ELEZIONI POLITICHE 2022
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Appunti per una scelta consapevole
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Dall’articolo del prof. Giuseppe Lorizio “La
scelta politica di fondo nel tempo delle vacche magre”, pubblicato su Avvenire
on line dal 4-9-22, nella rubrica Oltre gli slogan
Nei giorni
scorsi è rimbalzata sui media l’affermazione del presidente francese Emmanuel
Macron che ha proclamato la «fine dell’abbondanza», indicando, per la Francia e
il contesto in generale, l’accadere dell’epoca di «un grande cambiamento o di
un grande sconvolgimento».
[…]
E di fronte alla «fine dell’abbondanza» ho
aperto le pagine del capitolo 41 del libro della Genesi, dove Giuseppe è
chiamato a interpretare i sogni del faraone, ma anche a fornire indicazioni
perché il popolo attraversi la crisi senza subire troppi danni.
È una lezione di teologia della storia, che ci
mette in guardia dall’enfasi che spesso siamo tentati a porre sull’idea di
'progresso'. Un mito che un fine intellettuale come Gennaro Sasso, già negli
anni 80 del secolo scorso, ci ha aiutato a relativizzare e che papa Benedetto
XVI, nell’enciclica Spe salvi (2007),
ha posto sotto la lente di un’acuta critica, ispirata dagli esiti della
dialettica dell’Illuminismo teorizzata dalla scuola di Francoforte. Nell’attesa
delle vacche magre, cosa dovremmo fare, visto che tra breve saremo tutti
chiamati a scegliere chi dovrà governarci?
E anche l’astensione sarà una scelta, anche se
non condivisibile. Nel racconto biblico Giuseppe invita il faraone a scegliere
«un uomo intelligente e saggio» (Gen 41, 33) da mettere a capo della gestione
della crisi, e inoltre a «istituire commissari sul territorio, per prelevare un
quinto sui prodotti della terra d’Egitto durante i sette anni di abbondanza.
Essi raccoglieranno tutti i viveri di queste
annate buone che stanno per venire, ammasseranno il grano sotto l’autorità del
faraone e lo terranno in deposito nelle città. Questi viveri serviranno di
riserva al paese per i sette anni di carestia che verranno nella terra
d’Egitto, così il paese non sarà distrutto dalla carestia» (Gen 41, 34-36).
Thomas Mann, nel suo capolavoro Giuseppe
e i suoi fratelli, completa l’identikit di colui o colei [mi piace
pensare che uomo nel racconto stia per essere umano e non per maschio] che
dovrà governare nel tempo della carestia: «Un uomo accorto e saggio, in cui sia
lo spirito dei sogni, lo spirito dello sguardo che tutto vede e sovrasta, lo
spirito della previdenza [...]». E poco prima: «Il signore dello sguardo che
tutto vede e sovrasta diventi il disciplinatore dell’abbondanza.
Egli la domini severamente e, finché essa
dura, tolga giorno per giorno tutto quel che occorre per poter padroneggiare in
seguito la mancanza ». Insomma, per governare il tempo della povertà bisogna
vigilare sul tempo del benessere. E, mentre ci accingiamo a scegliere chi dovrà
gestire il tempo della povertà, siamo chiamati a prendere coscienza che quanti
saranno chiamati a governare domani e governano l’oggi dovranno vigilare con
attenzione e rigore sulle speculazioni in atto e combattere l’evasione fiscale,
che, come Chiese, non possiamo non stigmatizzare e indicare come 'peccato' da
non sottovalutare.
[…]
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E’ incredibile la difficoltà che si ha nel
ricercare negli argomenti spesi in questa campagna elettorale qualcosa che vada
oltre battibecchi e ripicche personalistiche. Per questo da più parti se ne
lamenta l’estrema povertà: vale a dire che chi ascolta non è messo nelle
condizioni di fare una scelta consapevole, perché le parti nascondono problemi
e posizioni dietro una sorta di teatrino.
Il prof. Lorizio, che insegna teologia
fondamentale e altro all’Università Lateranense di Roma, ha notato che il
presidente francese Emmanuel Macron della fine di dell’abbondanza e di tempi duri che si avvicinano. Molti
indizi lo confermano. C’è una guerra vicina che ha fatto aumentare moltissimo i
costi dell’energia e questo sta inducendo una recessione economica. La guerra potrebbe
estendersi: in realtà l’Italia, nel contesto della N.A.T.O. e dell’Unione
europea la sta già combattendo. Abbiamo cooperato ad applicare ritorsioni
contro la Federazione Russa, che il 24 febbraio di quest’anno ha invaso l’Ucraina
iniziando la guerra, e stiamo aiutando militarmente l’Ucraina. Stiamo subendo,
a nostra volta, delle ritorsioni e, soprattutto, ci è venuto meno il grande
mercato russo dal quale acquistavamo energia a basso costo e verso il quale
esportavamo. La nostra industria del turismo ha risentito pesantemente della
drastica diminuzione degli arrivi dei russi. Questo è il contesto in cui dovrà
operare il nostro prossimo governo. Per nostra buona sorte, fino al 2026 erano
stati programmati degli aiuti finanziari da parte dell’Unione Europea
condizionati all’attuazione di un programma di riforma. Senza riforme, niente
più denaro. Questo attutirà la caduta, ma non dobbiamo farci illusioni su di
essa. La crisi dipende da una guerra che non è in potere della sola Italia far
cessare e nemmeno possiamo chiamarcene fuori unilateralmente. Possiamo solo cercare
di influire nel concerto delle nazioni per convincere le parti in conflitto,
che non sono più solo l’Ucraina e la Federazione russa, ma quest’ultima contro
la N.A.T.O e l’Unione Europea, a giungere ad un trattato di pace. Poiché le
parti non sembrano intenzionate nemmeno a cominciare a negoziare su di esso,
dobbiamo prevedere realisticamente che la guerra e la conseguente crisi
economica dureranno a lungo.
Così, alla luce
di questo scenario, tutte le solite promesse di benefici distribuite dai
candidati al proprio elettorato hanno, in genere, l’aspetto di espedienti per
accattivarsi il voto se non indicano come sostenerne il costo, in un contesto,
appunto, di fine dell’abbondanza,
non di ripresa come si sperava. E’ un costume gravemente immorale: sono bugie.
C’è un comandamento che le vieta come peccato:
Dal Catechismo della Chiesa cattolica:
L'OTTAVO
COMANDAMENTO
« Non
pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo » (Es 20,16).
« Fu detto
agli antichi: "Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi
giuramenti" » (Mt 5,33).
2464 L'ottavo comandamento proibisce di falsare la verità nelle
relazioni con gli altri. Questa norma morale deriva dalla vocazione del popolo
santo ad essere testimone del suo Dio il quale è verità e vuole la verità. Le
offese alla verità esprimono, con parole o azioni, un rifiuto di impegnarsi
nella rettitudine morale: sono profonde infedeltà a Dio e, in tal senso,
scalzano le basi dell'Alleanza.
Come sarà possibile, in un tempo di grave
crisi economica, tagliare le tasse a tutti, finanziare tutti? Bisognerà fare delle scelte, ci sarà
chi avrà e chi no. Di solito, paradossalmente, quelli che non ricevono sono coloro
che in società stanno peggio e che, quindi, in tempi di crisi stanno ancora
peggio. E’ strano che possa accadere in un sistema democratico in cui la maggioranza
dovrebbe comandare. Se i più stanno peggio, com’è che poi, in democrazia, sono
quelli che ci rimettono quasi sempre nella distribuzione? La spiegazione è semplice:
perché vengono convinti a scegliere contro il proprio interesse con delle bugie.
Perché, altrimenti, quelli che temono di
essere licenziati dovrebbero appoggiare norme che consentono di licenziare più
facilmente? Perché quelli che beneficiano di un finanziamento pubblico
riservato a quelli che non riescono a trovare un lavoro dovrebbero appoggiare
norme che tagliano quel finanziamento?
La dottrina sociale raccomanda di scegliere
per occuparsi degli affari pubblici persone intelligenti e sagge e,
soprattutto, buone, della virtù cristiana, quella che prende sul serio i Comandamenti,
compreso quello che considera peccato la menzogna.
Dal Compendio della dottrina sociale
b) L'autorità come
forza morale
396 L'autorità deve lasciarsi guidare dalla legge morale: tutta la sua
dignità deriva dallo svolgersi nell'ambito dell'ordine morale, « il quale si fonda in Dio, che ne è il primo principio e
l'ultimo fine ». In ragione del necessario riferimento a quest'ordine,
che la precede e la fonda, delle sue finalità e dei destinatari, l'autorità non
può essere intesa come una forza determinata da criteri di carattere puramente
sociologico e storico: « In alcune... concezioni, purtroppo, non si riconosce
l'esistenza dell'ordine morale: ordine trascendente, universale, assoluto,
uguale e valevole per tutti. Viene meno così la possibilità di incontrarsi e di
intendersi pienamente e sicuramente nella luce di una stessa legge di giustizia
ammessa e seguita da tutti ». Questo ordine « non si regge che in Dio:
scisso da Dio si disintegra ». Proprio da questo ordine l'autorità trae la
virtù di obbligare e la propria legittimità morale; non
dall'arbitrio o dalla volontà di potenza, ed è tenuta a tradurre tale
ordine nelle azioni concrete per raggiungere il bene comune.
397 L'autorità deve riconoscere, rispettare e promuovere i valori umani e
morali essenziali. Essi sono innati, « scaturiscono dalla
verità stessa dell'essere umano ed esprimono e tutelano la dignità della
persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno
Stato potranno mai creare, modificare o distruggere ». Essi non trovano
fondamento in provvisorie e mutevoli « maggioranze » di opinione, ma devono
essere semplicemente riconosciuti, rispettati e promossi come elementi di una
legge morale obiettiva, legge naturale iscritta nel cuore dell'uomo (cfr. Rm 2,15),
e punto di riferimento normativo della stessa legge civile. Quando, per un
tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo giungesse a
porre in dubbio persino i principi fondamentali della legge morale, lo
stesso ordinamento statale sarebbe scosso nelle sue fondamenta, riducendosi a
un puro meccanismo di regolazione pragmatica dei diversi e contrapposti
interessi.
398 L'autorità deve emanare leggi giuste, cioè conformi alla dignità della
persona umana e ai dettami della retta ragione: « La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta
ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in
contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa
di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza ». L'autorità che
comanda secondo ragione pone il cittadino in rapporto non tanto di sudditanza
rispetto a un altro uomo, quanto piuttosto di obbedienza all'ordine morale e,
quindi, a Dio stesso che ne è la fonte ultima. Chi rifiuta obbedienza
all'autorità che agisce secondo l'ordine morale « si oppone all'ordine
stabilito da Dio » (Rm 13,2). Analogamente l'autorità
pubblica, che ha il suo fondamento nella natura umana e appartiene all'ordine
prestabilito da Dio, qualora non si adoperi per realizzare il bene comune,
disattende il suo fine proprio e perciò stesso si delegittima.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro Valli