assistito?
Qui il problema è complesso ed è analizzato in modo molto dettagliato dalla
teologia morale, in particolare da quella cattolica.
Il principio è, in genere, quello di cercare
di ottenere il maggior bene possibile in una certa situazione concreta, quindi
accettando il male minore, non accettando il quale non si potrebbe avere il
maggior bene. Ma c’è un limite. Vi sono scelte che non devono essere fatte in
nessun caso e, in genere, esse riguardano la tutela della vita innocente. La
questione è delicata se, però, si presenta al momento della scelta di un
candidato e non, ad esempio, al momento di votare una certa legge, e in questo
caso si può votare contro quella volta senza uscire da una coalizione che ha un
programma più complesso, che comprende anche cose che si possono eticamente
condividere e benefiche per la gente. Legittimare o non legittimare al potere
una persona che ha orientamenti divergenti con l’etica cattolica in un certo
punto cruciale e, insieme, molti altri condivisibili? In certi casi la scelta è
facilitata per il fatto che, comunque, non ci sarebbero le forze politiche per
modificare un orientamento condiviso dalla grande maggioranza degli elettori.
Allora, anche se non si scegliesse quel candidato, la situazione non
cambierebbe, ma si dovrebbe rinunciare al suo appoggio su altri temi
condivisibili. E’ il caso della legge sull’interruzione volontaria della
gravidanza, confermata in un referendum popolare del 1981 con larghissima
maggioranza, che sicuramente comprese anche persone cattoliche. In quell’occasione il 68% dei votanti si
espresse contro l’abrogazione delle norme che consentivano l’interruzione
volontaria della gravidanza a certe condizioni e fino a un certo tempo della
gestazione, fondamentalmente per la tutela della salute della donna, e l’88% si oppose alla modifica di quella
stessa legge per estendere la possibilità di far ricorso a quella procedura.
Non credo che gli orientamenti fra gli italiani siano di molto cambiati, anche
perché la presa sulla gente dell’etica cattolica, a detta di molti esperti, è ulteriormente diminuita.
Certo, la questione assumerebbe un diverso aspetto se il candidato si
proponesse, ad esempio, leggi per
utilizzare l’interruzione volontaria della gravidanza a scopo
eugenetico, di miglioramento della specie, o a fini di violenza razzista,
per contenere il numero dei nuovi nati in certi gruppi di popolazione, o di politica della natalità, per impedire
alle famiglie di aver più di un certo numero di figli. In un caso simile,
sarebbe in questione non solo l’etica religiosa, ma anche quella democratica e
bisognerebbe sbarrare la strada al potere a una persona così.
In ogni caso, occorre andare oltre la
pubblicità propagandistica che mira ad azionare solo la nostra emotività
superficiale, e approfondire utilizzando tutte le fonti possibili. Alle
elezioni bisogna prepararsi con scrupolo, diligenza, non ci si può presentare
al seggio senza ancora aver deciso consapevolmente, come quando, a scuola, ci
si presentava impreparati il giorno del
compito in classe. Qui non è più questione di un brutto voto o di una
bocciatura, ma anche della vita nostra e della nostra famiglia.
Fatta
una scelta sbagliata non è facile rimediare, almeno per i cinque anni della
legislatura. Gli unici veri limiti al potere del parlamento sono dati, ma solo
in una certa misura e secondo presupposti piuttosto rigidi, dal potere del
Presidente della Repubblica, dalla Corte Costituzionale, dalla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo,
dall’organizzazione politica dell’Unione Europea e da quella delle Nazioni
unite. Per quasi cinquant’anni, all’epoca dell’egemonia politica della Democrazia
Cristiana, la situazione generale rimase piuttosto stabile, dal 2013 ha
cominciato a cambiare tumultuosamente in una direzione e nell’altra, segno che
ci sono sofferenze ed esigenze della popolazione che la politica nazionale non
riesce a rappresentare, per cui gli elettori si spostano in massa e velocemente
da una parte e dall’altra dello schieramento secondo il principio “Proviamo
anche questi!”. Ma eleggere un parlamento non è come fare un giro di prova
su una nuova autovettura alla concessionaria: una volta che ci si è saliti
sopra è difficile scendere prima che arrivi la scadenza del suo mandato.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli