INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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giovedì 31 gennaio 2019

“La Pace è un Cammino“, di don Tonino


La Pace è un Cammino“, di don Tonino

A dire il vero non siamo molto abituati a legare il termine PACE a concetti dinamici.
Raramente sentiamo dire:
Quell’uomo si affatica in pace“,
lotta in pace“,
strappa la vita coi denti in pace“…
Più consuete, nel nostro linguaggio, sono invece le espressioni:
Sta seduto in pace“,
sta leggendo in pace“,
medita in pace
e, ovviamente, “riposa in pace“.
La pace, insomma, ci richiama più la vestaglia da camera che lo zaino del viandante.
Più il comfort del salotto che i pericoli della strada.
Più il caminetto che l’officina brulicante di problemi.
Più il silenzio del deserto che il traffico della metropoli.
Più la penombra raccolta di una chiesa che una riunione di sindacato.
Più il mistero della notte che i rumori del meriggio.
Occorre forse una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un dato, ma una conquista.
Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno.
Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo.
La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia.
Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio.
Rifiuta la tentazione del godimento.
Non tollera atteggiamenti sedentari.
Non annulla la conflittualità.
Non ha molto da spartire con la banale “vita pacifica”.
Sì, la pace prima che traguardo, è cammino.
E, per giunta, cammino in salita.
Vuol dire allora che ha le sue tabelle di marcia, i suoi ritmi, i suoi percorsi preferenziali e i suoi tempi tecnici, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni.
Forse anche le sue soste.
Se è cosi’, occorrono attese pazienti.
E sarà beato, perché operatore di pace,
non chi pretende di trovarsi all’arrivo senza essere mai partito, ma chi parte.
Col miraggio di una sosta sempre gioiosamente intravista, anche se mai – su questa terra s’intende – pienamente raggiunta.

Antonio Bello, don Tonino (1935-1993), vescovo di Molfetta


lunedì 28 gennaio 2019

Confini


Confini

 Quasi tutti gli attuali confini del mondo sono stati tracciati storicamente dagli europei con precisione geometrica tra il Settecento e il Novecento. Non corrispondono quasi mai ai confini etnici o culturali tra le popolazioni che vi sono incluse. Sono invece strettamente legati allo sviluppo delle organizzazioni statali che progressivamente vi si sono trincerate dentro, sia all’interno degli stati che tra gli stati. All’interno  i confini definiscono l’ambito territoriale delle amministrazioni pubbliche, all’esterno definiscono le  frontiere,  vale a dire i confini degli stati, l’estensione territoriale della loro sovranità. Gli stati moderni, che si sono progressivamente sviluppati dal Cinquecento, affermano di essere sovrani in quanto non riconoscono nessuna autorità superiore: questo appunto significa sovranità. Ai nostri tempi nessuno stato è più veramente sovrano perché tutti sono inglobati in una comunità internazionale che li limita in misura più o meno forte, in particolare mediante una rete di trattati internazionali, tra i quali quelli che regolano l’Organizzazione delle Nazioni Unite  e l’Organizzazione Mondiale del Commercio sono quelli più importanti. Comunque è sicuramente distinguibile un potere  pubblico molto penetrante all’interno  degli stati, che in linea di principio esclude l’ingerenza di altri stati, e che  differenzia  uno stato dall’altro, e poi una rete di relazioni tra stati che serve anche a garantire a ciascuno l’integrità delle sue frontiere e quindi il proprio potere pubblico   all’interno.
  Nell’antichità e fino al Settecento le frontiere non era così precisamente delimitate. In particolare, nell’antichità, quando sulla terra viveva molto meno gente di adesso, il potere territoriale degli stati di allora, che erano molto diversi da quelli che ci sono adesso, si concentrava nelle zone più intensamente popolate e sfumava allontanandosene. Tra le città vi erano ampi territori con popolazione scarsissima. Le culture umane, il complesso di usi e costumi, comprese le lingue, che caratterizzano le popolazioni si formava nelle zone più intensamente popolate e ai margini tendevano a differenziarsi e ad assimilare anche caratteristiche delle culture di popolazioni vicine, con i quali c’erano relazioni di vario genere, a volte intense come quelle con il centro della cultura di riferimento. Lo studio dei territori di frontiera ancora oggi consente di osservare situazioni simili e questo anche nelle zone di confine interne negli stati. In Italia, ad esempio, vi sono notevoli affinità culturali tra la Romagna e le zone delle Marche confinanti con la Romagna, a partire dal dialetto.
  L’idea di frontiera si sviluppò da quella di confine e quest’ultima dal diritto privato degli antichi romani: il confine fu all’inizio anzitutto quello tra i terreni di proprietà privata. Ad un certo punto le grandi monarchie europee, intorno alle quali vennero costruiti gli stati moderni, pensarono di essere proprietarie delle popolazioni dominate, oltre che dei territori su cui erano stanziate e iniziarono a introdurre misure di polizia per impedirne le migrazioni.
  Nel Novecento le frontiere dominate dagli europei si sono fatte impenetrabili. Ancora nel Settecento, si narra, un borghese poteva girare l’Europa senza passaporto. Il sistema del passaporti, dei documenti che consentono di varcare le frontiere, venne introdotto dall’Ottocento ed è regolato anche da convenzioni internazionali. Fu necessario introdurlo perché divenne molto più facile spostarsi e gli esseri umani, da sempre, fin a epoca preistorica, migrano per trovare posti dove vivere meglio.
   Tra le principali vie di migrazione storicamente vi sono state quelle marittime. E’ così che, ad esempio, gli antichi greci colonizzarono l’Italia meridionale, costituendo quella che chiamarono  Magna Grecia (=Grande Grecia). Gli stati antichi controllavano le fasce marittime costiere, ma senza delimitarle in frontiere. Del resto la tecnologia per riuscire a farlo si sviluppò più tardi.  Il mare oltre la zona che gli stati pretendevano di controllare non aveva nessun confine e tuttora è così, anche se convenzioni internazionali regolano con più precisione le pretese marittime degli stati. Ora si distingue un  mare territoriale  dalle acque internazionali e il primo va da 12 a 24 miglia marine dalla costa. In questo modo si sono definite  frontiere  degli stati anche oltre la costa, nel mare. Questo ha importanti effetti giuridici, perché ciò che avviene dentro  le frontiere è regolato dal diritto dello stato di riferimento. Nel mare territoriale le forze di polizia e le forze armate possono impedire alle navi di allontanarsi o di avvicinarsi e le possono ispezionare a certe condizioni. Se per l’esportazione o l’importazione di merci lo stato impone dei dazi, pretende il versamento di un tributo, le forze di polizia possono svolgere attività per controllare se l’importazione o l’esportazione rispetti le norme tributarie. Un altro aspetto importante è quello del controllo dell’emigrazione o dell’immigrazione, che ogni stato ammette in certi limiti e con l’osservanza di certe formalità amministrative.
  Di recente nel Mediterraneo ha assunto crescente importanza l’istituzione di un altro tipo di confine, quello delle zone marittime S.A.R., acronimo che significa in inglese  Search And Rescue, vale a dire Ricerca e Soccorso, che è l’area marittima, molto più estesa delle acque territoriali, entro la quale uno stato si impegna ad esercitare attività di ricerca e soccorso marittimo.  Questa attività è regolata da una convenzione internazionale del 1979 alla quale l’Italia aderisce. L’attività di soccorso in mare nel Mediterraneo al largo della nostre coste meridionali è divenuta molto critica dagli anni ’90 perché il tratto di mare tra l’Africa e quelle nostre coste è una delle vie di migrazione irregolare verso l’Europa. La gente parte di là senza passaporto e senza osservare le altre formalità che regolano l’immigrazione, che spesso prevedono un visto, vale a dire un consenso preventivo del nostro stato. Le migrazioni, come sempre nella storia dell’umanità, sono motivate dall’idea di poter vivere meglio altrove e, in particolare, dalle difficili condizioni politiche ed economiche in cui si trovano molti stati dell’Africa e dell’Asia. Quelle migrazioni avvengono con imbarcazioni precarie e sovraffollate, che in genere, una volta individuate in zona SAR italiana, non possono essere respinte, ma vanno soccorse, perché altrimenti se ne rischierebbe il naufragio.
  L’Italia non ha la forza militare, né la volontà politica, né il diritto, per impedire con la forza quelle migrazioni fin dall’origine, vale a dire dalle coste africane di partenza. Farlo equivarrebbe ad imporre un dominio di tipo coloniale sugli stati africani di partenza o addirittura invaderli. Di fatto però esercita una notevole influenza sull’organizzazione statale in formazione nella Libia occidentale. L’ha quindi indotta a stabilire una propria zona SAR, in tal modo creando i presupposti per l’intervento delle forze di polizia marittima libiche ben al di là della frontiere marittime di quello stato. Ha anche dotato le forze di polizia marittima libiche di  un certo numero di piccole vedette  dismesse dalla forze armate italiane.  Da quando quella SAR libica è stata creata, l’Italia rifiuta il soccorso per le navi dei migranti dirette verso le nostre coste che vengono individuate in quella SAR, benché mantenga nostre navi militari nel tratto di mare tra le nostre coste e l’Africa ad altri fini, ma anche nel quadro di una missione internazionale denominata Sophia (si legge  Sofia)  che ha scopo di contrastare le organizzazioni che gestiscono le migrazioni marittime illegali e il traffico illegale di armi verso l’Africa. Le navi soccorse nella SAR libica  da forze libiche vengono riportate in Libia, prima che si avvicinino alla nostra SAR La Libia tuttavia, secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite non può essere considerata un stato sicuro  per la gente che là vi è ricondotta, e questo per vari e seri motivi. Ed è stato osservato che la Libia occidentale non ha ancora mezzi sufficienti per soccorrere prontamente ed efficacemente le navi dei migranti, secondo quanto sarebbe necessario approntare considerate le dimensioni del fenomeno migratorio. Oggettivamente l’istituzione di una zona SAR libica ha consentito di rafforzare le nostre frontiere marittime, contrastando le migrazioni irregolari per via mare verso le nostre coste. Nel contempo è stato segnalato un aumento della mortalità delle migrazioni per via di mare, che va considerato un effetto diretto di quelle  politiche italiane di soccorso in mare. Si è infatti contrastata l’immigrazione irregolare accettando il rischio di naufragi letali, in particolare distogliendo le nostre navi militari dall’azione di sorveglianza ravvicinata di soccorso in mare a ridosso delle coste libiche, demandata ora alla polizia marittima libica. Si è anche  esplicitamente confidato  che la prospettiva di una maggiore rischiosità della traversata, sotto il profilo dell'aumentato tasso di mortalità e della prospettiva di poter finire in un centro di internamento libico nel caso di soccorso in mare attuato dalle forze libiche, scoraggiasse  i migranti. In effetti i flussi migratori dal mare meridionale negli ultimi mesi si sono ridotti e hanno mutato il tipo di imbarcazioni utilizzate. Vengono preferite imbarcazioni più piccole in grado, in teoria, di completare la traversata, come avveniva negli anni ’90. Da quando, nel 2013, si erano attivate attività di soccorso in mare più ravvicinate rispetto alle coste libiche, dopo un drammatico naufragio al largo dell’isola italiana di Lampedusa, si era cominciato  ad utilizzare grandi gommoni, più fragili ma meno costosi, nella speranza che fossero intercettati prima che affondassero. Qualche giorno fa uno di questi gommoni è affondato tra le nostre coste e  quelle libiche e si stima che vi siano state un centinaio di persone morte.
 Il paradosso è che un'attività di S.A.R., di soccorso in mare, finalizzata alla riduzione della mortalità in mare e non al contrasto dell'immigrazione irregolare, è stata oggettivamente organizzata in modo tale da rafforzare l'impenetrabilità dall'esterno delle nostre frontiere marittime meridionali, con un aumento del tasso di mortalità, vale a dire della proporzione tra le partenze stimate e i morti in mare,  a seguito di naufragio o di altri eventi letali (ne sono anche accaduti di dolosi), stimati o accertati.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli.

Translations in English and Spanish made with the help of Google Translator
Traducciones en inglés y español hechas con la ayuda de Google Translator.


Borders
Almost all the current borders of the world have been traced historically by Europeans with geometric precision between the eighteenth and twentieth centuries. They almost never correspond to ethnic or cultural boundaries between the populations included in it. Instead, they are closely linked to the development of state organizations that have gradually become entrenched inside, both within states and between states. Inside the borders define the territorial scope of the public administrations, outside they define the borders, that is to say the borders of the states, the territorial extension of their sovereignty. The modern states, which have progressively developed since the sixteenth century, claim to be sovereign because they do not recognize any superior authority: this precisely means sovereignty. In our times no state is more truly sovereign because they are all incorporated into an international community that limits them to a more or less strong degree, in particular through a network of international treaties, including those that regulate the United Nations Organization and 'World Trade Organization are the most important ones. However, a very penetrating public power within states is definitely distinguishable, which in principle excludes interference from other states, and which differentiates one state from another, and then a network of relations between states that also serves to guarantee to each the integrity of its borders and therefore its public power within.
  In antiquity and up to the eighteenth century, the frontiers were not so precisely defined. In particular, in ancient times, when on earth lived far fewer people than now, the territorial power of the states of the time, which were very different from those that are now, concentrated in the most intensely populated areas and faded away. Among the cities there were large territories with very low population. Human cultures, the complex of habits and customs, including languages, that characterize populations formed in the most intensely populated areas and at the margins tended to differentiate and assimilate characteristics of the cultures of nearby populations, with whom there were of various kinds, sometimes as intense as those with the center of the reference culture. The study of the frontier territories still today allows observing similar situations and this even in the internal border areas in the states. In Italy, for example, there are significant cultural affinities between Romagna and the areas of the Marche bordering on Romagna, starting from the dialect.
  The idea of ​​a frontier developed from that of the border and the latter from the private law of the ancient Romans: the border was first and foremost that of private land. At a certain point the great European monarchies, around which the modern states were built, thought they were the owners of the dominated populations, as well as the territories on which they were allocated and began to introduce police measures to prevent their migration.
  In the twentieth century the borders dominated by the Europeans became impenetrable. Still in the eighteenth century, it is said, a bourgeois could travel Europe without a passport. The passport system, documents that allow us to cross borders, was introduced in the nineteenth century and is also governed by international conventions. It was necessary to introduce it because it became much easier to move around and human beings have always migrated to prehistoric times to find places to live better.
   Among the main migration routes historically there have been maritime routes. This is how, for example, the ancient Greeks colonized southern Italy, constituting what they called Magna Grecia (= Great Greece). The ancient states controlled the coastal maritime bands, but without delimiting them in frontiers. After all, the technology to do so developed later. The sea beyond the area that the states claimed to control had no border and still is so, even if international conventions regulate more precisely the maritime claims of the states. Now a territorial sea is distinguished from international waters and the first ranges from 12 to 24 nautical miles from the coast. In this way, state borders have been defined even beyond the coast, in the sea. This has important legal effects, because what happens inside the borders is regulated by the law of the reference state. In the territorial sea, police forces and armed forces can prevent ships from leaving or approaching and can inspect them under certain conditions. If the state imposes duties for the export or import of goods, demands the payment of a tax, the police forces can carry out activities to check whether the import or export complies with the tax rules. Another important aspect is that of the control of emigration or immigration, which each state admits in certain limits and with the observance of certain administrative formalities.
Recently in the Mediterranean the establishment of another type of border, the one of the SAR maritime zones, which means in English Search and Rescue, the the maritime area, much more extensive compared to territorial waters, which has become increasingly important, within which a state undertakes to carry out maritime search and rescue activities. This activity is regulated by an international convention of 1979 to which Italy adheres. The sea rescue activity in the Mediterranean off our southern coast has become very critical since the '90s because the stretch of sea between Africa and our coasts is one of the routes of irregular migration to Europe. People leave without a passport and without observing the other formalities that regulate immigration, which often require a visa, that is to say, a preventive consensus of our state. Migrations, as always in the history of humanity, are motivated by the idea of ​​being able to live better elsewhere and, in particular, by the difficult political and economic conditions in which many states of Africa and Asia are to be found. Those migrations occur with precarious and overcrowded boats, which in general, once identified in the Italian SAR area, can not be rejected, but must be rescued, because otherwise the shipwreck would risk.
  Italy does not have the military force, nor the political will, nor the right, to prevent by force those migrations from the beginning, that is to say from the African coasts of departure. To do so would be to impose colonial rule on the African states of departure or even invade them. In fact, however, it exerts a considerable influence on the state organization in formation in western Libya. It therefore induced it to establish its own SAR area, thereby creating the conditions for the intervention of the Libyan maritime police forces well beyond the maritime borders of that state. He also endowed the Libyan maritime police forces with a number of small disused lookouts by the Italian armed forces. Since that Libyan SAR has been created, Italy refuses the rescue for the ships of migrants headed to our coasts that are identified in that SAR, although it keeps our military ships in the stretch of sea between our coasts and Africa to other purposes, but also in the framework of an international mission called Sophia (reads Sofia) which aims to fight the organizations that manage illegal maritime migration and illegal arms trafficking to Africa. The ships rescued in Libyan SAR by Libyan forces are brought back to Libya, before they approach our SAR Libya however, according to the United Nations Organization can not be considered a safe state for the people brought back there, and this for various and serious reasons. And it has been observed that Western Libya does not yet have sufficient resources to respond promptly and effectively to the ships of migrants, as it would be necessary to take into account the size of the migratory phenomenon. Objectively, the establishment of a Libyan SAR area has allowed us to strengthen our maritime borders, countering irregular migrations by sea to our coasts. At the same time, an increase in the mortality of migrations by sea was reported, which should be considered a direct effect of Italian rescue policies at sea. In fact, irregular immigration has been countered by accepting the risk of lethal shipwrecks, in particular by diverting our military vessels from the close surveillance action of rescue at sea close to the Libyan coast, now referred to the Libyan maritime police. It was also explicitly confided that the prospect of greater riskiness of the crossing, in terms of the increased mortality rate and the prospect of being able to end up in a Libyan detention center in the case of sea rescue by the Libyan forces, discouraged migrants . In fact, the migratory flows from the southern sea in recent months have been reduced and have changed the type of boats used. Smaller boats are preferred, in theory, to complete the crossing, as was the case in the 90s. Since, in 2013, more sea rescue activities were activated than the Libyan coasts, after a dramatic shipwreck off the Italian island of Lampedusa, it had begun to use large boats, more fragile but less expensive, in the hope that they were intercepted before they sank. A few days ago one of these dinghies sank between our coasts and the Libyan ones and it is estimated that there were a hundred dead people.
The paradox is that an activity of SAR, of rescue at sea, aimed at reducing mortality at sea and not at contrasting irregular immigration, has been objectively organized in such a way as to strengthen the impenetrability from outside of our maritime borders southern, with an increase in the mortality rate, that is to say the proportion between the estimated departures and the deaths at sea, following shipwreck or other lethal events (they have also happened to be malicious), estimated or verified.
Mario Ardigò - Catholic Action in San Clemente Pope - Rome, Monte Sacro, Valli.

Fronteras

 Casi todos los límites actuales del mundo han sido trazados históricamente por los europeos con una precisión geométrica entre los siglos XVIII y XX. Casi nunca corresponden a límites étnicos o culturales entre las poblaciones incluidas en él. En cambio, están estrechamente vinculados con el desarrollo de organizaciones estatales que gradualmente se han afianzado en el interior, tanto dentro de los estados como entre los estados. Dentro de las fronteras se define el ámbito territorial de las administraciones públicas, fuera de las fronteras se definen las fronteras, es decir, las fronteras de los estados, la extensión territorial de su soberanía. Los estados modernos, que se han desarrollado progresivamente desde el siglo XVI, afirman ser soberanos porque no reconocen ninguna autoridad superior: esto precisamente significa soberanía. En nuestros tiempos, ningún estado es más verdaderamente soberano porque todos están incorporados en una comunidad internacional que los limita en mayor o menor grado, en particular a través de una red de tratados internacionales, incluidos los que regulan la Organización de las Naciones Unidas y 'Organización Mundial del Comercio son los más importantes. Sin embargo, un poder público muy penetrante dentro de los estados es definitivamente distinguible, que en principio excluye la interferencia de otros estados, y que diferencia un estado de otro, y luego una red de relaciones entre estados que también sirve para garantizar A cada uno la integridad de sus fronteras y, por tanto, su poder público interno.
  En la antigüedad y hasta el siglo XVIII, las fronteras no se definían con tanta precisión. En particular, en la antigüedad, cuando en la tierra vivía mucha menos gente que ahora, el poder territorial de los estados de la época, que eran muy diferentes de los actuales, se concentraba en las áreas más pobladas y se desvanecía. Entre las ciudades había grandes territorios con muy baja población. Las culturas humanas, el complejo de hábitos y costumbres, incluidas las lenguas, que caracterizan a las poblaciones formadas en las áreas más intensamente pobladas y en los márgenes tienden a diferenciar y asimilar las características de las culturas de las poblaciones cercanas, con las que existían De diversos tipos, a veces tan intensos como los que tienen el centro de la cultura de referencia. El estudio de los territorios fronterizos aún hoy permite observar situaciones similares y esto incluso en las áreas de la frontera interna en los estados. En Italia, por ejemplo, existen importantes afinidades culturales entre Romaña y las áreas de las Marcas que limitan con Romaña, a partir del dialecto.
  La idea de una frontera se desarrolló a partir de la frontera y esta última del derecho privado de los antiguos romanos: la frontera era, ante todo, la de las tierras privadas. En cierto momento, las grandes monarquías europeas, alrededor de las cuales se construyeron los estados modernos, pensaron que eran los dueños de las poblaciones dominadas, así como los territorios en los que fueron asignados y comenzaron a introducir medidas policiales para evitar su migración.
En el siglo XX, las fronteras dominadas por los europeos se hicieron impenetrables. Aún en el siglo XVIII, se dice, un burgués podría viajar a Europa sin un pasaporte. El sistema de pasaportes, documentos que nos permiten cruzar fronteras, se introdujo en el siglo XIX y también se rige por convenios internacionales. Era necesario introducirlo porque era mucho más fácil moverse y los seres humanos siempre han migrado a los tiempos prehistóricos para encontrar lugares para vivir mejor.
   Entre las principales rutas de migración históricamente han existido las rutas marítimas. Así es como, por ejemplo, los antiguos griegos colonizaron el sur de Italia, constituyendo lo que llamaron Magna Grecia (= Gran Grecia). Los antiguos estados controlaban las bandas marítimas costeras, pero sin delimitarlas en las fronteras. Después de todo, la tecnología para hacerlo se desarrolló más tarde. El mar más allá del área que los estados reclamaban controlar no tenía fronteras y aún lo es, incluso si las convenciones internacionales regulan más precisamente las reclamaciones marítimas de los estados. Ahora, un mar territorial se distingue de las aguas internacionales y el primero varía de 12 a 24 millas náuticas desde la costa. De esta manera, las fronteras estatales se han definido incluso más allá de la costa, en el mar. Esto tiene efectos legales importantes, porque lo que sucede dentro de las fronteras está regulado por la ley del estado de referencia. En el mar territorial, las fuerzas policiales y las fuerzas armadas pueden impedir que los barcos salgan o se acerquen y pueden inspeccionarlos bajo ciertas condiciones. Si el estado impone derechos para la exportación o importación de bienes, exige el pago de un impuesto, las fuerzas policiales pueden llevar a cabo actividades para verificar si la importación o exportación cumple con las normas tributarias. Otro aspecto importante es el del control de la emigración o inmigración, que cada estado admite en ciertos límites y con el cumplimiento de ciertas formalidades administrativas.
Recientemente, en el Mediterráneo, el establecimiento de otro tipo de frontera, la de las zonas marítimas SAR, que significa en Búsqueda y rescate en inglés, es decir, Búsqueda y Rescate, que es el área marítima, mucho más extensa, se ha vuelto cada vez más importante. aguas territoriales, dentro de las cuales un Estado se compromete a realizar actividades de búsqueda y salvamento marítimo. Esta actividad está regulada por una convención internacional de 1979 a la que se adhiere Italia. La actividad de rescate marítimo en el Mediterráneo frente a nuestra costa sur se ha vuelto muy crítica desde los años 90 porque el tramo de mar entre África y nuestras costas es una de las rutas de migración irregular hacia Europa. Las personas se van sin pasaporte y sin observar las otras formalidades que regulan la inmigración, que a menudo requieren una visa, es decir, un consenso preventivo de nuestro estado. Las migraciones, como siempre en la historia de la humanidad, están motivadas por la idea de poder vivir mejor en otros lugares y, en particular, por las difíciles condiciones políticas y económicas en las que se encuentran muchos estados de África y Asia. Esas migraciones se producen con embarcaciones precarias y superpobladas, que en general, una vez identificadas en el área de la SAR  italiana, no pueden ser rechazadas, pero deben ser rescatadas, porque de lo contrario se arriesgaría el naufragio.
Italia no tiene la fuerza militar, ni la voluntad política, ni el derecho de impedir por la fuerza esas migraciones desde el principio, es decir, desde las costas africanas de partida. Hacer eso sería imponer un gobierno colonial a los estados de partida africanos o incluso invadirlos. De hecho, sin embargo, ejerce una influencia considerable en la organización estatal en formación en el este de Libia occidental. Por lo tanto, lo indujo a establecer su propia área SAR, creando así las condiciones para la intervención de las fuerzas de la policía marítima libia más allá de las fronteras marítimas de ese estado. También dotó a las fuerzas de la policía marítima de Libia con una serie de pequeños vigías en desuso de las fuerzas armadas italianas. Desde que se creó la SAR de Libia, Italia rechaza el rescate de los barcos de migrantes que se dirigen a nuestras costas que se identifican en esa SAR, aunque mantiene nuestras naves militares en el tramo de mar entre nuestras costas y África para Otros propósitos, pero también en el marco de una misión internacional llamada Sophia (se menciona a Sofía) que tiene como objetivo luchar contra las organizaciones que gestionan la migración marítima ilegal y el tráfico ilegal de armas a África. Los barcos rescatados en la SAR de Libia por las fuerzas libias son devueltos a Libia, antes de que se aproximen a nuestra SAR de Libia. Sin embargo, según la Organización de las Naciones Unidas no puede considerarse un estado seguro para las personas que regresaron allí, y esto Por diversas y serias razones. Y se ha observado que el este de Libia occidental aún no cuenta con recursos suficientes para responder con prontitud y eficacia a los buques de migrantes, ya que sería necesario tener en cuenta el tamaño del fenómeno migratorio. Objetivamente, el establecimiento de un área de la ASAR de Libia nos ha permitido fortalecer nuestras fronteras marítimas, combatiendo las migraciones irregulares por mar hacia nuestras costas. Al mismo tiempo, se informó un aumento en la mortalidad de las migraciones por mar, lo que debería considerarse un efecto directo de las políticas de rescate italianas en el mar. De hecho, la inmigración irregular ha sido contrarrestada aceptando el riesgo de naufragios letales, en particular desviando a nuestros buques militares de la estrecha vigilancia de rescate en el mar cerca de la costa libia, ahora referida a la policía marítima libia. También se confió explícitamente que la posibilidad de un mayor riesgo de cruzar, en términos del aumento de la tasa de mortalidad y la posibilidad de terminar en un centro de detención libio en el caso del rescate marítimo por parte de las fuerzas libias, desalentó a los migrantes. . De hecho, los flujos migratorios desde el mar del sur en los últimos meses se han reducido y han cambiado el tipo de barcos utilizados. Los barcos más pequeños son preferidos, en teoría, para completar el cruce, como fue el caso en los años 90. Desde 2013, se activaron más actividades de rescate en el mar que las costas de Libia, luego de un dramático naufragio en la isla italiana de Lampedusa, comenzó a utilizar grandes botes, más frágiles pero menos costosos, con la esperanza de que fueron interceptados antes de que se hundieran. Hace unos días, uno de estos botes se hundió entre nuestras costas y los libios y se estima que hubo un centenar de muertos.
La paradoja es que una actividad de SAR, de rescate en el mar, dirigida a reducir la mortalidad en el mar y no a contrastar la inmigración irregular, se ha organizado objetivamente de tal manera que refuerce la impenetrabilidad desde fuera de nuestras fronteras marítimas. sur, con un aumento en la tasa de mortalidad, es decir, la proporción entre las salidas estimadas y las muertes en el mar, después de un naufragio u otros eventos letales (también resultaron ser maliciosos), estimados o verificados.

Mario Ardigò - Acción católica en la parroquia del Papa de San Clemente - Roma, Monte Sacro, Valli.

domenica 27 gennaio 2019

Φύσει μέν ἐστιν ἄνθρωπος ζῷον πολιτικόν. = Fìsei men estìn àntropos zòon politicòn - Invero per natura l’essere umano è un vivente che organizza società (Aristotele - Πολιτεία = Politèia, L’arte della politica, libro 3,1278 b (1)) - Φύσει μέν ἐστιν ἄνθρωπος ζῷον πολιτικόν. = Fìsei men estìn àntropos zòon poiticòn - Indeed by nature the human being is a living entity that organizes society (Aristotle - Πολιτεία = Politèia, The art of politics, book 3,1278 b (1)) -Φύσει μέν ἐστιν ἄνθρωπος ζῷον πολιτικόν. = hombres Fìsei éstin Antropos zoon poiticòn - En efecto, por la naturaleza del ser humano es una sociedad organización de la vida (Aristóteles - Πολιτεία = Politeia, El arte de la política, el libro 3,1278 b) (1)


Φύσει μέν ἐστιν ἄνθρωπος ζῷον πολιτικόν. = Fìsei men estìn àntropos zòon politicòn - Invero per natura l’essere umano è un vivente che organizza società (Aristotele - Πολιτεία = Politèia, L’arte della politica, libro 3,1278 b (1))

 Gli antichi greci furono i primi tra gli europei  a lasciarci testi scritti in cui ragionavano della società e del suo governo. Tra quei testi è stato molto studiato quello intitolato Πολιτεία = Politèia - L’arte della politica, che contiene la frase che ho sopra citato Φύσει μέν ἐστιν ἄνθρωπος ζῷον πολιτικόν. = Fìsei men estìn àntropos zòon politicòn -- Gli esseri umani sono per natura viventi che organizzano società,  scritto dal filosofo Aristotele, vissuto nel IV secolo, riflettendo sulle organizzazioni sociali sperimentate in Grecia fino all’epoca sua. Politèia  è appunto l’arte di organizzare società. La frase integra altri ragionamenti su ciò che differenzia gli esseri umani dagli altri viventi, tra i quali ve ne sono di quelli che fanno vita sociale: gli esseri umani sono però gli unici a  organizzare  le loro società. Rientra nella loro  natura, sostenne Aristotele. Oggi ci siamo resi conto che, in realtà, l’organizzare le società è fatto culturale, riguardante usi e costumi appresi. Per natura  siamo viventi sociali, che stabiliscono tra loro quelle relazioni che costituiscono la società: organizzarla  è però un altro discorso. La questione è più complessa di quello che sembra e si riflette sul modo con cui quelli che hanno potuto avere tra le mani quel testo di Aristotele hanno tradotto il termine πολιτικόν = politicòn:  sociale  o politico? Traducendo con  sociale  si mette in risalto ciò che negli esseri umani è  natura, traducendo con politico ciò che è cultura. L’uomo ha  dentro di sé, quindi per natura, una determinata organizzazione della società, o la pensa, per  organizzarla? Aristotele era sicuramente per la seconda alternativa e questo sulla base della consapevolezza della  storia  delle organizzazioni politiche dei greci antichi, che egli prende in considerazione come scienziato sociale  per valutarne pregi e difetti. Nei secoli il dilemma si  è riproposto, in particolare al tempo dell’Illuminismo europeo, nel Settecento, quando si constatò che le organizzazioni delle società esistenti opprimevano gran parte degli esseri umani rendendoli infelici. Ci fu chi, pensando ad una riforma, ipotizzò uno stato di natura  in cui gli esseri umani vivevano in società ma felici, e felici in quanto liberi. La via giusta per riformare la società è allora  quella, si sostiene, di mettersi d’accordo per organizzarla in modo da consentire il recupero della maggior libertà possibile e quindi della maggior felicità. Ci fu invece chi considerò lo stato di natura dominato dalla violenza: la società nacque per porvi rimedio. Lo si fece delegando la violenza a chi governava, riservandola a lui. In questa prospettiva, allora, ci fu chi sostenne che il compito di chi governa è anzitutto quello di mantenere il proprio potere sulla società, e che questo rientrasse nell’interesse di tutti, non solo nel suo. A questa opinione si contrappose quella che sosteneva che fosse meglio liberarsi da ogni forma di potere e ritornare allo stato di natura. Ci fu chi, poi, pensò che il potere sociale fosse necessario, ma che si dovesse esercitarlo nell’interesse di chi, pur essendo maggioranza in società, aveva sempre avuto la peggio a causa di un’organizzazione sociale che favoriva minoranze. Questa è l’opinione dei socialisti. Ma quando e come attuare le riforme? Le si fa in condizioni storicamente date e bisogna tenerne conto,  e innanzi tutto conoscerle, perché altrimenti falliscono. Era l’opinione di Karl Marx, il fondatore teorico dei socialismi contemporanei che hanno avuto maggior seguito.
  La dottrina sociale si è formata originariamente in un contesto in cui il tomismo, la filosofia di Tommaso D’Aquino, teologo, filosofo e frate domenicanovissuto nel Duecento, era stata proclamato come la filosofica che meglio si adattava alla teologia cattolica (con l’enciclica Dell’Eterno Padre [Il Figlio Unigenito] Aeternis Patris  diffusa nel 1979 dal papa Vincenzo Gioacchino Pecci - Leone 13°). Tommaso D’Aquino aveva ragionato di società riprendendo gli argomenti di Aristotele. Dunque vi troviamo l’eco del pensiero del filosofo greco. In particolare nell’argomento che si governa sempre nell’interesse di tutti, non solo di chi governa, altrimenti la società non regge. Aristotele aveva preso come esempio del potere de padrone sullo schiavo di sua proprietà: prevaleva l’interesse del padrone, anche se padrone e schiavo, come esseri umani, avevano interessi simili, e innanzi tutto a vivere meglio possibili, ma se il padrone si disinteressava dell’interesse dello schiavo, e lo schiavo si ammalava o veniva ferito, ne risentiva anche il padrone. Altro esempio fatto da Aristotele nell’opera La politica è quello della famiglia: il padre, nel governarla, tiene conto anche degli interessi della moglie e dei figli. Questa immagine è molto importante, tenendo conto che la dottrina sociale contemporanea si propone di fare di tutti i popoli della terra  un’unica famiglia. Alle argomentazioni di Aristotele sull’arte del governo della società si è però aggiunto un elemento che è proprio del pensiero sociale cristiano e risale direttamente ad insegnamenti del Maestro, fortemente critici sul modo di esercitare il potere politico ai suoi tempi. Ed è quello della  politica come servizio.

Luca 22,24-27
24 Tra i discepoli sorse una discussione per stabilire chi tra essi doveva essere considerato il più importante. 
25Ma Gesù disse loro:
«I re comandano sui loro popoli e quelli che hanno il potere si fanno chiamare benefattori del popolo. 26Voi però non dovete agire così! Anzi, chi tra voi è il più importante diventi come il più piccolo; chi comanda diventi come quello che serve
[traduzione interconfessionale in lingua corrente LDC-ABU]

 Nella dottrina sociale contemporanea troviamo:
- l’insoddisfazione per come è organizzata la società oggi;
- l’idea che le cose hanno preso una brutta piega perché ci si è discostati da come dovevano andare per natura, secondo la volontà del Creatore;
- l’idea che  occorre riformare la società e che per farlo sia necessario un governo virtuoso, quindi un potere volto al bene, ma anche l’adesione dei governati;
- che il governo virtuoso è quello che esercita il potere come servizio e che quindi comanda e organizza nell’interesse e per il bene di tutti, non solo nell’interesse proprio;
- che così agendo si sarà felici.
 Come vedete, nell’evoluzione del pensiero umano nulla va veramente perso, sebbene tutto cambi progressivamente.
  L’idea della politica come servizio e tutto il resto ci sono stati insegnati, li abbiamo  appresi,  non ci sono venuti  dai nostri geni, non ce li avevamo in  noi nascendo come invece avevamo l’istinto di succhiare il latte materno. La dimostrazione più chiara è quello dell’insegnamento evangelico che ho sopra citato. Per apprendere c’è necessità di qualcuno che insegni. Questo  è appunto il problema oggi: ci sono troppi autodidatti e pochi che abbiano voglia di insegnare. A uno che gli aveva detto “Sono autodidatta”, il grande filosofo italiano Benedetto Croce (1866-1952) rispose laconicamente “E si vede!”. E i politici non hanno tempo da perdere ad insegnare, pensano che per vincere le elezioni basti influenzare, che non è la stessa cosa.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro Valli

(1) 1278 b. καθ’ ἣν ἀνὴρ ἀγαθός ἐστι καὶ πολίτης σπουδαῖος, δῆλον ἐκ τῶν εἰρημένων, ὅτι τινὸς μὲν πόλεως ὁ αὐτὸς τινὸς δ’ ἕτερος, κἀκεῖνος οὐ πᾶς ἀλλ’ ὁ πολιτικὸς καὶ κύριος ἢ δυνάμενος εἶναι κύριος, ἢ καθ’ αὑτὸν ἢ μετ’ ἄλλων, τῆς τῶν κοινῶν ἐπιμελείας.
ἐπεὶ δὲ ταῦτα διώρισται, τὸ μετὰ ταῦτα σκεπτέον, πότερον μίαν θετέον πολιτείαν ἢ πλείους, κἂν εἰ πλείους, τίνες καὶ πόσαι, καὶ διαφοραὶ τίνες αὐτῶν εἰσιν. ἔστι δὲ πολιτεία πόλεως τάξις τῶν τε ἄλλων ἀρχῶν καὶ μάλιστα τῆς κυρίας πάντων. κύριον μὲν γὰρ πανταχοῦ τὸ πολίτευμα τῆς πόλεως, πολίτευμα δ’ ἐστὶν ἡ πολιτεία. λέγω δ’ οἷον ἐν μὲν ταῖς δημοκρατίαις κύριος ὁ δῆμος, οἱ δ’ ὀλίγοι τοὐναντίον ἐν ταῖς ὀλιγαρχίαις, φαμὲν δὲ καὶ πολιτείαν ἑτέραν εἶναι τούτων. τὸν αὐτὸν δὲ τοῦτον ἐροῦμεν λόγον ] καὶ περὶ τῶν ἄλλων. ὑποθετέον δὴ πρῶτον τίνος χάριν συνέστηκε πόλις, καὶ τῆς ἀρχῆς εἴδη πόσα τῆς περὶ ἄνθρωπον καὶ τὴν κοινωνίαν τῆς ζωῆς. εἴρηται δὴ κατὰ τοὺς πρώτους λόγους, ἐν οἷς περὶ οἰκονομίας διωρίσθη καὶ δεσποτείας, καὶ ὅτι φύσει μέν ἐστιν ἄνθρωπος ζῷον πολιτικόν.  διὸ καὶ μηδὲν δεόμενοι τῆς παρὰ ἀλλήλων βοηθείας οὐκ ἔλαττον ὀρέγονται τοῦ συζῆν· οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ τὸ κοινῇ συμφέρον συνάγει, καθ’ ὅσον ἐπιβάλλει μέρος ἑκάστῳ τοῦ ζῆν καλῶς. μάλιστα μὲν οὖν τοῦτ’ ἐστὶ τέλος, καὶ κοινῇ πᾶσι καὶ χωρίς· συνέρχονται δὲ καὶ τοῦ ζῆν ἕνεκεν αὐτοῦ καὶ συνέχουσι τὴν πολιτικὴν κοινωνίαν, ἴσως γὰρ ἔνεστί τι τοῦ καλοῦ μόριον καὶ κατὰ τὸ ζῆν αὐτὸ μόνον· ἂν μὴ τοῖς χαλεποῖς κατὰ τὸν βίον ὑπερβάλῃ λίαν, δῆλον δ’ ὡς καρτεροῦσι πολλὴν κακοπάθειαν οἱ πολλοὶ τῶν ἀνθρώπων γλιχόμενοι τοῦ ζῆν, ὡς ἐνούσης τινὸς εὐημερίας ἐν αὐτῷ καὶ  γλυκύτητος φυσικῆς.


[3, 1278b] È la virtù che rende un uomo un cittadino degno o non? Ora è chiaro da quanto è stato detto in una forma di stato si ritine  che per essere un buon cittadino si debba essere un uomo buono, ma in un’altra può ritenersi diversamente, e anche nella prima non  è tanto ogni cittadino, ma chi governa ed è competente, e lo fa da solo o com componente di un collegio, a dover essere un uomo buono.
E poiché questi punti sono stati determinati, la prossima domanda da considerare è se dobbiamo stabilire che esiste una sola forma di costituzione o più, e se diversi, quali sono e quante e quali sono le differenze tra loro . Ora una costituzione è l'ordinamento di uno stato, nelle varie sue articolazioni di governo, e specialmente in quella suprema.  Il governo è chi comanda su tutto  nello stato e  la costituzione è l’organizzazione di governo. Intendo dire che negli stati democratici, ad esempio, il popolo è il supremo potere, ma nelle oligarchie al contrario i pochi lo esprimono; e allora diciamo che hanno una costituzione diversa. E useremo lo stesso linguaggio anche per le altre forme di governo.
Dobbiamo quindi determinare prima i punti fondamentali, qual è la finalità dello stato  e quanti diversi tipi di sistema ci sono per governare l'umanità e per controllare la vita comune.
 Ora abbiamo scritto in precedenza, quando abbiamo trattato della gestione domestica e del potere sugli schiavi, che l'uomo è per sua natura un essere politico; e così anche quando gli uomini non hanno bisogno di aiuto gli uni dagli altri, desiderano comunque vivere insieme. Allo stesso tempo, vengono anche riuniti per interesse comune, nella misura in cui ognuno partecipa al benessere comune. Il benessere sociale è quindi  l'obiettivo principale della società, sia collettivamente che per ciascun suo membro; ma si uniscono e mantengono una comunità politica anche solo per il piacere di vivere insieme semplice sopravvivere, perché senza dubbio ha un valore anche solo il rimanere vivi, in modo che non sia troppo duro vivere, ed è chiaro che la massa dell'umanità si aggrappa alla vita a costo di sopportare molte sofferenze, il che dimostra che la vita è è un valore comunque apprezzato in sé.


Translation in English and Spanish made with the help of Google Translator
Traducción en inglés y español realizada con la ayuda de Google Translator.



Φύσει μέν ἐστιν ἄνθρωπος ζῷον πολιτικόν. = Fìsei men estìn àntropos zòon politicòn - Indeed by nature the human being is a living entity that organizes society (Aristotle - Πολιτεία = Politèia, The art of politics, book 3,1278 b (1))

 The ancient Greeks were the first Europeans to leave written texts in which they reasoned about society and its government. Among those texts has been much studied the one entitled Πολιτεία = Politèia - The art of politics, which contains the sentence I mentioned above Φύσει μέν ἐστιν ἄνθρωπος ζῷον πολιτικόν. = Fìsei men estìn àntropos zòon politicòn -- Human beings are living by nature that organize society, written by the philosopher Aristotle, who lived in the fourth century, reflecting on the social organizations experienced in Greece until his time. Politèia is precisely the art of organizing society. The phrase integrates other reasoning on what differentiates human beings from other living beings, among which there are those that make social life: human beings are however the only ones to organize their societies. It falls within their nature, claimed Aristotle. Today we realized that, in reality, organizing societies is a cultural fact, concerning learned habits and customs. By nature we are socially living, which establish the relations between them that constitute society: but organizing it is another matter. The question is more complex than it seems and reflects on the way in which those who were able to have in their hands that text of Aristotle have translated the term πολιτικόν = politicòn: social or political? Translating with social it emphasizes what in human beings is nature, translating with politic what is culture. Does man have within himself, then by nature, a certain organization of society, or do he think it, to organize it? Aristotle was certainly for the second alternative and this on the basis of the awareness of the history of the ancient Greek political organizations, which he considers as a social scientist to evaluate its merits and faults. Over the centuries the dilemma has re-emerged, especially at the time of the European Enlightenment, in the eighteenth century, when it was found that the organizations of existing societies oppressed most of human beings and made them unhappy. There were those who, thinking of a reform, hypothesized a state of nature in which human beings lived in society but happy, and happy as free. The right way to reform society is then, it is claimed, to agree to organize it so as to allow the recovery of the greatest possible freedom and therefore of greater happiness. But there were those who considered the state of nature dominated by violence: society was born to remedy it. It was done by delegating violence to those who governed, reserving it for him. In this perspective, then, there were those who argued that the task of those who govern is primarily to maintain their power over society, and that this would be in everyone's interests, not just in his own. This view was opposed to the one that claimed that it was better to free oneself from all forms of power and return to the state of nature. There were those who then thought that social power was necessary, but that it should be exercised in the interests of those who, despite being a majority in society, had always had the worst because of a social organization that favored minorities. This is the opinion of the socialists. But when and how to implement the reforms? It is done in historically given conditions and must be taken into account, and first of all know them, because otherwise they fail. It was the opinion of Karl Marx, the theoretical founder of contemporary socialisms who had the greatest follow-up.
The social doctrine was originally formed in a context in which Thomism, the philosophy of Tommaso D'Aquino, theologian, philosopher and Dominican friar lived in the thirteenth century, was proclaimed as the philosophical that best suited the Catholic theology (with the encyclical Of the Eternal Father [The Only Son] Aeternis Patris diffused in 1979 by Pope Vincenzo Gioacchino Pecci - Leone 13 °). Tommaso D'Aquino had reasoned about society by taking up Aristotle's arguments. So we find the echo of the Greek philosopher's thought. In particular in the argument that is always governed in the interests of all, not only those who govern, otherwise society does not hold. Aristotle had taken as an example of the power of master over the slave of his property: the master's interest prevailed, even if master and slave, as human beings, had similar interests, and first of all to live as best as possible, but if the master disinterested of the slave's interest, and the slave became ill or injured, his master was also affected. Another example made by Aristotle in the work Politics is that of the family: the father, in governing it, also takes into account the interests of his wife and children. This image is very important, taking into account that the contemporary social doctrine proposes to make a single family of all the peoples of the earth. To the arguments of Aristotle on the art of the government of the society has added an element that is proper to Christian social thought and goes back directly to the teachings of the Master, strongly critical of the way of exercising political power in his time. And it is that of politics as a service.

Luke 22.24-27
24 A discussion arose among the disciples to determine who among them was to be considered the most important.
25 But Jesus said to them:
"The kings command over their peoples and those who have power call themselves benefactors of the people. But you do not have to act like that! Indeed, who among you is the most important becomes as the smallest; who commands will become like what you need. "
[Inter-confessional translation in the current language LDC-ABU]

In contemporary social doctrine we find:
- dissatisfaction with how society is organized today;
- the idea that things took a bad turn because they diverged from how they had to go by nature, according to the will of the Creator;
- the idea that we need to reform society and that to do so a virtuous government is necessary, therefore a power aimed at the good, but also the adhesion of the governed;
- that the virtuous government is the one that exercises power as a service and therefore commands and organizes in the interest and for the good of all, not only in its own interest;
- that by doing so you will be happy.
 As you see, nothing is really lost in the evolution of human thought, although everything changes progressively.
  The idea of ​​politics as a service and all the rest were taught to us, we learned them, we did not come from our genes, we did not have them in us as we had the instinct to suck their mother's milk. The clearest proof is that of the Gospel teaching I have mentioned above. To learn there is a need for someone to teach. This is precisely the problem today: there are too many self-taught people and few who want to teach. To one who had said to him "I am self-taught", the great Italian philosopher Benedetto Croce (1866-1952) replied laconically "And it shows!" And politicians do not have time to lose to teach, they think that to win elections suffices to influence, which is not the same thing.
Mario Ardigò - Catholic Action in San Clemente pope - Rome, Monte Sacro Valli

(1) 1278 b. καθ’ ἣν ἀνὴρ ἀγαθός ἐστι καὶ πολίτης σπουδαῖος, δῆλον ἐκ τῶν εἰρημένων, ὅτι τινὸς μὲν πόλεως ὁ αὐτὸς τινὸς δ’ ἕτερος, κἀκεῖνος οὐ πᾶς ἀλλ’ ὁ πολιτικὸς καὶ κύριος ἢ δυνάμενος εἶναι κύριος, ἢ καθ’ αὑτὸν ἢ μετ’ ἄλλων, τῆς τῶν κοινῶν ἐπιμελείας.
ἐπεὶ δὲ ταῦτα διώρισται, τὸ μετὰ ταῦτα σκεπτέον, πότερον μίαν θετέον πολιτείαν ἢ πλείους, κἂν εἰ πλείους, τίνες καὶ πόσαι, καὶ διαφοραὶ τίνες αὐτῶν εἰσιν. ἔστι δὲ πολιτεία πόλεως τάξις τῶν τε ἄλλων ἀρχῶν καὶ μάλιστα τῆς κυρίας πάντων. κύριον μὲν γὰρ πανταχοῦ τὸ πολίτευμα τῆς πόλεως, πολίτευμα δ’ ἐστὶν ἡ πολιτεία. λέγω δ’ οἷον ἐν μὲν ταῖς δημοκρατίαις κύριος ὁ δῆμος, οἱ δ’ ὀλίγοι τοὐναντίον ἐν ταῖς ὀλιγαρχίαις, φαμὲν δὲ καὶ πολιτείαν ἑτέραν εἶναι τούτων. τὸν αὐτὸν δὲ τοῦτον ἐροῦμεν λόγον ] καὶ περὶ τῶν ἄλλων. ὑποθετέον δὴ πρῶτον τίνος χάριν συνέστηκε πόλις, καὶ τῆς ἀρχῆς εἴδη πόσα τῆς περὶ ἄνθρωπον καὶ τὴν κοινωνίαν τῆς ζωῆς. εἴρηται δὴ κατὰ τοὺς πρώτους λόγους, ἐν οἷς περὶ οἰκονομίας διωρίσθη καὶ δεσποτείας, καὶ ὅτι φύσει μέν ἐστιν ἄνθρωπος ζῷον πολιτικόν.  διὸ καὶ μηδὲν δεόμενοι τῆς παρὰ ἀλλήλων βοηθείας οὐκ ἔλαττον ὀρέγονται τοῦ συζῆν· οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ τὸ κοινῇ συμφέρον συνάγει, καθ’ ὅσον ἐπιβάλλει μέρος ἑκάστῳ τοῦ ζῆν καλῶς. μάλιστα μὲν οὖν τοῦτ’ ἐστὶ τέλος, καὶ κοινῇ πᾶσι καὶ χωρίς· συνέρχονται δὲ καὶ τοῦ ζῆν ἕνεκεν αὐτοῦ καὶ συνέχουσι τὴν πολιτικὴν κοινωνίαν, ἴσως γὰρ ἔνεστί τι τοῦ καλοῦ μόριον καὶ κατὰ τὸ ζῆν αὐτὸ μόνον· ἂν μὴ τοῖς χαλεποῖς κατὰ τὸν βίον ὑπερβάλῃ λίαν, δῆλον δ’ ὡς καρτεροῦσι πολλὴν κακοπάθειαν οἱ πολλοὶ τῶν ἀνθρώπων γλιχόμενοι τοῦ ζῆν, ὡς ἐνούσης τινὸς εὐημερίας ἐν αὐτῷ καὶ  γλυκύτητος φυσικῆς.

[3, 1278b] [Is the goodness that makes a good man to be deemed the same as that which makes a worthy citizen, or different? is now clear from what has been said in one form of state the good man and the good citizen are the same, but in another they are different, and also in the former case it is not every citizen but only the statesman, the man who controls or is competent to control, singly or with colleagues, the administration of the commonwealth, that is essentially also a good man.
And since these points have been determined, the next question to be considered is whether we are to lay it down that there is only one form of constitution or several, and if several, what they are and how many and what are the differences between them. Now a constitution is the ordering of a state in respect of its various magistracies, and especially the magistracy that is supreme over all matters. For the government is everywhere supreme over the state and the constitution is the government. I mean that in democratic states for example the people are supreme, but in oligarchies on the contrary the few are; and we say that they have a different constitution. And we shall use the same language about the other forms of government also.
We have therefore to determine first the fundamental points, what is the object for which a state exists and how many different kinds of system there are for governing mankind and for controlling the common life.
Now it has been said in our first discourses, in which we determined the principles concerning household management and the control of slaves, that man is by nature a political [being];  and so even when men have no need of assistance from each other they none the less desire to live together. At the same time they are also brought together by common interest, so far as each achieves a share of the good life. The good life then is the chief aim of society, both collectively for all its members and individually; but they also come together and maintain the political partnership for the sake of life merely, for doubtless there is some element of value contained even in the mere state of being alive, provided that there is not too great an excess on the side of the hardships of life, and it is clear that the mass of mankind cling to life at the cost of enduring much suffering, which shows that life contains some measure of well-being and of sweetness in its essential nature.
 [from http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3Atext%3A1999.01.0058%3Abook%3D3%3Asection%3D1278b, with some of my changes]


Φύσει μέν ἐστιν ἄνθρωπος ζῷον πολιτικόν. = hombres Fìsei éstin Antropos zoon politicòn - En efecto, por la naturaleza del ser humano es una sociedad organización de la vida (Aristóteles - Πολιτεία = Politeia, El arte de la política, el libro 3,1278 b) (1)

 Los antiguos griegos fueron los primeros europeos en dejar textos escritos en los que razonaban sobre la sociedad y su gobierno. Entre esos textos se ha estudiado el titulado Πολιτεία = Politeia - El arte de la política, que contiene la frase que he citado más arriba Φύσει μέν ἐστιν ἄνθρωπος ζῷον πολιτικόν. = Fìsei men estìn àntropos zòon politicòn - - Los seres humanos están viviendo naturaleza que organizar la sociedad, escrito por el filósofo Aristóteles, quien vivió en el siglo IV, reflexionando sobre las organizaciones sociales experimentadas en Grecia hasta su época. Politèia es precisamente el arte de organizar la sociedad. La sentencia se complementa con otras ideas sobre lo que diferencia a los humanos de otros seres vivos, entre ellos no son los que hacen que la vida social: los seres humanos, sin embargo, son los únicos para organizar su sociedad. Cae dentro de su naturaleza, afirmaba Aristóteles. Hoy nos dimos cuenta de que, en realidad, organizar sociedades es un hecho cultural, relacionado con los hábitos y costumbres aprendidas. Por naturaleza vivimos socialmente, lo que establece las relaciones entre ellos que constituyen la sociedad: pero organizarla es otra cuestión. El asunto es más complejo de lo que parece y se refleja en la forma en que los que podrían obtener en sus manos el texto de Aristóteles han traducido el término πολιτικόν = politicón: social o política? Traduciendo con lo social, enfatiza lo que en los seres humanos es la naturaleza, traduciendo con lo político lo que es cultura. ¿Tiene el hombre dentro de sí mismo, entonces por naturaleza, cierta organización de la sociedad, o lo piensa, para organizarlo? Aristóteles fue sin duda por la segunda alternativa y esto sobre la base del conocimiento de la historia de las organizaciones políticas de los antiguos griegos, que considera como un científico social para evaluar las fortalezas y debilidades. A través de los siglos, el dilema se ha producido, sobre todo en el momento de la Ilustración europea en el siglo XVIII, cuando se descubrió que las organizaciones de la sociedad existente oprimiendo a la mayoría de los seres humanos haciéndolos infeliz. Hubo quienes, pensando en una reforma, hipotetizaron un estado de naturaleza en el que los seres humanos vivían en sociedad pero felices y felices como libres. La forma correcta de reformar la sociedad es entonces que, según se afirma, ponerse de acuerdo para organizarlo con el fin de permitir la recuperación de la mayor libertad posible y por lo tanto de una mayor felicidad. Pero hubo quienes consideraron el estado de naturaleza dominado por la violencia: la sociedad nació para remediarlo. Se hizo delegando la violencia a los gobernantes, reservándola para él. En esta perspectiva, entonces, había quienes sostenían que la tarea de los gobernantes es ante todo para mantener su poder sobre la sociedad, y que esto es en interés de todos, no sólo en ella. Esta opinión se oponía a la que afirmaba que era mejor liberarse de todas las formas de poder y volver al estado de naturaleza. Había quienes, entonces, pensó que el poder social era necesaria, sino que deben hacerlo en el interés de los que, a pesar de ser la mayoría de la sociedad, siempre había tenido la peor debido a la organización social que favorecía a las minorías. Esta es la opinión de los socialistas. ¿Pero cuándo y cómo implementar las reformas? Se realiza en condiciones históricamente dadas y debe tenerse en cuenta, y en primer lugar conocerlas, porque de lo contrario fracasan. Fue la opinión de Karl Marx, el fundador teórico de los socialismos contemporáneos, quien tuvo el mayor seguimiento.
La doctrina social se formó originalmente en un contexto en el que el thomismo, la filosofía de Tommaso D'Aquino, teólogo, filósofo y fraile dominicano vivió en el siglo trece, se proclamó como el filosófico que mejor se adaptaba a la teología católica (con la encíclica Del Padre Eterno [El Hijo Único] Aeternis Patris difundido en 1979 por el Papa Vincenzo Gioacchino Pecci - Leone 13 °). Tommaso D'Aquino había razonado sobre la sociedad al abordar los argumentos de Aristóteles. Así encontramos el eco del pensamiento del filósofo griego. En particular, en el argumento que siempre se rige por los intereses de todos, no solo de los que gobiernan, de lo contrario la sociedad no se sostiene. Aristóteles había tomado como ejemplo el poder del amo sobre el esclavo de su propiedad: el interés del amo prevalecía, incluso si el amo y el esclavo, como seres humanos, tenían intereses similares, y en primer lugar, vivir lo mejor posible, pero si el amo no tenía interés. De interés del esclavo, y el esclavo se enfermó o resultó herido, su amo también se vio afectado. Otro ejemplo hecho por Aristóteles en la obra Política es el de la familia: el padre, al gobernarlo, también tiene en cuenta los intereses de su esposa e hijos. Esta imagen es muy importante, teniendo en cuenta que la doctrina social contemporánea propone hacer una sola familia de todos los pueblos de la tierra. A los argumentos de Aristóteles sobre el arte del gobierno de la sociedad, se agregó un elemento que es propio del pensamiento social cristiano y se remonta directamente a las enseñanzas del Maestro, que critican fuertemente la forma de ejercer el poder político en su época. Y es la de la política como servicio.

Lucas 22.24-27
24 Surgió una discusión entre los discípulos para determinar quién de ellos debía considerarse el más importante.
25 Pero Jesús les dijo:
"Los reyes mandan a sus pueblos y los que tienen poder se llaman benefactores del pueblo. ¡Pero no tienes que actuar así! De hecho, quien entre ustedes es el más importante se convierte en el más pequeño; Quien ordene se convertirá en lo que necesitas ".
[Traducción interconfesional en el idioma actual LDC-ABU]

 En la doctrina social contemporánea encontramos:
- insatisfacción con la organización de la sociedad actual;
- la idea de que las cosas tomaron un mal giro porque divergieron de cómo tenían que ir por naturaleza, de acuerdo con la voluntad del Creador;
- la idea de que necesitamos reformar la sociedad y que para hacerlo es necesario un gobierno virtuoso, por lo tanto, un poder dirigido al bien, pero también la adhesión de los gobernados;
- que el gobierno virtuoso es el que ejerce el poder como servicio y, por lo tanto, ordena y organiza el interés y el bien de todos, no solo en su propio interés;
- Que al hacerlo serás feliz.
 Como ve, nada se pierde realmente en la evolución del pensamiento humano, aunque todo cambia progresivamente.
  La idea de la política como un servicio y todo lo demás nos fue enseñada, la aprendimos, no proveníamos de nuestros genes, no la teníamos en nosotros, ya que teníamos el instinto de chupar la leche materna. La prueba más clara es la de la enseñanza del Evangelio que he mencionado anteriormente. Para aprender hay la necesidad de que alguien enseñe. Este es precisamente el problema hoy: hay demasiadas personas autodidactas y pocas que quieren enseñar. A quien le había dicho "Soy autodidacta", el gran filósofo italiano Benedetto Croce (1866-1952) respondió lacónicamente "¡Y se nota!" Y los políticos no tienen tiempo que perder para enseñar, creen que ganar elecciones es suficiente para influir, que no es lo mismo.
Mario Ardigò - Acción católica en la parroquia del Papa de San Clemente - Roma, Monte Sacro Valli

(1) 1278 b. καθ’ ἣν ἀνὴρ ἀγαθός ἐστι καὶ πολίτης σπουδαῖος, δῆλον ἐκ τῶν εἰρημένων, ὅτι τινὸς μὲν πόλεως ὁ αὐτὸς τινὸς δ’ ἕτερος, κἀκεῖνος οὐ πᾶς ἀλλ’ ὁ πολιτικὸς καὶ κύριος ἢ δυνάμενος εἶναι κύριος, ἢ καθ’ αὑτὸν ἢ μετ’ ἄλλων, τῆς τῶν κοινῶν ἐπιμελείας.
ἐπεὶ δὲ ταῦτα διώρισται, τὸ μετὰ ταῦτα σκεπτέον, πότερον μίαν θετέον πολιτείαν ἢ πλείους, κἂν εἰ πλείους, τίνες καὶ πόσαι, καὶ διαφοραὶ τίνες αὐτῶν εἰσιν. ἔστι δὲ πολιτεία πόλεως τάξις τῶν τε ἄλλων ἀρχῶν καὶ μάλιστα τῆς κυρίας πάντων. κύριον μὲν γὰρ πανταχοῦ τὸ πολίτευμα τῆς πόλεως, πολίτευμα δ’ ἐστὶν ἡ πολιτεία. λέγω δ’ οἷον ἐν μὲν ταῖς δημοκρατίαις κύριος ὁ δῆμος, οἱ δ’ ὀλίγοι τοὐναντίον ἐν ταῖς ὀλιγαρχίαις, φαμὲν δὲ καὶ πολιτείαν ἑτέραν εἶναι τούτων. τὸν αὐτὸν δὲ τοῦτον ἐροῦμεν λόγον ] καὶ περὶ τῶν ἄλλων. ὑποθετέον δὴ πρῶτον τίνος χάριν συνέστηκε πόλις, καὶ τῆς ἀρχῆς εἴδη πόσα τῆς περὶ ἄνθρωπον καὶ τὴν κοινωνίαν τῆς ζωῆς. εἴρηται δὴ κατὰ τοὺς πρώτους λόγους, ἐν οἷς περὶ οἰκονομίας διωρίσθη καὶ δεσποτείας, καὶ ὅτι φύσει μέν ἐστιν ἄνθρωπος ζῷον πολιτικόν.  διὸ καὶ μηδὲν δεόμενοι τῆς παρὰ ἀλλήλων βοηθείας οὐκ ἔλαττον ὀρέγονται τοῦ συζῆν· οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ τὸ κοινῇ συμφέρον συνάγει, καθ’ ὅσον ἐπιβάλλει μέρος ἑκάστῳ τοῦ ζῆν καλῶς. μάλιστα μὲν οὖν τοῦτ’ ἐστὶ τέλος, καὶ κοινῇ πᾶσι καὶ χωρίς· συνέρχονται δὲ καὶ τοῦ ζῆν ἕνεκεν αὐτοῦ καὶ συνέχουσι τὴν πολιτικὴν κοινωνίαν, ἴσως γὰρ ἔνεστί τι τοῦ καλοῦ μόριον καὶ κατὰ τὸ ζῆν αὐτὸ μόνον· ἂν μὴ τοῖς χαλεποῖς κατὰ τὸν βίον ὑπερβάλῃ λίαν, δῆλον δ’ ὡς καρτεροῦσι πολλὴν κακοπάθειαν οἱ πολλοὶ τῶν ἀνθρώπων γλιχόμενοι τοῦ ζῆν, ὡς ἐνούσης τινὸς εὐημερίας ἐν αὐτῷ καὶ  γλυκύτητος φυσικῆς.

[3, 1278b] [¿Es la virtud que hace que un hombre sea un ciudadano digno o no? Ahora bien, de lo que se ha dicho en una forma de estado queda claro que es necesario ser un buen hombre para ser un buen ciudadano, pero en otro puede considerarse diferente, y en el primero no es tanto un ciudadano, sino quien gobierna y es competente, y lo hace solo o como parte de una universidad, para ser un buen hombre.
Y dado que estos puntos se han determinado, la siguiente pregunta a considerar es si debemos establecer que solo hay una forma de constitución o más, y si son diferentes, cuáles son y cuántas y cuáles son las diferencias entre ellos. Ahora una constitución es el ordenamiento de un estado, en sus diversas articulaciones de gobierno, y especialmente en la suprema. El gobierno es el que manda todo en el estado y la constitución es la organización gubernamental. Quiero decir que en los estados democráticos, por ejemplo, el pueblo es el poder supremo, pero en las oligarquías, por el contrario, los pocos lo expresan; Y luego decimos que tienen una constitución diferente. Y usaremos el mismo lenguaje para otras formas de gobierno.
Por lo tanto, primero debemos determinar los puntos fundamentales, cuál es el propósito del estado y cuántos tipos diferentes de sistemas existen para gobernar a la humanidad y para controlar la vida en común.
 Ahora hemos escrito antes, cuando tratamos con la administración doméstica y el poder sobre los esclavos, que el hombre es por naturaleza un ser político; Y así, incluso cuando los hombres no necesitan ayuda unos de otros, aún quieren vivir juntos. Al mismo tiempo, también se reúnen para el interés común, en la medida en que cada uno participa en el bienestar común. El bienestar social es, por lo tanto, el objetivo principal de la sociedad, tanto colectivamente como para cada uno de sus miembros; pero se unen y mantienen una comunidad política, incluso por el placer de vivir juntos, simplemente para sobrevivir, porque sin duda tiene un valor, incluso para mantenerse con vida, para que no sea tan difícil vivir, y está claro que la masa de la humanidad es se aferra a la vida a costa de soportar mucho sufrimiento, lo que demuestra que la vida es un valor apreciado en sí mismo.