Tirocinio di pensiero sociale e di sinodalità -2-
1. Il pensiero sociale è per una fede matura. Il pensiero sociale cristiano è attività di secondo livello: può essere praticato da chi ha già una certa acculturazione in una forma di cristianesimo nella quale si consideri importante influire sulla trasformazione sociale. Non è quindi per chi non ha ancora affrontato la formazione religiosa di primo livello o è rimasto a quella. O per chi non è convinto della via cristiana. Questo perché nel pensiero sociale, a differenza per certi versi dalla dottrina sociale, è molto importante l’esperienza che s’è fatta personalmente dei fatti sociali, soprattutto prendendovi parte attivamente.
Non tutte le spiritualità cristiane, poi, danno importanza a come influire sull’organizzazione della società partecipandovi. C’è chi pensa che se ne debba occupare la gerarchia ecclesiastica e che le altre persone debbano andarle dietro come fanno le pecore con i pastori. In alcune correnti di spiritualità si pensa che tutto debba rimanere nell’interiorità personale o anche confinato negli ambienti sociali di prossimità, come la famiglia o una qualche altra comunità particolare dove si vive come in una specie di famiglia. C’è poi chi vede la virtù nel cercare puramente e semplicemente il passato, essendone realisticamente consapevoli, e allora in genere si tratta di tempi più vicini, o immaginato con una certa libertà, e in questo caso allora si fa riferimento ad epoche più lontane o addirittura alle origini. Le fonti affidabili per ricostruire queste ultime, per quanto riguarda i cristianesimi, sono molto scarse, così la fantasia reazionaria trova meno ostacoli.
Il pensiero sociale necessariamente, per sua natura, si sviluppa mediante tirocini, vale a dire sperimentando l’organizzazione sociale prendendovi parte. Tuttavia è necessario anche raggiungere una consapevolezza realistica della storia in cui ci si inserisce, elemento al quale nella formazione religiosa di base si dà in genere poca importanza. Come anche è importante conoscere i principali strumenti culturali impiegati nella costruzione sociale, perché in questo lavoro non si comincia mai da zero, ed è un’ingenuità velleitaria pensare di poterlo fare.
La costruzione sociale si fa secondo linguaggi sociali che ci condizionano: essi cambiano con le loro società di riferimento e partecipandovi si influisce sul cambiamento, ma rimangono pur sempre fondamentali e occorre avervi pratica. Che cosa si prova arrivando in mezzo a una cultura diversa dalla propria di origine non sapendone nulla e, in particolare non conoscendone la lingua? Per influirvi occorre prendervi parte, dunque, saperne di più.
2. Tirocinio di pensiero sociale come esperienza collettiva. Da ciò che ho osservato deriva che necessariamente il pensiero sociale viene assimilato partecipando ad esperienze collettive di prossimità, quelle nelle quali sono possibili interazioni personali forti, del tipo faccia a faccia, ciò che rende possibile allentare il ricorso al collante culturale, indispensabile nelle relazioni su scala più vasta, per provare a rimodellarne la tessitura.
È consigliabile sperimentare senza l’assillo pressante di conflitti di potere, perché in questo caso le posizioni tendono a radicalizzarsi e, dunque, farlo quando la proverbiale posta in gioco è ancora bassa. Un gruppo di tirocinio sul pensiero sociale dovrebbe allora situarsi un po’ in secondo piano rispetto alle linee conflittuali, che sono insite in ogni azione di governo sociale, su qualsiasi scala venga esercitata, ad esempio dal livello di una parrocchia a quello delle Nazioni Unite. Dovrebbe essere possibile ragionare e sperimentare senza che lo sperimentare comporti un irrigidimento delle mentalità e delle procedure, in modo da renderle facilmente reversibili, mantenendole in uno stato di plasticità.
Nello stesso tempo non ci si dovrebbe limitare a proporre schemi, ma si dovrebbe anche tentare di attuare progetti, per vedere come va. Si potrebbe pensare di cominciare a progettare azioni collettive su campi ben delimitati e meno impegnativi, per poi provare ad estendere le soluzioni che in concreto si rivelano più efficaci e praticabili.
3. Sinodalità e democrazia. Da tre anni e mezzo le comunità cattoliche sono coinvolte in un lavoro di costruzione sociale riguardo a una riforma dell’organizzazione ecclesiastica che si vorrebbe più partecipata. Se ne parla come di un’operazione sinodale perché si vorrebbe riuscire a tenere insieme tutte le componenti, in particolare l’autoritaria e invasiva gerarchia ecclesiastica dominata dal clero, realizzando tuttavia reali cambiamenti in quel senso, ciò che finora si è rivelato impossibile.
Qualche giorno fa l’assemblea sinodale delle Chiese cattoliche in Italia ha respinto clamorosamente un documento conclusivo, redatto dall’organismo di presidenza, in cui, nel tentativo di prevenire rotture tra diversi punti di vista, sostanzialmente non si menzionavano le conclusioni sulle cose da fare, per proseguire l’azione di riforma su argomenti cruciali e controversi, che avevano riscosso il più vasto consenso tra i partecipanti. E va tenuto conto che il dibattito sinodale s’era fatto secondo un metodo, quello della conversazione spirituale, ideato sostanzialmente per prevenire l’emergere del dissenso rispetto alla linea della gerarchia ecclesiastica, organismo al quale si deve la struttura veramente poco sinodale delle nostre comunità ecclesiali.
Va anche tenuto conto che poco o nulla di ciò che s’è dibattuto nell’ assemblea sinodale è stato condiviso, e anche semplicemente conosciuto, nelle comunità ecclesiali di prossimità, quelle dove la vita comunitaria della fede realmente si esprime, il resto consistendo solo in burocrazia che c’è solo finché la si impersona, finché se ne manifestano i ruoli. Questo per il carattere dichiaratamente antidemocratico dei lavori sinodali fin qui svolti. Si ritiene, a torto, che la democrazia comporti il porre ai voti i principi fondamentali e che questo contrasti con l’ecclesialità come la si concepisce nella dottrina cattolica. In realtà la democrazia significa in primo luogo riconoscere la dignità delle persone e quindi consentire loro di avere voce e una qualche parte in ciò che le riguarda. Questo è stato storicamente anche il senso principale della sinodalità ecclesiale, dalla qual progressivamente la Chiesa cattolica s’è sempre più discostata, in particolare da metà Ottocento, quando un Papato che si era storicamente federato con le dinastie sovrane assolutistiche europee ingaggiò un durissimo conflitto con le nuove democrazie europee, che progressivamente si affermarono dalla fine del Settecento come espressione del liberalismo politico e dell’Illuminismo, tuttora indigesti alla gerarchia ecclesiastica e diffamati nel suo magistero e nella sua teologia di corte.
4. Tragici sviluppi degli orientamenti antidemocratici della gerarchia ecclesiastica italiana. Questo scontro divenne guerra aperta in Italia, durante il processo di costruzione dell’unità nazionale che si fece con una serie di sanguinosi conflitti bellici, fino alla soppressione per conquista militare del regno del Papato nel centro-Italia con capitale Roma, nel 1870, che determinò anche la fine traumatica del Concilio Vaticano 1º. Non prima però che vi si fosse deliberato, tra molti dissensi, il dogma controintuitivo della cosiddetta “infallibilità” del Papa nelle questioni di morale e dottrina in cui impegni la propria autorità.
Scrivo “controintuitivo” perché la storia dell’istituzione e di chi l’aveva rappresentata non sembrava confermare il nuovo dogma, poiché nulla, ma proprio nulla, era rimasto veramente immutato nei secoli in quel magistero e i cambiamenti erano stati talvolta così radicali da presentarsi come correzione di posizioni riconosciute come sbagliate.
Un esempio eclatante di questo è la posizione del Papato sulla soppressione dello Stato Pontificio da parte del Regno d’Italia, definita “provvidenziale” dal papa Paolo 6º e invece considerata un sacrilegio dal suo predecessore Pio 9º, il primo degli infallibili, tanto da determinare la scomunica del re d’Italia Vittorio Emanuele 2º di Savoia e del presidente del Consiglio dei ministri Camillo Benso di Cavour, e questo in un stato retto da uno Statuto che dichiarava ancora quella cattolica come unica religione del regno.
Seguirono il divieto, sotto pena di emarginazione, censura, riduzione allo stato laicale dei preti, di partecipare alle procedure democratiche delle elezioni politiche nazionali nel Regno di Italia, abbattutosi sulle comunità cattoliche italiane per volontà del Papato romano, che rivendicava il suo piccolo regno perduto.
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[ricerca mediante ChatGPT dell’11APR25]
Il “non expedit”, pronunciato dalla Santa Sede nella seconda metà dell’Ottocento, fu un divieto rivolto ai cattolici italiani di partecipare alle elezioni politiche del Regno d’Italia, in segno di protesta per la soppressione dello Stato Pontificio.
📜 Contesto del non expedit:
· Fu formulato in maniera definitiva nel 1868 e poi ribadito nel 1874 sotto Pio IX.
· Espressione completa: "Non expedit participare", cioè "Non è opportuno partecipare [alla vita politica del Regno d’Italia]".
· Motivazione: il Regno d’Italia era considerato "usurpatore" dei territori pontifici (Roma compresa, conquistata nel 1870).
⚖️ Le sanzioni ecclesiastiche:
Il non expedit non era un dogma né una norma canonica assoluta, ma un provvedimento disciplinare. Tuttavia, la sua violazione poteva portare a sanzioni, soprattutto nei primi anni della sua applicazione:
1. Sanzioni canoniche:
· Pena canonica di tipo penale: per i casi più gravi, poteva essere comminata una sospensione dai sacramenti, soprattutto se la partecipazione politica era considerata uno scandalo pubblico.
· In casi estremi, la scomunica minore era teoricamente possibile, ma non fu mai ufficialmente dichiarata come pena automatica per la semplice partecipazione al voto.
2. Censura morale e isolamento ecclesiale:
· I cattolici che votavano o si candidavano alle elezioni rischiavano di essere moralmente censurati, esclusi da incarichi ecclesiali o dalle confraternite, o emarginati dalla vita della parrocchia.
3. Azione dei vescovi:
· Alcuni vescovi applicarono il divieto in modo molto rigido, arrivando a negare i sacramenti (come la comunione o la sepoltura ecclesiastica) a chi avesse partecipato attivamente alla politica nazionale.
📌 Evoluzione:
· A partire dagli anni '90 dell’Ottocento, soprattutto con Leone XIII, la linea cominciò a ammorbidirsi.
· Nel 1905, Pio X permise deroghe controllate al non expedit, e nel 1919 Benedetto XV ne decretò di fatto la fine, favorendo la nascita del Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo.
In Sintesi:
Con il non expedit, la Santa Sede vietò ai cattolici italiani di partecipare alle elezioni politiche del Regno d’Italia, considerato illegittimo per l’annessione dello Stato Pontificio. Chi violava il divieto rischiava sanzioni ecclesiastiche come l’esclusione dai sacramenti o dagli incarichi parrocchiali, soprattutto se la partecipazione politica era pubblica e di scandalo. Sebbene non fosse prevista una scomunica automatica, la pressione morale era forte. Il divieto fu gradualmente attenuato e superato all’inizio del Novecento, aprendo la strada all’impegno politico dei cattolici con il Partito Popolare di don Sturzo.
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Questa posizione pervicacemente antidemocratica del Papato romano ebbe conseguenze tragiche sulla politica italiana, aprendo le porte, dopo la Prima guerra mondiale (1914-1918) al fascismo mussoliniano, con cui furono perpetrati, nel 1929, i cosiddetti Patti Lateranensi, conclusi con il Governo del Regno d’Italia ormai divenuto preda del fascismo mussoliniano, dai quali il Papato romano riebbe un piccolo regno territoriale sul colle Vaticano, privilegi ed esenzioni di vario tipo per l’organizzazione ecclesiastica e un ingente indennizzo.
Da inizio Novecento i cattolici democratici furono perseguitati come eretici e don Romolo Murri, uno dei suoi principali esponenti e tra i fondatori del gruppo romano della FUCI, gli universitari cattolici, scomunicato.
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[Ricerca mediante ChatGPT dell’11APR25]
La vicenda di don Romolo Murri è una delle più emblematiche del difficile rapporto tra Chiesa cattolica e impegno politico moderno, soprattutto nella fase di transizione tra l'Ottocento e il Novecento.
✝️ Chi era don Romolo Murri
· Nato nel 1870 a Monte San Pietrangeli (Marche), sacerdote, intellettuale e politico.
· Tra i primi in Italia a proporre un impegno politico dei cattolici autonomo dallo Stato e dai partiti clericali.
· Fondò nel 1901 il movimento Democrazia Cristiana Italiana, e successivamente il giornale Cultura Sociale.
· Fu un precursore del cattolicesimo democratico, sostenendo una conciliazione tra dottrina cristiana e valori moderni, come la libertà, la giustizia sociale, il suffragio universale.
⚖️ Perché fu scomunicato
· L’atteggiamento della Chiesa in quegli anni era ancora segnato dal "non expedit", che scoraggiava la partecipazione dei cattolici alla vita politica del Regno d’Italia.
· Murri fu molto critico verso l’atteggiamento passivo della gerarchia ecclesiastica, chiedendo un'apertura verso la democrazia e la questione sociale.
· Nel 1907 si candidò e fu eletto deputato nel Parlamento italiano come indipendente (con appoggio socialista in alcuni collegi).
· Questo gesto fu considerato una violazione diretta del magistero ecclesiastico.
🕯️ La scomunica
· Il 19 marzo 1909, la Santa Sede inflisse a don Romolo Murri la scomunica latae sententiae, cioè automatica, per insubordinazione e attività politica contraria agli ordini della Chiesa.
· Fu sospeso a divinis (non poteva più esercitare il ministero sacerdotale) e formalmente scomunicato.
🤝 Riavvicinamento alla Chiesa
· Murri non rinnegò mai la sua fede cattolica, e negli anni seguenti visse con grande sofferenza la sua separazione dalla Chiesa.
· Negli anni Trenta iniziò un percorso di riavvicinamento.
· Nel 1943, poco prima della morte, ricevette nuovamente i sacramenti e fu riammesso in comunione con la Chiesa.
📚 Significato storico
La vicenda di Murri è fondamentale per comprendere:
· Le resistenze iniziali della Chiesa verso la partecipazione attiva dei cattolici alla vita democratica moderna.
· Il percorso che porterà, anni dopo, alla nascita del Partito Popolare con don Luigi Sturzo e infine alla Democrazia Cristiana.
· Il ruolo dei cattolici progressisti nella costruzione della cultura democratica italiana.
Ecco una citazione molto significativa di Romolo Murri, tratta dai suoi scritti successivi alla scomunica:
«La mia fede è intatta. Non ho mai smesso di credere nella verità del Vangelo e nella missione della Chiesa. Ma ho creduto anche che la Chiesa dovesse parlare il linguaggio del popolo, della libertà, della giustizia.»
Questa frase riassume bene il dramma personale e spirituale vissuto da Murri: da un lato, la sua fedeltà profonda al messaggio evangelico; dall’altro, il desiderio ardente di vedere una Chiesa capace di dialogare con il mondo moderno e con le istanze democratiche e sociali del suo tempo.
🔍 Riflessione attuale
La vicenda di Murri è ancora oggi attuale per almeno tre motivi:
1. Tensione tra obbedienza e coscienza: Murri anticipa il conflitto vissuto da molti cristiani che si trovano a dover scegliere tra l'obbedienza alla gerarchia ecclesiastica e la fedeltà alla propria coscienza etica e civile.
2. Ruolo dei laici e del clero nella politica: la sua figura apre la strada al superamento del clericalismo, valorizzando il ruolo dei cristiani nella società come cittadini attivi, anche nel dibattito politico.
3. Anticipazione del Concilio Vaticano II: alcune delle sue intuizioni — il dialogo con il mondo, l’apertura alla democrazia, la centralità della coscienza — saranno riprese decenni dopo dal Concilio, segno che la Chiesa, pur con lentezza, può riconoscere i profeti incompresi del proprio tempo.
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Nel 1904, il papa Giuseppe Melchiorre Sarto, Pio 10°, il terzo degli infallibili, pose fine all’Opera dei Congressi, per le tendenze democratiche e favorevoli alla partecipazione alla politica italiana che vi si stavano affermando, e nel 1906, nel mezzo della brutale persecuzione cosiddetta antimodernista, che volle contrastare principi che invece furono deliberati, solo sessant’anni dopo, dal Concilio Vaticano 2°, deliberò la costituzione dell’Azione Cattolica Italiana, come organismo politico di massa agli ordini della gerarchia ecclesiastica, cosa che però l’associazione non fu mai totalmente, divenendo anzi, nel corso della Seconda guerra mondiale, una delle più importanti fucine di una nuova democrazia repubblicana.
Nonostante tutto ciò, il Papato romano e la gerarchia ecclesiastica costruita intorno ad essa prosegue nel suo orientamento ostinatamente anti-democratico, anche con il magistero del papa Francesco, pur molto sensibile e solidale riguardo alle sofferenze delle popolazioni ingiustamente sottomesse, oppresse, impoverite, emarginate, i poveri della terra. Il Papa regnante ci viene da molto lontano, dall’esperienza degli stati latinoamericani, profondamente diversa da quella degli stati dell’Europa occidentale del secondo dopoguerra, e in particolare da quella italiana, intensamente caratterizzata dall’influenza cattolico democratica. Il magistero di papa Francesco è pervaso da una radicata diffidenza verso la democrazia, considerata legata al liberalismo antireligioso e strumentalizzata dai ceti ricchi in danno della popolazione povera.
Un tirocinio di pensiero sociale, valido non solo in ambito ecclesiale ma anche per l’esercizio della cittadinanza democratica, deve necessariamente fare i conti con tutto ciò, tenendo conto che nessuna vera sinodalità, ampiamente e realmente partecipata come si vorrebbe, è possibile senza introdurre elementi di democrazia nel modo in cui si dibatte e si discute collettivamente.
Contrapporre sinodalità e democrazia è un errore perché esse hanno evidenti caratteri comuni, in particolare, appunto, l’esigenza di una reale, non meramente ritualizzata, partecipazione popolare nei processi decisionali, secondo il principio che tutte le persone devono potere avere voce e una qualche parte in ciò che le riguarda. Ciò che, lo ripeto, finora non si è riuscito ad ottenere nei processi sinodali sulla sinodalità che si sono celebrati, nonostante che, da qualche decennio almeno, le popolazioni di fede esprimano di fatto un’influenza sull’efficacia delle decisioni che si assumono in ambito ecclesiale, anche su temi molto importanti, semplicemente decidendo quando e fino a che punto prestare obbedienza, secondo coscienza (la libertà di coscienza, centrale nel pensiero liberale e democratico, fu, con molti distinguo, riconosciuta come diritto umano fondamentale durante il Concilio Vaticano 2º).
5. Primi passi. Organizzare un tirocinio di pensiero sociale richiede di riuscire a formare un gruppo di persone che decida collettivamente di incontrarsi periodicamente per dibattere sui temi sociali, impegnandosi a farlo sistematicamente, con continuità e riconoscendosi reciprocamente dignità pubblica, voce, diritto a partecipare a ciò che si decide: questo è l’embrione di una società in cui si può fare esperienza di pensiero sociale, innanzi tutto decidendo come e su quali temi procedere. Sono infatti possibili diversi modelli organizzativi e diverse linee di riflessione. Il decidere insieme che cosa e come fare, è già l’inizio di un pensiero sociale. Ciò che si decide in merito equivale al deliberare uno statuto del gruppo, l’equivalente di una costituzione per uno stato.
Dovendo lavorare in ambito ecclesiale si dovrà inserire tra le norme fondamentali quella che fa salva la libertà della predicazione ministeriale, che è costitutiva delle Chiese cristiane, e ciò fin dalle origini e sull’esempio del Maestro. Il principio che, allora, si dovrebbe seguire è quello che può essere enunciato così: non senza di noi, non solo da noi. Il noi è l’assemblea convocata per decidere insieme, il non solo da noi indica che non si deve pretendere di asservire la predicazione ministeriale alle decisioni dell’assemblea. Nella nostra Chiesa la predicazione ministeriale è organizzata intorno al vescovo e da lui. Dove oggi ogni potere, anche nelle minime cose, è tutto attribuito, anche nelle comunità di prossimità, al vescovo e ai suoi delegati, il rendere possibile la partecipazione anche di tutte le altre persone in ciò che le riguarda non deve significare però fare a meno del vescovo e della predicazione ministeriale. Non solo da noi, appunto.
Ma che succede se il potere del vescovo e del clero che da lui dipende si rivela dispotico e invasivo, in generale o solo in ambiti più limitati, per cui lo spazio delle altre persone è poco o nulla? Decidere insieme che fare in quelle situazioni rientra anch’esso nei primi passi di un tirocinio di pensiero sociale. La sfida della sinodalità è quella di indurre cambiamenti senza provocare fratture irreversibili, senza andarsene sbattendo la porta e senza cacciare la gente fuori.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in san Clemente papa – Roma, Monte Sacro Valli
Blog al servizio dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia San Clemente papa, in Roma, Monte Sacro, Valli
INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG
Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.
This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.
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Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.
Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.
Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.
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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma
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