Clericalismo
Il clericalismo è la
mentalità secondo la quale il clero deve avere l’ultima parola su tutto.
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Tema:
origine della parola clero.
Ricerca mediante ChatGPT del 27-4-25
La parola italiana clero viene dal latino clērus, che a sua volta deriva dal greco antico κλῆρος (klēros),
che significa originariamente “sorteggio, porzione, eredità”.
Nella cultura ebraica antica (e poi anche in
quella cristiana primitiva), il termine greco κλῆρος (klēros),
cioè “sorteggio” o “porzione assegnata”, aveva un significato religioso molto
forte.
Nella Bibbia, ad esempio, klēros viene usato per indicare la parte che tocca in sorte alle tribù d’Israele nella Terra
Promessa — un dono che non si sceglie, ma che si riceve da Dio.
I primi cristiani usarono klēros per esprimere l’idea che alcuni uomini venivano scelti da Dio per una missione particolare, cioè per
il servizio nella Chiesa. Non era una “scelta umana”, ma qualcosa di assegnato
da Dio stesso, come una sorta di “eredità spirituale” o “destino sacro”.
Quindi:
·
“Clero” deriva da questa nozione di sorteggio divino: chi fa parte del clero è visto come “scelto” per un compito speciale.
·
L’idea
di ricevere un
incarico sacro “per sorte” rendeva il servizio dei sacerdoti qualcosa di molto più grande di una
semplice nomina umana.
Nei primi secoli del cristianesimo, il
termine greco klēros fu usato per indicare:
·
dapprima
la “parte scelta” da Dio,
·
e
poi, più specificamente, il gruppo di persone consacrate a Dio, cioè i ministri della Chiesa.
Quindi, il clero è diventato il termine per indicare l’insieme delle
persone che hanno ricevuto l’ordinazione religiosa (diaconi, sacerdoti,
vescovi).
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Perché ci sia
clericalismo occorrono religioni che prevedano
un clero organizzato gerarchicamente,
che sia insomma tutt’uno in società, e marcatamente distinto dall’altra gente, e
questo in Europa c’è solo tra i cattolici romani e anglicani e tra i cristiani dell’Ortodossia.
Tra i cristiani la
formazione di un clero è stata piuttosto precoce: risale ad un’epoca che può
collocarsi a cavallo tra il Primo e il Secondo secolo, anche se l’attuale
statuto del clero cattolico risale al Secondo Millennio, quando si ebbe
l’emarginazione dell’altra gente di fede e la costruzione teologica dello
statuto del cosiddetto laicato.
Alle origini, ad
esempio al tempo a cui si fanno risalire gli scritti sicuramente attribuiti a
Paolo di Tarso, circa trent’anni dopo la morte del Fondatore, non c’era un
clero, in particolare i vescovi non ne facevano parte ed erano
tutt’altro rispetto ad oggi.
Dal Secondo
Millennio la Chiesa cattolica romana si è data struttura di impero religioso con
una organizzazione modellata sull’antico feudalesimo e su una gerarchia feudale
nella quale ha parte solo il clero. In questa organizzazione il clero ha
progressivamente accentrato ogni potere sviluppando una corrispondente teologia
legittimante. Questa è ancora oggi la situazione della Chiesa cattolica.
L’accentramento del potere ha portato, dal Settecento, cioè dall’epoca in cui
in Europa si sono strutturati gli Stati contemporanei, a dare
all’organizzazione del clero una struttura burocratica, regolata da un
complesso sistema normativo, che da metà Ottocento, nel drammatico conflitto
con le democrazie liberali europee, si è
sempre più accentrata intorno al Papato romano, definito anche Santa Sede, espressione
che definisce l’ufficio ecclesiastico del Papa e quello degli organismi che con
esso cooperano al vertice, a Roma.
Il clero controlla
la teologia normativa cattolica, amministra i beni della Chiesa, che è tra i
maggiori proprietari immobiliari italiani e che gestisce importanti risorse
finanziarie, dirige gli organismi comunitari della struttura ecclesiale, in
particolare le parrocchie, lasciando pochissimo spazio all’altra gente e, di
solito, solo consultivo.
Dalla fine del Settecento,
in Europa e nelle altre aree del mondo colonizzate dagli europei, hanno
iniziato a manifestarsi e diffondersi i processi democratici, che prevedono
forme di partecipazione popolare alle decisioni politiche. In concomitanza con
essi si è cominciato a sentire anche tra i cattolici un particolare disagio in una situazione in
cui il clero ha l’ultima parola su tutto e la si è cominciata a indicare come
caratterizzata da clericalismo, dando a questa parola un connotato
negativo. Dal Cinquecento nelle Chiese cristiane protestanti si era tentato di
rimediarvi, abolendo il clero, o limitandone fortemente le prerogative, e
instaurando una gestione ecclesiastica sinodale, che significa più partecipata,
mantenendo tuttavia funzione e autorevolezza della predicazione, questa sì
fondamentale è risalente all’esempio e agli insegnamenti del Maestro, secondo
il principio “Non senza di noi, non solo da noi”.
Dagli scorsi anni
Sessanta il movimento per lo sviluppo di una sinodalità ecclesiale iniziò a
manifestarsi anche tra i cattolici e Il papa Francesco gli diede un particolare
impulso dal 2015. Dall’ottobre del 2021 promosse processi sinodali riguardanti
le Chiese del mondo specificamente quelle italiana, che sono ancora in corso e che finora non
hanno portato a reali cambiamenti nel modo di fare ed essere chiesa. Il clero
ha tutt’ora l’ultima parola su tutto ed è molto restio ad aprirsi alla
collaborazione dell’altra gente, anche nelle cose minime, anche nelle realtà di
prossimità come le parrocchie, anche nella nostra, nella quale pure, da qualche mese e su sollecitazione espressa della
Diocesi, ha ripreso a costituirsi il Consiglio pastorale parrocchiale.
Nelle leggi
ecclesiastiche approvate durante il Concilio Vaticano 2º (1962-1965) vengono
spiegate alcune ragioni dell’insufficienza del clericalismo: in un mondo
complesso come quello attuale, il clero non può sapere tutto, saper fare tutto,
occuparsi di tutto, e necessita della collaborazione dell’altra gente. Ma non
si tratta solo di questo. Quell’altra gente vivendo ed esprimendo, vivendo, la propria fede la modifica anche,
facendola evolvere secondo le esigenze dei tempi, anche se non è sempre capace
di descriverla in termini razionalmente appropriati. È ciò che anche nella
teologia formale viene evocato parlando di senso per la fede, in latino,
sensus fidei, vale a dire la capacità della gente di fede di intuire,
per virtù soprannaturale, la via giusta, detta anche verità. Che la gente, e tra essa lo stesso
clero, sia capace sempre di trovare la via giusta non mi è
particolarmente evidente, ma certamente ogni persona di fede, a suo modo, vi
collabora di fatto, e non di rado le tendenze che poi si sono rivelate
condivise da chi nelle Chiese aveva l’autorità si sono manifestate al di fuori
del clero, o dei poteri in esso costituiti, e addirittura contro di
essi. Non riconoscere questo ruolo
comune in questo, ciò che viene anche definito una specie di sacerdozio, è
umiliante e, alla lunga, demotiva alla fede o, almeno, all’apparenza a Chiese
che adottano queste politiche autoritarie. Ma non basta riconoscerlo formalmente,
come in genere avviene nelle comunità protestanti, bisogna anche far scoprire o
riscoprire, di generazione in generazione, l’utilità che ha nella costruzione
sociale e nella vita di ogni persona, anche nelle relazioni di prossimità. Nella
nostra Chiesa si è ancora ai primi passi e, in genere, nella predicazione si
preferisce presentare come virtuoso l’atteggiamento di chi, di fronte al clero,
accetta di presentarsi come gregge, vale a dire disposto a seguirne insegnamenti
e orientamenti, senza alcun proprio apporto.
Spesso il clero clericale
(ma c’è veramente un clero che non lo sia, almeno in Italia?) accusa di
clericalismo l’altra gente che vorrebbe aver voce nelle cose della Chiesa. In
una concezione che vede quest’ultima egemonizzata solo dal clero, e dunque nel
dominio esclusivo del potere clericale, l’altra
gente che vuole cambiare la situazione è
sospettata di voler fare il prete, e allora la si taccia di clericalismo
laicale che sarebbe voler mettere bocca nelle cose in cui ora mette bocca solo
il clero, ed è invitata a fare
altro, in particolare di occuparsi del mondo, che sarebbe la società fuori
degli ambienti ecclesiali. Anche nelle leggi deliberate durante il Concilio
Vaticano 2° vi è un po’ questa prospettiva. Al clero, naturalmente, non è
prescritto di limitarsi ad occuparsi degli ambienti ecclesiali, anzi è scritto chiaro
e tondo che deve occuparsi di tutto, aver voce su tutto, e questa è ancora una
prospettiva clericale, anche se di clericalismo tendenzialmente attenuato.
Papa Francesco predicò
sempre contro il clericalismo, sia verso il clero, e allora il suo
anticlericalismo appariva realmente anticlericale, sia verso l’altra gente, e
allora mi parve che, al contrario, si presentasse come quell’anticlericalismo
clericale a cui prima mi sono riferito. Una certa ambiguità. Ma può un Papa
essere veramente contro il clericalismo?
Il Papismo
cattolico è clericalismo al massimo grado. E’ l’orientamento di politica
ecclesiastica secondo il quale il Papa romano deve avere l’ultima parola su
tutto, dunque anche su clericalismo e anticlericalismo. Questa è attualmente la
legge della nostra Chiesa, definita anche in norme molto esplicite del Codice
di diritto canonico, il quale, sotto l’aspetto del clericalismo, è clericalismo
al massimo grado. Nella riforma sinodale che si sta tentando tra i cattolici ci
si propone anche di modificare la normativa canonica, ma finora non se n’è
fatto nulla. E temo che la morte di papa Francesco, che del processo sinodale
in corso è stato il massimo promotore, tra pochissimi altri, moltissimi
scettici e un buon numero di irriducibili avversari, possa segnare l’arresto
del movimento.
I clericali, comunque, possono essere
soddisfatti: la triste ricorrenza dei funerali di papa Francesco ha dimostrato
in modo eclatante che l’Italia è il Paese più clericale dell’universo, nel quale
paradossalmente si dimostra clericale anche chi si dichiara non credente, tuttavia
in un contesto in cui le persone che sono veramente e sinceramente religiose, e
affidano la propria vita al Cristo dei cristiani, sono sempre meno, come emerge
dalle statistiche delle inchieste di sociologia della religione.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa –
Roma, Monte Sacro – Valli – 27APR25, il giorno successivo ai funerali solenni
di papa Francesco, morto nella Città del Vaticano, in Casa Santa Marta, poco
dopo le 6 del 21APR25.