ELEZIONI POLITICHE 2022
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Appunti per una scelta consapevole
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La Democrazia cristiana, il partito cristiano come lo definì uno dei suoi più informati storici, Gianni Baget Bozzo (1925-2009), fondato da Alcide De Gasperi ed altri nel 1942, durante la Seconda guerra mondiale, è stato il maggior partito italiano dal 1946 al 1994. Alle elezioni politiche del 1948 ebbe anche la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera dei deputati e al Senato. La sua costituzione si basava su un patto con il Papato: il partito avrebbe difeso anche gli interessi politici del Papato e quest’ultimo gli avrebbe assicurato quel consenso elettorale che era indispensabile per costruire la nuova democrazia italiana dopo la caduta del regime fascista mussoliniano. Quell’accordo fu mediato da Giovanni Battista Montini, papa dal 1963 con il nome di Paolo 6º, che all’epoca aveva un importante incarico nella Segreteria di stato Vaticana. Ho letto che la bozza dell’art.7 della Costituzione, che inserì in Costituzione i disonorevoli Patti Lateranensi conclusi nel 1929 con il governo fascista dell’epoca, impersonato dal suo capo Benito Mussolini, fu scritta da Montini e da Giorgio La Pira, all’epoca membro della Sottocommissione dell’Assemblea Costituente incaricata di redigere il testo dei Principi fondamentali della nuova Costituzione.
Il Papato aveva ordinato all’Azione Cattolica italiana la costruzione di una nuova democrazia con una serie di radiomessaggi natalizi tra il 1941 e il 1944. L’Azione Cattolica italiana era stata fondata nel 1906 sostanzialmente come braccio politico del Papato nel clima di democrazia liberale del Regno d’Italia, con il quale il Papato era in forte polemica rivendicando la restituzione di un suo regno nel Centro Italia, del quale era stato spossessato dagli italiani mediante conquista militare il 20 settembre 1870. Questo contrasto veniva definito Questione romana e venne appianato con i Patti Lateranensi del 1929. Il Papato ne ebbe la Città del Vaticano, che, benché entità minuscola, gli crea infiniti problemi, nonostante tutti i tentativi di riforma.
L’Azione Cattolica dalla sua fondazione aveva organizzato una profonda formazione popolare alla politica, anche verso le masse femminili, e nei suoi rami intellettuali, la FUCI, gli universitari cattolici, e il Movimento dei Laureati Cattolici, preservati dalla generale fascistizzazione dell’associazione prodottasi dopo i Patti Lateranensi, aveva preparato una nuova classe dirigente politica, di alto livello. Quest’ultima, al tempo dell’Assemblea Costituente che, eletta nel giugno 1946, ultimò la stesura della nuova Costituzione al termine del 1947, aveva già pronto un progetto di nuova democrazia, elaborato in seminari tenuti nell’estate del 1943 nella foresteria del monastero di Camaldoli, nel Casentino: ciò che venne definito Codice di Camaldoli. Questa nuova classe dirigente, composta, oltre che da persone provenienti dall’Azione Cattolica, anche da persone formatesi nell’Università Cattolica del Sacro Cuore e in altri cenacoli minori di cattolici democratici, formò, nella Dc, il nerbo della forza parlamentare e di governo del nuovo partito. Questo nuovo ceto politico mostrò una particolare sapienza nel costituire coalizioni di governo con altre forze politiche democratiche e questo anche quando la DC avrebbe potuto fare tutto da sé, avendo la maggioranza assoluta. Questo assicurò alla DC quella lunga egemonia di cui dicevo. Alcuni, in Italia e all’estero, osservano che i governi italiani al tempo del dominio democristiano erano di breve durata, ma dimenticano che la formula politica che vedeva al governo coalizioni guidate dalla Dc assicurò al sistema politico italiano una eccezionale stabilità, che in Europa non ebbe pari.
Questo sistema iniziò a declinare dalla fine degli anni ’60, quando l’Azione Cattolica, sotto la guida di Vittorio Bachelet, facendo la cosiddetta scelta religiosa, si svincolò dal ruolo di serbatoio di voti e fucina di dirigenti per la Democrazia cristiana. Quella scelta non significò volersi occupare solo di religione, ma affrontare i temi sociali, al centro del lavoro di riforma svolto nel Concilio Vaticano 2º, senza la pretesa che una posizione politica derivasse necessariamente e direttamente dalla religione e che, in particolare, l’unico modo di fare politica per una persona cattolica fosse nella Democrazia Cristiana. Si trattò della desacralizzazione della politica e ne conseguì progressivamente la fine dell’unità politica dei cattolici. Negli anni ’80 la DC si laicizzò progressivamente, seguendo la tendenza per la secolarizzazione della politica, mentre il Papa Giovanni Paolo 2º, polacco, sembrò avere più a cuore i problemi politici europei che quelli italiani, che conosceva poco. In quegli anni, caratterizzati da un’effimera ripresa economica dopo le due crisi recessive manifestatesi nel decennio precedente, nella Dc iniziarono a manifestarsi gravi problemi di corruzione della politica, per cui il partito, come altri, inizio a finanziarsi drenando risorse dai finanziamenti relativi ai contratti pubblici (le cosiddette tangenti): lo scandalo scoppiò in modo eclatante all’inizio degli anni ’90, quando nella Dc si produssero scissioni. Il partito cambiò anche il nome in Partito popolare, come il primo partito di ispirazione cristiana, fondato dal prete siciliano Luigi Sturzo nel 1919 e sciolto, come gli altri, ad eccezione del mussoliniano Partito Nazionale Fascista, nel 1926 dal regime fascista.
Durante la mia giovinezza, all’epoca in cui la DC fu egemone, le elezioni riservavano poche sorprese. Le variazioni elettorali erano minime. Il mondo cattolico assicurava voti e un ceto parlamentare e di governo all’altezza. Questo era riconosciuto anche dagli altri partiti, anche se aspramente critici con le politiche dei governi. Addirittura gli altri partiti delle coalizioni di governo a guida DC accettarono talvolta di sorreggere, in particolare negli anni ’70, governi monocolore democristiani, vale a dire composti tutti da democristiani.
Dalla metà degli anni ’90, a seguito di varie riforme delle leggi elettorali la situazione cambiò progressivamente. Prima, a lungo si produsse l’alternanza di coalizioni di governo di opposto orientamento. Dal 2013 abbiamo avuto il quasi completo rinnovamento del ceto politico, con l’annientamento delle tendenze cattolico-democratiche, e con l’emergere impetuoso di nuove formazioni o di formazioni che c’erano già prima ma che si erano radicalmente rinnovate. Contemporaneamente si sono iniziati a manifestare problemi nella capacità politica delle nuove classi parlamentari e di governo di mantenere orientamenti duraturi e coerenti, di far fronte con sufficiente competenza ai problemi e, soprattutto, di costituire coalizioni salde. Questo è stato avvertibile anche durante la campagna elettorale che si sta concludendo, dove la propaganda si è concentrata su schermaglie personalistiche tra i segretari politici dei partiti, senza far emergere posizioni intelligibili sui due principali problemi dell’oggi, strettamente collegati: la guerra in Europa orientale e la recessione economica che ne sta derivando a causa dell’aumento dei costi dell’energia e del venir meno del grande mercato russo.
Gli elettori non sono messi in condizione di capire più di tanto. In genere ci si limita a promettere soldi agli ambienti di riferimento senza adempiere all’obbligo costituzionale di spiegare come far quadrare i conti, tenendo conto della crisi economica che fatalmente ridurrà le entrate tributarie.
Ma probabilmente gli stessi candidati non sono in condizioni di capire. I parlamentari uscenti lamentarono di essere stati costretti approvare il PNRR Piano Nazionale di ripresa e resilienza, l’importante programma di riforma al quale sono condizionati i cospicui finanziamenti decisi in sede di Unione Europea per incentivare il superamento della crisi determinata dall’epidemia di COVID-19, senza aver potuto prendere reale consapevolezza del suo complesso testo. Questo significa che, in quel caso, il Governo è riuscito a liberarsi da un controllo effettivo del Parlamento. Del resto il tempo era poco. Ma si è trattato di una cosa potenzialmente pericolosa. La competenza del ceto dirigente è condizione essenziale per il funzionamento delle complesse democrazie contemporanee.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli