Noi e il soprannaturale
Perché non scrivo quasi mai delle cose di cui
si occupano i teologi, insomma del soprannaturale?
Principalmente perché non sono un teologo. La
teologia, intorno al Tredicesimo secolo, è divenuta una scienza, ha il suo
metodo rigoroso e richiede conoscenze minime di base che io non ho.
Altra cosa è il teologhese, il gergo a sfondo teologico parlato
nell’associazionismo cattolico: è impreciso e confuso, non mi servirebbe e non
vi servirebbe a nulla. Del resto, a chi ne senta necessità, non difettano i
mezzi per abbeverarsene: viene usato dalla gran parte delle fonti religiose destinate
ai fedeli.
Inoltre, per quanto sembri paradossale, la
teologia, come la si pratica tra i cattolici ed altri cristiani, non fa parte
dell’essenziale della religione, ma dell’organizzazione del potere
ecclesiastico. Quindi ha più a che fare con il diritto. Proprio per questo, in
tempi di riforma è più che altro di ostacolo, almeno agli inizi.
Storicamente la teologia è stata strumento di
un potere ecclesiastico esercitato brutalmente, che l’ha anche plasmata. Tra i
cattolici la teologia in genere non ragiona ancora in modo sinodale. Riuscirà a
farlo quando, progredendo il movimento per la riforma sinodale, la sinodalità
si diffonderà nella pratica religiosa e allora ci si ragionerà sopra per
costruirvi istituzioni rinnovate. Tuttavia questo rinnovamento è già sensibile,
in particolare tra le teologhe. Il problema è che i teologi che sono anche
preti o religiosi rischiano il posto di lavoro, perché la gerarchia sa essere
spietata contro i dissenzienti e i rinnovatori, del resto in linea con una
lunghissima e triste tradizione.
Questo anche se negli ultimi anni,
sull’impulso del movimento sinodale che il Papato di Francesco vorrebbe
innescare, i teologi si sono confrontati ampiamente su sinodo e sinodalità e
anche in Italia sono usciti diversi testi in merito destinati anche al largo
pubblico, non solo agli specialisti. Ne ho letti di molto interessanti. Hanno
tentato di ancorare la nuova sinodalità secondo papa Francesco a ciò che c’è
stato nei due millenni precedenti, ma infruttuosamente, mi pare. Si tratta in
realtà di un bello stacco rispetto ad essi. Impossibile, in particolare,
viverla mantenendo integra l’attuale struttura gerarchica del potere
ecclesiastico, egemonizzata da un clero tutto maschile e strutturata
sull’antico modello feudale. Questo spiega perché l’episcopato italiano ha
diretto il processo sinodale avviato lo scorso autunno cercando di farne solo
una specie di liturgia dominata dal clero, riducendo a nulla la fase dell’ascolto.
Finora, quindi, nulla ne è scaturito. In Germania, dove si stanno
celebrando le ultime fasi di un lungo sinodo nazionale che ha visto la
partecipazione in ruoli di primo piano delle persone laiche, è andata
diversamente, ma lì è venuto l’ordine di arrestarsi da parte della Curia
Vaticana, e vedremo se sarà obbedito. Si tratta, in questo caso, della
manifesta sconfessione del principio di sinodalità che invece si vorrebbe porre
a base della riforma.
Quando parliamo di praticare la sinodalità, che è una modalità di relazione
tra le persone, non abbiamo bisogno della teologia, ci bastano i miti religiosi
di base. Quando parlo di mito non
intendo favola, racconto immaginario, insomma qualcosa di sostanzialmente falso. Il mito è una narrazione
esplicativa che dà senso alla socialità umana e rende possibile costruire
società immensamente più ampie dei piccoli gruppi di individui in cui,
altrimenti, saremmo confinati per limiti biologici di specie. Ogni mito, anche
se espresso in termini immaginifici, ma qui è questione solo di genere
letterario, è necessariamente aderente alla realtà come è vissuta da una data
società. Quindi è qualcosa di molto serio, tanto che ad esso si affida il senso
della vita collettiva e personale.
Certamente nel mondo c’è il soprannaturale:
principalmente è dato dalle società umane che cercano di staccarsi dalla
crudele legge di natura, dove vige la legge del più forte e i più deboli
vengono eliminati e, se appetitosi, anche mangiati. Eppure noi siamo viventi
naturali, non dobbiamo mai dimenticarlo. E si postula che la natura sia stata creata:
ne parliamo infatti come della Creazione. Dunque, e questa è un’idea molto antica, ci
parla del Creatore. Ne scrisse, tra gli altri, Galileo Galilei
[1564-1642], che viene ritenuto il precursore del metodo delle scienze naturali.
Alla sua epoca, si riteneva che la natura fosse una prova dell’esistenza di un Creatore come la
teologia lo immaginava. Quindi si perseguitava chi, studiando la natura,
ne ricavava dati che non corrispondevano a quell’immagine. Galilei sostenne che
la natura è come un libro, che può essere letto da chi ne intende il linguaggio
e, come la Bibbia, ci parla del volere del Creatore rendendo intelligibile
l’opera sua, la sua Creazione. Il
problema è saper leggere quel libro.
Ma la natura, assoggettata com’è alla legge
della violenza, non ci parlerebbe di un Creatore buono, se nella Creazione
non fosse compresa l’umanità. Essa è
parte della natura, ma, al tempo stesso, vorrebbe superarne la violenza. Quest’ultima
è profondamente connaturata all’animo umano, ma, al tempo stesso, tende a
distruggere le società umane, essendo quindi, per esse, un male. Da qui, quindi,
il mito della caduta, alle origini, e l’anelito alla liberazione da quel male.
Ecco come, nel racconto biblico della Creazione,
nel libro della Genesi, al Sesto giorno, si immagina una natura animale
libera dalla necessità di uccidere per alimentarsi, vegetariana per così
dire:
29.Dio disse:
«Vi do tutte le piante
con il proprio seme,
tutti gli alberi da frutta
con il proprio seme.
Così avrete il vostro
cibo.
30.Tutti gli
animali selvatici,
tutti gli uccelli del
cielo
e tutti gli altri viventi
che si muovono sulla terra
mangeranno l’erba tenera».
E così avvenne.
31-E Dio vide
che tutto quel che aveva fatto
era davvero molto bello.
Venne la sera, poi venne
il mattino:
sesto giorno.
[Dal libro della Genesi, capitolo 1, versetti da 29 a 31 – Gen 1,29-31]
Ora, se ci fermiamo al mito biblico,
prescindendo da tutto l’enorme, e a tratti efferato, apparato teologico che ci
si è costruito sopra, vediamo descritta realisticamente la nostra situazione di
esseri umani in questo tempo: viventi, parti della natura secondo la loro biologia, che anelano a superare
la natura verso un ordine sociale tra loro libero dalla violenza, per poi,
chissà?, cercare di estenderlo ad ogni vivente del quale abbiano la responsabilità.
In filosofia e in teologia, che condividono gran parte del loro linguaggio
specialistico, superare si dice trascendere
e quell’ordine pacificato di cui sentiamo prima o poi il desiderio struggente,
come se ci fosse stato tolto e andasse recuperato, ciò che il grande musicista
Luigi Nono descrisse come “Nostalgia del futuro”, ma che contrasta
duramente con la società e la natura in cui siamo immersi, è la trascendenza e, in quanto, trascendente,
è il soprannaturale.
E’ appunto questo suo orientamento trascendentale, quindi
diretto a superare ciò che c’è nella natura e nella società, che porta
la persona umana all’insoddisfazione verso gli ordinamenti sociali suoi contemporanei,
che al tempo stesso la fanno sopravvivere ma anche la limitano e l’opprimono. La
Chiesa, intesa come società che esprime istituzioni, in questo non è
differente, e qui si prescinde dal suo
profondo legame con il divino, descritto, nei limiti delle sue possibilità,
dalla teologia.
Osservare la società che si manifesta nelle nostre Chiese è importante,
perché è, insieme, natura che ci parla, ma anche umanità che ci parla del suo
desiderio di soprannaturale come liberazione da un presente oppresso dalla
violenza. Così, per riformare la Chiesa non bastano Bibbia e teologia. Ecco il
senso della fase di ascolto che
papa Francesco ha cercato, finora senza molto successo, di avviare al principio
del processo di riforma sinodale da lui, e, ripeto, più o meno solo da lui,
promosso.
Finché questo processo sinodale non vedrà la possibilità di
partecipazione reale della gente, ma sarà solo un’altra liturgia dominata da vescovi, clero e
religiosi, con tutti gli altri silenziati
o ridotti a recitare un copione scritto da altri registi, non ne uscirà
fuori nulla e procederà il triste cammino verso la dissoluzione della nostra
religione, diventata ormai socialmente inutile, almeno agli europei contemporanei.
Perché in tutto il resto del mondo, invece, le religioni sembrano
prosperare e, anzi, in grande recupero? Fondamentalmente, perché, da quelle
parti si vive una religione che non mette ancora in questione la necessità della
violenza sociale come strumento di consolidamento delle istituzioni. L’opposto
della sinodalità. Accade anche nell’Europa contemporanea: l’altro giorno il
patriarca ortodosso Cirillo di Mosca ha lanciato l’appello a una guerra santa,
a una vera e propria crociata contro un altro popolo in larga parte ancora cristiano,
gli ucraini, asserendo, proprio come al tempo delle stragiste Crociate del Medioevo
europeo, che, chi morirà combattendola,
sarà accolto nella pace del Padre. Parole blasfeme secondo l’ordine di idee di
papa Francesco più volte, e di recente anche durante il Congresso dei leader
delle religioni mondiali ad Astana – Kazhakistan, da lui insegnato.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli