INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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martedì 29 aprile 2025

Paternità, sovranità, vangelo

Paternità, sovranità, vangelo

 

 Nel mito, i sovrani sono immaginati come padri dei popoli. Vi si costruisce sopra, quindi, una leggenda, nella quale sono accentuati i tratti della loro personalità riconducibili alla paternità.

  È sovrano il potere senza alcun limite se non in sé medesimo. Di fatto non esiste realmente alcun potere così, se non nel mito. E quest’ultimo viene sempre ad assumere caratteristiche soprannaturali. Ciò significa che il potere sovrano è sempre sacralizzato. Questo tipicamente accade nel Papato romano, un potere sovrano nel senso che ho indicato. Il suo diritto lo descrive, appunto, sovrano. E analogamente in altre monarchie con carattere dinastico. In queste ultime, la generazione biologica crea l’impressione di immortalità del potere sovrano. Il Papato romano non è propriamente una monarchia dinastica, ma ne riproduce il mito nel collegio cardinalizio a cui spetta di scegliere un nuovo sovrano quando quello in carica deve cedere alla natura: in qualche modo i cardinali vengono a ricoprire un ruolo filiale rispetto a lui.

  Il Papato romano e le monarchie sovrane dinastiche hanno in comune la caratteristica di inglobare nel mito un’istituzione, vale a dire un organismo strutturato giuridicamente per l’esercizio del potere sovrano, che viene anch’esso sacralizzato, per rafforzarlo. È sacralizzato il potere che si assume voluto da un dio o da altre forze che reggono la natura, quindi da entità che si assumono onnipotenti e quindi in massimo grado sovrane. La natura reca in sé l’evidenza della plasticità e della caducità. Quei poteri assumono quindi attributi soprannaturali.

  Nel mito, al cedere della persona del sovrano corrisponde una crisi cosmica che interessa l’intera natura,  compresa la società di riferimento. La successione viene quindi mediata da liturgie sacralizzate, che mettono in scena forze soprannaturali per ricostituire l’ordine fattosi precario. Una liturgia è un rito procedurale che coinvolge, ma solo empaticamente, una popolazione. È sacralizzato quando coinvolge potenze soprannaturali,  che nel rito vengono evocate. Si tratta di schemi ancestrali che possiamo considerare legati all’idea di paternità. Da qui, appunto, il mito del sovrano come padre del popolo.

  Nella successione di un Papa troviamo inscenati tutti quegli elementi mitici. Nei giorni scorsi vi abbiamo visti coinvolte persone che sono titolari di poteri al vertice nei principali Stati della Terra, sovrani o non.

  In una democrazia nessun potere è sacralizzato, così come non lo è nessuna procedura istituzionale, anche a carattere liturgico, come tipicamente sono quelle elettorali. La secolarizzazione, che è il contrario della sacralizzazione, è essenziale alla democrazia. Eppure  l’altro giorno abbiamo visto titolari di uffici di vertice in importanti democrazie coinvolti nella liturgia sacralizzata delle esequie di un sovrano sacralizzato morto. La loro presenza, come la presenza di esponenti di dinastie sacralizzate tuttora mantenute al potere, ha avuto una funzione di reciproca legittimazione: riconosciuti, quei poteri,  come pari dal potere sovrano che stava celebrando quella liturgia, lo hanno nel contempo legittimato e si sono reciprocamente legittimati.  In questo contesto si sono avuti gesti spettacolari, come il colloquio a tu per tu, ma in mondovisione, in un angolo della basilica vaticana, tra il presidente federale statunitense e il capo del regime ucraino,  tra i quali nelle settimane scorse vi era stata forte tensione. L’altra popolazione che ha partecipato solo come comparsa liturgica all’evento, quindi più presenziato che realmente partecipato, e che mi pare, ad occhio e croce, essere stata ampiamente sovrastimata, ha avuto la funzione  di manifestare una sorta di plebiscito legittimante i poteri sulla scena, miticamente rendendo presente tutto il popolo. Tanto che ho letto che un cardinale elettore avrebbe detto, riferendosi al prossimo conclave, l’assemblea sacralizzata dei cardinali elettori che sceglierà il nuovo Papa, che il popolo ha già scelto, vale a dire che vuole che la politica ecclesiastica del Papa morto prosegua nel nuovo Papato.

  Che cosa ha a che fare tutto questo con il vangelo cristiano? Quest’ultimo ha la funzione di elemento sacralizzante.

  Nelle interviste e dichiarazioni che sono state pubblicate sui mezzi di comunicazione di massa, di solito si è messa in risalto la bontà paterna del morto, come accade nella costruzione dei miti sovrani: egli però aveva assunto il suo alto ministero con l’intento di evangelizzazione. Non di rado gli intervistati si sono dichiarati non credenti, quindi presenziavano alle spettacolari esequie fascinati più che altro dal mito sovrano che implicavano. Il morto aveva però spiegato che l’ evangelizzazione  richiedeva l’impegno di tutte le persone di fede intorno al vangelo e aveva messo in guardia da quel mito di sovranità. Per questo aveva avviato processi di riforma in senso sinodale della nostra Chiesa. Sinodalità significa partecipazione ed è l’antitesi di sovranità, perché non vi può essere vera sinodalità se non costituendo limiti ad ogni potere, ed è sovrano, per definizione, solo il potere che non ne tollera alcuno.

  L’altro giorno abbiamo così visto, nella popolazione, plaudente manifestatasi intorno alla liturgia funebre del sovrano morto, l’antitesi della sinodalità ecclesiale promossa dal morto. Egli, in vita, aveva platealmente rifiutato alcuni segni della sovranità, innanzi tutto di abitare nella reggia pontificia. Aveva raccomandato semplicità nelle esequie, e la sua volontà è stata tradita. Il suo corpo e il suo mito sovrano,  che non ebbe il tempo e la forza di scrollarsi di dosso, sono rimasti nelle mani dei gerarchi che stanno dirigendo le liturgie di transizione. È stato esaudito nel suo voler essere seppellito lontano dalla reggia dei pontefici, nella basilica di Santa Maria Maggiore, tanto cara alla gente di fede di Roma, lontano dal vanaglorioso chiesone vaticano eretto a celebrare un Papato fattosi imperiale, nel nome di Colui che disse che il suo Regno non era di questo mondo. Forse questo consentirà, diradandosi il polverone liturgico-mediatico della transizione, di riscoprire in lui il buon pastore nel senso del vangelo, quale prima di ogni altra cosa volle essere.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 


domenica 27 aprile 2025

Paternità

Paternità

 

   Negli eventi pubblici che sono seguiti alla morte del Papa Francesco vi sono stati molti elementi diversi.

  I mezzi di comunicazione di massa ci avevano avvicinato molto la persona di quel Papa, arrivandolo a farcelo sentire quasi come una persona di famiglia, un nonno, come egli talvolta soleva presentarsi.

  Era anche un pastore in senso evangelico, come lo stesso Maestro volle essere, egli, il modello di ogni altro pastore d’anime.

  Nel contempo era al vertice della gerarchia ecclesiastica cattolica, ancora costruita come un impero religioso assoluto, al quale deve fare riferimento ogni altro potere ecclesiastico, che tuttavia ha legittimazione sacrale perché non è mai conferito da un superiore nel nome proprio ma di colui dal quale la missione di evangelizzare le genti originò.

  Impersonava un organismo, la Santa Sede, vale a dire l’ufficio del Papa e di quelli che con esso collaborano al vertice, che ha personalità giuridica di diritto internazionale, vale a dire che può trattare da pari con i rappresentanti degli Stati e inviar loro degli ambasciatori, detti Nunzi apostolici, che svolgono anche funzioni di governo, in rappresentanza della Santa Sede, nelle Chiese locali degli Stati a cui vengono inviati. Questa capacità di interloquire secondo le norme del diritto internazionale è indipendente dall’essere sovrano della Città del Vaticano, che il diritto della Santa Sede definisce Stato, anche se nel Trattato Lateranense tra il Regno d’Italia e la Santa Sede che l’istituì nel 1929 non è mai definito come tale. La Santa Sede, infatti, conservò personalità giuridica di diritto internazionale anche nel tempo in cui fu privata, nel 1870 a seguito di invasione da parte delle truppe del Regno d’Itali del suo regno nell’Italia centrale, denominato Stato Pontificio, e fino al recupero di una sovranità territoriale con l’istituzione della Città del Vaticano, nel 1929.

 Era sovrano assoluto della Città del Vaticano, istituita a Roma per garantire la massima libertà della Santa Sede nell’esercizio del suo ministero ecclesiastico.

  Era vescovo di Roma, idealmente legittimato a tale ministero da una ininterrotta successione da vescovo a vescovo fino a risalire all’apostolo Pietro, il quale tuttavia non fu propriamente vescovo nel senso in cui oggi tale ministero è configurato, ma anche nel senso in cui se ne parlava alla sua epoca o di quello in cui se ne prese a parlare nei decenni successivi, a cavallo tra Primo e Secondo secolo.

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Tema (promt): è considerato storicamente sicuro che l’apostolo Pietro sia stato il vescovo di Doma?

Ricerca mediante ChatGPT del 27APR25

La risposta è: non è storicamente sicuro, ma è molto probabile secondo la tradizione antica, anche se le prove dirette sono poche.

Ti spiego meglio:

·       Nei testi del Nuovo Testamento (come gli Atti degli Apostoli o le lettere paoline) non si dice esplicitamente che Pietro sia stato vescovo di Roma o che sia morto lì.

·       Tuttavia, già da fine I secolo e inizio II secolo, testi cristiani come la Prima lettera di Clemente (scritta da Roma intorno al 96 d.C.) e poi Ignazio di Antiochia (circa 110 d.C.) parlano di un legame molto forte tra Pietro, Paolo e la Chiesa di Roma.

·       Origene (III secolo) e Eusebio di Cesarea (IV secolo) affermano chiaramente che Pietro subì il martirio a Roma sotto Nerone.

·       Anche autori pagani, come lo storico Tacito, descrivono una grande persecuzione dei cristiani a Roma ai tempi di Nerone (64 d.C.), e la tradizione cristiana inserisce lì il martirio di Pietro.

 

Sulla base di questi elementi:

·       La tradizione ecclesiastica considera molto solido che Pietro sia morto a Roma, crocifisso (secondo alcuni testi apocrifi, a testa in giù).

·       Gli storici moderni dicono che non si può dimostrare con certezza storica, ma che è una tradizione antichissima e plausibile, basata su testimonianze vicine nel tempo.

Quanto al fatto che Pietro fosse vescovo di Roma:

·       Il titolo di “vescovo” nel senso moderno si sviluppa solo più tardi.

·       È più corretto dire che Pietro esercitò un ruolo di guida nella comunità cristiana di Roma, e che il suo nome fu poi associato al primato del vescovo di Roma.

In breve

·       Morte a Roma: tradizione molto antica e plausibile, ma non documentata direttamente nei testi del I secolo.

·       Vescovado: concetto anacronistico applicato retroattivamente; Pietro fu piuttosto una guida carismatica della comunità.

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  Papa Francesco era anche un gesuita, appartenente quindi all’Ordine religioso fondato da Sant’Ignazio di Lojola nel Cinquecento i cui membri svolsero ruolo molto importanti anche nella vita pubblica di diversi Stati.

  Era infine un argentino, profondamente pervaso della cultura di quella popolazione, ma anche un discendente di emigrati italiani e quindi molto legato anche alla nostra cultura.

  Papa Francesco impersonò tutti questi ruoli sociali con spirito paterno, e anche come un nonno, un padre più anziano e, in quanto più anziano anche più autorevole, e talvolta, almeno nelle culture europee, meno autoritario. Ciò in particolare trattando con la gente comune, mentre con clero e religiosi impersonava un tratto più autoritario, da gerarca supremo, secondo le norme del diritto canonico, che è il diritto della Chiesa cattolica.

  Alla mentalità paterna nella nostra cultura sono attribuiti il prendersi cura di altre persone sorreggendole e guidandole nel loro inserimento nella società delle persone adulte e il proteggere le persone delle quali ci si prende cura, risollevandole nelle loro cadute e quindi anche perdonandole. Si tratta di un tipo particolare di misericordia che nelle figure della teologia viene attribuita al Padre, secondo il modello del Padre misericordioso della parabola.

  Sarebbe espressione di una mentalità clericale pensare che solo il clero possa esprimere quella paternità: in realtà tutte le persone di fede sono chiamate a impersonarla. Sebbene il Maestro, nella teologia Trinitaria, impersoni il Figlio, è proprio lui il modello concreto della paternità in senso cristiano. I Vangeli sono quindi la base principale per impararla. E imparare a impersonarla è ciò che maggiormente caratterizza la persona cristiana. Molto più delle esteriorità relative alla sovranità che le gerarchie ecclesiastiche ancora in qualche  modo esercitano. È propria questa paternità che mi pare fascinare la gente riguardo alla figura di Papa Francesco.

Mario Ardigò- Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma

 

 

 

 

 


Clericalismo

 

Clericalismo

 

  Il clericalismo è la mentalità secondo la quale il clero deve avere l’ultima parola su tutto.

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  Tema: origine della parola clero.

   Ricerca mediante ChatGPT del 27-4-25

  La parola italiana clero viene dal latino clērus, che a sua volta deriva dal greco antico κλῆρος (klēros), che significa originariamente “sorteggio, porzione, eredità”.

  Nella cultura ebraica antica (e poi anche in quella cristiana primitiva), il termine greco κλῆρος (klēros), cioè “sorteggio” o “porzione assegnata”, aveva un significato religioso molto forte.

  Nella Bibbia, ad esempio, klēros viene usato per indicare la parte che tocca in sorte alle tribù d’Israele nella Terra Promessa — un dono che non si sceglie, ma che si riceve da Dio.

  I primi cristiani usarono klēros per esprimere l’idea che alcuni uomini venivano scelti da Dio per una missione particolare, cioè per il servizio nella Chiesa. Non era una “scelta umana”, ma qualcosa di assegnato da Dio stesso, come una sorta di “eredità spirituale” o “destino sacro”.

Quindi:

·         “Clero” deriva da questa nozione di sorteggio divino: chi fa parte del clero è visto come “scelto” per un compito speciale.

·         L’idea di ricevere un incarico sacro “per sorte” rendeva il servizio dei sacerdoti qualcosa di molto più grande di una semplice nomina umana.

Nei primi secoli del cristianesimo, il termine greco klēros fu usato per indicare:

·         dapprima la “parte scelta” da Dio,

·         e poi, più specificamente, il gruppo di persone consacrate a Dio, cioè i ministri della Chiesa.

Quindi, il clero è diventato il termine per indicare l’insieme delle persone che hanno ricevuto l’ordinazione religiosa (diaconi, sacerdoti, vescovi).

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  Perché ci sia clericalismo occorrono  religioni che prevedano  un clero organizzato gerarchicamente, che sia insomma tutt’uno in società, e marcatamente distinto dall’altra gente, e questo in Europa c’è solo tra i cattolici romani e anglicani e tra i cristiani dell’Ortodossia.

  Tra i cristiani la formazione di un clero è stata piuttosto precoce: risale ad un’epoca che può collocarsi a cavallo tra il Primo e il Secondo secolo, anche se l’attuale statuto del clero cattolico risale al Secondo Millennio, quando si ebbe l’emarginazione dell’altra gente di fede e la costruzione teologica dello statuto del cosiddetto laicato.

  Alle origini, ad esempio al tempo a cui si fanno risalire gli scritti sicuramente attribuiti a Paolo di Tarso, circa trent’anni dopo la morte del Fondatore, non c’era un clero, in particolare i vescovi non ne facevano parte ed erano tutt’altro rispetto ad oggi.

   Dal Secondo Millennio la Chiesa cattolica romana si è data struttura di impero religioso con una organizzazione modellata sull’antico feudalesimo e su una gerarchia feudale nella quale ha parte solo il clero. In questa organizzazione il clero ha progressivamente accentrato ogni potere sviluppando una corrispondente teologia legittimante. Questa è ancora oggi la situazione della Chiesa cattolica. L’accentramento del potere ha portato, dal Settecento, cioè dall’epoca in cui in Europa si sono strutturati gli Stati contemporanei, a dare all’organizzazione del clero una struttura burocratica, regolata da un complesso sistema normativo, che da metà Ottocento, nel drammatico conflitto con le democrazie liberali  europee, si è sempre più accentrata intorno al Papato romano, definito anche Santa Sede, espressione che definisce l’ufficio ecclesiastico del Papa e quello degli organismi che con esso cooperano al vertice, a Roma.

  Il clero controlla la teologia normativa cattolica, amministra i beni della Chiesa, che è tra i maggiori proprietari immobiliari italiani e che gestisce importanti risorse finanziarie, dirige gli organismi comunitari della struttura ecclesiale, in particolare le parrocchie, lasciando pochissimo spazio all’altra gente e, di solito, solo consultivo.

  Dalla fine del Settecento, in Europa e nelle altre aree del mondo colonizzate dagli europei, hanno iniziato a manifestarsi e diffondersi i processi democratici, che prevedono forme di partecipazione popolare alle decisioni politiche. In concomitanza con essi si è cominciato a sentire anche tra i cattolici  un particolare disagio in una situazione in cui il clero ha l’ultima parola su tutto e la si è cominciata a indicare come caratterizzata da clericalismo, dando a questa parola un connotato negativo. Dal Cinquecento nelle Chiese cristiane protestanti si era tentato di rimediarvi, abolendo il clero, o limitandone fortemente le prerogative, e instaurando una gestione ecclesiastica sinodale, che significa più partecipata, mantenendo tuttavia funzione e autorevolezza della predicazione, questa sì fondamentale è risalente all’esempio e agli insegnamenti del Maestro, secondo il principio “Non senza di noi, non solo da noi”.

  Dagli scorsi anni Sessanta il movimento per lo sviluppo di una sinodalità ecclesiale iniziò a manifestarsi anche tra i cattolici e Il papa Francesco gli diede un particolare impulso dal 2015. Dall’ottobre del 2021 promosse processi sinodali riguardanti le Chiese del mondo specificamente quelle italiana,  che sono ancora in corso e che finora non hanno portato a reali cambiamenti nel modo di fare ed essere chiesa. Il clero ha tutt’ora l’ultima parola su tutto ed è molto restio ad aprirsi alla collaborazione dell’altra gente, anche nelle cose minime, anche nelle realtà di prossimità come le parrocchie, anche nella nostra, nella quale pure, da  qualche mese e su sollecitazione espressa della Diocesi, ha ripreso a costituirsi il Consiglio pastorale parrocchiale.

  Nelle leggi ecclesiastiche approvate durante il Concilio Vaticano 2º (1962-1965) vengono spiegate alcune ragioni dell’insufficienza del clericalismo: in un mondo complesso come quello attuale, il clero non può sapere tutto, saper fare tutto, occuparsi di tutto, e necessita della collaborazione dell’altra gente. Ma non si tratta solo di questo. Quell’altra gente vivendo ed esprimendo,  vivendo, la propria fede la modifica anche, facendola evolvere secondo le esigenze dei tempi, anche se non è sempre capace di descriverla in termini razionalmente appropriati. È ciò che anche nella teologia formale viene evocato parlando di senso per la fede, in latino, sensus fidei, vale a dire la capacità della gente di fede di intuire, per virtù soprannaturale, la via giusta, detta anche  verità. Che la gente, e tra essa lo stesso clero, sia capace sempre di trovare la via giusta non mi è particolarmente evidente, ma certamente ogni persona di fede, a suo modo, vi collabora di fatto, e non di rado le tendenze che poi si sono rivelate condivise da chi nelle Chiese aveva l’autorità si sono manifestate al di fuori del clero, o dei poteri in esso costituiti, e addirittura contro di essi. Non riconoscere  questo ruolo comune in questo, ciò che viene anche definito una specie di sacerdozio, è umiliante e, alla lunga, demotiva alla fede o, almeno, all’apparenza a Chiese che adottano queste politiche autoritarie. Ma non basta riconoscerlo formalmente, come in genere avviene nelle comunità protestanti, bisogna anche far scoprire o riscoprire, di generazione in generazione, l’utilità che ha nella costruzione sociale e nella vita di ogni persona, anche nelle relazioni di prossimità. Nella nostra Chiesa si è ancora ai primi passi e, in genere, nella predicazione si preferisce presentare come virtuoso l’atteggiamento di chi, di fronte al clero, accetta di presentarsi come gregge, vale a dire disposto a seguirne insegnamenti e orientamenti, senza alcun proprio apporto.

 Spesso il clero clericale (ma c’è veramente un clero che non lo sia, almeno in Italia?) accusa di clericalismo l’altra gente che vorrebbe aver voce nelle cose della Chiesa. In una concezione che vede quest’ultima egemonizzata solo dal clero, e dunque nel dominio esclusivo del potere clericale,  l’altra gente che vuole cambiare la situazione  è sospettata di voler fare il prete, e allora la si taccia di clericalismo laicale che sarebbe voler mettere bocca nelle cose in cui ora mette bocca solo il clero,  ed è invitata a fare altro, in particolare di occuparsi del mondo, che sarebbe la società fuori degli ambienti ecclesiali. Anche nelle leggi deliberate durante il Concilio Vaticano 2° vi è un po’ questa prospettiva. Al clero, naturalmente, non è prescritto di limitarsi ad occuparsi degli ambienti ecclesiali, anzi è scritto chiaro e tondo che deve occuparsi di tutto, aver voce su tutto, e questa è ancora una prospettiva clericale, anche se di clericalismo tendenzialmente attenuato.

 Papa Francesco predicò sempre contro il clericalismo, sia verso il clero, e allora il suo anticlericalismo appariva realmente anticlericale, sia verso l’altra gente, e allora mi parve che, al contrario, si presentasse come quell’anticlericalismo clericale a cui prima mi sono riferito. Una certa ambiguità. Ma può un Papa essere veramente contro il clericalismo?

  Il Papismo cattolico è clericalismo al massimo grado. E’ l’orientamento di politica ecclesiastica secondo il quale il Papa romano deve avere l’ultima parola su tutto, dunque anche su clericalismo e anticlericalismo. Questa è attualmente la legge della nostra Chiesa, definita anche in norme molto esplicite del Codice di diritto canonico, il quale, sotto l’aspetto del clericalismo, è clericalismo al massimo grado. Nella riforma sinodale che si sta tentando tra i cattolici ci si propone anche di modificare la normativa canonica, ma finora non se n’è fatto nulla. E temo che la morte di papa Francesco, che del processo sinodale in corso è stato il massimo promotore, tra pochissimi altri, moltissimi scettici e un buon numero di irriducibili avversari, possa segnare l’arresto del movimento.

  I clericali, comunque, possono essere soddisfatti: la triste ricorrenza dei funerali di papa Francesco ha dimostrato in modo eclatante che l’Italia è il Paese più clericale dell’universo, nel quale paradossalmente si dimostra clericale anche chi si dichiara non credente, tuttavia in un contesto in cui le persone che sono veramente e sinceramente religiose, e affidano la propria vita al Cristo dei cristiani, sono sempre meno, come emerge dalle statistiche delle inchieste di sociologia della religione.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro – Valli – 27APR25, il giorno successivo ai funerali solenni di papa Francesco, morto nella Città del Vaticano, in Casa Santa Marta, poco dopo le  6 del 21APR25.

 

venerdì 25 aprile 2025

Festa della Liberazione

 

Festa della Liberazione

 

  Oggi si celebra la Festa della Liberazione.

  La Liberazione è quella dall’occupazione tedesca dell’Italia e dal regime fascista mussoliniano, restaurato nel 1943 nel territorio italiano occupato dai tedeschi e riorganizzato come Repubblica sociale italiana, con il governo insediato a Salò, in Lombardia, sul lago di Garda.

 La data 25 aprile è quella del giorno in cui, nel 1945, il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, organismo che comprendeva i rappresentanti di Democrazia Cristiana, Partito Comunista Italiano, Partito d’Azione, Partito Liberale Italiano, Partito Socialista di unità proletaria, ordinò l’insurrezione armata generale a Milano. Le altre zone d’Italia vennero liberato in altri tempi. La guerra in Italia continuò ancora per qualche giorno. La resa delle truppe tedesche in Italia fu firmata il 29 aprile ed entrò in vigore il 2 maggio e valse anche per quelle della Repubblica sociale italiana. Benito Mussolini, catturato da una formazione partigiana mentre cercava di lasciare l’Italia nascosto in una colonna di militari tedeschi, fu fucilato il 28 aprile per ordine dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.

 Si fa festa perché quella liberazione fu azione di popolo e se ne vuole mantenere lo spirito tra la gente di oggi per prevenire la restaurazione di un regime fascista.

  Negli anni ’30, anche a causa del compromesso concluso dal Papato romano con il regime fascista con i Patti Lateranensi conclusi l’11 febbraio 1929 tra il Regno d’Italia, rappresentato dal capo del Governo Benito Mussolini, e la Santa Sede, rappresentata dal Segretario di Stato cardinal Pietro Gasparri, e dell’enciclica Il Quarantennale – Quadragesimo anno, del 1931, con la quale il cattolicesimo sociale era stato invitato a collaborare con il corporativismo del regime, la popolazione italiana, Azione Cattolica compresa, si era data in gran parte al fascismo mussoliniano. Nel corso della Seconda guerra mondiale tra quella gennte maturò tuttavia il ripudio della dittatura fascista e dei progetti e metodi del regime, che si espresse sia nella Resistenza armata, nelle zone d’Italia occupate dall’armata tedesca, sia in un sentimento diffuso di progressiva distanziazione che coinvolse molte più persone e che fu poi alla base del vasto consenso popolare alla nuova Repubblica democratica che fu organizzata dopo la caduta del fascismo.

 Questo sentimento fu innervato nel processo di costruzione di un nuovo ordine democratico del quale furono protagonisti i partiti politici che presero la guida della resistenza contro i nazi-fascisti. In particolare la Democrazia Cristiana fu costituita da esponenti del cattolicesimo democratico italiano nel marzo 1943, per rispondere al radiomessaggio natalizio diffuso sotto l’autorità del papa Pio 12° il 21 dicembre 1942

https://www.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1942/documents/hf_p-xii_spe_19421224_radiomessage-christmas.html

con la quale si era stati esortati a collaborare per la costruzione di un nuovo ordine sociale che garantisse, nella vita sociale, “convivenza nell'ordine, convivenza nella tranquillità”.

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Estratto:

Il Santo Natale e la umanità dolorante

Con sempre nuova freschezza di letizia e di pietà, diletti figli dell'universo intero, ogni anno al ricorrere del Santo Natale, risuona dal presepe di Betlemme all'orecchio dei cristiani, ripercuotendosi dolcemente nei loro cuori, il messaggio di Gesù, Luce in mezzo alle tenebre; un messaggio che illumina con lo splendore di celestiali verità un mondo oscurato da tragici errori, infonde una gioia esuberante e fiduciosa ad un'umanità, angosciata da profonda e amara tristezza, proclama la libertà ai figli d'Adamo, costretti nelle catene del peccato e della colpa, promette misericordia, amore, pace alle schiere infinite dei sofferenti e tribolati, che vedono scomparsa la loro felicità e spezzate le loro energie nella bufera di lotta e di odio dei nostri giorni burrascosi.

E i sacri bronzi, annunziatori di tale messaggio in tutti i continenti, non pur ricordano il dono divino, fatto all'umanità, negli inizi dell'età cristiana; ma annunziano e proclamano anche una consolante realtà presente, realtà come eternamente giovane, così sempre viva e vivificante; realtà della «luce vera, la quale illumina ogni uomo, che viene in questo mondo» e non conosce tramonto. L'Eterno Verbo, via, verità e vita, nascendo nello squallore di una grotta e nobilitando in tal modo e santificando la povertà, così dava inizio alla sua missione di dottrina, di salute e di redenzione del genere umano, e diceva e consacrava una parola, che è ancor oggi la parola di vita eterna, valevole a risolvere i quesiti più tormentosi, insoluti e insolubili da chi vi porti vedute e mezzi effimeri e puramente umani; quesiti i quali si affacciano sanguinanti, esigendo imperiosamente una risposta, al pensiero e al sentimento di una umanità amareggiata ed esacerbata.

Il motto «Misereor super turbam» è per Noi una consegna sacra, inviolabile, valida e impellente in tutti i tempi e in tutte le situazioni umane, com'era la divisa di Gesù; e la Chiesa rinnegherebbe se stessa, cessando di essere madre, se si rendesse sorda al grido angoscioso e filiale, che tutte le classi dell'umanità fanno arrivare al suo orecchio. Essa non intende di prender partito per l'una o l'altra delle forme particolari e concrete, con le quali singoli popoli e Stati tendono a risolvere i problemi giganteschi dell'assetto interno e della collaborazione internazionale, quando esse rispettano la legge divina; ma d'altra parte, «colonna e base della verità» (1 Tm 3,15) e custode, per volontà di Dio e per missione di Cristo, dell'ordine naturale e soprannaturale, la Chiesa non può rinunziare a proclamare davanti ai suoi figli e davanti all'universo intero le inconcusse fondamentali norme, preservandole da ogni travolgimento, caligine, inquinamento, falsa interpretazione ed errore; tanto più che dalla loro osservanza, e non semplicemente dallo sforzo di una volontà nobile e ardimentosa, dipende la fermezza finale di qualsiasi nuovo ordine nazionale e internazionale, invocato con cocente anelito da tutti i popoli. Popoli, di cui conosciamo le doti di valore e di sacrificio, ma anche le angustie e i dolori, e ai quali tutti, senza alcuna eccezione, in quest'ora d'indicibili prove e contrasti, Ci sentiamo legati da profondo e imparziale e imperturbabile amore e da immensa brama di portare loro ogni sollievo e soccorso che in qualsiasi modo sia in Nostro potere.

Rapporti internazionali e ordine interno delle nazioni

L'ultimo Nostro Messaggio natalizio esponeva i principi, suggeriti dal pensiero cristiano, per stabilire un ordine di convivenza e collaborazione internazionale, conforme alle norme divine. Oggi vogliamo soffermarCi, sicuri del consenso e dell'interessamento di tutti gli onesti, con cura particolare e uguale imparzialità sulle norme fondamentali dell'ordine interno degli Stati e dei popoli. Rapporti internazionali e ordine interno sono intimamente connessi, essendo l'equilibrio e l'armonia tra le Nazioni dipendenti dall'interno equilibrio e dalla interna maturità dei singoli Stati nel campo materiale, sociale e intellettuale. Né un solido e imperturbato fronte di pace verso l'esterno risulta possibile di fatto ad attuarsi senza un fronte di pace nell'interno, che ispiri fiducia. Solo, quindi, l'aspirazione verso una pace integrale nei due campi varrà a liberare i popoli dal crudele incubo della guerra, a diminuire o superare gradatamente le cause materiali e psicologiche di nuovi squilibri e sconvolgimenti.

Duplice elemento della pace nella vita sociale

Ogni convivenza sociale, degna di tal nome, come trae origine dalla volontà di pace, così tende alla pace; a quella tranquilla convivenza nell'ordine in cui S. Tommaso, facendo eco al noto detto di S. Agostino,(2) vede l'essenza della pace. Due primordiali elementi reggono quindi la vita sociale: convivenza nell'ordine, convivenza nella tranquillità.

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 Coloro che cercano si sminuire il valore della Resistenza nella costruzione del nuovo ordinamento democratico repubblicano nel Secondo dopoguerra, e tra essi non pochi franchi estimatori del fascismo mussoliniano i quali, fruendo delle nuove libertà democratiche, potevano riorganizzare le proprie file, evidenziano il ruolo limitato delle armate partigiane nel determinare le sorti della guerre europea 1939-1945.

  In un conflitto che vide schierati milioni di armati, come di seguito riportato nella tabella elaborata con l’aiuto del servizio di intelligenza non umana ChatGPT, certo le armate partigiane italiane non furono da sole decisive, anche se furono determinanti per liberare diverse importanti città italiane come Bologna, Cuneo, Firenze, Genova, Milano, Modena, Napoli, Novara,  Parma, Piacenza,  Reggio Emilia, Torino. Le forze armate partigiane antifasciste arrivarono a mettere in campo circa duecentomila combattenti.

    A differenza di gran parte dei soldati mobilitati dagli stati in quella guerra, le truppe partigiane furono tutte composte da persona che volontariamente si impegnarono, ma non al servizio di progetti di repressione e predazione, come avvenuto durante il fascismo mussoliniano, ma per riportare pace, sicurezza e libera convivenza civile in Italia.

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Fonte: ChatGPT, ricerca del 25-4-25

Tema: militari combattenti in Europa nella Seconda guerra mondiale

È difficile fornire un numero esatto e definitivo dei militari che combatterono in Europa durante la Seconda guerra mondiale, poiché:

1.    Le fonti variano per metodo di conteggio (mobilitati, effettivamente impiegati, presenti sul fronte europeo, ecc.);

2.    I teatri di guerra erano molteplici, e spesso i soldati si spostavano da un fronte all’altro;

3.    Alcuni Stati inviarono contingenti relativamente piccoli, ma comunque significativi.

Tuttavia, si possono fornire delle stime ragionevoli. Sommando i principali eserciti coinvolti sul fronte europeo:

Alleati principali:

·         Unione Sovietica: oltre 34 milioni mobilitati in totale; sul fronte europeo ne impiegò circa 11–12 milioni.

·         Stati Uniti: mobilitati 16 milioni, dei quali circa 3 milioni combatterono in Europa.

·         Regno Unito e Commonwealth: circa 6 milioni mobilitati, circa 2,9 milioni in Europa.

·         Francia: circa 5 milioni mobilitati nel corso della guerra (prima e dopo l’occupazione); oltre 1 milione coinvolti in battaglie europee.

·         Polonia, Grecia, Norvegia, Belgio, Paesi Bassi, Cecoslovacchia, Jugoslavia, e altri governi in esilio: diverse centinaia di migliaia.

Potenze dell’Asse in Europa:

·         Germania: circa 17 milioni mobilitati; la maggior parte operò in Europa.

·         Italia: circa 4 milioni mobilitati; buona parte coinvolta in Europa.

·         Romania, Ungheria, Finlandia, Slovacchia, Croazia, ecc.: altri 2–3 milioni in totale.

Stima complessiva:

Sommando le principali forze che combatterono in Europa, si arriva a una stima approssimativa di circa 30–35 milioni di militari impiegati nei vari fronti europei durante la Seconda guerra mondiale.

Tema: partigiani combattenti nella Resistenza italiana (1943-1945)

Durante la Resistenza italiana (1943–1945), il numero complessivo dei partigiani combattenti variò nel tempo, raggiungendo il suo apice nell'aprile 1945. Secondo una stima governativa del 1947, i partigiani combattenti furono circa 223.639, mentre altri 122.518 individui furono riconosciuti come patrioti per la loro collaborazione alla lotta partigiana .

Per quanto riguarda le perdite, si stima che i partigiani caduti in Italia durante la Resistenza siano stati circa 17.488 . A questi si aggiungono circa 9.249 partigiani italiani caduti nei Balcani .

Inoltre, le donne ebbero un ruolo significativo nella Resistenza: si stima che 35.000 parteciparono come combattenti, mentre 70.000 fecero parte dei Gruppi di difesa della donna. Tra queste, 4.653 furono arrestate e torturate, 2.750 deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate, e 1.070 caddero in combattimento. Diciannove di loro furono decorate con la medaglia d'oro al valor militare

Controllo mediante l’algoritmo di intelligenza artificiale Gemini sul tema dei partigiani combattenti e caduti nella Resistenza italiana.

Le cifre esatte siano difficili da determinare. Ecco una verifica punto per punto:

Numero complessivo dei partigiani combattenti:

·         La stima di circa 200.000 combattenti tra la primavera e l'estate del 1944 è ampiamente accettata come il picco massimo di partecipazione. Diverse fonti storiche la riportano.

·         Il dato dei circa 137.000 "diplomi di partigiano" rilasciati nel dopoguerra è un dato ufficiale, ma sottostima il numero reale dei combattenti. Molti partigiani potrebbero non aver richiesto o ottenuto il riconoscimento. Inoltre, questo numero non include coloro che parteciparono per periodi più brevi o morirono prima della fine della guerra.

·         Il coinvolgimento di circa 35.000 donne come combattenti è una stima significativa e riconosciuta dagli studi sulla Resistenza.

Morti tra i partigiani combattenti:

·         La stima di 30.000-40.000 partigiani morti è una cifra plausibile, tenendo conto delle perdite in combattimento, delle rappresaglie e delle esecuzioni.

·         Il dato dell'ANPI di 6.882 partigiani morti in combattimento è probabilmente una sottostima. Potrebbe riferirsi solo a una specifica categoria di decessi o a dati parziali raccolti dall'associazione.

·         La cifra più alta, fino a 44.700, che include anche coloro eliminati dopo la cattura, è anch'essa una stima che tiene conto di una più ampia gamma di perdite subite dai partigiani.

In conclusione:

I dati che hai fornito riflettono le attuali conoscenze storiche sulla Resistenza italiana. È fondamentale comprendere che, data la natura del conflitto, le cifre esatte rimangono oggetto di dibattito e di continue ricerche da parte degli storici. Le stime che hai riportato si collocano all'interno di un intervallo di valori considerato attendibile.

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 La guerre e le altre azioni politiche per la soppressione del regime fascista mussoliniano e per la transizione democratica vengono complessivamente definite come Resistenza.

  La costruzione della nostra nuova Repubblica democratica, basata su principi opposti a quelli del fascismo mussoliniana, iniziò e si sviluppò nella Resistenza e, a seguito della Liberazione e passando per il referendum istituzionale del 1946 con cui fu deciso il passaggio dalla monarchia alla repubblica, , proseguì in una fase costituente conclusasi il 1 gennaio 1948 con l’entrata in vigore della nuova Costituzione repubblicana.

  Il principale valore della Resistenza consiste proprio nella vasta popolare conversione ai principi democratici di una popolazione che, nella gran parte, si era lasciata sedurre dal fascismo mussoliniano, e nell’impegno popolare di progettare, sperimentare e instaurare un nuovo ordinamento democratico in Italia, dopo il regime autoritario e antidemocratico organizzato dal fascismo mussoliniano nel tempo il cui il suo “Duce”, capo mitico, carismatico, indiscutibile, Benito Mussolini, era stato Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia, dal 29 ottobre 1922 al 25 luglio 1943, e successivamente Capo di Stato e  del Governo della Repubblica Sociale Italiana, dal 23 settembre 1943    al 28 aprile 1945, quando fu fucilato per ordine del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.

  Ma quali furono i connotati di quel fascismo? Oggi non sempre se ne ha chiara consapevolezza. Una ricorrenza come quella della Festa della Liberazione serve proprio per rinfrescarla, nei meno giovani, e per acquisirla e rafforzarla nei giovani. Anni fa scrissi un promemoria in merito che vi allego di seguito. Lo intitolai “Fascismo storico e neofascismi”.

   L’altro giorno, nella commemorazione che alla Camera si è fatta della Resistenza si è ricordato che vi furono anche resistenti cattolici, e questo è certamente vero, mio padre e i suoi fratelli furono dei loro. Ma è sembrato che si sia voluto contrapporli a quelli  azionisti, liberali, comunisti e socialisti e questo non è storicamente corretto.

  E’ vero che le visioni del futuro politico dell’Italia erano anche molto diverse tra i resistenti, in particolare quelle dei cattolici erano modellate sulla dottrina sociale della Chiesa, ed è anche vero che vi furono divergenze anche assai aspre e addirittura scontri violenti. Ma, al fondo, si fu sempre  compagne e compagni, uniti da un patto sulla cui base fu fondata la nuova Repubblica democratica e che resistette ad ogni divisione. Ne fu testimonianza l’esempio della resistenza bolognese, nel corso della quale si decise che il comunista Giuseppe Dozza, uomo di straordinario valore umano e politico, sarebbe stato il nuovo sindaco democratico della città, e lo rimase fino al 1966, e questo anche se la Democrazia cristiana fu all’opposizione. Mio zio Achille, democristiano, fu consigliere comunale di opposizione ma mi manifestò sempre la sua grande stima per Dozza. Nel 1956  il cattolico Giuseppe Dossetti, per obbedire al suo arcivescovo, si candidò al Consiglio comunale e, in caso di vittoria della Democrazia Cristiana, sarebbe stato il nuovo sindaco. Il suo programma fu basato anche su un’inchiesta sociale organizzata da mio zio Achille, sociologo, e su un progetto di decentramento comunale basato su consigli di quartiere. Come previsto, Dozza vinse le elezioni ma adottò quel progetto di decentramento.

  Riporto di seguito la Preghiera del Ribelle composta dal resistente cattolico Teresio Olivelli, che presenta bene lo spirito della lotta partigiana nella Resistenza. Quelli che in seguito furono chiamati solo partigiani tra loro usavano chiamarsi ribelli.

 

La Preghiera del Ribelle


di Teresio Olivelli
 

 Signore, che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce segno di contraddizione,
che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito contro le perfidie e gli interessi dominanti, la sordità inerte della massa,
a noi, oppressi da un giogo numeroso e crudele che in noi e prima di noi ha calpestato Te fonte di libera vita,
dà la forza della ribellione.

Dio che sei Verità e Libertà, facci liberi e intensi:
alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze, vestici della Tua armatura.

Noi ti preghiamo, Signore.

Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocifisso, nell'ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria: sii nell'indigenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nell'amarezza.

Quanto più s'addensa e incupisce l'avversario, facci limpidi e diritti.

Nella tortura serra le nostre labbra.

Spezzaci, non lasciarci piegare.

Se cadremo fa' che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri Morti a crescere al mondo giustizia e carità.

Tu che dicesti: ``Io sono la resurrezione e la vita'' rendi nel dolore all'Italia una vita generosa e severa.

Liberaci dalla tentazione degli affetti: veglia Tu sulle nostre famiglie.

Sui monti ventosi e nelle catacombe della città, dal fondo delle prigioni, noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che Tu solo sai dare.

Signore della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore.

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Tema: la “Preghiera del ribelle”  di Teresio Olivelli

Ricerca mediante ChatGPT del 25-4-25

Dettagli principali:

·         ✍️ Autore: L’autore è Teresio Olivelli, giurista e ufficiale italiano, poi partigiano e martire cristiano.

·         📰 Prima pubblicazione: sul giornale "Il Ribelle"numero unico o bollettino del 1944, diffuso clandestinamente.

·         📍 Luogo: zona del bresciano e della Valsabbia, dove operava la Brigata Fiamme Verdi "G.A. Pasquali"

·         ✝️ Olivelli morì nel campo di concentramento di Hersbruck nel gennaio 1945, dopo aver difeso e assistito prigionieri più deboli, in spirito cristiano.

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  Il fascismo, ogni fascismo, non ci fu solo quello mussoliniano e ciclicamente ne sono risorte altre specie dopo la Seconda guerra mondiale,  si basa costantemente su queste idee:

      -riunirsi per predare;

-mito della superiorità etnica di una popolazione che legittima alla predazione;

-mito di una qualche ingiustizia che quella popolazione avrebbe dovuto subire ad opera di altre popolazioni in quanto non riunita in un fascio e quindi incapace di resistere;

-necessità di compattarsi dietro un Duce, arbitro unico dei destini della nazione, reprimendo ogni dissenso;

-impiego della violenza per predare e reprimere il dissenso in qualsiasi forma si manifesti, anche solo con la manifestazione del pensiero;

-egemonia, fino al controllo totale,  sui mezzi di comunicazione di massa;

-diseguaglianza tra i sudditi di uno stato  e diritto naturale di alcuni di dominare gli altri e conseguente ordinamento gerarchico delle istituzioni pubbliche, senza possibilità di forme di compartecipazione alle decisioni politiche, se non solo in forma consultiva o di plebiscito con esito preordinato;

-rifiuto della democrazia in quanto basata sul principio di uguaglianza e di compartecipazione al potere politico;

-subordinazione completa di ogni suddito al volere di uno stato espresso da quel Duce;

-concezione del dissenso come disfattismo che depotenzia la forza della predazione  e quindi sua criminalizzazione;

-strumentalizzazione della religione per sacralizzare il potere del Duce e renderlo indiscutibile.

 Perché la tentazione fascista è ricorrente?

 Il primo motivo è che la seduzione della predazione è sempre viva, specialmente quando la gente sta male e le si dice che potrebbe star meglio predando, tacendo delle reali cause del malessere sociale, che di solito consistono in una ingiusta distribuzione delle risorse determinata dalla prevaricazione di alcuni ceti su altri. La predazione viene giustificata come reazione ad altri ingiustizie che si sarebbero subite.

  Il secondo motivo è la paura. Quando la gente ha paura è disposta a sottomettersi ai violenti che promettono di difenderla. E’ per questo che, tra le principali strategie di ogni fascismo, vi è quella di ingenerare paura tra la gente. Nei  fascismi contemporanei, tra i quali si può cominciare ad annoverare anche il trumpismo statunitense, si cerca spesso di ingenerare la paura verso le persone che cercano di immigrare provenendo da culture molto diverse, per cercare di star meglio, o anche solo di salvarsi la vita, integrandosi in una società di destinazione. Vengono presentati come invasori parassitari, al modo di cavallette. La storia dimostra invece che sempre  le migrazioni seguite da integrazione sono state alla base della prosperità delle nazione. L’esempio più eclatante è proprio quello degli Stati Uniti d’America. Al tempo del fascismo mussoliniano si cercò di mitizzare, esacerbandola irrealisticamente e strumentalizzandola,  la paura del comunismo sovietico,  che fu posta anche alla base del tentativo di legittimare la partecipazione italiana all’aggressione contro l’Unione sovietica nel 1941, dalla quale le popolazioni sovietiche ebbero venticinque milioni di caduti.

  Fin dalle origini della nostra nuova Repubblica democratica, nella quale, a cominciare dai principi fondamentali, troviamo tradotti in legge fondamentale tanti principi della dottrina sociale cattolica, si fu consapevoli che il fascismo sarebbe potuto tornare e che l’unico mezzo per impedirlo era mantenere sempre viva la consapevolezza antifascista. E’ a questo che ci si deve esercitare in occasione della Festa della Liberazione.

  E’ un principio espresso nell’Ode a Kesserling  del giurista Piero Calamandrei

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Tema: l’ “Ode a Kesserling” di Piero Calamadrei

Ricerca mediante ChatGPT del 25-4-25

L'"Ode a Kesselring" – spesso identificata con l'epigrafe recitante “Lo avrai, camerata Kesselring…” – è uno dei testi più celebri di Piero Calamandrei, giurista, partigiano e padre della Costituzione italiana. Di seguito alcuni elementi chiave e notizie rilevanti a riguardo:


Contesto Storico e Motivazioni

·         Antefatto: Dopo la Seconda guerra mondiale, il generale tedesco Albert Kesselring fu processato per numerosi crimini di guerra (tra cui le Fosse Ardeatine, la strage di Marzabotto e altre atrocità). Sebbene condannato, la sua pena fu poi commutata e, nel 1952, fu rilasciato per gravi condizioni di salute.

·         La provocazione: Al suo ritorno in patria, Kesselring espresse l’impudente opinione secondo cui gli italiani avrebbero dovuto “erigerle un monumento” in suo onore, sostenendo di aver compiuto “normali operazioni di guerra”.

·         Risposta di Calamandrei: In risposta a queste affermazioni, Calamandrei scrisse l’epigrafe/ode, un testo che con forza simbolica condanna non solo le atrocità perpetrate dal nazifascismo, ma anche la presunta vanità e superbia di chi tenta di riscrivere la storia.


Caratteristiche del Testo

·         Forma poetica: Il testo assume la forma di una poesia o epigrafe, in cui vengono evocati simboli potenti quali “i sassi affumicati dei borghi inermi”, “la terra dei cimiteri” e “il silenzio del torturato”.

·         Messaggio simbolico: Calamandrei sottolinea che il monumento richiesto da Kesselring non verrà eretto con materiali comuni, ma con il “silenzio dei torturati” e con il patto di uomini liberi, simbolo della Resistenza e del rifiuto dell’odio.

·         Diffusione e locazioni: Il testo è stato esposto su lapidi esposte in varie località, tra cui Cuneo, Montepulciano, Sant'Anna di Stazzema, e altri luoghi simbolo della memoria antifascista italiana, costituendo un monito permanente contro le violenze del nazifascismo.


Impatto Culturale e Memoria

·         Risonanza simbolica: L’ode è divenuta un emblema della condanna morale e politica dei crimini del nazifascismo e dell’affermazione della libertà conquistata a caro prezzo.

·         Versioni e interpretazioni: Il testo è stato reinterpretato e tradotto in diverse lingue (inglese, francese, spagnolo, portoghese, piemontese, persino in esperanto), il che testimonia la sua importanza e il suo impatto internazionale.

·         Discussioni e commemorazioni: L'epigrafe è frequentemente oggetto di discussione in ambito storico e politico, oltre a essere richiamata in manifestazioni e commemorazioni legate alla Resistenza italiana. In alcuni casi, è anche al centro di rievocazioni pubbliche sulle responsabilità del passato e sulla memoria storica.


Conclusioni

L’"Ode a Kesselring" di Piero Calamandrei rappresenta uno strumento di denuncia morale e di memoria collettiva. Il testo, con la sua forma poetica e il suo messaggio forte, continua a ricordare l’impegno e il sacrificio dei partigiani e a simboleggiare l’invincibile volontà di liberazione contro ogni forma di oppressione.

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LO AVRAI CAMERATA KESSELRING

IL MONUMENTO CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI

MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRÀ A DECIDERLO TOCCA A NOI

NON COI SASSI AFFUMICATI

DEI BORGHI INERMI STRAZIATI DAL TUO STERMINIO

NON COLLA TERRA DEI CIMITERI

DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI

RIPOSANO IN SERENITÀ

NON COLLA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE

CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO

NON COLLA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI

CHE TI VIDE FUGGIRE

MA SOLTANTO COL SILENZIO DEI TORTURATI

PIÚ DURO D'OGNI MACIGNO

SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO

GIURATO FRA UOMINI LIBERI

CHE VOLONTARI S'ADUNARONO

PER DIGNITÀ NON PER ODIO

DECISI A RISCATTARE

LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO

SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE

AI NOSTRI POSTI CI TROVERAI

MORTI E VIVI COLLO STESSO IMPEGNO

POPOLO SERRATO INTORNO AL MONUMENTO

CHE SI CHIAMA

ORA E SEMPRE RESISTENZA!

  Concludo associandomi di cuore al grido

 

Ora e sempre Resistenza!

 

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Fascismo storico e neofascismi

 

0. Poiché l’argomento  è tornato d’attualità in questi giorni, ripubblico alcuni interventi sul tema del fascismo storico e dei  neofascismi. Il primo è quello che visse nella società italiana, finendo per egemonizzarla a lungo, dal 1914 al 1945; i secondi sono i movimenti che in Italia attualmente  al primo esplicitamente si richiamano, adottandone in particolare i simboli e, in parte, la mentalità e proponendosi di farne il proprio modello di azione politica. La differenza dal fascismo storico è tuttavia molto rilevante e piuttosto evidente per chi abbia sufficiente sensibilità storica. Il fascismo storico aveva una grande considerazione per l’Italia e gli italiani, vi vedeva una civiltà superiore destinata ad espandersi in Europa e intorno al bacino del Mediterraneo, ma anche più in là. I neofascismi di oggi, in genere, pensano agli italiani come ad un popolo da proteggere da influenze straniere, in una specie di  riserva, un po’ come si fece, e ancora si fa, per i nativi nord-americani. Chiunque arrivi tra noi, da dovunque arrivi, fosse anche dalle regioni più depresse dell’Africa, è visto come in grado di minacciare l’integrità della società italiana, che quindi è considerata come un realtà debole, a carattere recessivo, un po’ come qui a Roma, nei nostri parchi, le popolazioni degli scoiattoli rossi europei di fronte all’invasione di quelli grigi di importazione americana. Solo che questi ultimi sono effettivamente più forti, mentre per sconvolgere le etnie italiane basterebbe anche gente che viene da noi spinta unicamente dalla propria disperazione.

1. In un programma di formazione alla politica che si faccia in Italia occorre affrontare il tema del fascismo storico, quello che iniziò a aggregarsi già nel 1914, per promuovere l’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale, esplosa in Europa nel luglio di quell’anno tra Germania, Austria, Turchia, da una parte, e Francia, Inghilterra, Russia e Serbia, dall’altra, quello che fu sconfitto come regime politico nel 1945, prolungando il suo influsso ideologico anche in epoca repubblicana in esperienze politiche e sindacali che in qualche modo vi si richiamarono, sia pure in un contesto di accettazione del metodo democratico.

 E’ però un tema difficile per un cattolico, perché il Papato, la Chiesa italiana, che negli anni Venti e Trenta molto più di oggi era controllata dal Papato, e i cattolici italiani vi furono molto coinvolti. Le relazioni con il fascismo storico, la sua ideologia e le sue organizzazioni furono molto profonde. Entrambe le parti ne uscirono in parte trasformate. L’integrazione tra ideologia fascista e cultura religiosa diede vita ad un modo di pensare che fu tramandato di generazione in generazione, come accade per i fatti religiosi, sopravvisse alla fine del fascismo storico, e pervade tuttora la società italiana, anche se non se ne è sempre consapevoli. Può essere questa la ragione dell’interesse della gente per il fascismo?

  Segnalo come fonti affidabili sul fascismo le voci dell’enciclopedia Treccani on line

http://www.treccani.it/enciclopedia/fascismo/

e

http://www.treccani.it/enciclopedia/benito-mussolini/

  L’ideologia del fascismo storico ebbe al suo centro l’idea della guerra come mezzo per la rigenerazione della nazione italiana, vista come centro di una grande civiltà destinata ad espandersi nel mondo. Dal punto di vista del militante era molto importante il proposito di sacrificarsi  per la Patria. Si tratta di modi di pensare estranei, in genere, a quelli di oggi. Anche tra i gruppi che al fascismo storico esplicitamente oggi si richiamano.

  L’Africa fu molto importante per il fascismo storico, che vi guidò gli italiani in una serie di conflitti sanguinosi e costosi per lo stato dal 1922 al 1932 in Libia e dal 1935 al 1936 in Etiopia. Era assolutamente assente l’idea di usare la violenza per impedire agli africani di venire in Italia. Il fascismo, anzi, si propose di costruire un impero multinazionale esteso anche in Africa, sul modello dell’antico impero romano, e ciò avrebbe comportato necessariamente l’integrazione tra popoli e culture.

  Era assente dall’ideologia del fascismo storico la paura dei migranti, per la ragione che, quando conquistò il potere, gli italiani erano da tempo un popolo di migranti, sia verso gli altri stati europei, sia verso posti molto più lontani, come le Americhe o l’Australia.

  Un elemento molto importante dell’ideologia fascista fu quello di proporsi di pacificare d’autorità i conflitti sociali tra lavoratori dipendenti e imprenditori, impegnando direttamente lo stato in questo e attuando un vasto programma di provvidenze sociali. Pacificare con le buone o con le cattive, anche con la violenza di piazza, attuata mediante apposite  squadre  di combattenti che agivano nel contesto civile. Lo squadrismo degli inizi fu poi trasformato in un'istituzione dello stato, in una   vera e propria  milizia  pubblica. Tutto questo, però, non tanto avendo la giustizia sociale come obiettivo finale, ma per avere un popolo di soldati, e di madri e spose di soldati, da scagliare nelle guerre di conquista per realizzare un impero. Si pensava che le risorse per sostenere questo programma sarebbero derivate da quelle conquiste, in particolare  colonizzando l’Africa, vale a dire trasferendovi gli italiani lavoratori. Questo programma piacque agli imprenditori italiani che temevano gli sviluppi del socialismo rivoluzionario, che aveva conquistato la Russia con la rivoluzione bolscevica del 1917. Anche in Italia, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, si erano manifestate agitazioni di tipo rivoluzionario promosse da formazioni socialiste, che avevano impaurito in particolare i grandi  proprietari terrieri e i maggiori industriali. Questi ultimi pensavano anche di beneficiare dalle guerre progettate dal fascismo, che avrebbero richiesto ingenti mezzi da commissionare all'industria nazionale.

  Il programma di guerre del fascismo prometteva ricchezze a tutti, ai più ricchi e ai più poveri. La pervasiva propaganda del regime convinse gli italiani. Il fascismo generò un sistema politico-istituzionale totalitario, nel senso che pretendeva di controllare tutte le manifestazioni della società italiana. In questo poteva trovare un ostacolo nella Chiesa cattolica, che da molti anni stava conducendo un programma di riforma sociale in Italia. Di fatto, nella seconda metà degli anni ’20 si venne ad un’intesa, che si manifestò, in particolare nella conclusione dei Patti Lateranensi nel 1929. In base ad essi la politica in Italia doveva essere riservata alle istituzioni promosse dal regime. Nel 1931 per qualche mese si ebbero contrasti tra le organizzazioni fasciste e quelle cattoliche, che presto furono risolti nel senso indicato dal  Concordato, quella parte dei Patti Lateranensi  che riguardava la condizione della Chiesa italiana nello stato. Dai Patti Lateranensi  il Papato ebbe di nuovo un suo piccolo regno a Roma, denominato  Città del Vaticano, e ingenti pagamenti a titolo di risarcimenti per la guerra che gli era stata mossa nel secolo precedente e che aveva portato alla fine dello Stato pontificio.

  Il fascista cattolico divenne il modello del cittadino esemplare. Alcuni elementi dell’ideologia fascista passarono nella cultura cattolica, ad esempio nel campo della famiglia e della condizione della donna. Anche la Chiesa si presentava come un faro di civiltà, ma, a differenza del fascismo, lo era veramente stata storicamente. Il fascismo era invece un’esperienza culturale molto giovane: si giovò sicuramente del lustro  che gli derivava dal riconoscimento che all’epoca fu fatto dal Papato del suo carattere provvidenziale  nella storia nazione.

  Il documento che produsse maggiormente questo effetto fu, oltre ai Trattati lateranensi, l’enciclica Quadragesimo Anno - Il Quarantennale, diffusa nel 1931 dal papa Achille Ratti, Pio 11° in religione, nella quale leggiamo:

«92. Recentemente, come tutti sanno, venne iniziata una speciale organizzazione sindacale e corporativa, la quale, data la materia di questa Nostra Lettera enciclica, richiede da Noi qualche cenno e anche qualche opportuna considerazione. 

93. Lo Stato riconosce giuridicamente il sindacato e non senza carattere monopolistico, in quanto che esso solo, così riconosciuto, può rappresentare rispettivamente gli operai e i padroni, esso solo concludere contratti e patti di lavoro. L'iscrizione al sindacato è facoltativa, ed è soltanto in questo senso che l'organizzazione sindacale può dirsi libera; giacché la quota sindacale e certe speciali tasse sono obbligatorie per tutti gli appartenenti a una data categoria, siano essi operai o padroni, come per tutti sono obbligatori i contratti di lavoro stipulati dal sindacato giuridico. Vero è che venne autorevolmente dichiarato che il sindacato giuridico non escluse l'esistenza di associazioni professionali di fatto. 

94. Le Corporazioni sono costituite dai rappresentanti dei sindacati degli operai e dei padroni della medesima arte e professione, e, come veri e propri organi ed istituzioni di Stato, dirigono e coordinano i sindacati nelle cose di interesse comune. 

95. Lo sciopero è vietato; se le parti non si possono accordare, interviene il Magistrato. 

96. Basta poca riflessione per vedere i vantaggi dell'ordinamento per quanto sommariamente indicato; la pacifica collaborazione delle classi, la repressione delle organizzazioni e dei conati socialisti, l'azione moderatrice di une speciale magistratura. Per non trascurare nulla in argomento di tanta importanza, ed in armonia con i principi generali qui sopra richiamati, e con quello che inibito aggiungeremo, dobbiamo pur dire che vediamo non mancare chi teme che lo Stato si sostituisca alle libere attività invece di limitarsi alla necessaria e sufficiente assistenza ed aiuto, che il nuovo ordinamento sindacale e corporativo abbia carattere eccessivamente burocratico e politico, e che, nonostante gli accennati vantaggi generali, possa servire a particolari intenti politici piuttosto che all'avviamento ed inizio di un migliore assetto sociale. 

97. Noi crediamo che a raggiungere quest'altro nobilissimo intento, con vero e stabile beneficio generale, sia necessaria innanzi e soprattutto la benedizione di Dio e poi la collaborazione di tutte le buone volontà. Crediamo ancora e per necessaria conseguenza che l'intento stesso sarà tanto più sicuramente raggiunto quanta più largo sarà il contributo delle competenze tecniche, professionali e sociali e più ancora dei principi cattolici e della loro pratica, da parte, non dell'Azione Cattolica (che non intende svolgere attività strettamente sindacali o politiche), ma da parte di quei figli Nostri che 1'Azione Cattolica squisitamente forma a quei principi ed al loro apostolato sotto la guida ed il Magistero della Chiesa; della Chiesa, la quale anche sul terreno più sopra accennato, come dovunque si agitano e regolano questioni morali, non può dimenticare o negligere il mandato di custodia e di magistero divinamente conferitole.»

  Il papa Ratti realizzò nel 1923 una riforma dell’Azione Cattolica che ne accentuò il suo carattere religioso, a scapito di quello politico, accentrandone ulteriormente  nel Papato e nei vescovi la direzione. Questo agevolò le relazioni con il  fascismo, che puntava ad ottenere il monopolio della politica. L’intesa con il fascismo si fece sentire anche nel lavoro dell’associazione, che in gran parte si fascistizzò. Fecero eccezione la FUCI, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, il ramo degli universitari, e, più tardi, quando venne costituito nel 1932, il Movimento Laureati di Azione Cattolica. Fu la politica  del regime di discriminazione razziale  verso gli ebrei italiani a segnare un mutamento di orientamento nella Chiesa italiana. Da notare che la discriminazione non aveva costituito un problema morale quando aveva colpito gli africani conquistati nelle guerre coloniali. Il cambiamento  di rotta si manifestò a partire dal 1937, anno in cui fu diffusa un enciclica con critiche sociali al nazismo tedesco. Nel 1939 il papa Ratti morì nella fase di gestazione di un’enciclica critica contro il razzismo, alcuni elementi della quale vennero ripresi della prima enciclica del suo successore, il papa Eugenio Pacelli, Pio 12°, laSummi Pontificatus - Il Sommo Pontificato, in cui si legge:

«Al lume di questa unità di diritto e di fatto dell'umanità intera gli individui non ci appaiono slegati tra loro, quali granelli di sabbia, bensì uniti in organiche, armoniche e mutue relazioni, varie con il variar dei tempi, per naturale e soprannaturale destinazione e impulso. E le genti, evolvendosi e differenziandosi secondo condizioni diverse di vita e di cultura, non sono destinate a spezzare l'unità del genere umano, ma ad arricchirlo e abbellirlo con la comunicazione delle loro peculiari doti e con quel reciproco scambio dei beni, che può essere possibile e insieme efficace, solo quando un amore mutuo e una carità vivamente sentita unisce tutti i figli dello stesso Padre e tutti i redenti dal medesimo sangue divino.»

  Il fascismo fu rivoluzionario, come si presentò alle origini e alla fine, o reazionario, come si presentò negli anni ’30, quelli dell’intesa con il Papato?

  Mi pare che sia stato entrambe le cose, nel corso della sua lunga storia.

 Il Papato degli anni Venti, gli anni dell’affermazione del fascismo, era ancora politicamente di tipo rivoluzionario, nel senso che era profondamente insofferente del liberalismo democratico che fino ad allora aveva egemonizzato il Regno d’Italia e voleva che la politica nazionale cambiasse orientamento. Su questa esigenza di trasformazione sociale si basò l’intesa del Papato con il fascismo mussoliniano che ne manifestava una analoga. Il Papato ritenne di poter guidare l'evoluzione del fascismo. Non bisogna pensare ad un fatto superficiale. Il fascismo ebbe aspetti culturali molto importanti, prova ne sia che vi aderì uno dei maggiori filosofi italiani dell’epoca, Giovanni Gentile. Fu un fatto sociale complesso, molto lontano dalle approssimazioni che ne fanno certi suoi attuali estimatori. Non fu solo teppismo di strada. Anzi, abbastanza presto tentò di correggerlo e contenerlo, per altro servendosene e incoraggiandolo disinvoltamente all'occorrenza.

  Non è fuor di luogo, mi pare, notare infine, a proposito delle relazioni intense con la Chiesa italiana,  che gli ultimi giorni del fascismo storico e del suo capo trascorsero a Milano con i tentativi di ottenerne la resa pacifica attuati dall’arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster. Benito Mussolini nelle sue ultime ore disperate di relativa libertà (limitata dai militari tedeschi che erano stati incaricati di seguirne i movimenti) salì e scese le scale dell'Arcivescovato milanese.

2. Osservo che tra i giovani, anche quelli colti, gli studenti universitari, si guarda al fascismo come a una possibile via della politica di oggi.  Ne circolano però versioni molto semplificate, come al tempo in cui fui studente al liceo, negli scorsi anni ’70.

 Il giornalista Indro Montanelli sosteneva, lo potete vedere e ascoltare in un’intervista caricata su YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=5-1L5lH2urQ

che  il fascismo fu Mussolini, e solo di Mussolini e che la storia del fascismo è la storia di Mussolini.

 Benito Mussolini, nato in Romagna nel 1883, da padre fabbro e madre maestra elementare, anch’egli di professione maestro elementare, fu colui che, da un magma sociale preesistente di rivoltosi, essenzialmente riconducibile al socialismo rivoluzionario, catalizzò, quindi produsse l’aggregazione, del fascismo come movimento, divenendone il Duce, il suo esponente egemone dal potere indiscutibile, trasformando, e quindi segnando, profondamente l’Italia negli anni, dal 1922 al 1943 come capo del Governo del Regno d’Italia, e poi dal 1943 al 1945, come capo del Governo, con funzioni sostanzialmente di capo di Stato, di una repubblica fascista denominata Repubblica Sociale Italiana.

 Uno degli studiosi più noti tra quelli che si sono occupati ad alto livello del fascismo italiano fu Renzo De Felice (1929-1996). Egli non condivideva l’opinione di Montanelli. Condivideva invece la tesi, già proposta negli anni ’30, che fossero esistiti vari tipi di fascismi, compresenti in uno stesso tempo e succedutisi in tempi diversi, e che il fascismo fosse stato un fatto sociale molto complesso. Esso, durante la sua egemonia politica, coinvolse la gran parte degli italiani e, in particolare, formò culturalmente le generazioni dei nati dal 1914 al 1930, tra i quali mio padre, nato nel 1922, i quali, nella gran parte,  quando cominciarono a fare vita sociale fuori della famiglia non conobbero altra politica che quella proposta dal fascismo, e dunque furono inizialmente, con poche eccezioni, fascisti.

  Fino al 1914 Benito Mussolini fu, un esponente di primo piano del Partito Socialista Italiano, che comprendeva una componente di socialismo rivoluzionario. Non se ne era ancora distaccato il Partito Comunista, che fu fondato, per scissione da quello Socialista, nel 1921. La frattura di Mussolini con i socialisti di allora avvenne sul tema della partecipazione dell’Italia alla Prima guerra mondiale: Mussolini, inizialmente per la neutralità, maturò ed espresse convinzioni interventiste.

  Durante la sua militanza socialista, Mussolini diresse i giornali Lotta di classe  e Avanti!, il giornale del partito. Espulso  dal Partito Socialista Italiano per aver manifestato convinzioni interventiste, fondò pochi giorni dopo, nel novembre 1914, a Milano, il giornale Il Popolo d’Italia, che poi divenne quello del Partito Nazionale Fascista, costituito nel novembre 1921.

 Al centro dell’ideologia fascista nel corso di tutta la storia del regime, dal 1922, quando Mussolini fu nominato capo del Governo del Regno d’Italia - carica che mantenne ininterrottamente fino al 1943 -, all’aprile 1945, anno della caduta di quel regime al termine della Seconda Guerra Mondiale in Italia, vi fu l’idea della guerra come movimento di rigenerazione sociale. Ed effettivamente il fascismo guidò gli italiani in una serie continua di guerre, fino alla sua caduta come regime, a partire dalla guerra di Libia (1922-1932), poi nella guerra in Etiopia (1935-1936, ma preparata fin dal 1933), poi con l’intervento nella guerra civile spagnola (1936-1939), infine nell’ultima guerra mondiale (1939-1945: l’Italia entrò in guerra nel 1940).

  Quell’idea della guerra era piuttosto diffusa negli anni a ridosso dell’inizio della Prima Guerra Mondiale. La proclamavano ad esempio i futuristi  italiani, che partecipavano ad un movimento culturale in gran voga. E’ da loro che viene lo slogan  Guerra, sola igiene del mondo (fu il titolo del loro  manifesto, pubblicato nel 1915).

   La rivoluzione comunista bolscevica in Russia, nell’ottobre 1917, nelle ultime fasi della guerra mondiale, fu vista come una sorta di esperimento sociale di come potesse essere trasformata una società impegnata in un conflitto bellico.

  Nel fascismo delle origini, al concetto di classe  come motore della trasformazione sociale, fu sostituito quello di  nazione  in guerra. Esso sviluppò carattere antisocialista, in quanto i socialisti vedevano nellanazione  una finzione che nascondeva il dominio di una classe di privilegiati su classi subalterne, e, contemporaneamente anti-borghese, perché considerava la borghesia vile e corrotta, e per questo timorosa della guerra.

  Scrisse  Renzo De Felice in  Il fascismo e i partiti politici italiani, Cappelli, 1956, pag.13-14:

[…] Il fascismo, quando arrivò al potere (con il consenso di gran parte della classe politica liberale che - in quel momento - non solo vedeva in esso il minore dei mali, ma si illudeva che esso potesse evolvere in un neoliberalismo dell’età di massa in grado di ristabilire  quei legami con il paese che essa aveva in gran parte perduti), mantenne potenzialmente  la sua duplice caratterizzazione anticapitalista e antiproletaria, che però non poté prendere corpo  in una concreta azione politica, da un lato per l’estrema stratificazione e divisione particolaristica della «piccola borghesia», socialmente troppo legata agli altri strati  della società, da un altro lato per l’essenza stessa dell’ideologia fascista. Questa, se all’origine (sindacalismo rivoluzionario) era nata come una sorta di «eresia» del socialismo che scopriva  sotto la realtà delle classi quella della Nazione (sotto questo profilo, più che il nazionalismo  a preparare il fascismo, fu il fascismo che assorbì il nazionalismo) e ne aveva tentato la sintesi corporativa (che fallì perché il padronato  non collaborò che nei limiti dei propri interessi e la collaborazione degli operai  non andò oltre un inquadramento formale), proprio per la sua necessità di adattarsi alla psicologia e alla realtà piccolo borghesi finì per estrinsecarsi soprattutto attraverso la valorizzazione delle elites, della «competenza», della«gerarchia», del «capo». Attraverso una ideologia cioè che non solo era profondamente antidemocratica, ma condannava in pratica il fascismo stesso  (e gli strati sociali che lo avevano espresso) poiché, mancando esso per la sua origine storica e attivistica di una vera e propria elite, finì rapidamente assorbito nelle strutture burocratiche ed economiche preesistenti, nelle quali si adattò come gestore  di un potere che in buona parte non era - come capacità soprattutto di determinare lo sviluppo economico-sociale - nelle sue mani, e che poteva  detenere solo in virtù di un compromesso  politico con la preesistente classe dominante e con una parte di quelle forze portate alla ribalta dalla crisi della guerra, con il ricorso ad un sistema di polizia e con una serie di diversivi (spesso demagogici), fossero essi di politica internazionale o di politica sociale (di tipo normativo-assistenziale).”

 Nell’ordine di idee esposto dal De Felice, della necessità per il fascismo, per poter continuare, di assicurarsi la collaborazione di élite colte, si comprende bene l’importantissimo apporto derivato al regime fascista a seguito del compromesso con il Papato nei Patti Lateranensi nel 1929, che consentì al fascismo di beneficiare dell’apporto di competenze intellettuali e in materia di animazione  della società molto superiori a quelle da esso possedute, quelle appunto che gli furono portate dal mondo cattolico, indotto dal Papato a collaborare con il regime, almeno fino al 1938. Gli anni tra il 1929  e il 1938 furono quelli del fascismo trionfante in Italia, con un consenso popolare vastissimo.

  Mussolini aveva cultura da maestro elementare, fu un brillante giornalista e, in primo luogo, un agitatore sociale al modo dei socialisti rivoluzionari.  All’origine si era manifestato violentemente anticlericale, come i socialisti rivoluzionari. Eppure fu colui che, in rappresentanza del Regno d’Italia, sottoscrisse i Patti Laterananensi  con il Papato, presentandoli come  una grande vittoria politica e spirituale del regime.

3. Ho cercato di riassumere in poche righe un fenomeno sociale molto complesso, quale fu il fascismo storico, tra il 1922  e il 1945.

  L’ho fatto per capire che cosa ancora affascina in esso ai nostri giorni, perché dei giovani guardino ad esso come a un modello valido.

  E’ un lavoro che ho cominciato a fare già al liceo, dove gran parte dei miei compagni di classe maschi aderiva al Fronte della Gioventù, l’organizzazione del partito Movimento Sociale Italiano, che si allacciava ideologicamente, esplicitamente, all’ideologia fascista. Su questo punto non ho dubbi, non solo perché quei compagni di classe chiamavano se stessi fascisti, ma perché erano stati fascisti i fondatori del partito, Giorgio Almirante e Pino Romualdi, quest’ultimo vicesegretario del Partito Nazionale Fascista nella Repubblica Sociale Italiana.

  Su YouTube potete vedere un’intervista ad Almirante, nel programmaMixer, in qui egli spiega perché continuava a definirsi  fascista:

https://www.youtube.com/watch?v=JL0nrJf1Tw4

 In un’altra intervista su YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=ccP9lyosVlE

egli, nato nel 1914, spiega che imparò il valore della libertà solo dopo la caduta del fascismo, nella vita democratica della Repubblica italiana, perché prima non gli era stata insegnata.  Un’esperienza comune alle generazioni formatesi durante il fascismo.

 Tra i cattolici italiani, la libertà cominciò ad essere nuovamente insegnata nel corso degli anni ’30 in ambienti intellettuali molto limitati, ad esempio nel Movimento Laureati di Azione Cattolica, fondato nel 1932.

  Bene: come già osservai al liceo, rimane poco del fascismo storico in quelli che oggi se ne proclamano aderenti.   Prendono a modello losquadrismo  delle origini e si circondano di simboli del fascismo, ma non hanno i suoi stessi nemici e i suoi obiettivi. Si vuole un certo benessere, come le classi più benestanti che vengono prese a modello, non ci si vuole sacrificare per gli altri o per la Nazione. In Italia non è incipiente una rivoluzione socialista e la vita civile prosegue con ordine. Mi pare anche che manchi completamente un progetto di riforma sociale analogo a quello fascista, da attuarsi mediante la guerra di popolo, con una nazione in guerra“Italia  agli Italiani” non era un problema del fascismo storico, perché, quando prese il potere, l’Italia era già degli Italiani, a seguito della vittoria bellica nella Prima Guerra Mondiale. Il suo problema fu semmai quello di creare un impero per portare l’Italia anche molto fuori d’Italia, a genti lontane, in particolare in Africa, alle quali, come faceva una canzone molto popolare del regime,  si voleva dare  un'altra legge e un altro Re per bandiera quella italiana.  Si voleva, quindi, farne degli italiani.

 Chi oggi sarebbe disposto ad andare entusiasticamente in guerra, come veniva proposto dai fascisti di un tempo? A morire per la Patria. Si fa il soldato come lavoro, come professione. Si vorrebbe, terminato il lavoro, tornare a casa. E la guerra viene considerata come è realmente, morte, corpi lacerati e mutilati, tanti orfani e tanta altra gente che soffre, e distruzione, un male sociale da superare prima possibile.

  Molto di più del fascismo rimane negli ambienti cattolici conservatori. La loro ideologia ingloba, ad esempio, l’idea del marito/padre comecapo  della famiglia e quella della donna come destinata essenzialmente a ruoli subordinati di sposa e madre. Così come l’idea che la religione cristiana, nella versione cattolica, rientri nei caratteri costitutivi della nazione  italiana (è l’ideologia che fu sviluppata a seguito dei Patti Lateranensi).

 Aggiungo un inciso: perché il Papato non fu travolto con il Mussolini e la monarchia Savoia dopo il disastro dell’ultima Guerra Mondiale?

  Una delle ragioni può essere che nel  marzo del 1939 cambiò il Papa, venendo eletto Eugenio Pacelli, regnante come Pio XII. Egli subito iniziò a distanziarsi dall’ideologia del  regime, in particolare nel radiomessaggio diffuso il 24 agosto 1939, in cui così parlò della guerra (di cui si avvertivano chiaramente  le gravi minacce):

A tutto il mondo.

Un’ora grave suona nuovamente per la grande famiglia umana; ora di tremende deliberazioni, delle quali non può disinteressarsi il Nostro cuore, non deve disinteressarsi la Nostra Autorità spirituale, che da Dio Ci viene, per condurre gli animi sulle vie della giustizia e della pace.

Ed eccoCi con voi tutti, che in questo momento portate il peso di tanta responsabilità, perché a traverso la Nostra ascoltiate la voce di quel Cristo da cui il mondo ebbe alta scuola di vita e nel quale milioni e milioni di anime ripongono la loro fiducia in un frangente in cui solo la sua parola può signoreggiare tutti i rumori della terra.

EccoCi con voi, condottieri di popoli, uomini della politica e delle armi, scrittori, oratori della radio e della tribuna, e quanti altri avete autorità sul pensiero e l’azione dei fratelli, responsabilità delle loro sorti.

Noi, non d’altro armati che della parola di Verità, al disopra delle pubbliche competizioni e passioni, vi parliamo nel nome di Dio, da cui ogni paternità in cielo ed in terra prende nome (Eph., III, 15), — di Gesù Cristo, Signore Nostro, che tutti gli uomini ha voluto fratelli, — dello Spirito Santo, dono di Dio altissimo, fonte inesausta di amore nei cuori.

Oggi che, nonostante le Nostre ripetute esortazioni e il Nostro particolare interessamento, più assillanti si fanno i timori di un sanguinoso conflitto internazionale; oggi che la tensione degli spiriti sembra giunta a tal segno da far giudicare imminente lo scatenarsi del tremendo turbine della guerra, rivolgiamo con animo paterno un nuovo e più caldo appello ai Governanti e ai popoli: a quelli, perché, deposte le accuse, le minacce, le cause della reciproca diffidenza, tentino di risolvere le attuali divergenze coll’unico mezzo a ciò adatto, cioè con comuni e leali intese: a questi, perché, nella calma e nella serenità, senza incomposte agitazioni, incoraggino i tentativi pacifici di chi li governa.

È con la forza della ragione, non con quella delle armi, che la Giustizia si fa strada. E gl’imperi non fondati sulla Giustizia non sono benedetti da Dio. La politica emancipata dalla morale tradisce quelli stessi che così la vogliono.

Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo.

Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo.

E si sentiranno grandi — della vera grandezza — se imponendo silenzio alle voci della passione, sia collettiva che privata, e lasciando alla ragione il suo impero, avranno risparmiato il sangue dei fratelli e alla patria rovine.

Faccia l’Onnipotente che la voce di questo Padre della famiglia cristiana, di questo Servo dei servi, che di Gesù Cristo porta, indegnamente sì, ma realmente tra gli uomini, la persona, la parola, l’autorità, trovi nelle menti e nei cuori pronta e volenterosa accoglienza.

Ci ascoltino i forti, per non diventar deboli nella ingiustizia. Ci ascoltino i potenti, se vogliono che la loro potenza sia non distruzione, ma sostegno per i popoli e tutela a tranquillità nell’ordine e nel lavoro.

Noi li supplichiamo per il sangue di Cristo, la cui forza vincitrice del mondo fu la mansuetudine nella vita e nella morte. E supplicandoli,sappiamo e sentiamo di aver con Noi tutti i retti di cuore; tutti quelli che hanno fame e sete di Giustizia — tutti quelli che soffrono già, per i mali della vita, ogni dolore. Abbiamo con Noi il cuore delle madri, che batte col Nostro; i padri, che dovrebbero abbandonare le loro famiglie; gli umili, che lavorano e non sanno; gli innocenti, su cui pesa la tremenda minaccia; i giovani, cavalieri generosi dei più puri e nobili ideali. Ed è con Noi l’anima di questa vecchia Europa, che fu opera della fede e del genio cristiano. Con Noi l’umanità intera, che aspetta giustizia, pane, libertà, non ferro che uccide e distrugge. Con Noi quel Cristo, che dell’amore fraterno ha fatto il Suo comandamento, fondamentale, solenne; la sostanza della sua Religione, la promessa della salute per gli individui e per le Nazioni.

Memori infine che le umane industrie a nulla valgono senza il divino aiuto, invitiamo tutti a volgere lo sguardo in Alto ed a chiedere con fervide preci al Signore che la sua grazia discenda abbondante su questo mondo sconvolto, plachi le ire, riconcilii gli animi e faccia risplendere l’alba di un più sereno avvenire. In questa attesa e con questa speranza impartiamo a tutti di cuore la Nostra paterna Benedizione.

   Tenendo conto che l’idea di  rigenerazione della nazione mediante la guerra era nella struttura fondamentale e originaria dell’ideologia fascista, fin dalle origini nel 1914, non si potrebbe immaginare una critica più forte, anche se non esplicita. Questa critica continuò negli anni successivi nei radiomessaggi natalizi dal 1941 al 1944, che segnarono una trasformazione della dottrina sociale in materia politica con l’inizio dell’assimilazione della democrazia.

4. Se ci rivolgiamo alla storia per avere indicazioni per il futuro,  occorre averne una visione realistica. Altrimenti ci affidiamo a un sogno.

  Il fascismo storico, che dal suo primo aggregarsi alla sua caduta come regime durò dal 1914 al 1945, ci mostra un fatto politico in tutto il suo sviluppo, dall’inizio alla fine. E’ stato studiato a fondo. Ne abbiamo una visione affidabile, che non è più alterata dalla propaganda dell’epoca o dal successivo afflato emotivo. Sappiamo quindi come si va a finire seguendo quella via.

4.1  Il fascismo prese piede in anni in cui sembrava che i socialisti potessero andare al potere in Italia per via democratica. I socialisti, come i cattolici, nei decenni precedenti avevano lavorato alla formazione delle masse. Entrambe le formazioni raccoglievano i frutti di questo impegno.

  Durante la Prima guerra mondiale (nella quale l’Italia era stata coinvolta dal 1915 al 1918) si era sviluppata un’economia di guerra, rigidamente governata dallo stato. Nella situazione di emergenza si provvedeva d’autorità più o meno  a tutti. C’erano masse di militari che non dovevano fare altro che combattere, eseguendo gli ordini superiori: per il resto a tutto provvedeva lo stato. C’erano anche le loro famiglie, a cui, anche, provvedeva lo stato con misure straordinarie, nel caso fossero colpite dalle distruzioni belliche. Anche ai feriti e ai mutilati provvedeva lo stato. Con la maggior parte degli uomini impegnati nell’esercito, ci fu la piena occupazione tra quelli che erano rimasti. In particolare le donne supplirono gli arruolati. L’industria viveva un ciclo favorevole, trainata dalle commesse militari. Al fronte servivano armi, mezzi meccanici di trasporto e di combattimento, vestiario, alimenti, prodotti sanitari.

  Finita la guerra tutta questa economia terminò. La sua impostazione generale tornò quella di prima, capitalistico-liberale. Le masse che erano state sostenute nello sforzo bellico furono abbandonate a loro stesse.  L’economia, privata delle commessi militari, incominciò a riprendere il ritmo di prima della guerra, a normalizzarsi. I lavoratori iniziarono a protestare, guidati dai socialisti. Le autorità dello stato trattarono il fenomeni come un problema di ordine pubblico. Ecco, quindi, che, alle elezioni del 1919, le prime dopo il conflitto, i due maggiori partiti furono il socialista, con il 34% dei voti, e il popolare, ispirato dalla dottrina sociale, con il 20%. Il Governo, fino al 1922, rimase sostenuto da precarie coalizioni tra liberali, popolari e socialisti non rivoluzionari, ma la sua politica economica fu fondamentalmente quella liberale.

  L’idea di Benito Mussolini, formatosi nelle file del Partito Socialista Italiano, fu quella di risolvere i problemi sociali ricreando un’economia di guerra, caratterizzata da un fortissimo intervento dello stato, sia come misure sociali sia come commesse all’industria. Un soluzione semplice, che però implicava di fare veramente la guerra, di suscitare un popolo in armi. Ma come convincere la gente, le masse? Si utilizzò la propaganda. Del resto la guerra era finita da poco, la gente si era abituata alla guerra. Non impressionavano più di tanto i racconti delle atrocità che erano state commesse.

  Mussolini era andato in guerra, ma come militare di truppa. Della guerra sapeva quello che poteva sapere un soldato di truppa. A quell’epoca la strategia militare era già una scienza molto sofisticata. Mussolini non aveva la cultura sufficiente per dirigere le guerre che si proponeva di intraprendere. Si servì, almeno agli inizi, dell’apparato militare. Ma, con l’affermarsi del regime, sempre più si ingerì nella gestione militare. Ciò in particolare accadde durante la Seconda guerra mondiale, specialmente dal 1940, con la campagna militare per la conquista della Grecia. Questo fu tra i fattori decisivi degli insuccessi italiani nel conflitto.

 Più in generale, Mussolini, con la cultura di un maestro elementare e di un agitatore socialista, non conosceva il mondo del suo tempo, ne aveva un’immagine poco realistica. Si convinse, ad esempio, che le grandi democrazie europee e americane fosse deboli come quella italiana e quindi inadatte in tempo di guerra. Non aveva una visione realistica della potenza economica degli Stati Uniti d’America. Alla loro entrata in guerra vi fu chi fece osservare che nella sola New York era stato installato un numero di telefoni di sei volte superiore a quelli dell’Italia intera.

  Intorno alla figura di Mussolini fu organizzata un’azione di propaganda molto pervasiva con caratteri di quello che, con riferimento al despota sovietico Iosif Stalin, venne definito culto della personalità. Egli era il Duce, indiscutibile:  “il Duce ha sempre ragione”, si insegnava. Fu insegnata addirittura una disciplina universitaria che si chiamavaMistica fascista. Si cercò di suscitare un afflato di tipo mistico, religioso. Progredendo il successo del suo regime, non si sarebbe stati più capaci di dominare le masse in altro  modo. C’era lo spettro della rivoluzione sovietica, nel corso della quale forze socialiste rivoluzionarie avevano rovesciato in poco tempo, durante il 1917, un’antica monarchia, con tutto il sistema politico che vi era collegato. Era avvenuto nella fasi terminali di una guerra che stava cominciando ad andare male per la Russia. Non si sarebbe potuto dedurre da questo che la via della guerra poteva portare anche alla catastrofe? Si sarebbe potuto, e anzi l’obiezione fu posta finché si poté farlo, in un ambiente democratico, in cui fosse consentita libertà di parola. Ma per il fascismo questo era una degenerazione dello stato, non si doveva discutere, ma  credere, obbedire, combattere: questa la parola d’ordine che veniva verniciata per strada, sulle facciate dei palazzi.

  Di solito gli estimatori del fascismo arrivano a giudicare un errore la propaganda e le leggi di discriminazione antiebraica che il fascismo mussoliniano promosse dal 1938. Ma in realtà è la via della guerra proposta dal fascismo ad aver prodotto storicamente il disastro nazionale. La guerra non fu un errore del fascismo, che possa essere separato da esso come si fa quando da una mela si taglia la parte bacata. La via del fascismo fu quella della guerra. E’ su questo che il fascismo deve essere giudicato come fatto politico. Tutto il resto, ad esempio il tentativo di risolvere d’autorità, con istituzioni statali, quelle corporative che riunivano lavoratori e imprenditori, la questione sociale fu solo lavoro per preparare un popolo in guerra, addestrandolo alle armi fin da quando si era molto piccoli, da bambini.

  Riassumendo: la guerra per promuovere un’economia di guerra e risolvere così, d’autorità, i problemi sociali.

  Negli Stati Uniti d’America nel 1929 si produsse una grave crisi recessiva dell’economia. Lo stato federale, guidato dal presidente Franklin Delano Roosevelt, intervenne potentemente nell’economia in crisi, in particolare con speciali misura di sostegno all’occupazione. Si fece, sostanzialmente, come durante un periodo di guerra, ma senza impegnarsi in un conflitto bellico, in una guerra vera. L’economia statunitense superò la crisi. Mussolini poteva prendere esempio da quell’esperienza, come poi si fece a lungo nel secondo dopoguerra, in tutto il mondo? Avrebbe potuto, se fosse stato un’altra persona, con un’altra cultura, con un’altra storia, se fosse stato più aperto a conoscere il mondo. Nel 1929, assicuratosi l’appoggio del Papato con iPatti Lateranensi  e silenziata ogni opposizione democratica, non pensava di poter imparare nulla da nessuno.

4.2. Se si condivide l’ordine di idee che ho sopra esposto, è evidente che la via del fascismo storico non può essere un’alternativa per l’Italia di oggi. La via della guerra, infatti, porterebbe ai nostri tempi il mondo, non solo l’Italia, alla catastrofe globale. Abbiamo armi di distruzione di massa troppo potenti, tanto da minacciare concretamente la sopravvivenza dell’umanità. Non c’è altro da dire in merito.

  La violenza può apparire una scorciatoia, per tagliare corto con tante discussioni. Ma quando la situazione è complessa bisogna avere la pazienza di discutere: non c’è altra via buona.

 L’altro ieri ho visto in televisione un documentario che trattava della banda tedesca di terroristi comunisti Baader - Meinhof,  che si denominava  Frazione dell’Armata rossa.  Prese il nome dai suoi fondatori Andreas Baader e Ulrike Meinhof. Operò a lungo, dagli anni ’70 agli anni ’90, nella Germania occidentale, quella che all’epoca aveva capitale a Bonn. Facevano attentati. Baader e Meinhof furono catturati nel 1972.  In quella trasmissione hanno intervistato un uomo che conosceva Baader e Meinhof. Ha detto che, secondo lui, il primo era un teppista, la seconda, invece, una fine studiosa. Come hanno potuto unirsi in un’unica banda? Ha osservato che, quando si sceglie la via della violenza, finiscono per comandare quelli che sono più bravi ad usare la violenza nel modo più spregiudicato; gli altri, benché, fini intellettuali, seguono.  Questa è anche la mia esperienza, quello che ho potuto osservare direttamente, in particolare nel tempo in cui fui al liceo e all’università e in Italia c’era tanta più violenza di piazza di oggi.

  Si parla di Nazione  e ci si emoziona, come durante il fascismo. Ma chi è la NazioneNoi e chi? Quando si fa politica bisogna saper avere a che fare con gli altri come realmente sono, non come li sogniamo o verremmo che fossero. Il fascismo mussoliniano sognò l’Italia come faro di civiltà per il mondo, ma per essere civili  occorre innanzi tutto percorrere la via della virtù e della sapienza, distaccarsi dalla brutalità che in ognuno di noi c’è come retaggio del nostro antico passato di belve. La via della compassione, in particolare, che in religione viene detta anche misericordia, è parte di questo stile di civiltà: significa avere cuore per le sofferenze altrui e quindi non gettare gli altri in esperienze che le provochino, come ad esempio le guerre. Perchéessere civili,  costruire una civiltà, come noi la intendiamo nelle nostre migliori intenzioni, significa anche saper includere gli altri. Tutte le grandi civiltà sono state fortemente inclusive, in particolare quella romana, dalla quale il fascismo storico voleva trarre lezione. E’ un lavoro che si fa sempre più difficile quante più sono le persone da includere. E’ qui che entra in campo la sapienza. Non è cosa da incolti o da gente che decide d’istinto. Bisogna saper ragionare, prevedere, fare: sapere, in una parola. L’Italia di oggi è attrezzata, perché la scolarizzazione degli italiani non è mai stata così alta. Com’è, però, che in Parlamento troviamo il minor numero di laureati di sempre? Forse è perché si dà troppa poca importanza alla sapienza. Si pensa che la politica sia decidere d’istinto, un atto di ferma volontà. Questo era un po’ il fondamento dell’autorità politica di Mussolini come Duce  degli italiani. La storia ci insegna come si va a finire su quella strada.

  Italiani si nasce? Il fascismo storico non fu di questa opinione. Tanto è vero che programmò istituzioni molto pervasive per  costruire  gli italiani in un certo modo, con dei percorsi di formazione individuale e collettiva molto impegnativi. Voleva infatti creare masse capaci disacrificare la vita  in guerra per il bene della nazione. Addestrava  i bambini alle armi. Era ben  consapevole che  italiani, e guerrieri, si diventa. Nasciamo sapendo succhiare il latte e poco altro. Tutto il resto si impara. E dentro abbiamo anche tante emozioni, che a volte ci possono fuorviare, come ci insegna la psicologia moderna. Qualche giorno fa hanno dato il Nobel all’economista Richard Thaler, per aver scoperto che il comportamento degli attori dell’economia, ad esempio dei consumatori, è spesso irrazionale, emotivo. Così quando compriamo un telefono cellulare non teniamo conto solo delle sue specifiche tecniche, ma del suo rivestimento, dei suoi colori, delle forme delle figurine che compaiono sullo schermo, e del fatto che nei gruppi che frequentiamo è considerato indispensabile averlo. Condursi così in politica, soprattutto quando si devono prendere le decisioni più importanti, può darci poi molti dispiaceri.

 

5.  Cerco di parlarvi del fascismo come quando ne discutevo al liceo con quelli della mia scuola, senza far precedere il giudizio all’analisi dei fatti e quindi senza  demonizzare  i  miei interlocutori. All’epoca non avevo ancora imparato la democrazia: lo feci all’università e, in particolare, tra gli universitari cattolici della FUCI. A scuola trovai questa situazione: bisognava schierarsi, o si era fascisti   o si era comunisti, poi ci si azzuffava. L’idea di schierarsi per la democrazia non era in voga, la democrazia era screditata, non solo i partiti che vi si richiamavano.

5.1 Uno di quelli con cui parlavo era stato mio caposquadriglia negli scout, agli Angeli Custodi. Diceva di essere fascista. Sosteneva che da piccoli si faceva gli scout e, crescendo, bisognava entrare nel Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, il partito che la fascismo storico si richiamava. Ogni squadriglia scout aveva un proprio grido  di riconoscimento. La nostra era quella delle Volpi e quel ragazzo le aveva dato come grido “Vulpes - Memento Audere Semper”. Memento Audere Semper - Ricordati di osare sempre fu un motto inventato dal poeta e scrittore Gabriele D’Annunzio per un corpo  speciale di marina che si occupava di condurre i MAS, dei motoscafi lanciasiluri: D’Annunzio aveva creato intorno a sé un movimento di ex combattenti alla testa del quale tra il 1919 e il 1921 occupò per qualche tempo la città di Fiume, rivendicata dall’Italia al termine della Prima guerra mondiale. Quell’agitazione sociale, detta poi fiumanesimo, fu tra quelle che si coagularono nel fascismo mussoliniano.

  Sosteneva, quel mio ex caposquadriglia, che il fascismo era superiore alla democrazia, perché, alla fine, aveva pagato solo il capo, caduto in mano dei suoi nemici e da questi giustiziato il 28 aprile 1945. In democrazia invece certi errori erano pagati da tutto il popolo. Quando mi parlava così non avevo ancora studiato la storia recente d’Italia, alle medie non ci si arrivava e non ero ancora al quinto anno delle superiori, dove a volte ci si arrivava. Ma sapevo quello che mi avevano raccontato i miei parenti. Non era stato solo Mussolini ad aver pagato. Anche molti altri capi del fascismo erano stati uccisi con lui. Ma anche gente che non aveva avuto ruoli importanti nel regime e si era magari solo arruolata come volontaria in certi corpi speciali. Più in generale l’Italia era uscita distrutta dall’ultima guerra voluta dal fascismo. Oltre un milione di soldati italiani fatti prigionieri, centinaia di migliaia di gli uccisi, feriti, mutilati, tra quelli sotto le armi, ai quali bisognava aggiungere quelli tra la popolazione civile rimasti uccisi, feriti, mutilati sotto i bombardamenti o nelle azioni di guerra durante la risalita degli Alleati su per la Penisola o, infine, nelle feroci repressioni e rappresaglie attuate dai militari nazisti e da quelli della Repubblica Sociale Italiana durante la guerra di Resistenza.

  Lo stretto collegamento tra il fascismo e la guerra mi era stato sempre bene chiaro, fin da piccolo. In particolare me ne aveva parlato la  mia nonna materna. Sotto il fascismo, diceva, c’era stata una guerra dietro l’altra. Studiando, più tardi, la storia, ho capito che effettivamente era stato così. La guerra era stata al centro dell’ideologia del fascismo storico. Il suo agente di trasformazione sociale era stata la nazione in guerra. Era l’idea della guerra che dava coerenza alla sua politica e che gli consentiva di tagliare corto su ogni discussione. In guerra conta solo la vittoria, tutto deve esserle subordinato. Non ci si deve dar tanta pena a cercare obiettivi politici: c’è n’è uno solo, come gridava Mussolini, “Vincere!”.  Questo consentiva al regime di passare sopra agli egoismi sociali, in particolare agli interessi di borghesia, le classi più ricche, e del proletariato, la classe dei più poveri, adottando misure sociali di compensazione, per accrescere il benessere delle masse con le risorse dello stato. Perché è dalle masse che uscivano i soldati necessari alle guerre del regime. Tutti, i più ricchi e i più poveri, avrebbero beneficiato di quelle guerre: i più ricchi per le commesse all’industria per procurare i mezzi per combattere le guerre, i più poveri da ciò che si sarebbe riuscito a ricavare dalle terre conquistate, che di voleva colonizzare trasferendovi genti italiane. Storicamente questi obiettivi non furono mai completamente raggiunti. I più poveri beneficiarono di misure sociali ma rimasero poveri. I più ricchi beneficiarono delle commesse pubbliche ma poi si ritrovarono l’industria distrutta dalla guerra. L’Italia si dissanguò nelle guerre coloniali, in Africa, in Libia e in Etiopia, che furono imprese in perdita. Quello che in Africa era stato conquistato a duro prezzo, fu poi perso quasi del tutto  in pochi mesi durante l’ultima guerra mondiale, e poi del tutto con la sconfitta finale.

   Il collegamento tra il fascismo e l’ideologia della rigenerazione sociale mediante la guerra fu tanto forte che l’ultimo fascismo, quello durante il quale il Centro e Nord Italia divennero sostanzialmente un protettorato tedesco, sotto occupazione militare, cercò   ancora di rigenerare  mediante la guerra quella parte d’Italia che ancora dominava, proponendosi di continuare la guerra con i precedenti alleati, la Germania, gli altri regimi fascisti europei entrati nel conflitto, e il Giappone, anche quando era ormai evidente che la guerra era persa. ll fascismo storico, quello mussoliniano, non poteva sopravvivere senza la guerra. La resa, la sconfitta, avrebbero comportato la fine del regime, che non aveva altra ideologia, sostanzialmente, che quella della guerra, della nazione in guerra.

5.2. Dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, l’Italia perse la capacità di decidere autonomamente la guerra. Fu questo a determinare la fine del fascismo storico, che sarebbe potuto sopravvivere al Mussolini, ma non senza la possibilità di progettare la trasformazione sociale mediante un  nazione in guerra. Il mondo scaturito dalla Seconda Guerra Mondiale, con la divisione dell’Europa in due blocchi egemonizzati dagli Stati Uniti d’America e dall’Unione Sovietica, che avevano il monopolio della guerra e della pace, non dava alcuno spazio all’ideologia fascista della nazione in guerra, la sua strategia politica di rigenerazione sociale.

  Quando, negli anni ’70, trovai a scuola  fascisti  e  comunisti,  il fascismo proclamato da alcuni era molto diverso da quello delle origini, anche se chi si diceva fascista  si circondava dei suoi simboli e ne esaltava la storia. Era un neo-fascismo.

  ll neo-fascismo è un’esperienza politica liberamente ispirata al fascismo storico che però ne conserva solo alcuni elementi originari, insieme ad altri.

  Nelle interviste televisive che ho citato ieri, sentiamo Giorgio Almirante, segretario politico del Movimento Sociale Italiano,  dirsi francamente  fascista ed esaltare la  libertà  e il rispetto degli avversari politici. Queste ultime due idee erano state  estranee al fascismo storico. Il fascismo storico, quello mussoliniano per intenderci, non consentiva libertà di dissenso e non rispettava, anzi perseguitava, gli avversari politici. C’erano molti altri elementi che differenziavano l’ideologia del Movimento Sociale Italiano  da quella del fascismo storico. Non proponeva la trasformazione sociale degli italiani mediante la guerra. Non si proponeva come partito totalitario, come partito  unico degli italiani. Infine: aveva una vita democratica, eleggeva  i propri segretari politici nel corso di congressi. Il suo nemico era il comunismo. Giustificava la propria esistenza con l’anticomunismo. Non era stato così per il fascismo mussoliniano, anche se la paura del socialismo rivoluzionario gli aveva accattivato l’appoggio della borghesia italiana all’inizio degli anni ‘Venti. Il fascismo mussoliniano aveva avuto come scopo la trasformazione sociale mediante la guerra, in particolare per costruire un impero. I suoi progetti imperiali  non comprendevano, fino all’ultima guerra mondiale, la guerra all’Unione Sovietica. Pensava ad un impero che comprendeva parte dei Balcani, la Grecia e l’Africa Orientale, tra Libia ed  Etiopia.

  Nel suo anticomunismo, il Movimento Sociale Italiano  finì per schierarsi sostanzialmente con gli Stati Uniti d’America, gli avversari di un tempo. La sua proposta era quella di un regime politico presidenziale, in funzione anticomunista, con uno stato fortemente accentrato non intorno al Parlamento, ma attorno ad un presidente - capo di stato  con poteri molto vasti. Costituito da fascisti per prolungare le idee del fascismo in ambiente democratico, il Movimento Sociale Italiano non ebbe mai le caratteristiche peculiari del partito fascista storico, sia come ideologia, che come organizzazione, che come obiettivi. E infatti non fu colpito dalle leggi che puniscono la ricostituzione del  disciolto  partito fascista. Divenne un’esperienza politica diversa da quella del suo modello di ispirazione. Non può essere considerato, quindi, ad una considerazione storica,  neo-fascismo.

   Il fascismo storico italiano non va assimilato ad altri fascismi europei, alcuni dei quali, come quello spagnolo e portoghese, prolungatisi fino agli anni ’70. Quello spagnolo di Francisco Franco originò da una dittatura militare, non da una metamorfosi del socialismo rivoluzionario come quello mussoliniano. Al centro della sua ideologia vi furono le idee di restaurazione, conservazione e di cattolicesimo della tradizione. Analoghi obiettivi ebbe il fascismo portoghese di Antonio de Oliveira Salazar, che però non originò da una dittatura militare, ma da una dittatura politica. Gli elementi che accumunano questi e altri fascismi al fascismo mussoliniano furono il divieto di dissenso politico, il partito unico egemonizzato da un singolo capo politico e lo stato come strumento pervasivo di controllo sociale burocratico. Mancava l’idea di trasformazione sociale mediante la nazione in guerra. Tutti questi regimi tesero invece a impedire la trasformazione sociale, fondamentalmente con misure di polizia, repressive. Il fascismo mussoliniano ebbe invece sempre, quando più quando meno, e meno dopo la  conciliazione  con il Papato, dal 1929, carattere  rivoluzionario, più esattamente di  rivoluzione sociale: infatti scaturì dal  socialismo rivoluzionario  del primi del Novecento, quello in cui il Mussolini si era formato. Mirava a creare un uomo nuovo.

  Ancora oggi vi sono gruppi che si richiamano al fascismo storico, conservandone però solo alcuni elementi. Possiamo considerarli  neo-fascismi solo, però, se non si distanzino talmente dal modello originario da diventare altro.

 Non si può considerare neo-fascista  chi non si proponga la rigenerazione sociale della nazione, comprendendo tutti. Chi voglia essere solo forza rivoltosa, di ribellione sociale. Non basta lo squadrismo politico per fare il neo-fascismo.

 Un carattere distintivo del neo-fascismo può essere considerato il rifiuto del dialogo democratico, in particolare di quello parlamentare. L'insofferenza per il dissenso, considerato come tradimento. Uno dei tratti caratteristici del fascismo storico fu infatti la svalutazione del Parlamento. In una formazione neo-fascista  al dissenso e anche al tentativo di dialogo da parte dei dissenzienti si opporrà la violenza squadristica. Ma se prevale la violenza non si può più parlare di neo-fascismo, perché nella struttura originaria dell’ideologia fascista c’era la riforma sociale che richiedeva un certo livello di capacità dialettica e di cultura. Il fascismo storico era riuscito ad assicurarsi l’appoggio di un grande filosofo come Giovanni Gentile e del Papato. 

  Un altro carattere distintivo può essere individuato nell’organizzazione verticistica, gerarchica. Una formazione neofascista avrà un capo, o un’oligarchia di comando, vale a dire un gruppo ristretto di capi, che sceglieranno i livelli sotto-ordinati di comando, per cooptazione, come si dice, che è appunto quando una organizzazione  scende  dall’alto.  Si darà molta importanza alla gerarchia e  il livelli di potere più elevati saranno considerati indiscutibili.  

  Sento spesso che ci si dice fascisti  per dire che si è contro gli immigrati. Questa idea non rientrava nell’ideologia originaria del fascismo storico e non basta per fare un neo-fascismo. Chi la professa si manifesta solo xenofobo, vale a dire avverso agli stranieri e, se pensa di esserlo perché gli italiani sono superiori ad altri popoli, è un suprematista, come ci sono negli Stati Uniti d’America. Se si pensa di passare dalle parole ai fatti, allora si  è qualcosa di simile a quelli delKu Klux Klan  americano.

  Il fascismo  divenne  razzista nella seconda metà degli anni ’30. Gli storici ricordano che all’inizio aveva avuto tra i suoi sostenitori anche ebrei, che nel ’38 vennero invece pesantemente discriminati da leggi razziali. Divenne razzista essenzialmente per le relazioni politiche che intrattenne con il nazismo hitleriano. Quest’ultimo era razzista dalle origini. Proclamava la superiorità  razziale  dei tedeschi su ogni altro popolo, italiani compresi. A quel punto al fascismo mussoliniano non rimase altra strada, per fronteggiare il razzismo hitleriano, di inventarsi una superiorità razziale, etnica, di stirpe, degli italiani, non solo culturale, di civiltà. Gli italiani rimasero sempre piuttosto tiepidi in merito, non apparendo loro particolarmente evidente questa superiorità. In precedenza c’erano state leggi che vietavano matrimoni di italiani e africani, ma più che altro per ragioni di morale familiare non tanto di razzismo. I soldati e i funzionari italiani in Africa si facevano mogli africane, che poi lasciavano tornando in patria: questo veniva considerato contrario alla morale famigliare del regime. L’antisemitismo di tipo razziale creò dei problemi con il Papato. Quest’ultimo non aveva mai avuto problemi a discriminare gli ebrei per ragioni religiose, come eretici, ma pensarli come razza inferiore era tutt’altra cosa. Perché significava comprendere nella razza inferiore  anche Gesù, gli apostoli e tutti i primi  cristiani.

  Manca, in Italia, un partito che abbia oggi la minima possibilità, e anche la volontà, di diventare il partito unico  degli italiani per finalità di trasformazione sociale, come volle essere il partito fascista.

  Infine: l’anticomunismo non basta a giustificare politicamente un neo-fascismo ai nostri tempi, perché, a differenza ad esempio che negli anni ’70, non c’è alcun partito comunista, o anche solo socialista, che abbia la minima possibilità di conquistare il governo nazionale.   In genere nell’Europa contemporanea, i neo-fascismi hanno finito infatti per trasformarsi in qualche altra cosa, conservatorismi, nazionalismi, suprematismi. Non c’era più spazio politico per loro. E i regimi fascisti superstiti, ad esempio quelli spagnolo e portoghese, e quelli dell'America Latina, in particolare quelli argentino e cileno hanno finito in genere per evolvere in democrazie di tipo occidentale.

6.  Concludo esaminando l’argomento “il fascismo  qualcosa di buono l’avrà pure fatto”. “Se non avesse portato l’Italia in guerra con la Germania nazista”, Se non avesse approvato le leggi di discriminazione etnico-religiosa contro gli ebrei”, Se questo e quello, allora…

   Di solito a chi mi propone quel ragionamento faccio l’esempio che segue.

 Qualche anno fa il secondo pilota di un aereo di linea, rimasto solo alla guida, ha mandato l’apparecchio a schiantarsi contro una montagna. Aveva deciso di farla finita. In quel momento gli è parsa una buona soluzione e si è trascinato dietro gli altri membri dell’equipaggio e i passeggeri. Si è scoperto che aveva avuto problemi psichiatrici, che però non erano stati segnalati alla compagnia aerea. Ma qualcosa di buono l’avrà pure fatto! Avrà voluto bene a qualcuno. Avrà avuto una famiglia che ha seguito amorevolmente. Prima di quell’ultimo volo, non aveva fatto  sempre quello che doveva? Eh, sì, qualcosa di buono certamente l’avrà fatto. Ma voi, se aveste saputo dei problemi psichiatrici che aveva maturato quel pilota, ci sareste saliti con lui su quell’ultimo volo? E’ così che vanno giudicati i politici di governo, prima e dopo il loro servizio. Sì, ad esempio, avranno pure fatto qualcosa di buono, ma ora sono in grado di pilotare  la nazione? Non è che ci manderanno a sbattere contro una montagna?

  Nel caso del Mussolini, non è che egli abbia nascosto le sue intenzioni: voleva fare guerra, diceva, per conquistare  uno spazio vitale, in cui erano comprese Libia ed Etiopia, ma riteneva indispensabili i propositi di guerra per consolidare e mantenere il suo potere politica. Non può esistere un fascismo sul modello mussoliniano senza la volontà di fare guerra. Lo ha detto chiaro e forte e agli italiani, fin da piccoli, ha messo in mano libro e moschetto (un tipo di fucile utilizzato in guerra). Seguiva i futuristi, per i quali la guerra era l’unica igiene del mondo. Bene, l’Italia ebbe la guerra, diverse guerre, prima quelle coloniali e poi quella  mondiale. Gli italiani, che erano meno ricchi della gente di altre nazioni, speravano di guadagnarci.  Conquistare  non significa anche un po’  rapinare, che è quando con la violenza ci si impossessa delle ricchezze altrui? Gli italiani ritennero di averne il diritto, perché anche gli altri europei facevano lo stesso. Quindi poi alla fine sono andati a sbattere in una disastrosa guerra mondiale, dalla quale la nazione è uscita pressoché annientata.

 Quanto al razzismo  anti-ebraico del fascismo storico,  ho spiegato sopra come andò: al fascismo mussoliniano non rimase altra strada, per fronteggiare il razzismo hitleriano, di inventarsi una superiorità razziale, etnica, di stirpe, degli italiani, non solo culturale, di civiltà. Altrimenti gli italiani stessi sarebbero stati vittime delle fantasie razziste dei tedeschi hitleriani. Sarebbero stati considerati una razza  inferiore tra le altre. Per le sue guerre, il fascismo mussoliniano ad un certo punto sentì la necessità, e decise, di allearsi con la Germania egemonizzata dal nazismo e quest’ultima era razzista: il razzismo antiebraico, costruito ideologicamente come razzismo puro e semplice e dunque utilizzabile anche verso altre etnie, gli fu indispensabile per cercare di non soccombere di fronte all’alleato. La storia è quella che è, non può essere cambiata, ma solo capita meglio.

 Alcuni sono ancora tentati da quella via, quella del fascismo storico, ma capiscono che qualcosa non è andato per il verso giusto e allora, quando non passano a menare le mani o comunque alla forza bruta, facendo di questo l’unica argomentazione dialettica, propongono l’argomento principe dei populisti  di sempre a disastro avvenuto, appunto quello del ma qualcosa di buono l’avrà fatto. Altri sostengono che  però sarebbe  meglio vederci chiaro, realisticamente,  prima  ed  ora su come andrà a finire nel complesso con una politica; a loro non basta che chi comanda qualcosa di buono l'abbia comunque fatto E se poi la storia si ripetesse? E se ci si schiantasse? I saggi invitano ad imparare dalla storia, che è, dicono, maestra di vita.

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Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli