Abituarsi
a confrontarsi con società grandi
Le narrazioni
evangeliche di solito mettono in scena piccoli gruppi. È per questo che sono
tanto coinvolgenti. Le emozioni legate alle esperienze di socialità funzionano
meglio in quegli ambiti e aiutano a capire.
In occasioni come
gli scenari delle moltiplicazioni degli alimenti distribuiti alle folle e dell’ingresso spettacolare a Gerusalemme in mezzo a tanta gente festante le
individualità si perdono.
Anche la formazione
religiosa della maggior parte delle persone è strutturata per ambiti sociali
limitati, replicando i contesti dei racconti evangelici.
Se però ci si
propone di incidere collettivamente in società bisogna imparare a confrontarsi
con dimensioni molto più grandi. Ad esempio, quando si vuole fare dell’umanità
un’unica famiglia bisogna essere consapevoli che questo lavoro riguarda oltre
otto miliardi di persone.
Per interagire in
un piccolo gruppo, diciamo in una collettività di non più di una trentina di
persone, possono andar bene le strategie relazionali che impariamo fin da
piccoli in famiglia e poi a scuola, ma quando si va oltre occorre dotarsi di
altri strumenti culturali. Perché è la cultura, intesa come complesso di
concezioni, costumi e riti, che rende
possibile la socialità a quel livello. Questo è un campo che viene di solito
trascurato nella formazione religiosa di base, mentre è al centro di quella
scolastica, fin dai primi gradi. Di solito non si riesce a integrarle e in
religione si fa come se quella scolastica non esistesse, ed è un grave errore.
Si sostiene che la
formazione religiosa non deve farsi strutturando le persone in una classe
scolastica perché non si tratta di trasmettere nozioni ma un modo di vivere
insieme. Questo è senz’altro apprezzabile. Fino agli scorsi anni Sessanta si
faceva catechismo pretendendo sostanzialmente che si imparassero semplici enunciati
formali e che si sapesse come comportarsi durante i riti liturgici. La
formazione religiosa formale era un di più, perché si era spinti verso la
religione dalla pressione sociale. Venuta meno quest’ultima si pensò di
sostituirla con la pressione comunitaria, inserendo la gente in formazione in
gruppi di prossimità molto coesi. In questo quadro assunse poi sempre più
importanza un nuovo papismo basato su un afflato emotivo verso la persona
fisica del Papa regnante, resa più accessibile dai mezzi di comunicazione di
massa. Venne in risalto l’umanità del Papa, mentre in precedenza la sua figura
appariva molto più sacralizzata e ieratica nel modo di presentarsi in pubblico.
Tuttavia, fare
conto sulla pressione sociale, e quindi su un certo conformismo che si vuole
indurre, produce poi una religiosità un po’ superficiale che non va tanto bene
quando si tratta di agire in società mediante strumenti culturali. Di questi
ultimi bisogna fare tirocinio e impratichirsi. Certe cose bisogna studiarle.
La Bibbia può
essere un punto di inizio, ma non basta.
In genere è ancora poco conosciuta, perché è un insieme di testi antichi di non
facile comprensione. Le narrazioni evangeliche, poi, hanno il problema che in
esse c’è poca società. Non ci si insegna, ad esempio, la politica. Il Maestro
non fu un capo politico e non costruì comunità, salvo quella, molto piccola, delle persone che lo seguirono nelle sue
peregrinazioni in Palestina e dintorni. I problemi politici iniziarono diverso
tempo dopo la sua morte, quando occorse strutturare delle comunità stabili,
stanziate in precise località, stabilendo gerarchie e tradizioni, e, per
questo, costruire una nuova cultura religiosa.
Facendo questo si aggiunsero cose nuove, adattandole alle esperienze
comunitarie che si venivano facendo. Non dobbiamo pensare che tutto ciò fosse già
presente nel vangelo predicato e impersonato dal Maestro. Queste nuove culture
furono piuttosto pluraliste, cosa della quale in genere oggi non si ha precisa
consapevolezza. Le Chiese delle origini erano molto diverse da com’è oggi la
Chiesa cattolica e quest’ultima assunse configurazioni molto diverse nelle varie
epoche storiche che attraversò.
Nessuna società
umana, dipendendo da elementi culturali, rimane mai la stessa nel tempo e quanto
più è popolata tanto più velocemente e profondamente cambia. In questa
evoluzione i gruppi tendono a distanziarsi culturalmente, mentre nello strutturare
l’organizzazione gerarchia di una società si tenta di vincolarli verso l’unità.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli