Sinodo, comunione, religione
Si è scritto che la sinodalità ha a che fare con la comunione. Ma in che senso?
Prescindendo dal rigoroso senso teologico del
termine, possiamo descrivere la comunione come un effetto sociale che si
ha mantenendo in comune una
mitologia di unità pur nelle controversie e divisioni che caratterizzano le
dinamiche sociali.
Il mito è una narrazione che ha la funzione di dare
senso a una situazione o a un
evento. Ogni persona costruisce in fondo su sé stessa un proprio mito. Però quando
si parla di mito, senza altre
precisazioni, si intende una narrazione destinata a dare un senso all’agire
sociale.
Le
religioni, tutte quante quelle che conosco, sono fatte di miti, di riti, di
spiritualità e di una organizzazione per creare comunione mediante essi.
La
spiritualità è una forma di manifestazione della nostra mente, condizionata dalle
basi biochimiche dell’emotività. Non è necessariamente legata alla religiosità.
Ve ne sono, ad esempio, forme totalmente desacralizzate come quella della Mindfulness,
la procedura di tranquillizzazione del corpo e della mente elaborata dal biologo statunitense Jon Kabat-Zinn osservando le tecniche orientali di spiritualità.
La nostra è una mente emotiva (ne ha
scritto il premio Noble Daniel Kahneman in Pensieri lenti e veloci, edito in traduzione italiana da Mondadori,
anche in e-book): questo significa che capiamo anche mediante le emozioni. Queste ultime sono
reazioni biologiche che solo parzialmente sono sotto il nostro controllo cosciente
e che sono prodotte dalla biochimica del nostro corpo sulla base di un’organizzazione
neurologica che l’evoluzione ha prodotto circa 200.000 anni fa.
La nostra mente, per i suoi limiti
biologici di specie che dipendono da come è fatto il nostro sistema neurologico,
ci confinerebbe in gruppi molto piccoli, più o meno di una trentina di
individui, le dimensioni sociali dei gruppi degli altri primati nostri contemporanei.
Di più: è stato osservato sperimentalmente che, per quei limiti biologici, non
siamo in grado di sostenere una conversazione con più di altre tre persone contemporaneamente.
Quando ci si incontra in gruppi maggiori, ci si divide in sottogruppi di non
più di quattro persone o si decide di ascoltare tutti una sola persona, e allora
è come se si conversasse in sole due persone. Ma, in quel caso, la relazione è
solo immaginaria, in realtà c’è una persona che parla e tutte le altre che
ascoltano, una vera conversazione non c’è. Si parla uno alla volta, è la regola degli incontri in gruppi fino a una trentina di persone. In
gruppi più grandi è impossibile che tutti parlino e che, insieme, siano anche ascoltati
da tutti. Per superare questi limiti si ricorre al rito, a una procedura
formalizzata basata su un mito sociale che induce una spiritualità personale.
Dopo, tutti si sentono in comunione, ed è emotivamente come se ci si fosse
realmente parlati. Questo ha reso possibile il governo di società sempre
maggiori. Ad un certo punto sulla religione hanno inciso elementi culturali
razionalizzanti ed è sorto il diritto. Quest’ultimo non è fatto solo di regole, ma sempre anche di miti, senza i quali non
avrebbe forza sociale. Di solito, questi miti si trovano riassunti nei preamboli
delle Costituzioni degli stati che si sono dati una costituzione.
Dall’Ottocento in Europa sono stati elaborati miti nazionali, che prima non c’erano,
per sorreggere il coinvolgimento sempre più ampio delle masse nelle faccende di
governo. Al centro di essi vi è l’idea di popolo, che, in
senso specificamente politico, è transitata anche nella dottrina sociale
contemporanea. La concezione biblica di Popolo di Dio è profondamente diversa.
La sinodalità come oggi viene
proposta nel magistero di papa Francesco, che ha profondamente innovato in
questo campo, incide su tutti i quattro aspetti della religiosità: il mito, il
rito, la spiritualità, l’organizzazione.
Perché non si può continuare come prima?
Come prima, naturalmente, non significa come sempre, perché la nostra religiosità è sempre profondamente mutata di generazione in generazione, seguendo le trasformazioni
sociali. La regola non è la fissità, ma il mutamento.
Anche i concetti fondamentali
della nostra teologia, il discorso razionalizzante sulle convinzioni religiose,
hanno avuto uno sviluppo storico e, in genere, un inizio piuttosto distante
dalle origini. E’ il caso dell’idea di Trinità, che fu introdotta
dallo scrittore cristiano africano Quinto Settimio
Fiorente Tertulliano, nato a Cartagine e vissuto tra il Secondo e il Terzo
secolo. Poiché aderì ad un movimento religioso che non ebbe successo tra i
vescovi dell’epoca, quello fondato da un immaginifico personaggio vissuto in
Anatolia, Montano, non viene considerato un Padre della Chiesa.
Come prima, vale a dire come si faceva
fino agli anni Cinquanta non si può continuare, anzi ritornare, perché
la società è molto cambiata e se la religione non darà risposte valide alle sue
esigenze di comunione, allora si estinguerà, come si sono estinte le religioni
precristiane.
Sono i modi della nostra partecipazione sociale
ad essere molto cambiati. Vogliamo capire meglio e, soprattutto, poter in
qualche modo aver parte nelle decisioni che si riguardano. La sinodalità consiste
essenzialmente in questo. Oggi, nella nostra Chiesa, non c’è, o almeno non c’è
nei riti e nell’organizzazione ecclesiastica, mentre si sta sviluppando nei miti
e nella spiritualità. I cambiamenti in religione iniziano a manifestarsi prima
di tutto nei miti e nelle spiritualità in cui le dinamiche sociali incidono
direttamente, senza alcuna mediazione. L’organizzazione, che di solito governa
i riti, di solito resiste.
La procedura di riforma sinodale avviata da
papa Francesco dovrebbe servire a comporre la disomogeneità che si è venuta
manifestando tra miti e spiritualità da una parte e riti e organizzazione dall’altra.
Non si tratta di un lavoro facile, perché non basta inventarsi una nuova narrazione
che metta di nuovo tutto insieme, ma anche fare i conti con l’emotività delle
persone.
Quando proclamiamo “Credo” impegniamo
anche la nostra emotività.
Ma il fatto che si stiano manifestando nuove
esigenze di spiritualità non significa che dappertutto sia così. Le generazioni
coesistono ma spesso risultano impermeabili le une alle altre. E qui viene in
rilievo in primo luogo un problema generazionale, ma più che altro di mentalità
generazionale. Chi, ad esempio, come
me è stato adolescente negli anni ’70 ha profondamente introiettato nuove esigenze
di spiritualità che all’epoca cominciarono a manifestarsi ma che nei decenni
seguenti furono disconosciute. Nella misura in cui ad esse è ancora legato, si
presenta con una mentalità più giovane rispetto a una persona, anche anagraficamente
più giovane, che è però legata alla spiritualità precedente.
Ecco che, quindi, abbiamo a che fare con il
problema del pluralismo, che comporta, se si prende sul serio la sinodalità,
di accettare la coesistenza di più forme sociali religiose diverse, adattando a
questa situazione miti e riti. Non bisogna farne un dramma o pretendere, come
nel nostro tremendo passato religioso, l’uniformità. Ma, sotto questo aspetto,
l’organizzazione ecclesiastica, rigidamente gerarchica, almeno sulla carta,
quindi per nulla sinodale (nel senso sopra precisato), resiste strenuamente e,
francamente, appare che il Papa, per quanto sulla carta praticamente onnipotente,
non possa farci nulla.
Del resto, una sinodalità solo per ordine
gerarchico è un controsenso. E’ importante, come ha fatto il Papa, aprire un
processo, ma poi devono essere le dinamiche sociali, la gente, a manifestarsi.
Vedremo come andrà. C'è da fare anche per noi.
Mario Ardigò - Azione
Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli