INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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sabato 31 maggio 2025

Libertà

 

Libertà

 

 Definiamo libertà la condizione nella quale una persona o  un gruppo possono decidere tra varie alternative di pensiero e d’azione senza dover subire totalmente imposizioni di altre persone o gruppi o di un certo ordine sociale in cui sono inclusi.

  Gli esseri umani sono viventi sociali: le alternative di pensiero e d’azione tra le quali ritengono di dover scegliere sono sempre socialmente definite. Questo le rende plausibili. Non è quindi realistico pensare a una libertà assoluta. La libertà è sempre relativa  e precisamente relativa ad un certo contesto sociale.

  Gli esseri umani sono organismi: le facoltà decisionali dipendono dalle loro dinamiche mentali e queste ultime sono un prodotto fisiologico che si genera  prima che se ne sia coscienti ed in modo inconsapevole. La persona non è mai  libera rispetto a questa fisiologia.

  La libertà degli esseri umani è, infine, limitata dalla natura in cui sono immersi e dal grado di dominio che su di essa riescono ad ottenere, che ai tempi nostri è molto maggiore che nell’antichità ma comunque non assoluta.

  Non è mai realmente esistita e non esiste una persona che sia libera da quei condizionamenti. Una condizione di libertà assoluta può quindi essere soltanto immaginata. Sono possibili solo vari gradi  di libertà,  a seconda dei contesti sociali.

  Quando si sostiene che l’essere umano è stato creato libero,  intendendo una libertà assoluta,  si propone una condizione solo immaginaria. Di questo occorre essere sempre consapevoli, come anche del fatto che, nelle spiegazioni, può essere utile far riferimento a condizioni immaginarie per semplificarle. Nei ragionamenti filosofici, teologici e giuridici vi si ricorre spesso.

  Nella narrazione biblica del mito di Adamo ed Eva, queste due prime persone, immaginate come progenitrici della successiva umanità, ci sono presentate come già inserite in un ordine sociale in un tempo precedente ad ogni contesto sociale diverso da quello interpersonale a tu per tu. Una stranezza, che però non viene avvertita come tale, proprio perché la nostra esperienza è appunto sempre quella di una condizione di libertà relativa.  

  Nel Settecento, lo scrittore inglese Daniel Defoe [dəˈfoʊ/ si legge: de-FOU], nel romanzo Robinson Crusoe [kruːsoʊ  =CRÙ-so], immaginò la vita di un naufrago  su un’isola deserta per ventotto  anni, gli ultimi quattro vissuti con un uomo indigeno da lui salvato dai cannibali e chiamato “Venerdì”. Secondo Defoe, un uomo in quella condizione avrebbe continuato a determinarsi secondo l’ordine sociale della civiltà di appartenenza, nonostante la solitudine. L’ordine sociale è profondamente interiorizzato nella nostra psiche di viventi sociali.  Solo nella vita sociale può realmente cambiare, come accadde a Marco Polo quando, nel Duecento, si recò in Cina, in un mondo in cui le civiltà non erano globalizzate come ai tempi nostri.

  Cambiando il contesto ambientale e sociale cambiano le condizioni sociali di libertà. Questo accade nello sviluppo storico delle civiltà, ma anche passando da un sistema sociale di plausibilità ad un altro spostandosi da una regione all’altra del pianeta.

  Nei sistemi politici altamente evoluti del mondo contemporaneo le condizioni di libertà sono definite anche da un complesso sistema normativo formale, con atti normativi pubblici  e privati  deliberati secondo procedure legali,  indispensabile per mantenere una cooperazione sociale che consenta di sostenere la vita di un’umanità divenuta numerosa come  mai prima d’ora. Tuttavia  la plausibilità sociale di gran parte delle alternative di fronte alle quali si trovano gli esseri umani dipendono ancora da consuetudini e rapporti di forza informali.

  Nella predicazione cattolica contemporanea, ma in fondo in quella di tutti i tempi fin dai primi sviluppi comunitari dei cristianesimi, la libertà è presentata come un problema, in particolare come la fonte del peccato.

  Questo si è accentuato particolarmente nell’età moderna, dal Cinquecento europeo, quando, con gli sviluppi di civiltà cominciarono ad affermarsi come socialmente plausibili alternative diverse dal passato e corrispondenti ai nuovi modi di convivenza. La gerarchia cattolica, che dal Dodicesimo secolo, si era sempre più accentrata su un modello di Papato imperiale assolustico, vi reagì molto violentemente.

  Dal Seicento si andò affermando socialmente, tra le popolazioni europee, uno stile di vita secondo il quale le persone reclamavano spazi di libertà più ampi, in particolare quanto ai propri beni, al loro lavoro, al pensiero e alla sua espressione e all’associarsi per i fini più diversi, e in particolare, per partecipare al governo pubblico. Questo portò a contestare l’organizzazione dei sistemi politici ricevuti dalla tradizione passata e che escludevano o limitavano fortemente quelle libertà. Tra di essi vi era quello della gerarchia ecclesiastica cattolica. Questi sistemi politici tradizionali erano stati sacralizzati secondo il sistema mitologico cristiano. Sacralizzato significa che qualcuno o qualcosa viene presentato come voluto da un dio, quindi intangibile al massimo grado. Queste nuove pretese di libertà vennero quindi combattute come sacrileghe, aprendo così  un problema anche religioso.

  La nuova condizione di libertà che si venne affermando e che, progressivamente, da metà Ottocento  venne reclamata da strati sempre più estesi di popolazione, venne anche definita, quanto all’aspetto della persona, come libertà di coscienza, che si ritiene strettamente connessa con la dignità sociale  della persona.

  Nel 1864, con l’enciclica Con quanta cura  - Quanta cura del papa Pio 9°, la libertà di coscienza venne condannata; con la Dichiarazione Della dignità umana – Dignitatis humanae del 1965, solo un secolo dopo, venne invece riconosciuta.  Questo a conferma che gli ordinamenti di plausibilità sociale evolvono con l’evolvere delle civiltà di riferimento e che questo accade anche nelle religioni,  e anche nella nostra Chiesa, nonostante le pretese di eternità  di certi sistemi valoriali.

  Il dibattito in corso sulla sinodalità ecclesiale, vista come un principio di riforma ecclesiale basata sul riconoscimento della dignità delle persone di fede e non solo come un metodo di procedura decisionale, riguarda anche questi problemi.

  Se guardiamo al contesto evangelico e, in particolare al ministero pubblico del Maestro, ci accorgiamo facilmente che esso era connotato da un certo blando anarchismo, rispetto all’ordine sociale del giudaismo all’epoca corrente, ma in fondo anche rispetto al potere imperiale imposto dagli occupanti romani. Questa condizione è stata sempre storicamente rivendicata da molti  riformatori religiosi cristiani rispetto alle gerarchie ecclesiastiche, e anche, ad esempio,  dai movimenti politici di cristianesimo democratico rispetto agli ordinamenti sociali che intendevano riformare.

  Nella vita pubblica delle democrazie occidentali evolute si cerca di rendere il tema delle libertà materia di un dibattito pubblico improntato a criteri di egualitarismo e  ragionevolezza, quindi riconoscendo alle persone quella condizione di dignità sociale che corrisponde alle idee affermatesi nella modernità europea. Nella nostra Chiesa questo è ammesso in limiti angusti, posto che si ritiene che, alla fine, debba prevalere il criterio di selezione dell’autorità gerarchica. Di fatto questa pretesa è ampiamente disattesa dalle popolazioni di fede europee, che, sui vari dilemmi morali e politici che si presentano, si determinano secondo coscienza. La teologia morale, del tutto ragionevolmente, pone l’esigenza che quest’ultima sia sufficientemente informata. Purtroppo le tecniche di condizionamento sociale delle masse, che, originate nel marketing, per orientare i consumatori, da una decina d’anni sono  sempre più impiegate nella propaganda politica, vanno contro questa esigenza. Costituiscono quindi limitazioni alla libertà sociale delle quali spesso si rimane inconsapevoli, perché agiscono sulla mente al di sotto del livello di consapevolezza. Si parla allora di persuasori occulti.

  La libertà di coscienza richiede, quindi, di essere esercitata non nel chiuso del proprio sé personale ma in un ambito dialogico, cercando di chiarirsi realisticamente le situazioni e di prospettare il senso e i pro e i contro delle alternative plausibili. Questo è, ad esempio, il modo di procedere nei processi giudiziari. Ma è anche quello che viene proposto, da parte dei cristiani democratici, per la sinodalità ecclesiale.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro  - Valli

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

martedì 27 maggio 2025

Democrazia agapica

                                                    Democrazia agapica

  Definiamo democrazia un ordinamento politico in cui non sia ammessa alcuna forma di potere, pubblico o privato, senza limiti e in cui il governo al vertice possa essere influenzato realmente mediante la partecipazione delle persone della collettività che esprime quel l'ordinamento. È democrazia liberale quella che prreveda precise forme procedurali per l'esercizio dei poteri pubblici e per le forme partecipative a quei poteri pubblici e che garantisca libertà di pensiero, espressione, associazione nelle questioni politiche. È democrazia popolare quella che estende a tutte le persone di una collettività pubblica i diritti partecipativi. Sono poteri pubblici quali esercitati nell'interesse di una collettività a fini generali, come tipicamente sono gli stati, ma anche enti minori di essi, come da noi regioni, comuni, province, città metropolitane, e che si impongono a prescindere dal consenso di coloro che vi sono soggetti.
  Gli ordinamenti democratici possono essere di diversa qualità a seconda dell'estensione ed incisività dei diritti partecipativi riconosciuti alla gente delle collettività che li esprimono.
  La pretesa di limitare poteri sociali rende le democrazie intrinsecamente conflittuali e tanto più quanto più alta è la loro qualità.
  Paradossalmente, però, l'Unione Europea è stata costruita come organismo democratico di alta qualità per prevenire i conflitti che per due millenni almeno avevano coinvolto le popolazioni europee. È questo obiettivo è stato raggiunto, anche se spesso non ce se ne dimostra consapevoli o lo si sottovaluta. Questo è stato possibile peincipalmente per l'azione delle forze politiche e culturali del cristianesimo democratico, che hanno orientato la democrazia verso la riforma sociale, nel quadro della quale il fine dell'agàpe, come pace solidale, sollecita e misericordiosa, è centrale. L'agàpe è stata integrata nel sistema dei limiti legali ai poteri,pubblici e privati ed è stata promossa mediante specifici programmi pubblici per favorire la reciproca conoscenza e la solidarietà tra le popolazioni e la collaborazione tra di esse in ogni campo, a partire da quello economico. Questo ha reso permeabili, tanto da renderle culturalmente evanescenti, le frontiere tra gli stati, che erano state storicamente causa di lunghi, ericorrenti e sanguinosi conflitti.
 L'agàpe è il comandamento nuovo del vangelo, la sua perla più preziosa. Tuttavia nel vangelo la politica democratica come oggi la intendiamo non c'è, perchè quelli delle origini erano altri tempi, Si tratta di sviluppi avvenuti negli ultimi due secoli e mezzo, dopo interminabili epoche di incredibili violenze, compiute anche da poteri cristianizzati, anche dalle Chiese e anche dalla nostra, e anche per ordine dei Papi.
  L'Europa di oggi è ancora la principale potenza agapica in un quadro in cui il problema del governo delle moltitudini è risolto in genere mediante l'accentramento assolutistico o oligarchico in democrazie di bassa qualità o in sistemi politici non democratici.
Mario  Ardigò - Azione Cattolica in San Clemenfe papa - Roma, Monte Sacro, Valli

venerdì 23 maggio 2025

Miei appunti estemporanei sulla conferenza su “L'anima liberale e sociale del cattolicesimo democratico”, tenuta dal prof. Riccardo Saccenti il 22-5-25 per il Meic del Lazio

  Miei appunti estemporanei sulla conferenza su “L'anima liberale e sociale del cattolicesimo democratico”, tenuta dal prof. Riccardo Saccenti il 22-5-25 per il Meic del Lazio

 

  Di seguito vi trascrivo i miei appunti estemporanei sulla conferenza su “L'anima liberale e sociale del cattolicesimo democratico”, tenuta dal prof. Riccardo Saccenti il 23-5-25 per il Meic del Lazio. Gli appunti riflettono la mia capacità di comprensione. Il testo non è stato rivisto dal professore.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

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Il tema è quello della dimensione del liberalismo nel cattolicesimo politico: un liberalismo con una cifra sociale molto marcata che è molto risalente nel cattolicesimo italiano. Il cattolicesimo democratico può essere visto come uno sviluppo del lavoro di Sturzo e dell’organizzazione di tipo sociale seguita all’enciclica Rerum Novarum. C’è però una tradizione liberale più antica, legato al rapporto tra cattolicesimo e politica negli ultimi trecento anni, quindi nel rapporto con la modernità, più o meno dal Cinquecento.

 Il 1789, l’anno della rivoluzione francese, è cruciale. In un libro, Menozzi focalizza nella crisi del 1789 l’inizio del tormentato rapporto tra il cattolicesimo, la Chiesa, e il liberalismo.

  Dopo la caduta della monarchia francese, il Terrore, la Repubblica, vengono visti come elementi problematici nell’opzione di tipo liberale per i cattolici. Dall’inizio dell’Ottocento ci si divide tra i cattolici. A quell’epoca nasce il cattolicesimo liberale, con Charles de Montalembert, secondo il quale gli eccessi della rivoluzione francese sono una deriva rispetto al liberalismo. Il primato della libertà secondo de Montalembert è collegato con la tradizione cristiane, con l’idea della libertà del singolo creato a immagine e somiglianza di Dio. L’altro autore importante su liberismo come cifra della modernità politica e Chiesa è Antonio Rosmini. Rosmini è il padre nobile del cattolicesimo liberale, nel panorama della filosofia italiana di inizio Ottocento. Accetta un confronto non solo in chiave apologetica di rivendicazione dei diritti della Chiesa e della fede, ma si spinge sul terreno dei contenuti. Si confronta con i principali autori della filosofia europea del suo tempo. Era un lettore di Kant e di Hegel. Sviluppa la sua riflessione dentro la modernità filosofica, rivendicando la possibilità di una voce cattolica anche in quell’ambito. Si sviluppa in una tradizione politica di tipo liberale. Insiste sul tema della libertà per costruire un consorzio civile. E ciò anche in testi di valore più pratico, con coinvolgimento nelle vicende politiche italiane. All’epoca dei moti del ’48 e della Prima guerra di indipendenza Rosmini pubblica un testo che riguarda la Chiesa Le cinque piaghe della Santa Chiesa  e La Costituzione secondo i cattolici italiani, una proposta politica per l’organizzazione di uno stato unitario italiano. Una proposta per una forma di statualità.

  Quella stagione vide i cattolici liberali come sconfitti, come tutti i moti del ’48. Rosmini fu condannato dal Sant’Uffizio ed esiliato a Stresa.

  Ma questo non significò la crisi della tradizione cattolico-liberale. Rimase come una sorta di semina che si sviluppò fino al Novecento inoltrato.

  Sturzo e la sua creatura politica furono schiacciati dal fascismo, ma lasciarono una semina feconda.

  La voce più nota del cattolicesimo sociale italiano fu Alessandro Manzoni. Un intellettuale che sviluppa una riflessione politica lungo tutto il corso della sua vita, sui temi proposti dal liberalismo, la libertà, la nazione.

  Accanto al tema della libertà come fondamento dell’ordinamento politico il liberalismo affronta il tema della nazione. Il cattolicesimo liberale italiano lo affronta in modo peculiare.

  La storia si stava sviluppando come disciplina accademica. In Francia una serie di storici liberali si interessarono alla storia in una chiave fortemente politica, per rintracciare i caratteri genetici della Francia come nazione, per legittimare la relativa azione politica.

  Nel contesto italiano il tema viene sviluppato da Rosmini e Manzoni in modo da sviluppare il tema della nazione in un orizzonte europea. Rosmini dialogò con Lorenzo Magnani sulla possibilità di circoscrivere una peculiarità nazionale italiana  nel contesto europeo: Rosmini pensava che la cultura non dovesse essere fonte di divisione, la nazione doveva essere un elemento solo politico. Sulla stessa linea Manzoni. Cita I Promessi sposi: si celebra il matrimonio tra Renzo e Lucia, vanno a vivere nella bergamasca e don Abbondio dice “La patria è dove si sta bene”. Un concetto di patria non in senso nazionalistico. La nazione ha una sua storicità che si sviluppa nel corso del tempo, senza carattere esclusivo.

  Questo filone di pensiero lascia una eredità. Nonostante il Non expedit, già prima di Sturzo e il Patto Gentiloni (con la partecipazione effettiva alla vita nazionale), una parte della politica liberale italiane è fatta di cattolici liberali. In particolare nell’ambiente lombardo, in particolare nella nobiltà lombarda, fin dall’inizio del Novecento. Tommaso Gallarati Scotti ne è uno dei principali esponenti, che finisce al centro della polemica antimodernista, per un suo libro sulla vita di Fogazzaro. Gallarati Scotti è il primo ambasciatore nel Regno Uniti dopo la Seconda guerra mondiale, nominato dal Governo De Gasperi. Un incarico delicatissimo. De Gasperi scelse un cattolico liberale. Altri nomi: Filippo Meda, figura vicino a Sturzo, il primo a diventare come ministro in un governo del Regno d’Italia.

  Nella vicenda del cattolicesimo politico italiano l’emergere di un pluralismo democratico non significa necessariamente la dispersione. Meda portò la sua esperienza di cattolico liberale nella politica sturziano. Alessandro Casati, ministro della Pubblica istruzione e senatore a vita. Ebbe un ruolo molto importante alla fine del fascismo per il cattolicesimo politico fu Stefano Jacini: figura con lo spessore più marcata. Scrisse:  La politica ecclesiastica italiana da Villafranca a Porta Pia: la crisi religiosa del Risorgimento, pubblicato nel 1938 dalla casa editrice Laterza. L’interlocutore di De Gasperi durante l’esilio in Vaticano fu proprio Jacini. Gli fece scoprire una classe dirigente cattolica che aveva visto nel liberalismo una novità dalla quale non si poteva tornare indietro e che aveva prodotto una umanizzazione della politica europea. De Gasperi veniva da un cattolicesimo sociale molto avanzato, sulla linea del Zentrum tedesco della Germania Bismarkiana. Scoprì da Jacini la tradizione liberale del cattolicesimo italiano. Ad esempio l’idea di nazione che non crei esclusione, ma vista nel contesto di relazioni tra popoli diversi. Riecheggia negli interventi di De Gasperi nel ’47 nella Conferenza di Parigi e nel progetto degasperiamo di costruzione dell’unità europea. Le nazioni per preservare la propria unicità hanno bisogno le una delle altri, con indispensabilità di un consorzio tra popoli, l’Europa come elemento di unione.

  La storia del cattolicesimo liberale si intreccia con altri orientamenti, distinti. L’orientamento democratico risponde a un elemento di novità introdotto nel Novecento: nasce di fronte alle masse come le nuove soggettività politiche. La politica non più solo come fatto di elite, ma che coinvolge grandi masse di persone. Importante fu la rivoluzione industriale e i conflitti mondiali del Novecento, dai quali emerge l’esigenza democratica accanto a quella liberale, per fare della masse un popolo. Si tratta di organizzare il rispetto della dignità umana.

  Il filone liberale, dentro la riflessione politica dei cattolici italiani, non si esaurisce con la nascita della Repubblica e con Alcide De Gasperi ma continua, anche se minoritario nel partito dei cattolici.

  Uno dei maggiori collaboratori di La Pira a Firenze è un giovanissimo Nicola Pistelli, fortemente impregnata di cattolicesimo liberale, che assume l’opzione democratica in senso pieno, legando libertà e giustizia sociale. C’è un’evoluzione.

  Dal punto di vista teorico, chi iniziò a interrogarsi sul lascito del liberalismo fu Augusto Del Noce (saggio sull’ateismo, studi sulla lettura e interpretazione della filosofia moderna). Il suo pensiero risente del cattolicesimo politico, presentò una modernità cattolica, non ateistico, che aveva insistito sul concetto di persona.

 Una tradizione politica molto lunga, prendendo come inizio la rivoluzione francese.

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Nel corso del dibattito che è seguito, il professore ha citato il pensiero del teologo statunitense John Courtney Murray in materia di teologia della democrazia

Notizie su Courtney Murray estratte con l’aiuto dell’algoritmo ChatGPT:

📘 Chi era John Courtney Murray (1904–1967)

Nato a New York, Murray entrò nella Compagnia di Gesù nel 1920. Dopo l'ordinazione sacerdotale nel 1933, completò il dottorato in teologia presso la Georgetown University nel 1937. Dal 1937 fino alla sua morte nel 1967, fu professore di teologia al Woodstock College nel Maryland e, dal 1941, direttore della rivista Theological Studies.


🧠 Contributi teologici

Murray è noto per aver cercato di conciliare la tradizione cattolica con i principi del pluralismo democratico americano. Sostenne che la separazione tra Chiesa e Stato, come delineata nella Costituzione degli Stati Uniti, potesse essere compatibile con la dottrina cattolica, promuovendo la libertà religiosa come diritto fondamentale .


📖 Opere principali

  • We Hold These Truths: Catholic Reflections on the American Proposition (1960): in questo libro, Murray esplora come i principi democratici americani possano armonizzarsi con la fede cattolica. [questo titolo è stato pubblicato nel 2021 da Morcelliana, con prefazione di Stefano Ceccanti – nota mia- sono riuscito a ordinarlo su Amazon]

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🏛️ Influenza sul Concilio Vaticano II

Murray ebbe un ruolo significativo nel Concilio Vaticano II, contribuendo alla redazione della dichiarazione Dignitatis humanae, che afferma il diritto alla libertà religiosa. La sua partecipazione fu determinante nel promuovere una visione della Chiesa più aperta al dialogo con il mondo moderno


📚 Per approfondire

John Courtney Murray: Theologian in Conflict: una biografia che esamina le sfide affrontate da Murray nel promuovere le sue idee all'interno della Chiesa.

 


mercoledì 21 maggio 2025

Soprannaturale

Soprannaturale

 

    A volte la fede viene presentata come un credere l’incredibile. Quindi sarebbe una virtù religiosa rinunciare a distinguere tra mito e realtà.

  Il mito è un elemento culturale: è una fantasiosa narrazione per rendere il senso di ciò che si vive. Ce la si tramanda di generazione in generazione e nel succedersi delle generazioni viene modificata e arricchita a seconda del bisogno sociale. La realtà sono gli eventi del mondo nel loro accadere naturale, con noi dentro. La mitologia interpreta la realtà secondo l’esperienza che se ne fa. Anche le scienze se ne occupano, ma in base a metodi basati su osservazioni sistematiche: in base alle loro conclusioni, che sono sempre allo stato delle conoscenze attuali e dunque rivedibili, le tecnologie escogitano applicazioni a nostro vantaggio. Nel mito oggetti e persone volano, ma chi ha visto mai cose del genere? Gli aeroplani volano, ma alle condizioni definite dalle scienze e dalle relative tecnologie. È importante mantenere la capacità di distinguere.

  I miti mi sono sempre piaciuti molto. Quelli specificamente cristiani dicono molto di ciò che conta nella nostra fede. Le religioni contengono molta mitologia, e anche la nostra, così come altri modelli di regolazione sociale, ad esempio il diritto. Però non ho mai vissuto la mia fede come rinuncia a distinguere mito e realtà. Non ho mai visto un angelo o altre entità soprannaturali. Sono portato a credere che chi narra di averne fatta esperienza abbia avuto le traveggole. Tuttavia si può trattare di persone di grande valore e di grande fede, di questo ho avuto esperienza diretta. La  nostra mente ci può fare di questi scherzi: funziona così. Poi a volte ci si costruiscono sopra le leggende. Così non nego credito alle persone solo perché appaiono come irretite in immaginifiche mitologie. Queste ultime le combatto solo quando fanno soffrire o spaventano inutilmente.

  Non sono un teologo,  così non mi devo sobbarcare il difficile compito di far quadrare i conti con le nostre tradizioni mitologiche. Perché nel passato ci si sentiva più liberi nel fantasticare.

  Quando si dibatte sul soprannaturale, sempre descritto in termini mitologici, non si sbatte più contro una realtà che resiste e riporta nel nostro mondo. Quindi, in definitiva rimangono come criteri di valutazione l’antichità ed estensione di una tradizione e la decisione dell’autorità. Ma gli antichi non sono sempre affidabili per spiegare come va il mondo e le autorità cambiano e con esse la relativa mitologia.

  È importante che quando, ad esempio, si deve avviare il motore della nostra automobile non ci si accanisca a farlo pronunciando semplicemente formule liturgiche. Questo significa rimanere ancorati alla realtà.

  Così è quando si deve organizzare la società. Bisogna averne una immagine il più realistica possibile, anche se margini di errore rimangono sempre. Solo nel mito se ne va esenti. Non di rado, purtroppo, in religione si pensa di poterne prescindere, e allora poi l’operazione non riesce.

  Chi è riuscito realmente a fondare una nuova esperienza sociale che ha preso piede sa bene la fatica che costa. In particolare serve la pazienza e il metodo simili a quello  dell’antropologo, che si cala in una società e cerca di capirla osservando dall’interno i comportamenti degli individui che ne fanno parte. 

  Nella predicazione spesso ci vengono riversati addosso precetti di essere in un certo modo e di fare questo e quest’altro, ma senza riferimento all’ambiente sociale a cui ci si rivolge. Lo si fa, come dire?, per dovere d’ufficio,ma mi pare che serva a poco.

  Poi, per ottenere acquiescenza, non di rado si evocano potenze soprannaturali malvagie e vendicative. Erano discorsi che mi facevano in prima elementare alla scuola dei Fratelli Maristi e che mi facevano (inutilmente) paura. Io non li ho mai fatti alle mie figlie. Sono convinto di affidarmi a un Dio buono e questo mi basta e avanza. Se rimango con lui non devo temere più nulla.

  Se poi  volete affidarvi del tutto alle fantasie mitologiche, fate pure. Ma cercate di essere buoni, della bontà agàpica che è al centro degli insegnamenti evangelici. A volte mi sembra che si pensi che sia troppo poco, ma è il reale nostro soprannaturale perché nella natura non c’è.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli


martedì 20 maggio 2025

L'agàpe di prossimità

 

L’agàpe  di prossimità

 

   Le relazioni di prossimità, nelle piccole cerchie dove si svolgono i rapporti più profondi, sono quelle che impegnano più tempo ed energia, ma che lasciano una traccia maggiore nella vita di una persona.

  La ragione è spiegata molto bene, sulla base anche di osservazioni sistematiche, nel libro di Robin Dunbar, Amici. Comprendere il potere delle nostre relazioni più importanti, Einaudi 2022, disponibile anche in eBook e Kindle.

  Mio zio Achille Ardigò, sociologo, definiva quei gruppi mondi vitali, perché da essi si ricavava il senso  dell’esistenza, vale a dire l’orientamento fondamentale della persona. La qualità di queste relazioni è molto importante per il benessere individuale in ogni età della vita, ma, in particolare, da più giovani e da più anziani. Ma determina anche l’efficienza sociale per la cura degli interessi collettivi. Anni fa, nel dare raccomandazioni in questa materia, si indicava ad esempio la cura della gente per le strade e gli arredi urbani del quartiere in cui abitava e si faceva l’esempio della fontana in una piazza principale.

  Una parrocchia come la nostra, intorno alla quale gravitano circa quindicimila persone, è una realtà locale ma è composta da una vasta trama di mondi vitali, che solamente in piccola parte hanno una loro formalizzazione istituzionale, sono quindi organizzati con una specifica struttura con definizione degli scopi e delle regole interne.

  In genere la nostra vita sociale di mondo vitale  si svolge in cerchie informali di una decina di persone o poco più. Di solito si tratta di gente della stessa fascia d’età, con le stesse esigenze vitali e gli stessi problemi. Difficilmente vi possono essere relazioni di mondo vitale al di fuori delle persone coetanee che non siano anche parenti prossime.

  Tutte le relazioni al di fuori di quelle di mondo vitale  richiedono di essere formalizzate in strutture narrative mitologiche, liturgiche e giuridiche e sono meno intense: le persone si avvicinano le une alle altre solamente per un tempo limitato e secondo procedure definite. Il caso di questo tipo che nella parrocchia è maggiormente rilevante è quello della partecipazione alla messa domenicale. Le messe dei giorni feriali tendono invece a radunare una cerchia di persona che per certi aspetti assume caratteristiche di mondo vitale.

  Quando le persone si avvicinano le une alle altre aumentano le occasioni di contrasto. Da un lato si ha bisogno delle altre persone per fare delle cose insieme, dall’altro le dinamiche di gruppo non sempre assecondano ciò che le singole persone vorrebbero e vorrebbero fare.

  Spontaneamente si cerca di rimanere più vicini alle persone più simili a noi. Più si è particolari nella propria vita e nelle proprie esigenze più è difficile associarsi ad altre persone. Questo è uno dei problemi più gravi nell’età anziana, nella quale la gente rischia più facilmente di rimanere sola.

  Nella vita comunitaria di fede spesso si sottovalutano i problemi che possono sorgere in questo campo e, comunque, ci si concentra sulle  occasioni formali, che richiedono meno impegno personale.

  Nei giorni passati abbiamo assistito al convergere di decine di migliaia di persone negli eventi liturgici che sappiamo: questa è una forma di partecipazione che richiede il minimo impegno personale ed è anche poco produttiva di relazioni profonde. Ogni persona vi partecipa da sé sola o in cerchie molto limitate. L’effetto complessivo è potente, ma  illusorio. Non ne deriva una reale rafforzamento delle relazioni comunitarie. L’ordinamento liturgico consente di disciplinare la partecipazione di massa. La cosa ha un effetto politico ed equivale a una procedura referendaria: manifesta il consenso verso un certo assetto di potere. E tuttavia va considerato come un consenso debole, scarsamente impegnativo. Un giorno ci si è, ma non è detto che poi  si accetti di ritornarci. La narrazione dell’ingresso a Gerusalemme, in mezzo all’acclamazione della folla, contenuta nei quattro Vangeli canonici, rappresenta un evento simile.

  Paradossalmente, può essere più facile, disponendo delle risorse giuste, organizzare un grande  evento che far funzionare una parrocchia in modo che i suoi mondi vitali  si avvinino e collaborino intensificando relazioni amicali.  Questo effetto è l’agàpe, la pace solidale, sollecita e misericordiosa che è lo specifico sociale cristiano.

  Non basta la liturgia, non bastano le altre procedure formali. Occorre produrre un reale  avvicinamento delle persone e dei loro mondi vitali.

  Spesso però avvicinarsi ad altre persone risulta intollerabile per vari motivi. Relazioni troppo estese e intense non rientrano nelle nostre capacità cognitive, per limiti biologici insuperabili dei quali spesso non si è ben consapevoli. Di solito ci si concentra sulle relazioni con le persone delle quali si ha bisogno a seconda delle altre età della vita. Quando ci si avvicina, sempre  si incontrano maggiori difficoltà. Di solito, nella maggior parte delle relazioni, anche di prossimità, ci si tiene a un livello intermedio.

  Nell’intenzionalità religiosa si vorrebbe andare oltre, specialmente in certi momenti di trasporto emotivo, che tipicamente si manifestano nelle fasi iniziali di una relazione, quelle che vengono anche definite di stato nascente e che corrispondono, nelle relazioni personali, all’innamoramento. Le leggende che in genere si costruiscono sulle maggiori personalità religiose ci presentano virtù eccezionali in questo campo, che in genere sono ampiamente sovrastimate e non narrate realisticamente. Poi nella predicazione queste figure vengono portate ad esempio, ma si tratta di un esempio inarrivabile, inimitabile. Così, in queste cose si rimane sempre con un certo senso di frustrazione.

  L’agàpe  di prossimità richiede non tanto organizzatori, come i grandi eventi, ma mediatori. Il mediatore  aiuta a superare le tensioni che sempre sorgono avvicinandosi.

  All’interno di un gruppo la figura del mediatore  assume le caratteristiche della persona animatrice: agevola l’avvicinamento e la collaborazione delle persone. Ma è molto importante anche la funzione di mediazione tra i gruppi: serve a farli uscire dall’autoreferenzialità, a familiarizzarli reciprocamente e a farli collaborare. Una funzione di questo tipo è attribuita al Consiglio pastorale parrocchiale, le cui funzioni dovrebbero andare molto oltre quelle di consulente  del parroco, come in genere viene inteso. Una buona qualità del lavoro di quel Consiglio  è essenziale per lo sviluppo dell’agàpe parrocchiale, e, in particolare, per quel complesso di relazioni a cui si si riferisce parlando di sinodalità, una pratica che raramente si osserva nelle parrocchie e che invece si vorrebbe ora che caratterizzasse l’intera loro vita, coinvolgendo tutti i fedeli che vi gravitano intorno.   

  A parte certe caratteristiche personali che ogni persona può manifestare e che segnalano una particolare inclinazione alla funzione di mediazione,  le capacità di mediazione richiedono una specifica formazione, che si fa in primo luogo come tirocinio, provando e riprovando in pratica e cercando di saperne di più informandosi, sforzandosi di andare oltre i propri limiti. Purtroppo la formazione in questo livello, che è un grado ulteriore rispetto a quella di base e anche a quella di secondo livello, raramente si fa nelle parrocchie e soprattutto, quand’anche si fa, di solito rimane a livello teorico, senza possibilità di reali tirocini.

  In genere i preti svolgono anche attività di  mediazione, ma sono pochi e hanno poco tempo residuo dalle attività ordinarie liturgiche e assistenziali. Ma sembrano preferire fare da sé: giovani e anziani che sino sono poco abituati a far spazio ad altre persone e spesso ne diffidano.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.

  

 

sabato 17 maggio 2025

Organizzare la pace-agàpe

Organizzare la pace-agàpe

 

  A volte pare che organizzare la pace sembri troppo poco come attività specificamente religiosa.

  Ricordo che una volta, in parrocchia, mi si obiettò che questo erano capaci di farlo tutte le persone anche a prescindere dal soprannaturale. Ma è davvero così?

   L’etica cristiana è basata sull’agàpe, che possiamo tradurre come pace solidale, sollecita e misericordiosa. Non ogni pace lo è, come credo sia chiaro a tutte e tutti. Ci sono diverse gradazioni della pace, alle quali corrispondono varie qualità.

  In natura la pace non c’è. Pensare a una convivenza pacifica è dunque andare oltre la natura: il soprannaturale, appunto. Se poi la si immagina stabile e di alta qualità come quella che si insegna nel vangelo, questo è ancora più chiaro.

  Fare  pace non è solo un mezzo per conquistarsi la vita eterna, ma ne è già manifestazione, almeno di quella prefigurato nell’immaginario cristiano.  Dico immaginario perché riguarda una realtà, quella dell’altro mondo, di cui sappiamo poco, veramente poco, e allora si cerca di prefigurarselo lavorando di fantasia. Nulla di male, purché si mantenga la consapevolezza che di immaginario si tratta. Il comandamento nuovo  cristiano è l’agàpe, ciò che dura e che è più  grande anche di fede e speranza, secondo l’autore della prima Lettera ai Corinzi

 

Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità [agàpe]. Ma la più grande di tutte è la carità!

[νυνὶ δὲ μένει πίστις, ἐλπίς, ἀγάπη· τὰ τρία ταῦτα, μείζων δὲ τούτων ἡ ἀγάπη  - nunì dè mènei pistis, elpìs, agàpe: ta tria tàuta mèizon de tuton e agàpe] [dalla prima Lettera ai Corinzi, capitolo 13, versetti 12 e 13 – 1Cor 13, 12-13 – versione in italiano CEI 2018]

  Il soprannaturale ci è dato solo di immaginarlo, salvo l’agàpe. Quest’ultima va organizzata, non ci si deve immaginarsela discendere solo dal Cielo: questo è l’insegnamento evangelico.  Ma, nella misura in cui l’operazione riesce, essa manifesta il Cielo.

  Per il fatto che ci possono riuscire anche non battezzati non significa che il risultato da loro prodotto non sia cristiano se realizza l’agàpe evangelica.

  E’ necessario che lo si faccia dichiarando una certa dottrina? Alcuni pensano che sia così. Ma, in realtà, l’insegnamento evangelico non mi pare che vada in quella direzione. In particolare ci venne la parabola del Samaritano misericordioso, tanto ricordata negli anni passati, dov’è il farsi prossimi, quindi il non dogmatico darsi da fare, verso uno sconosciuto sofferente incontrato per caso sulla via che viene proposto come parametro dell’agape cristiana.

  Nei secoli passati, questo aspetto pratico  della realizzazione dell’agàpe   è stato non di rado messo in secondo piano, in particolare quando si cominciò ad occuparsi di costruire società su grande scala, e non solo delle relazioni di prossimità, alle quali si riferiscono gli episodi e la gran parte degli insegnamenti narrati nei Vangeli.

  Un grandioso esempio di questo è nell’opera La città di Dio – De civitate dei  di Agostino d’Ippona, vissuto in quel Quarto secolo in cui i vescovi divennero funzionari pubblici e avevano moglie e in cui venne progettata la riforma dell’antico Impero romano, trasferendone il centro in Tracia, a Bisanzio, dove lo rimase fino al 1453, alle soglie dell’età moderna. Nel Quarto secolo prevalevano gli autori orientali, che si esprimevano in greco. La teologia politica  di Agostino tornò particolarmente utile nel millennio successivo.  

 

Dalla voce  “Agostino di Ippona” di Enciclopedia Treccani on line – tratta da Storia della civiltà europea diretta da Umberto Eco (2014)

https://www.treccani.it/enciclopedia/agostino-di-ippona_(Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco)/

 

  Agostino è sempre molto sensibile ai segni dei tempi, alla storia e alle condizioni in cui si trova a operare come responsabile della propria comunità. Per comprendere quale potesse essere la percezione che in quegli anni si ha della situazione complessiva dell’impero, si può ricordare una data che ebbe un impatto devastante sui contemporanei: il 24 agosto 410 un’armata gotica al comando di Alarico per tre giorni mette a sacco la città di Roma, che è il centro di una civiltà millenaria e il cui impero si è venuto di fatto identificando con l’idea stessa di civiltà, di ordine, di storia. “Se Roma può perire, che cosa può esservi di sicuro?” chiede Girolamo in una delle sue lettere. Agostino reagisce con forza a questa situazione, sapendo perfettamente di essere riferimento importante sia dal punto di vista religioso sia da quello istituzionale e politico, e sapendo anche che proprio in questo momento si gioca una partita decisiva per il futuro del cristianesimo, accusato di essere causa dell’indebolimento di Roma e della sua cultura.

  Agostino capovolge il ragionamento, presentando il cristianesimo come la novità che anzi può dare nuovo vigore all’Impero romano, la cui decadenza si deve piuttosto ai suoi vizi, alle sue ipocrisie, alla sua incapacità di essere fedele a quelle grandi virtù descritte dai suoi letterati. Questo impegno di difesa del cristianesimo si colloca entro un’opera grandiosa, il De civitate Dei, in cui viene ripercorsa la storia di Roma che si trasfigura quasi nella storia dell’umanità. In essa convivono, mescolati in modo inestricabile, gli uomini che mettono al primo posto la ricerca di Dio, cioè dell’assoluto e della virtù, e gli uomini che mettono l’amore per se stessi davanti a ogni altra cosa, cercando solo di soddisfare i propri desideri terreni.

  Si tratta delle famose due città – quella di Dio e quella terrena – che mai vengono identificate con Stato e Chiesa, ma rappresentano due modelli di vita che in ogni caso sulla terra sono destinati a convivere. I grandi valori della tradizione romana sono fondati su quelli della città terrena, sulla sete di dominio – libido dominandi – e sull’arrogante ricerca dell’ammirazione e della lode. Il De civitate Dei è una lunga e articolata riflessione sui rapporti fra cristianesimo e cultura pagana e sulla funzione anche provvidenziale della storia di Roma per l’affermarsi e il diffondersi della religione cristiana. È il primo complesso tentativo di proporre entro la nuova cultura una filosofia della storia, che Agostino riesce a costruire grazie alla capacità di pensare l’umanità come un unico organismo vivente sulla base di una propria legge di sviluppo e l’intero corso della storia come dotato di significati comprensibili e governato da un’ordinata successione di età. In ogni epoca gli uomini si orientano intorno alle due città, in una tensione presente fin dall’inizio nello scontro fra Caino e Abele, che si ripropone in circostanze diverse, alle origini della civiltà romana, nello scontro emblematico fra Romolo e Remo.

 

  La città di Dio è un’opera di teologia politica, ma anche propriamente di politologia, di riflessione colta sull’organizzazione della politica, su come governare il mondo. Città  in quell’opera sta per civiltà e la prospettiva in cui scrisse Agostino era quella del mondo governato dall’Impero romano, nel quale, in un processo che è ancora piuttosto misterioso per carenza di fonti, ad un certo punto allignarono i cristianesimi. Ma è scritta da un filosofo come lo erano gli antichi e vi si fa molto conto sul ragionamento, sulla ragionevolezza dell’argomentare. Oggi, con lo sviluppo di antropologia e sociologia dall’Ottocento, ci si dedica molto di più all’osservazione della società com’è realmente.

  La città di Dio  è un’opera complessa, scritta nel latino del Quarto secolo. E’ incredibile quanto fossero prolifici gli antichi autori. Quelli che vennero considerati padri  della nostra fede ebbero le loro opere preservate con maggiore cura. Io ho quel testo nella versione italiana di Luigi Alici, pubblicata da Bompiani nel 2001. E’ un progetto di rifondazione della civiltà su basi cristiane: essa sarebbe dovuta avvenire mediante l’impegno della gente cristiana negli organismi pubblici di governo, in modo da riorientarli verso la Città di Dio. Fin da allora si aveva chiara consapevolezza che il lavoro nel mondo, per trasformarlo nel senso evangelico, richiedeva la conversione personale al bene,  e anzi partiva da lì. Nei secoli successivi, ad un certo punto si fece più conto sull’argomentare. Accanto alle virtù della fede, della speranza e della carità-agàpe si affermò, anche come criterio organizzativo, la verità, che però non conseguiva solo dal ragionevole argomentare ma alla decisione di un’autorità ecclesiastica sempre più accentrata in una gerarchia, nella quale il potere discendeva dal vertice, e quest’ultimo era sacralizzato, impersonando il Cristo in Terra.

   L’argomentare teologico che fu molto sviluppato dall’epoca della Scolastica, dal Dodicesimo secolo, che coincise con una epocale riforma del mondo europeo ormai cristianizzato. Fu caratterizzata, appunto, dall’argomentare secondo verità, mutuando il metodo dalla pratica giuridica, e dal tradurre in pratica ciò che si era progettato argomentando, riformando la società, imponendole leggi,  e cercando di renderla coerente in tutte le sue componenti.

 Agostino, secondo un costume che ancor oggi connota le teologie cristiane, argomenta principalmente sulla base delle narrazioni bibliche, senza però la profondità di comprensione consentita ai tempi nostri dagli sviluppi delle scienze bibliche e  utilizzando  anche altre fonti e l’osservazione della realtà, in un modo che però oggi non si usa più tanto con quell’intensità, nella teologia politica, perché si preferisce essere più aderenti alla realtà nello stabilire i principi dell’azione sociale, distinguendo mitologia e simbolismi dai dati ricavati dall’osservazione sul campo. Ai tempi nostri ne sappiamo molto di più di come va il mondo, la società, le stesse persone umane. A differenza dell’era in cui scrisse Agostino, dai tempi della Scolastica, dal Dodicesimo secolo, quell’argomentare di teologia e diritto per riorganizzare la società argomentare si fece in modo dialogico in ambito universitario, coinvolgendo tante menti. E’ ancora così. La disciplina divenne una scienza e il latino la sua lingua, perché era il linguaggio delle scienze, e lo rimase fino a metà Ottocento. Questo tagliò fuori gli incolti, la maggior parte della gente, che non intendeva più il latino scientifico né il gergo specialistico di teologia e diritto. E questo sebbene dal Duecento le società cristianizzate europee manifestassero chiari fermenti di popolo animati dalla riflessione evangelica. Essi furono repressi con ferocia incredibile secondo la sensibilità contemporanea.

  Dal Cinquecento progressivamente la situazione iniziò a cambiare. Sempre più la società tese a riappropriarsi del vangelo. Le fonti bibliche vennero rese progressivamente disponibili in traduzioni nelle lingue parlate dalla gente. E questo anche tra le comunità cattoliche nonostante la pervicace e violenta resistenza delle gerarchie ecclesiastiche, motivata dal timore che ne uscisse lesa la verità.

  Il dibattito è ancora vivo nella nostra Chiesa, nonostante che il Concilio Vaticano 2º (1962-1965), ribaltando le precedenti posizioni, avesse deliberato di aprire al popolo di fede le fonti bibliche, rendendole disponibili integralmente in traduzioni nelle lingue realmente parlate e dai testi originali, interpretati secondo il metodo delle scienze bibliche, non più solo dal latino ecclesiastico.

  Nel 2009, nell’enciclica Carità nella verità – Caritas in veritate, si concluse che la cosa più grande fosse la verità. La carità-agàpe non doveva essere considerata un criterio veritativo, ma era la verità, nel senso sopra precisato, che doveva definire ciò che era realmente agàpe. Questo rimetteva tutto nelle mani dei dotti in linea con la gerarchia e tagliava fuori l’altra gente.

  L’agàpe evangelica è un linguaggio universale perché ogni persona lo intende. Il metodo sinodale esteso a tutte le componenti della comunità ecclesiale vorrebbe darle spazio, ma finora non si è riusciti a trovare come fare in pratica. C’è di mezzo l’idea della verità e si teme che attenuando l’autoritarismo gerarchico che vi è connaturato l’organizzazione ecclesiastica di sfaldi. Di fatto la pressione autoritaria non è più forte in società come un tempo, per lo sviluppo dei processi democratici e per la sempre più elevata scolarizzazione delle masse, che le rende insofferenti alla mera sudditanza.

  Di fatto, e a prescindere dagli sviluppi della sinodalità, la voce della gente si è fatta sentire. Contemporaneamente però si sono manifestate crescenti difficoltà, nelle società europee, le più evolute del mondo sotto questo profilo, nella pratica della democrazia, vale a dire nel governo della società partecipato. Le società europee sono molto più popolate di un tempo e la composizione culturale ed etnica è mutata sia l’evoluzione generazionale dei costumi, sia per fenomeni migratori interni ed esterni, con molta più gente che va e che viene, che insomma si sposta, portandosi dietro le culture di riferimento.

  Il degradarsi dei processi democratici ha dato più potere alle oligarchie sociali, le quali, come sempre accade, cercano di diffondere culture per legittimarsi, riproponendo ideologie e liturgie  autoritarie che solo due decenni fa sembravano obsolete. La cosa ha interessato anche la nostra Chiesa, ad esempio con la papolatria di questi giorni, con la gente che accetta di farsi massa plaudente, semplice comparsa nelle liturgie di un potere sovrano.

   Se si pensa sia utile aver qualche parte nell’organizzazione della società, bisognerebbe prendere consapevolezza che, nel farlo, non si deve pensare di poter fare da soli, e di potersi limitare a ciò che è già stato scritto e osservato. E’ indispensabile incontrarsi  e argomentare dialetticamente, vale a dire dialogando, quindi anche affrontando le divergenze, rifiutando però di tagliar corto cercando di prevaricare o escludere. E’ necessario far convergere diversi punti di vista, perché nessuno, da solo, anche se sorretto da una grande mente, può avere una visione sufficientemente completa del mondo. Ne manifestarono consapevolezza i saggi del Concilio Vaticano 2º, che invitarono il popolo di fede a manifestare il proprio apporto ai pastori. Ma se poi non si riesce ad intendersi, a raggiungere una decisione condivisa?

  Nelle questioni che riguardano l’immaginario, e tipicamente lo sono quelle che riguardano le fantasie costruite  sul soprannaturale, si può anche mantenersi divisi, praticando ognuno a modo proprio, se non ci si accorda. Sul resto, su ciò che riguarda la vita reale, in genere un accordo si trova sempre sulla soluzione in cui la maggior parte ottiene un beneficio e l’altra parte non ne è troppo danneggiata. Allora il criterio maggioritario soccorre, perché in queste condizioni, raggiunto un punto di equilibrio, la decisione a maggioranza viene accettata. È la pratica democratica, della quale quella sinodale è una specie, che rende sempre più abili nel raggiungere quel risultato. È ciò che sperimentiamo in Azione Cattolica, ma non in parrocchia, dove la sinodalità esiste ancora in ambiti limitatissimi. Questo non comporta che le decisioni non sinodali siano accettate da tutti, ma che le persone a cui non vanno bene se ne allontanano, votando con i piedi, come si dice. Certo, non si manifestano conflitti, perché ci va chi ci sta, ma questa agàpe è di mediocre qualità.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli