Festa
della Liberazione
Oggi si celebra la Festa della Liberazione.
La Liberazione è
quella dall’occupazione tedesca dell’Italia e dal regime fascista mussoliniano,
restaurato nel 1943 nel territorio italiano occupato dai tedeschi e
riorganizzato come Repubblica sociale italiana, con il governo insediato a
Salò, in Lombardia, sul lago di Garda.
La data 25 aprile è
quella del giorno in cui, nel 1945, il Comitato di liberazione nazionale Alta
Italia, organismo che comprendeva i rappresentanti di Democrazia Cristiana,
Partito Comunista Italiano, Partito d’Azione, Partito Liberale Italiano, Partito
Socialista di unità proletaria, ordinò l’insurrezione armata generale a Milano.
Le altre zone d’Italia vennero liberato in altri tempi. La guerra in Italia
continuò ancora per qualche giorno. La resa delle truppe tedesche in Italia fu
firmata il 29 aprile ed entrò in vigore il 2 maggio e valse anche per quelle
della Repubblica sociale italiana. Benito Mussolini, catturato da una
formazione partigiana mentre cercava di lasciare l’Italia nascosto in una
colonna di militari tedeschi, fu fucilato il 28 aprile per ordine dal Comitato
di Liberazione Nazionale Alta Italia.
Si fa festa perché
quella liberazione fu azione di popolo e se ne vuole mantenere lo spirito tra
la gente di oggi per prevenire la restaurazione di un regime fascista.
Negli anni ’30, anche
a causa del compromesso concluso dal Papato romano con il regime fascista con i
Patti Lateranensi conclusi l’11 febbraio 1929 tra il Regno d’Italia,
rappresentato dal capo del Governo Benito Mussolini, e la Santa Sede, rappresentata
dal Segretario di Stato cardinal Pietro Gasparri, e dell’enciclica Il
Quarantennale – Quadragesimo anno, del 1931, con la quale il cattolicesimo
sociale era stato invitato a collaborare con il corporativismo del regime, la
popolazione italiana, Azione Cattolica compresa, si era data in gran parte al
fascismo mussoliniano. Nel corso della Seconda guerra mondiale tra quella
gennte maturò tuttavia il ripudio della dittatura fascista e dei progetti e
metodi del regime, che si espresse sia nella Resistenza armata, nelle zone
d’Italia occupate dall’armata tedesca, sia in un sentimento diffuso di
progressiva distanziazione che coinvolse molte più persone e che fu poi alla
base del vasto consenso popolare alla nuova Repubblica democratica che fu
organizzata dopo la caduta del fascismo.
Questo sentimento fu
innervato nel processo di costruzione di un nuovo ordine democratico del quale
furono protagonisti i partiti politici che presero la guida della resistenza
contro i nazi-fascisti. In particolare la Democrazia Cristiana fu costituita da
esponenti del cattolicesimo democratico italiano nel marzo 1943, per rispondere
al radiomessaggio natalizio diffuso sotto l’autorità del papa Pio 12° il 21
dicembre 1942
https://www.vatican.va/content/pius-xii/it/speeches/1942/documents/hf_p-xii_spe_19421224_radiomessage-christmas.html
con la quale si era stati esortati a collaborare per la
costruzione di un nuovo ordine sociale che garantisse, nella vita sociale, “convivenza
nell'ordine, convivenza nella tranquillità”.
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Estratto:
Il Santo Natale e la umanità dolorante
Con sempre nuova freschezza di letizia e di pietà, diletti
figli dell'universo intero, ogni anno al ricorrere del Santo Natale, risuona
dal presepe di Betlemme all'orecchio dei cristiani, ripercuotendosi dolcemente
nei loro cuori, il messaggio di Gesù, Luce in mezzo alle tenebre; un messaggio
che illumina con lo splendore di celestiali verità un mondo oscurato da tragici
errori, infonde una gioia esuberante e fiduciosa ad un'umanità, angosciata da
profonda e amara tristezza, proclama la libertà ai figli d'Adamo, costretti
nelle catene del peccato e della colpa, promette misericordia, amore, pace alle
schiere infinite dei sofferenti e tribolati, che vedono scomparsa la loro
felicità e spezzate le loro energie nella bufera di lotta e di odio dei nostri
giorni burrascosi.
E i sacri bronzi, annunziatori di tale messaggio in tutti i
continenti, non pur ricordano il dono divino, fatto all'umanità, negli inizi
dell'età cristiana; ma annunziano e proclamano anche una consolante realtà
presente, realtà come eternamente giovane, così sempre viva e vivificante;
realtà della «luce vera, la quale illumina ogni uomo, che viene in questo
mondo» e non conosce tramonto. L'Eterno Verbo, via, verità e vita, nascendo
nello squallore di una grotta e nobilitando in tal modo e santificando la povertà,
così dava inizio alla sua missione di dottrina, di salute e di redenzione del
genere umano, e diceva e consacrava una parola, che è ancor oggi la parola di
vita eterna, valevole a risolvere i quesiti più tormentosi, insoluti e
insolubili da chi vi porti vedute e mezzi effimeri e puramente umani; quesiti i
quali si affacciano sanguinanti, esigendo imperiosamente una risposta, al
pensiero e al sentimento di una umanità amareggiata ed esacerbata.
Il motto «Misereor super turbam» è per Noi una consegna
sacra, inviolabile, valida e impellente in tutti i tempi e in tutte le
situazioni umane, com'era la divisa di Gesù; e la Chiesa rinnegherebbe se
stessa, cessando di essere madre, se si rendesse sorda al grido angoscioso e
filiale, che tutte le classi dell'umanità fanno arrivare al suo orecchio. Essa
non intende di prender partito per l'una o l'altra delle forme particolari e
concrete, con le quali singoli popoli e Stati tendono a risolvere i problemi giganteschi
dell'assetto interno e della collaborazione internazionale, quando esse
rispettano la legge divina; ma d'altra parte, «colonna e base della verità» (1
Tm 3,15) e custode, per volontà di Dio e per missione di Cristo,
dell'ordine naturale e soprannaturale, la Chiesa non può rinunziare a
proclamare davanti ai suoi figli e davanti all'universo intero le inconcusse
fondamentali norme, preservandole da ogni travolgimento, caligine,
inquinamento, falsa interpretazione ed errore; tanto più che dalla loro
osservanza, e non semplicemente dallo sforzo di una volontà nobile e
ardimentosa, dipende la fermezza finale di qualsiasi nuovo ordine nazionale e
internazionale, invocato con cocente anelito da tutti i popoli. Popoli, di cui
conosciamo le doti di valore e di sacrificio, ma anche le angustie e i dolori,
e ai quali tutti, senza alcuna eccezione, in quest'ora d'indicibili prove e
contrasti, Ci sentiamo legati da profondo e imparziale e imperturbabile amore e
da immensa brama di portare loro ogni sollievo e soccorso che in qualsiasi modo
sia in Nostro potere.
Rapporti internazionali e
ordine interno delle nazioni
L'ultimo Nostro Messaggio natalizio esponeva i principi,
suggeriti dal pensiero cristiano, per stabilire un ordine di convivenza e
collaborazione internazionale, conforme alle norme divine. Oggi vogliamo
soffermarCi, sicuri del consenso e dell'interessamento di tutti gli onesti, con
cura particolare e uguale imparzialità sulle norme fondamentali dell'ordine
interno degli Stati e dei popoli. Rapporti internazionali e ordine interno sono
intimamente connessi, essendo l'equilibrio e l'armonia tra le Nazioni dipendenti
dall'interno equilibrio e dalla interna maturità dei singoli Stati nel campo
materiale, sociale e intellettuale. Né un solido e imperturbato fronte di pace
verso l'esterno risulta possibile di fatto ad attuarsi senza un fronte di pace
nell'interno, che ispiri fiducia. Solo, quindi, l'aspirazione verso una pace
integrale nei due campi varrà a liberare i popoli dal crudele incubo della
guerra, a diminuire o superare gradatamente le cause materiali e psicologiche
di nuovi squilibri e sconvolgimenti.
Duplice elemento della
pace nella vita sociale
Ogni convivenza sociale, degna di tal nome, come trae
origine dalla volontà di pace, così tende alla pace; a quella tranquilla
convivenza nell'ordine in cui S. Tommaso, facendo eco al noto detto di S.
Agostino,(2) vede l'essenza della pace. Due primordiali
elementi reggono quindi la vita sociale: convivenza nell'ordine, convivenza
nella tranquillità.
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Coloro che cercano
si sminuire il valore della Resistenza nella costruzione del nuovo ordinamento
democratico repubblicano nel Secondo dopoguerra, e tra essi non pochi franchi
estimatori del fascismo mussoliniano i quali, fruendo delle nuove libertà
democratiche, potevano riorganizzare le proprie file, evidenziano il ruolo
limitato delle armate partigiane nel determinare le sorti della guerre europea
1939-1945.
In un conflitto che
vide schierati milioni di armati, come di seguito riportato nella tabella
elaborata con l’aiuto del servizio di intelligenza non umana ChatGPT, certo le
armate partigiane italiane non furono da sole decisive, anche se furono
determinanti per liberare diverse importanti città italiane come Bologna, Cuneo,
Firenze, Genova, Milano, Modena, Napoli, Novara, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Torino. Le forze armate
partigiane antifasciste arrivarono a mettere in campo circa duecentomila
combattenti.
A differenza di
gran parte dei soldati mobilitati dagli stati in quella guerra, le truppe
partigiane furono tutte composte da persona che volontariamente si impegnarono,
ma non al servizio di progetti di repressione e predazione, come avvenuto
durante il fascismo mussoliniano, ma per riportare pace, sicurezza e libera
convivenza civile in Italia.
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Fonte:
ChatGPT, ricerca del 25-4-25
Tema:
militari combattenti in Europa nella Seconda guerra mondiale
È difficile
fornire un numero esatto e definitivo dei militari che combatterono in Europa
durante la Seconda guerra mondiale, poiché:
1.
Le fonti
variano per metodo di conteggio (mobilitati, effettivamente impiegati, presenti
sul fronte europeo, ecc.);
2.
I teatri di
guerra erano molteplici, e spesso i soldati si spostavano da un fronte
all’altro;
3.
Alcuni
Stati inviarono contingenti relativamente piccoli, ma comunque significativi.
Tuttavia,
si possono fornire delle stime ragionevoli. Sommando i principali eserciti
coinvolti sul fronte europeo:
Alleati principali:
·
Unione
Sovietica: oltre 34 milioni mobilitati in totale; sul fronte europeo ne impiegò
circa 11–12 milioni.
·
Stati
Uniti: mobilitati 16 milioni, dei quali circa 3 milioni combatterono in Europa.
·
Regno Unito
e Commonwealth: circa 6 milioni mobilitati, circa 2,9 milioni in Europa.
·
Francia:
circa 5 milioni mobilitati nel corso della guerra (prima e dopo l’occupazione);
oltre 1 milione coinvolti in battaglie europee.
·
Polonia,
Grecia, Norvegia, Belgio, Paesi Bassi, Cecoslovacchia, Jugoslavia, e altri
governi in esilio: diverse centinaia di migliaia.
Potenze dell’Asse in Europa:
·
Germania:
circa 17 milioni mobilitati; la maggior parte operò in Europa.
·
Italia:
circa 4 milioni mobilitati; buona parte coinvolta in Europa.
·
Romania,
Ungheria, Finlandia, Slovacchia, Croazia, ecc.: altri 2–3 milioni in totale.
Stima complessiva:
Sommando le
principali forze che combatterono in Europa, si arriva a una stima
approssimativa di circa 30–35 milioni di militari impiegati nei vari fronti
europei durante la Seconda guerra mondiale.
Tema: partigiani combattenti nella Resistenza italiana (1943-1945)
Durante
la Resistenza italiana (1943–1945), il numero complessivo dei partigiani
combattenti variò nel tempo, raggiungendo il suo apice nell'aprile 1945.
Secondo una stima governativa del 1947, i partigiani combattenti furono circa
223.639, mentre altri 122.518 individui furono riconosciuti come patrioti per
la loro collaborazione alla lotta partigiana .
Per
quanto riguarda le perdite, si stima che i partigiani caduti in Italia durante
la Resistenza siano stati circa 17.488 . A questi si aggiungono circa 9.249
partigiani italiani caduti nei Balcani .
Inoltre,
le donne ebbero un ruolo significativo nella Resistenza: si stima che 35.000
parteciparono come combattenti, mentre 70.000 fecero parte dei Gruppi di difesa
della donna. Tra queste, 4.653 furono arrestate e torturate, 2.750 deportate in
Germania, 2.812 fucilate o impiccate, e 1.070 caddero in combattimento.
Diciannove di loro furono decorate con la medaglia d'oro al valor militare
Controllo
mediante l’algoritmo di intelligenza artificiale Gemini sul tema dei partigiani combattenti e caduti nella Resistenza
italiana.
Le cifre esatte siano
difficili da determinare. Ecco una verifica punto per punto:
Numero complessivo dei
partigiani combattenti:
·
La stima di circa 200.000
combattenti tra la primavera e
l'estate del 1944 è ampiamente accettata come il picco massimo di
partecipazione. Diverse fonti storiche la riportano.
·
Il dato dei circa 137.000
"diplomi di partigiano" rilasciati nel dopoguerra è un dato ufficiale, ma sottostima il numero
reale dei combattenti. Molti partigiani potrebbero non aver richiesto o
ottenuto il riconoscimento. Inoltre, questo numero non include coloro che
parteciparono per periodi più brevi o morirono prima della fine della guerra.
·
Il coinvolgimento di circa
35.000 donne come combattenti è una stima
significativa e riconosciuta dagli studi sulla Resistenza.
Morti tra i partigiani
combattenti:
·
La stima di 30.000-40.000
partigiani morti è una cifra plausibile,
tenendo conto delle perdite in combattimento, delle rappresaglie e delle
esecuzioni.
·
Il dato dell'ANPI di 6.882
partigiani morti in combattimento è probabilmente una sottostima. Potrebbe riferirsi solo a una specifica
categoria di decessi o a dati parziali raccolti dall'associazione.
·
La cifra più alta, fino a
44.700, che include anche
coloro eliminati dopo la cattura, è anch'essa una stima che tiene conto di una
più ampia gamma di perdite subite dai partigiani.
In conclusione:
I dati che hai fornito
riflettono le attuali conoscenze storiche sulla Resistenza italiana. È
fondamentale comprendere che, data la natura del conflitto, le cifre esatte
rimangono oggetto di dibattito e di continue ricerche da parte degli storici.
Le stime che hai riportato si collocano all'interno di un intervallo di valori
considerato attendibile.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§
La guerre e le altre azioni politiche per la
soppressione del regime fascista mussoliniano e per la transizione democratica
vengono complessivamente definite come Resistenza.
La costruzione della nostra nuova Repubblica
democratica, basata su principi opposti a quelli del fascismo mussoliniana,
iniziò e si sviluppò nella Resistenza e, a seguito della Liberazione e passando
per il referendum istituzionale del 1946 con cui fu deciso il passaggio dalla
monarchia alla repubblica, , proseguì in una fase costituente conclusasi il 1
gennaio 1948 con l’entrata in vigore della nuova Costituzione repubblicana.
Il principale valore della Resistenza
consiste proprio nella vasta popolare conversione ai principi democratici di
una popolazione che, nella gran parte, si era lasciata sedurre dal fascismo
mussoliniano, e nell’impegno popolare di progettare, sperimentare e instaurare
un nuovo ordinamento democratico in Italia, dopo il regime autoritario e
antidemocratico organizzato dal fascismo mussoliniano nel tempo il cui il suo
“Duce”, capo mitico, carismatico, indiscutibile, Benito Mussolini, era stato
Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia, dal 29 ottobre 1922
al 25 luglio 1943, e successivamente Capo di Stato e del Governo della Repubblica Sociale
Italiana, dal 23 settembre 1943 al 28
aprile 1945, quando fu fucilato per ordine del Comitato di Liberazione
Nazionale Alta Italia.
Ma quali furono i connotati di quel fascismo?
Oggi non sempre se ne ha chiara consapevolezza. Una ricorrenza come quella
della Festa della Liberazione serve proprio per rinfrescarla, nei meno giovani,
e per acquisirla e rafforzarla nei giovani. Anni fa scrissi un promemoria in
merito che vi allego di seguito. Lo intitolai “Fascismo storico e
neofascismi”.
L’altro giorno, nella commemorazione che
alla Camera si è fatta della Resistenza si è ricordato che vi furono anche
resistenti cattolici, e questo è certamente vero, mio padre e i suoi fratelli
furono dei loro. Ma è sembrato che si sia voluto contrapporli a quelli azionisti, liberali, comunisti e socialisti e
questo non è storicamente corretto.
E’ vero che le visioni del futuro politico
dell’Italia erano anche molto diverse tra i resistenti, in particolare quelle
dei cattolici erano modellate sulla dottrina sociale della Chiesa, ed è anche
vero che vi furono divergenze anche assai aspre e addirittura scontri violenti.
Ma, al fondo, si fu sempre compagne e
compagni, uniti da un patto sulla cui base fu fondata la nuova Repubblica
democratica e che resistette ad ogni divisione. Ne fu testimonianza l’esempio
della resistenza bolognese, nel corso della quale si decise che il comunista Giuseppe
Dozza, uomo di straordinario valore umano e politico, sarebbe stato il nuovo
sindaco democratico della città, e lo rimase fino al 1966, e questo anche se la
Democrazia cristiana fu all’opposizione. Mio zio Achille, democristiano, fu
consigliere comunale di opposizione ma mi manifestò sempre la sua grande stima
per Dozza. Nel 1956 il cattolico
Giuseppe Dossetti, per obbedire al suo arcivescovo, si candidò al Consiglio
comunale e, in caso di vittoria della Democrazia Cristiana, sarebbe stato il
nuovo sindaco. Il suo programma fu basato anche su un’inchiesta sociale
organizzata da mio zio Achille, sociologo, e su un progetto di decentramento
comunale basato su consigli di quartiere. Come previsto, Dozza vinse le
elezioni ma adottò quel progetto di decentramento.
Riporto di seguito la Preghiera del
Ribelle composta dal resistente cattolico Teresio Olivelli, che presenta
bene lo spirito della lotta partigiana nella Resistenza. Quelli che in seguito
furono chiamati solo partigiani tra loro usavano chiamarsi ribelli.
La Preghiera del Ribelle
di Teresio Olivelli
Signore, che fra gli
uomini drizzasti la Tua Croce segno di contraddizione,
che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito contro le perfidie e gli
interessi dominanti, la sordità inerte della massa,
a noi, oppressi da un giogo numeroso e crudele che in noi e prima di noi ha
calpestato Te fonte di libera vita,
dà la forza della ribellione.
Dio che sei Verità e Libertà, facci liberi e intensi:
alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre
forze, vestici della Tua armatura.
Noi ti preghiamo, Signore.
Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato,
crocifisso, nell'ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria: sii
nell'indigenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nell'amarezza.
Quanto più s'addensa e incupisce l'avversario, facci
limpidi e diritti.
Nella tortura serra le nostre labbra.
Spezzaci, non lasciarci piegare.
Se cadremo fa' che il nostro sangue si unisca al Tuo
innocente e a quello dei nostri Morti a crescere al mondo giustizia e carità.
Tu che dicesti: ``Io sono la resurrezione e la vita'' rendi
nel dolore all'Italia una vita generosa e severa.
Liberaci dalla tentazione degli affetti: veglia Tu sulle
nostre famiglie.
Sui monti ventosi e nelle catacombe della città, dal fondo
delle prigioni, noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che Tu solo sai dare.
Signore della pace e degli eserciti, Signore che porti la
spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore.
§§§§§§§§§§§§§§§§
Tema: la “Preghiera
del ribelle” di Teresio Olivelli
Ricerca mediante
ChatGPT del 25-4-25
Dettagli principali:
·
✍️ Autore: L’autore è Teresio
Olivelli, giurista e ufficiale italiano, poi partigiano e martire
cristiano.
·
📰 Prima
pubblicazione: sul giornale "Il Ribelle" – numero unico
o bollettino del 1944, diffuso clandestinamente.
·
📍 Luogo: zona
del bresciano e della Valsabbia, dove operava la Brigata Fiamme Verdi
"G.A. Pasquali"
·
✝️ Olivelli morì nel campo di
concentramento di Hersbruck nel gennaio 1945, dopo aver difeso e assistito
prigionieri più deboli, in spirito cristiano.
·
§§§§§§§§§§§§§§§§
Il
fascismo, ogni fascismo, non ci fu solo quello mussoliniano e ciclicamente ne
sono risorte altre specie dopo la Seconda guerra mondiale, si basa costantemente su queste idee:
-riunirsi per predare;
-mito
della superiorità etnica di una popolazione che legittima alla predazione;
-mito
di una qualche ingiustizia che quella popolazione avrebbe dovuto subire ad
opera di altre popolazioni in quanto non riunita in un fascio e quindi
incapace di resistere;
-necessità
di compattarsi dietro un Duce, arbitro unico dei destini della nazione,
reprimendo ogni dissenso;
-impiego
della violenza per predare e reprimere il dissenso in qualsiasi forma si
manifesti, anche solo con la manifestazione del pensiero;
-egemonia,
fino al controllo totale, sui mezzi di
comunicazione di massa;
-diseguaglianza
tra i sudditi di uno stato e diritto
naturale di alcuni di dominare gli altri e conseguente ordinamento gerarchico
delle istituzioni pubbliche, senza possibilità di forme di compartecipazione alle
decisioni politiche, se non solo in forma consultiva o di plebiscito con esito
preordinato;
-rifiuto
della democrazia in quanto basata sul principio di uguaglianza e di
compartecipazione al potere politico;
-subordinazione
completa di ogni suddito al volere di uno stato espresso da quel Duce;
-concezione
del dissenso come disfattismo che depotenzia la forza della predazione e quindi sua criminalizzazione;
-strumentalizzazione
della religione per sacralizzare il potere del Duce e renderlo indiscutibile.
Perché la tentazione fascista è ricorrente?
Il primo motivo è che la seduzione della
predazione è sempre viva, specialmente quando la gente sta male e le si dice
che potrebbe star meglio predando, tacendo delle reali cause del malessere
sociale, che di solito consistono in una ingiusta distribuzione delle risorse
determinata dalla prevaricazione di alcuni ceti su altri. La predazione viene
giustificata come reazione ad altri ingiustizie che si sarebbero subite.
Il secondo motivo è la paura. Quando la gente
ha paura è disposta a sottomettersi ai violenti che promettono di difenderla.
E’ per questo che, tra le principali strategie di ogni fascismo, vi è quella di
ingenerare paura tra la gente. Nei
fascismi contemporanei, tra i quali si può cominciare ad annoverare
anche il trumpismo statunitense, si cerca spesso di ingenerare la paura verso
le persone che cercano di immigrare provenendo da culture molto diverse, per
cercare di star meglio, o anche solo di salvarsi la vita, integrandosi in una
società di destinazione. Vengono presentati come invasori parassitari, al modo
di cavallette. La storia dimostra invece che sempre le migrazioni seguite da integrazione sono
state alla base della prosperità delle nazione. L’esempio più eclatante è
proprio quello degli Stati Uniti d’America. Al tempo del fascismo mussoliniano si
cercò di mitizzare, esacerbandola irrealisticamente e strumentalizzandola, la paura del comunismo sovietico, che fu posta anche alla base del tentativo di
legittimare la partecipazione italiana all’aggressione contro l’Unione
sovietica nel 1941, dalla quale le popolazioni sovietiche ebbero venticinque
milioni di caduti.
Fin dalle origini della nostra nuova
Repubblica democratica, nella quale, a cominciare dai principi fondamentali,
troviamo tradotti in legge fondamentale tanti principi della dottrina sociale
cattolica, si fu consapevoli che il fascismo sarebbe potuto tornare e che
l’unico mezzo per impedirlo era mantenere sempre viva la consapevolezza
antifascista. E’ a questo che ci si deve esercitare in occasione della Festa
della Liberazione.
E’ un principio espresso nell’Ode a
Kesserling del giurista Piero
Calamandrei
§§§§§§§§§§§§§
Tema: l’ “Ode a
Kesserling” di Piero Calamadrei
Ricerca
mediante ChatGPT del 25-4-25
L'"Ode a Kesselring" – spesso identificata con
l'epigrafe recitante “Lo avrai, camerata Kesselring…” – è uno dei testi più
celebri di Piero Calamandrei, giurista, partigiano e padre della
Costituzione italiana. Di seguito alcuni elementi chiave e notizie rilevanti a
riguardo:
Contesto Storico e Motivazioni
·
Antefatto: Dopo la Seconda guerra mondiale, il
generale tedesco Albert Kesselring fu processato per numerosi crimini di
guerra (tra cui le Fosse Ardeatine, la strage di Marzabotto e altre atrocità).
Sebbene condannato, la sua pena fu poi commutata e, nel 1952, fu rilasciato per
gravi condizioni di salute.
·
La provocazione: Al suo ritorno in patria, Kesselring
espresse l’impudente opinione secondo cui gli italiani avrebbero dovuto
“erigerle un monumento” in suo onore, sostenendo di aver compiuto “normali
operazioni di guerra”.
·
Risposta di Calamandrei: In risposta a
queste affermazioni, Calamandrei scrisse l’epigrafe/ode, un testo che con forza
simbolica condanna non solo le atrocità perpetrate dal nazifascismo, ma anche
la presunta vanità e superbia di chi tenta di riscrivere la storia.
Caratteristiche del Testo
·
Forma poetica: Il testo assume la forma di una
poesia o epigrafe, in cui vengono evocati simboli potenti quali “i sassi
affumicati dei borghi inermi”, “la terra dei cimiteri” e “il silenzio del
torturato”.
·
Messaggio simbolico: Calamandrei sottolinea che il
monumento richiesto da Kesselring non verrà eretto con materiali comuni, ma con
il “silenzio dei torturati” e con il patto di uomini liberi, simbolo della Resistenza
e del rifiuto dell’odio.
·
Diffusione e locazioni: Il testo è stato
esposto su lapidi esposte in varie località, tra cui Cuneo, Montepulciano,
Sant'Anna di Stazzema, e altri luoghi simbolo della memoria antifascista
italiana, costituendo un monito permanente contro le violenze del nazifascismo.
Impatto Culturale e Memoria
·
Risonanza simbolica: L’ode è divenuta un emblema della
condanna morale e politica dei crimini del nazifascismo e dell’affermazione
della libertà conquistata a caro prezzo.
·
Versioni e interpretazioni: Il testo è stato
reinterpretato e tradotto in diverse lingue (inglese, francese, spagnolo,
portoghese, piemontese, persino in esperanto), il che testimonia la sua
importanza e il suo impatto internazionale.
·
Discussioni e commemorazioni: L'epigrafe è
frequentemente oggetto di discussione in ambito storico e politico, oltre a
essere richiamata in manifestazioni e commemorazioni legate alla Resistenza
italiana. In alcuni casi, è anche al centro di rievocazioni pubbliche sulle
responsabilità del passato e sulla memoria storica.
Conclusioni
L’"Ode a Kesselring" di Piero Calamandrei rappresenta uno
strumento di denuncia morale e di memoria collettiva. Il testo, con la sua
forma poetica e il suo messaggio forte, continua a ricordare l’impegno e il
sacrificio dei partigiani e a simboleggiare l’invincibile volontà di
liberazione contro ogni forma di oppressione.
§§§§§§§§§§§§§
LO AVRAI CAMERATA KESSELRING
IL MONUMENTO CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI
MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRÀ A DECIDERLO TOCCA A NOI
NON COI SASSI AFFUMICATI
DEI BORGHI INERMI STRAZIATI DAL TUO STERMINIO
NON COLLA TERRA DEI CIMITERI
DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI
RIPOSANO IN SERENITÀ
NON COLLA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE
CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO
NON COLLA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI
CHE TI VIDE FUGGIRE
MA SOLTANTO COL SILENZIO DEI TORTURATI
PIÚ DURO D'OGNI MACIGNO
SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO
GIURATO FRA UOMINI LIBERI
CHE VOLONTARI S'ADUNARONO
PER DIGNITÀ NON PER ODIO
DECISI A RISCATTARE
LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO
SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE
AI NOSTRI POSTI CI TROVERAI
MORTI E VIVI COLLO STESSO IMPEGNO
POPOLO SERRATO INTORNO AL MONUMENTO
CHE SI CHIAMA
ORA E SEMPRE RESISTENZA!
Concludo associandomi di cuore al grido
Ora e sempre Resistenza!
§§§§§§§§§§§§§§§§
Fascismo storico e neofascismi
0. Poiché
l’argomento è tornato d’attualità in
questi giorni, ripubblico alcuni interventi sul tema del fascismo storico e
dei neofascismi. Il primo è quello che
visse nella società italiana, finendo per egemonizzarla a lungo, dal 1914 al
1945; i secondi sono i movimenti che in Italia attualmente al primo esplicitamente si richiamano,
adottandone in particolare i simboli e, in parte, la mentalità e proponendosi
di farne il proprio modello di azione politica. La differenza dal fascismo
storico è tuttavia molto rilevante e piuttosto evidente per chi abbia
sufficiente sensibilità storica. Il fascismo storico aveva una grande
considerazione per l’Italia e gli italiani, vi vedeva una civiltà superiore
destinata ad espandersi in Europa e intorno al bacino del Mediterraneo, ma
anche più in là. I neofascismi di oggi, in genere, pensano agli italiani come
ad un popolo da proteggere da influenze straniere, in una specie di riserva, un po’ come si fece, e ancora si
fa, per i nativi nord-americani. Chiunque arrivi tra noi, da dovunque arrivi,
fosse anche dalle regioni più depresse dell’Africa, è visto come in grado di
minacciare l’integrità della società italiana, che quindi è considerata come un
realtà debole, a carattere recessivo, un po’ come qui a Roma, nei nostri
parchi, le popolazioni degli scoiattoli rossi europei di fronte all’invasione
di quelli grigi di importazione americana. Solo che questi ultimi sono
effettivamente più forti, mentre per sconvolgere le etnie italiane basterebbe
anche gente che viene da noi spinta unicamente dalla propria disperazione.
1. In un programma di formazione alla politica che
si faccia in Italia occorre affrontare il tema del fascismo storico, quello che
iniziò a aggregarsi già nel 1914, per promuovere l’entrata dell’Italia nella
Prima guerra mondiale, esplosa in Europa nel luglio di quell’anno tra Germania,
Austria, Turchia, da una parte, e Francia, Inghilterra, Russia e Serbia,
dall’altra, quello che fu sconfitto come regime politico nel 1945, prolungando
il suo influsso ideologico anche in epoca repubblicana in esperienze politiche
e sindacali che in qualche modo vi si richiamarono, sia pure in un contesto di
accettazione del metodo democratico.
E’ però un tema difficile per un
cattolico, perché il Papato, la Chiesa italiana, che negli anni Venti e Trenta
molto più di oggi era controllata dal Papato, e i cattolici italiani vi furono
molto coinvolti. Le relazioni con il fascismo storico, la sua ideologia e le
sue organizzazioni furono molto profonde. Entrambe le parti ne uscirono in
parte trasformate. L’integrazione tra ideologia fascista e cultura religiosa
diede vita ad un modo di pensare che fu tramandato di generazione in
generazione, come accade per i fatti religiosi, sopravvisse alla fine del
fascismo storico, e pervade tuttora la società italiana, anche se non se ne è
sempre consapevoli. Può essere questa la ragione dell’interesse della gente per
il fascismo?
Segnalo come fonti affidabili sul fascismo le voci
dell’enciclopedia Treccani on line
http://www.treccani.it/enciclopedia/fascismo/
e
http://www.treccani.it/enciclopedia/benito-mussolini/
L’ideologia del fascismo storico ebbe al suo centro
l’idea della guerra come mezzo per la rigenerazione della nazione italiana,
vista come centro di una grande civiltà destinata ad espandersi nel mondo. Dal
punto di vista del militante era molto importante il proposito di sacrificarsi per
la Patria. Si tratta di modi di pensare estranei, in genere, a quelli di oggi.
Anche tra i gruppi che al fascismo storico esplicitamente oggi si richiamano.
L’Africa fu molto importante per il fascismo storico, che
vi guidò gli italiani in una serie di conflitti sanguinosi e costosi per lo
stato dal 1922 al 1932 in Libia e dal 1935 al 1936 in Etiopia. Era
assolutamente assente l’idea di usare la violenza per impedire agli africani di
venire in Italia. Il fascismo, anzi, si propose di costruire un impero
multinazionale esteso anche in Africa, sul modello dell’antico impero romano, e
ciò avrebbe comportato necessariamente l’integrazione tra popoli e culture.
Era assente dall’ideologia del fascismo storico la paura
dei migranti, per la ragione che, quando conquistò il potere, gli italiani
erano da tempo un popolo di migranti, sia verso gli altri stati europei, sia
verso posti molto più lontani, come le Americhe o l’Australia.
Un elemento molto importante dell’ideologia fascista fu
quello di proporsi di pacificare d’autorità i conflitti sociali tra lavoratori
dipendenti e imprenditori, impegnando direttamente lo stato in questo e
attuando un vasto programma di provvidenze sociali. Pacificare con le buone o
con le cattive, anche con la violenza di piazza, attuata mediante
apposite squadre di combattenti che agivano nel
contesto civile. Lo squadrismo degli inizi fu poi trasformato in
un'istituzione dello stato, in una vera e propria milizia pubblica.
Tutto questo, però, non tanto avendo la giustizia sociale come obiettivo
finale, ma per avere un popolo di soldati, e di madri e spose di soldati, da
scagliare nelle guerre di conquista per realizzare un impero. Si
pensava che le risorse per sostenere questo programma sarebbero derivate da
quelle conquiste, in particolare colonizzando l’Africa,
vale a dire trasferendovi gli italiani lavoratori. Questo programma piacque agli
imprenditori italiani che temevano gli sviluppi del socialismo rivoluzionario,
che aveva conquistato la Russia con la rivoluzione bolscevica del 1917. Anche
in Italia, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, si erano manifestate
agitazioni di tipo rivoluzionario promosse da formazioni socialiste, che
avevano impaurito in particolare i grandi proprietari terrieri e i
maggiori industriali. Questi ultimi pensavano anche di beneficiare dalle guerre
progettate dal fascismo, che avrebbero richiesto ingenti mezzi da commissionare
all'industria nazionale.
Il programma di guerre del fascismo prometteva ricchezze
a tutti, ai più ricchi e ai più poveri. La pervasiva propaganda del regime
convinse gli italiani. Il fascismo generò un sistema
politico-istituzionale totalitario, nel senso che pretendeva di
controllare tutte le manifestazioni della società italiana. In questo poteva
trovare un ostacolo nella Chiesa cattolica, che da molti anni stava conducendo
un programma di riforma sociale in Italia. Di fatto, nella seconda metà degli
anni ’20 si venne ad un’intesa, che si manifestò, in particolare nella
conclusione dei Patti Lateranensi nel 1929. In base ad essi la
politica in Italia doveva essere riservata alle istituzioni promosse dal
regime. Nel 1931 per qualche mese si ebbero contrasti tra le organizzazioni
fasciste e quelle cattoliche, che presto furono risolti nel senso indicato dal Concordato,
quella parte dei Patti Lateranensi che riguardava la
condizione della Chiesa italiana nello stato. Dai Patti
Lateranensi il Papato ebbe di nuovo un suo piccolo regno a Roma,
denominato Città del Vaticano, e ingenti pagamenti a titolo
di risarcimenti per la guerra che gli era stata mossa nel secolo precedente e
che aveva portato alla fine dello Stato pontificio.
Il fascista cattolico divenne il modello del
cittadino esemplare. Alcuni elementi dell’ideologia fascista passarono nella
cultura cattolica, ad esempio nel campo della famiglia e della condizione della
donna. Anche la Chiesa si presentava come un faro di civiltà, ma, a differenza
del fascismo, lo era veramente stata storicamente. Il fascismo era invece
un’esperienza culturale molto giovane: si giovò sicuramente del lustro
che gli derivava dal riconoscimento che all’epoca fu fatto dal Papato del
suo carattere provvidenziale nella storia nazione.
Il documento che produsse maggiormente questo effetto fu,
oltre ai Trattati lateranensi, l’enciclica Quadragesimo
Anno - Il Quarantennale, diffusa nel 1931 dal papa Achille Ratti, Pio
11° in religione, nella quale leggiamo:
«92. Recentemente, come tutti sanno, venne iniziata una speciale
organizzazione sindacale e corporativa, la quale, data la materia di questa
Nostra Lettera enciclica, richiede da Noi qualche cenno e anche qualche
opportuna considerazione.
93. Lo Stato riconosce giuridicamente il sindacato e non senza
carattere monopolistico, in quanto che esso solo, così riconosciuto, può
rappresentare rispettivamente gli operai e i padroni, esso solo concludere
contratti e patti di lavoro. L'iscrizione al sindacato è facoltativa, ed è
soltanto in questo senso che l'organizzazione sindacale può dirsi libera;
giacché la quota sindacale e certe speciali tasse sono obbligatorie per tutti
gli appartenenti a una data categoria, siano essi operai o padroni, come per
tutti sono obbligatori i contratti di lavoro stipulati dal sindacato giuridico.
Vero è che venne autorevolmente dichiarato che il sindacato giuridico non
escluse l'esistenza di associazioni professionali di fatto.
94. Le Corporazioni sono costituite dai rappresentanti dei
sindacati degli operai e dei padroni della medesima arte e professione, e, come
veri e propri organi ed istituzioni di Stato, dirigono e coordinano i sindacati
nelle cose di interesse comune.
95. Lo sciopero è vietato; se le parti non si possono accordare,
interviene il Magistrato.
96. Basta poca riflessione per vedere i vantaggi
dell'ordinamento per quanto sommariamente indicato; la pacifica collaborazione
delle classi, la repressione delle organizzazioni e dei conati socialisti,
l'azione moderatrice di une speciale magistratura. Per non trascurare nulla in
argomento di tanta importanza, ed in armonia con i principi generali qui sopra
richiamati, e con quello che inibito aggiungeremo, dobbiamo pur dire che
vediamo non mancare chi teme che lo Stato si sostituisca alle libere attività invece
di limitarsi alla necessaria e sufficiente assistenza ed aiuto, che il nuovo
ordinamento sindacale e corporativo abbia carattere eccessivamente burocratico
e politico, e che, nonostante gli accennati vantaggi generali, possa servire a
particolari intenti politici piuttosto che all'avviamento ed inizio di un
migliore assetto sociale.
97. Noi crediamo che a raggiungere quest'altro nobilissimo
intento, con vero e stabile beneficio generale, sia necessaria innanzi e
soprattutto la benedizione di Dio e poi la collaborazione di tutte le buone
volontà. Crediamo ancora e per necessaria conseguenza che l'intento stesso sarà
tanto più sicuramente raggiunto quanta più largo sarà il contributo delle
competenze tecniche, professionali e sociali e più ancora dei principi
cattolici e della loro pratica, da parte, non dell'Azione Cattolica (che non intende
svolgere attività strettamente sindacali o politiche), ma da parte di quei
figli Nostri che 1'Azione Cattolica squisitamente forma a quei principi ed al
loro apostolato sotto la guida ed il Magistero della Chiesa; della Chiesa, la
quale anche sul terreno più sopra accennato, come dovunque si agitano e
regolano questioni morali, non può dimenticare o negligere il mandato di
custodia e di magistero divinamente conferitole.»
Il papa Ratti realizzò nel 1923 una riforma dell’Azione
Cattolica che ne accentuò il suo carattere religioso, a scapito di quello
politico, accentrandone ulteriormente nel Papato e nei vescovi la
direzione. Questo agevolò le relazioni con il fascismo, che puntava ad
ottenere il monopolio della politica. L’intesa con il fascismo si fece sentire
anche nel lavoro dell’associazione, che in gran parte si fascistizzò. Fecero
eccezione la FUCI, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, il ramo
degli universitari, e, più tardi, quando venne costituito nel 1932, il
Movimento Laureati di Azione Cattolica. Fu la politica del regime di
discriminazione razziale verso gli ebrei italiani a
segnare un mutamento di orientamento nella Chiesa italiana. Da notare che la
discriminazione non aveva costituito un problema morale quando aveva colpito
gli africani conquistati nelle guerre coloniali. Il cambiamento di rotta
si manifestò a partire dal 1937, anno in cui fu diffusa un enciclica con
critiche sociali al nazismo tedesco. Nel 1939 il papa Ratti morì nella fase di
gestazione di un’enciclica critica contro il razzismo, alcuni elementi della
quale vennero ripresi della prima enciclica del suo successore, il papa Eugenio
Pacelli, Pio 12°, laSummi Pontificatus - Il Sommo Pontificato, in cui si
legge:
«Al lume di questa unità di diritto e di fatto
dell'umanità intera gli individui non ci appaiono slegati tra loro, quali
granelli di sabbia, bensì uniti in organiche, armoniche e mutue relazioni,
varie con il variar dei tempi, per naturale e soprannaturale destinazione e
impulso. E le genti, evolvendosi e differenziandosi secondo condizioni diverse
di vita e di cultura, non sono destinate a spezzare l'unità del genere umano,
ma ad arricchirlo e abbellirlo con la comunicazione delle loro peculiari doti e
con quel reciproco scambio dei beni, che può essere possibile e insieme
efficace, solo quando un amore mutuo e una carità vivamente sentita unisce
tutti i figli dello stesso Padre e tutti i redenti dal medesimo sangue divino.»
Il fascismo fu rivoluzionario, come si presentò alle
origini e alla fine, o reazionario, come si presentò negli anni ’30, quelli
dell’intesa con il Papato?
Mi pare che sia stato entrambe le cose, nel corso della
sua lunga storia.
Il Papato degli anni Venti, gli anni dell’affermazione del
fascismo, era ancora politicamente di tipo rivoluzionario, nel senso che era
profondamente insofferente del liberalismo democratico che fino ad allora aveva
egemonizzato il Regno d’Italia e voleva che la politica nazionale cambiasse
orientamento. Su questa esigenza di trasformazione sociale si basò l’intesa del
Papato con il fascismo mussoliniano che ne manifestava una analoga. Il Papato
ritenne di poter guidare l'evoluzione del fascismo. Non bisogna pensare ad un
fatto superficiale. Il fascismo ebbe aspetti culturali molto importanti, prova
ne sia che vi aderì uno dei maggiori filosofi italiani dell’epoca, Giovanni
Gentile. Fu un fatto sociale complesso, molto lontano dalle approssimazioni che
ne fanno certi suoi attuali estimatori. Non fu solo teppismo di strada. Anzi,
abbastanza presto tentò di correggerlo e contenerlo, per altro servendosene e
incoraggiandolo disinvoltamente all'occorrenza.
Non è fuor di luogo, mi pare, notare infine, a proposito
delle relazioni intense con la Chiesa italiana, che gli ultimi giorni del
fascismo storico e del suo capo trascorsero a Milano con i tentativi di
ottenerne la resa pacifica attuati dall’arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster.
Benito Mussolini nelle sue ultime ore disperate di relativa libertà (limitata
dai militari tedeschi che erano stati incaricati di seguirne i movimenti) salì
e scese le scale dell'Arcivescovato milanese.
2. Osservo che tra i
giovani, anche quelli colti, gli studenti universitari, si guarda al fascismo
come a una possibile via della politica di oggi. Ne circolano però
versioni molto semplificate, come al tempo in cui fui studente al liceo, negli
scorsi anni ’70.
Il giornalista Indro Montanelli sosteneva, lo potete
vedere e ascoltare in un’intervista caricata su YouTube
https://www.youtube.com/watch?v=5-1L5lH2urQ
che il fascismo fu Mussolini, e solo di Mussolini e
che la storia del fascismo è la storia di Mussolini.
Benito Mussolini, nato
in Romagna nel 1883, da padre fabbro e madre maestra elementare, anch’egli di
professione maestro elementare, fu colui che, da un magma sociale preesistente
di rivoltosi, essenzialmente riconducibile al socialismo rivoluzionario, catalizzò,
quindi produsse l’aggregazione, del fascismo come movimento, divenendone
il Duce, il suo esponente egemone dal potere indiscutibile,
trasformando, e quindi segnando, profondamente l’Italia negli anni, dal 1922 al
1943 come capo del Governo del Regno d’Italia, e poi dal 1943 al 1945, come
capo del Governo, con funzioni sostanzialmente di capo di Stato, di una
repubblica fascista denominata Repubblica Sociale Italiana.
Uno degli studiosi più noti tra quelli che si sono
occupati ad alto livello del fascismo italiano fu Renzo De Felice (1929-1996).
Egli non condivideva l’opinione di Montanelli. Condivideva invece la tesi, già
proposta negli anni ’30, che fossero esistiti vari tipi di fascismi,
compresenti in uno stesso tempo e succedutisi in tempi diversi, e che il
fascismo fosse stato un fatto sociale molto complesso. Esso, durante la sua
egemonia politica, coinvolse la gran parte degli italiani e, in particolare,
formò culturalmente le generazioni dei nati dal 1914 al 1930, tra i quali mio
padre, nato nel 1922, i quali, nella gran parte, quando cominciarono a
fare vita sociale fuori della famiglia non conobbero altra politica che quella
proposta dal fascismo, e dunque furono inizialmente, con poche eccezioni,
fascisti.
Fino al 1914 Benito Mussolini fu, un esponente di primo
piano del Partito Socialista Italiano, che comprendeva una componente di
socialismo rivoluzionario. Non se ne era ancora distaccato il Partito
Comunista, che fu fondato, per scissione da quello Socialista, nel 1921. La
frattura di Mussolini con i socialisti di allora avvenne sul tema della
partecipazione dell’Italia alla Prima guerra mondiale: Mussolini, inizialmente
per la neutralità, maturò ed espresse convinzioni interventiste.
Durante la sua militanza socialista, Mussolini diresse i
giornali Lotta di classe e Avanti!, il
giornale del partito. Espulso dal Partito Socialista Italiano per aver
manifestato convinzioni interventiste, fondò pochi giorni dopo, nel novembre
1914, a Milano, il giornale Il Popolo d’Italia, che poi
divenne quello del Partito Nazionale Fascista, costituito nel novembre 1921.
Al centro dell’ideologia fascista nel corso di tutta la
storia del regime, dal 1922, quando Mussolini fu nominato capo del Governo del
Regno d’Italia - carica che mantenne ininterrottamente fino al 1943 -,
all’aprile 1945, anno della caduta di quel regime al termine della Seconda
Guerra Mondiale in Italia, vi fu l’idea della guerra come movimento di
rigenerazione sociale. Ed effettivamente il fascismo guidò gli italiani in una
serie continua di guerre, fino alla sua caduta come regime, a partire dalla
guerra di Libia (1922-1932), poi nella guerra in Etiopia (1935-1936, ma
preparata fin dal 1933), poi con l’intervento nella guerra civile spagnola
(1936-1939), infine nell’ultima guerra mondiale (1939-1945: l’Italia entrò in
guerra nel 1940).
Quell’idea della guerra era piuttosto diffusa negli anni
a ridosso dell’inizio della Prima Guerra Mondiale. La proclamavano ad esempio i
futuristi italiani, che partecipavano ad un movimento
culturale in gran voga. E’ da loro che viene lo slogan Guerra,
sola igiene del mondo (fu il titolo del loro manifesto,
pubblicato nel 1915).
La rivoluzione comunista bolscevica in Russia,
nell’ottobre 1917, nelle ultime fasi della guerra mondiale, fu vista come una
sorta di esperimento sociale di come potesse essere trasformata una società
impegnata in un conflitto bellico.
Nel fascismo delle origini, al concetto di classe come
motore della trasformazione sociale, fu sostituito quello di nazione in
guerra. Esso sviluppò carattere antisocialista, in quanto i socialisti
vedevano nellanazione una finzione che nascondeva il dominio
di una classe di privilegiati su classi subalterne, e, contemporaneamente
anti-borghese, perché considerava la borghesia vile e corrotta, e per questo
timorosa della guerra.
Scrisse Renzo De
Felice in Il fascismo e i partiti politici italiani, Cappelli,
1956, pag.13-14:
“[…] Il
fascismo, quando arrivò al potere (con il consenso di gran parte della classe
politica liberale che - in quel momento - non solo vedeva in esso il minore dei
mali, ma si illudeva che esso potesse evolvere in un neoliberalismo dell’età di
massa in grado di ristabilire quei legami con il paese che essa aveva in
gran parte perduti), mantenne potenzialmente la sua duplice
caratterizzazione anticapitalista e antiproletaria, che però non poté prendere
corpo in una concreta azione politica, da un lato per l’estrema
stratificazione e divisione particolaristica della «piccola borghesia»,
socialmente troppo legata agli altri strati della società, da un altro
lato per l’essenza stessa dell’ideologia fascista. Questa, se all’origine
(sindacalismo rivoluzionario) era nata come una sorta di «eresia» del
socialismo che scopriva sotto la realtà delle classi quella della Nazione
(sotto questo profilo, più che il nazionalismo a preparare il fascismo,
fu il fascismo che assorbì il nazionalismo) e ne aveva tentato la sintesi
corporativa (che fallì perché il padronato non collaborò che nei limiti
dei propri interessi e la collaborazione degli operai non andò oltre un
inquadramento formale), proprio per la sua necessità di adattarsi alla
psicologia e alla realtà piccolo borghesi finì per estrinsecarsi soprattutto
attraverso la valorizzazione delle elites, della «competenza»,
della«gerarchia», del «capo». Attraverso una ideologia cioè che non solo
era profondamente antidemocratica, ma condannava in pratica il fascismo
stesso (e gli strati sociali che lo avevano espresso) poiché, mancando
esso per la sua origine storica e attivistica di una vera e propria elite, finì
rapidamente assorbito nelle strutture burocratiche ed economiche preesistenti,
nelle quali si adattò come gestore di un potere che in buona parte non
era - come capacità soprattutto di determinare lo sviluppo economico-sociale -
nelle sue mani, e che poteva detenere solo in virtù di un
compromesso politico con la preesistente classe dominante e con una parte
di quelle forze portate alla ribalta dalla crisi della guerra, con il ricorso
ad un sistema di polizia e con una serie di diversivi (spesso demagogici),
fossero essi di politica internazionale o di politica sociale (di tipo
normativo-assistenziale).”
Nell’ordine di idee esposto dal De Felice, della necessità
per il fascismo, per poter continuare, di assicurarsi la collaborazione di
élite colte, si comprende bene l’importantissimo apporto derivato al regime
fascista a seguito del compromesso con il Papato nei Patti Lateranensi nel
1929, che consentì al fascismo di beneficiare dell’apporto di competenze
intellettuali e in materia di animazione della società molto superiori a
quelle da esso possedute, quelle appunto che gli furono portate dal mondo cattolico,
indotto dal Papato a collaborare con il regime, almeno fino al 1938. Gli anni
tra il 1929 e il 1938 furono quelli del fascismo trionfante in Italia,
con un consenso popolare vastissimo.
Mussolini aveva cultura da maestro elementare, fu un
brillante giornalista e, in primo luogo, un agitatore sociale al modo dei
socialisti rivoluzionari. All’origine si era manifestato violentemente
anticlericale, come i socialisti rivoluzionari. Eppure fu colui che, in
rappresentanza del Regno d’Italia, sottoscrisse i Patti
Laterananensi con il Papato, presentandoli come una
grande vittoria politica e spirituale del regime.
3. Ho
cercato di riassumere in poche righe un fenomeno sociale molto complesso, quale
fu il fascismo storico, tra il 1922 e il 1945.
L’ho fatto per capire che cosa ancora affascina in esso
ai nostri giorni, perché dei giovani guardino ad esso come a un modello valido.
E’ un lavoro che ho cominciato a fare già al liceo, dove
gran parte dei miei compagni di classe maschi aderiva al Fronte della
Gioventù, l’organizzazione del partito Movimento Sociale Italiano,
che si allacciava ideologicamente, esplicitamente, all’ideologia fascista. Su
questo punto non ho dubbi, non solo perché quei compagni di classe chiamavano
se stessi fascisti, ma perché erano stati fascisti i fondatori del
partito, Giorgio Almirante e Pino Romualdi, quest’ultimo vicesegretario del
Partito Nazionale Fascista nella Repubblica Sociale Italiana.
Su YouTube potete vedere un’intervista ad Almirante, nel
programmaMixer, in qui egli spiega perché continuava a definirsi fascista:
https://www.youtube.com/watch?v=JL0nrJf1Tw4
In un’altra intervista su YouTube
https://www.youtube.com/watch?v=ccP9lyosVlE
egli, nato nel 1914, spiega che imparò il valore della libertà
solo dopo la caduta del fascismo, nella vita democratica della Repubblica
italiana, perché prima non gli era stata insegnata. Un’esperienza
comune alle generazioni formatesi durante il fascismo.
Tra i cattolici italiani, la libertà cominciò ad essere
nuovamente insegnata nel corso degli anni ’30 in ambienti intellettuali molto
limitati, ad esempio nel Movimento Laureati di Azione Cattolica, fondato nel
1932.
Bene: come già osservai al liceo, rimane poco del
fascismo storico in quelli che oggi se ne proclamano aderenti.
Prendono a modello losquadrismo delle origini e
si circondano di simboli del fascismo, ma non hanno i suoi stessi nemici e i
suoi obiettivi. Si vuole un certo benessere, come le classi più benestanti che
vengono prese a modello, non ci si vuole sacrificare per gli altri o per la Nazione.
In Italia non è incipiente una rivoluzione socialista e la vita civile prosegue
con ordine. Mi pare anche che manchi completamente un progetto di riforma
sociale analogo a quello fascista, da attuarsi mediante la guerra di
popolo, con una nazione in guerra. “Italia agli
Italiani” non era un problema del fascismo storico, perché, quando prese il
potere, l’Italia era già degli Italiani, a seguito della vittoria
bellica nella Prima Guerra Mondiale. Il suo problema fu semmai quello di creare
un impero per portare l’Italia anche molto fuori d’Italia, a
genti lontane, in particolare in Africa, alle quali, come faceva una canzone
molto popolare del regime, si voleva dare un'altra
legge e un altro Re e per bandiera quella italiana. Si
voleva, quindi, farne degli italiani.
Chi oggi sarebbe disposto ad andare entusiasticamente in
guerra, come veniva proposto dai fascisti di un tempo? A morire per la
Patria. Si fa il soldato come lavoro, come professione. Si vorrebbe,
terminato il lavoro, tornare a casa. E la guerra viene considerata come è
realmente, morte, corpi lacerati e mutilati, tanti orfani e tanta altra gente
che soffre, e distruzione, un male sociale da superare prima possibile.
Molto di più del fascismo rimane negli ambienti cattolici
conservatori. La loro ideologia ingloba, ad esempio, l’idea del marito/padre
comecapo della famiglia e quella della donna come destinata
essenzialmente a ruoli subordinati di sposa e madre. Così come l’idea che la
religione cristiana, nella versione cattolica, rientri nei caratteri
costitutivi della nazione italiana (è l’ideologia che fu
sviluppata a seguito dei Patti Lateranensi).
Aggiungo un inciso: perché il Papato non fu travolto con
il Mussolini e la monarchia Savoia dopo il disastro dell’ultima Guerra
Mondiale?
Una delle ragioni può essere che nel marzo del 1939
cambiò il Papa, venendo eletto Eugenio Pacelli, regnante come Pio XII. Egli
subito iniziò a distanziarsi dall’ideologia del regime, in particolare
nel radiomessaggio diffuso il 24 agosto 1939, in cui così parlò della guerra
(di cui si avvertivano chiaramente le gravi minacce):
A tutto il mondo.
Un’ora grave suona nuovamente per la grande famiglia umana; ora
di tremende deliberazioni, delle quali non può disinteressarsi il Nostro cuore,
non deve disinteressarsi la Nostra Autorità spirituale, che da Dio Ci viene,
per condurre gli animi sulle vie della giustizia e della pace.
Ed eccoCi con voi tutti, che in questo momento portate il peso
di tanta responsabilità, perché a traverso la Nostra ascoltiate la voce di quel
Cristo da cui il mondo ebbe alta scuola di vita e nel quale milioni e milioni
di anime ripongono la loro fiducia in un frangente in cui solo la sua parola
può signoreggiare tutti i rumori della terra.
EccoCi con voi, condottieri di popoli, uomini della politica e
delle armi, scrittori, oratori della radio e della tribuna, e quanti altri
avete autorità sul pensiero e l’azione dei fratelli, responsabilità delle loro
sorti.
Noi, non d’altro armati che della parola di Verità, al disopra
delle pubbliche competizioni e passioni, vi parliamo nel nome di Dio, da cui
ogni paternità in cielo ed in terra prende nome (Eph., III, 15), — di Gesù
Cristo, Signore Nostro, che tutti gli uomini ha voluto fratelli, — dello
Spirito Santo, dono di Dio altissimo, fonte inesausta di amore nei cuori.
Oggi che, nonostante le Nostre ripetute esortazioni e il Nostro
particolare interessamento, più assillanti si fanno i timori di un sanguinoso
conflitto internazionale; oggi che la tensione degli spiriti sembra giunta a
tal segno da far giudicare imminente lo scatenarsi del tremendo turbine della
guerra, rivolgiamo con animo paterno un nuovo e più caldo appello ai Governanti
e ai popoli: a quelli, perché, deposte le accuse, le minacce, le cause della
reciproca diffidenza, tentino di risolvere le attuali divergenze coll’unico
mezzo a ciò adatto, cioè con comuni e leali intese: a questi, perché, nella
calma e nella serenità, senza incomposte agitazioni, incoraggino i tentativi
pacifici di chi li governa.
È con la forza della ragione, non con quella delle armi, che la
Giustizia si fa strada. E gl’imperi non fondati sulla Giustizia non sono
benedetti da Dio. La politica emancipata dalla morale tradisce quelli stessi
che così la vogliono.
Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo.
Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo
con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare.
Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si
accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole
successo.
E si sentiranno grandi — della vera grandezza — se imponendo
silenzio alle voci della passione, sia collettiva che privata, e lasciando alla
ragione il suo impero, avranno risparmiato il sangue dei fratelli e alla patria
rovine.
Faccia l’Onnipotente che la voce di questo Padre della famiglia
cristiana, di questo Servo dei servi, che di Gesù Cristo porta, indegnamente
sì, ma realmente tra gli uomini, la persona, la parola, l’autorità, trovi nelle
menti e nei cuori pronta e volenterosa accoglienza.
Ci ascoltino i forti, per non diventar deboli
nella ingiustizia. Ci ascoltino i potenti, se vogliono che la loro potenza sia
non distruzione, ma sostegno per i popoli e tutela a tranquillità nell’ordine e
nel lavoro.
Noi li supplichiamo per il sangue di Cristo, la cui forza
vincitrice del mondo fu la mansuetudine nella vita e nella morte. E
supplicandoli,sappiamo e sentiamo di aver con Noi tutti i retti
di cuore; tutti quelli che hanno fame e sete di Giustizia — tutti quelli che
soffrono già, per i mali della vita, ogni dolore. Abbiamo con Noi il cuore
delle madri, che batte col Nostro; i padri, che dovrebbero abbandonare le loro
famiglie; gli umili, che lavorano e non sanno; gli innocenti, su cui pesa la
tremenda minaccia; i giovani, cavalieri generosi dei più puri e nobili ideali.
Ed è con Noi l’anima di questa vecchia Europa, che fu opera della fede e del
genio cristiano. Con Noi l’umanità intera, che aspetta giustizia, pane,
libertà, non ferro che uccide e distrugge. Con Noi quel Cristo, che
dell’amore fraterno ha fatto il Suo comandamento, fondamentale, solenne; la
sostanza della sua Religione, la promessa della salute per gli individui e per
le Nazioni.
Memori infine che le umane industrie a nulla valgono senza il
divino aiuto, invitiamo tutti a volgere lo sguardo in Alto ed a chiedere con
fervide preci al Signore che la sua grazia discenda abbondante su questo mondo
sconvolto, plachi le ire, riconcilii gli animi e faccia risplendere l’alba di
un più sereno avvenire. In questa attesa e con questa speranza impartiamo a
tutti di cuore la Nostra paterna Benedizione.
Tenendo conto che l’idea di rigenerazione
della nazione mediante la guerra era nella struttura fondamentale e
originaria dell’ideologia fascista, fin dalle origini nel 1914, non si potrebbe
immaginare una critica più forte, anche se non esplicita. Questa critica
continuò negli anni successivi nei radiomessaggi natalizi dal 1941 al 1944, che
segnarono una trasformazione della dottrina sociale in materia politica con
l’inizio dell’assimilazione della democrazia.
4. Se ci rivolgiamo alla
storia per avere indicazioni per il futuro, occorre averne una visione
realistica. Altrimenti ci affidiamo a un sogno.
Il fascismo storico, che dal suo primo
aggregarsi alla sua caduta come regime durò dal 1914 al 1945, ci mostra un
fatto politico in tutto il suo sviluppo, dall’inizio alla fine. E’ stato
studiato a fondo. Ne abbiamo una visione affidabile, che non è più alterata
dalla propaganda dell’epoca o dal successivo afflato emotivo. Sappiamo quindi
come si va a finire seguendo quella via.
4.1 Il fascismo prese piede in anni in cui
sembrava che i socialisti potessero andare al potere in Italia per via
democratica. I socialisti, come i cattolici, nei decenni precedenti avevano
lavorato alla formazione delle masse. Entrambe le formazioni raccoglievano i
frutti di questo impegno.
Durante la Prima guerra mondiale (nella quale l’Italia
era stata coinvolta dal 1915 al 1918) si era sviluppata un’economia di guerra,
rigidamente governata dallo stato. Nella situazione di emergenza si provvedeva
d’autorità più o meno a tutti. C’erano masse di militari che non dovevano
fare altro che combattere, eseguendo gli ordini superiori: per il resto a tutto
provvedeva lo stato. C’erano anche le loro famiglie, a cui, anche, provvedeva
lo stato con misure straordinarie, nel caso fossero colpite dalle distruzioni
belliche. Anche ai feriti e ai mutilati provvedeva lo stato. Con la maggior
parte degli uomini impegnati nell’esercito, ci fu la piena occupazione tra
quelli che erano rimasti. In particolare le donne supplirono gli arruolati.
L’industria viveva un ciclo favorevole, trainata dalle commesse militari. Al
fronte servivano armi, mezzi meccanici di trasporto e di combattimento,
vestiario, alimenti, prodotti sanitari.
Finita la guerra tutta questa economia terminò. La sua
impostazione generale tornò quella di prima, capitalistico-liberale. Le masse
che erano state sostenute nello sforzo bellico furono abbandonate a loro
stesse. L’economia, privata delle commessi militari, incominciò a
riprendere il ritmo di prima della guerra, a normalizzarsi. I lavoratori
iniziarono a protestare, guidati dai socialisti. Le autorità dello stato
trattarono il fenomeni come un problema di ordine pubblico. Ecco, quindi, che,
alle elezioni del 1919, le prime dopo il conflitto, i due maggiori partiti
furono il socialista, con il 34% dei voti, e il popolare, ispirato dalla
dottrina sociale, con il 20%. Il Governo, fino al 1922, rimase sostenuto da
precarie coalizioni tra liberali, popolari e socialisti non rivoluzionari, ma
la sua politica economica fu fondamentalmente quella liberale.
L’idea di Benito Mussolini, formatosi nelle file del
Partito Socialista Italiano, fu quella di risolvere i problemi sociali
ricreando un’economia di guerra, caratterizzata da un fortissimo intervento
dello stato, sia come misure sociali sia come commesse all’industria. Un
soluzione semplice, che però implicava di fare veramente la guerra, di
suscitare un popolo in armi. Ma come convincere la gente, le masse? Si utilizzò
la propaganda. Del resto la guerra era finita da poco, la gente si era abituata
alla guerra. Non impressionavano più di tanto i racconti delle atrocità che
erano state commesse.
Mussolini era andato in guerra, ma come militare di
truppa. Della guerra sapeva quello che poteva sapere un soldato di truppa. A
quell’epoca la strategia militare era già una scienza molto sofisticata.
Mussolini non aveva la cultura sufficiente per dirigere le guerre che si
proponeva di intraprendere. Si servì, almeno agli inizi, dell’apparato
militare. Ma, con l’affermarsi del regime, sempre più si ingerì nella gestione
militare. Ciò in particolare accadde durante la Seconda guerra mondiale, specialmente
dal 1940, con la campagna militare per la conquista della Grecia. Questo fu tra
i fattori decisivi degli insuccessi italiani nel conflitto.
Più in generale, Mussolini, con la cultura di un maestro
elementare e di un agitatore socialista, non conosceva il mondo del suo tempo,
ne aveva un’immagine poco realistica. Si convinse, ad esempio, che le grandi
democrazie europee e americane fosse deboli come quella italiana e quindi
inadatte in tempo di guerra. Non aveva una visione realistica della potenza
economica degli Stati Uniti d’America. Alla loro entrata in guerra vi fu chi
fece osservare che nella sola New York era stato installato un numero di
telefoni di sei volte superiore a quelli dell’Italia intera.
Intorno alla figura di Mussolini fu organizzata un’azione
di propaganda molto pervasiva con caratteri di quello che, con riferimento al
despota sovietico Iosif Stalin, venne definito culto della personalità.
Egli era il Duce, indiscutibile: “il Duce ha sempre ragione”,
si insegnava. Fu insegnata addirittura una disciplina universitaria che si
chiamavaMistica fascista. Si cercò di suscitare un afflato di tipo
mistico, religioso. Progredendo il successo del suo regime, non si sarebbe
stati più capaci di dominare le masse in altro modo. C’era lo spettro
della rivoluzione sovietica, nel corso della quale forze socialiste
rivoluzionarie avevano rovesciato in poco tempo, durante il 1917, un’antica
monarchia, con tutto il sistema politico che vi era collegato. Era avvenuto
nella fasi terminali di una guerra che stava cominciando ad andare male per la
Russia. Non si sarebbe potuto dedurre da questo che la via della guerra poteva
portare anche alla catastrofe? Si sarebbe potuto, e anzi l’obiezione fu posta
finché si poté farlo, in un ambiente democratico, in cui fosse consentita
libertà di parola. Ma per il fascismo questo era una degenerazione dello stato,
non si doveva discutere, ma credere, obbedire, combattere:
questa la parola d’ordine che veniva verniciata per strada, sulle facciate dei
palazzi.
Di solito gli estimatori del fascismo arrivano a
giudicare un errore la propaganda e le leggi di discriminazione antiebraica che
il fascismo mussoliniano promosse dal 1938. Ma in realtà è la via della guerra
proposta dal fascismo ad aver prodotto storicamente il disastro nazionale. La
guerra non fu un errore del fascismo, che possa essere
separato da esso come si fa quando da una mela si taglia la parte bacata. La
via del fascismo fu quella della guerra. E’ su questo che il fascismo deve
essere giudicato come fatto politico. Tutto il resto, ad esempio il tentativo
di risolvere d’autorità, con istituzioni statali, quelle corporative che
riunivano lavoratori e imprenditori, la questione sociale fu solo lavoro per
preparare un popolo in guerra, addestrandolo alle armi fin da quando si era
molto piccoli, da bambini.
Riassumendo: la guerra per promuovere un’economia di
guerra e risolvere così, d’autorità, i problemi sociali.
Negli Stati Uniti d’America nel 1929 si produsse una
grave crisi recessiva dell’economia. Lo stato federale, guidato dal presidente
Franklin Delano Roosevelt, intervenne potentemente nell’economia in crisi, in
particolare con speciali misura di sostegno all’occupazione. Si fece,
sostanzialmente, come durante un periodo di guerra, ma senza impegnarsi in un
conflitto bellico, in una guerra vera. L’economia statunitense superò la crisi.
Mussolini poteva prendere esempio da quell’esperienza, come poi si fece a lungo
nel secondo dopoguerra, in tutto il mondo? Avrebbe potuto, se fosse stato
un’altra persona, con un’altra cultura, con un’altra storia, se fosse stato più
aperto a conoscere il mondo. Nel 1929, assicuratosi l’appoggio del Papato con iPatti
Lateranensi e silenziata ogni opposizione democratica, non
pensava di poter imparare nulla da nessuno.
4.2. Se
si condivide l’ordine di idee che ho sopra esposto, è evidente che la via del
fascismo storico non può essere un’alternativa per l’Italia di oggi. La via
della guerra, infatti, porterebbe ai nostri tempi il mondo, non solo l’Italia,
alla catastrofe globale. Abbiamo armi di distruzione di massa troppo potenti,
tanto da minacciare concretamente la sopravvivenza dell’umanità. Non c’è altro
da dire in merito.
La violenza può apparire una scorciatoia, per
tagliare corto con tante discussioni. Ma quando la situazione è complessa
bisogna avere la pazienza di discutere: non c’è altra via buona.
L’altro ieri ho visto in televisione un documentario che
trattava della banda tedesca di terroristi comunisti Baader -
Meinhof, che si denominava Frazione dell’Armata
rossa. Prese il nome dai suoi fondatori Andreas Baader e Ulrike
Meinhof. Operò a lungo, dagli anni ’70 agli anni ’90, nella Germania
occidentale, quella che all’epoca aveva capitale a Bonn. Facevano attentati.
Baader e Meinhof furono catturati nel 1972. In quella trasmissione hanno
intervistato un uomo che conosceva Baader e Meinhof. Ha detto che, secondo lui,
il primo era un teppista, la seconda, invece, una fine studiosa. Come hanno
potuto unirsi in un’unica banda? Ha osservato che, quando si
sceglie la via della violenza, finiscono per comandare quelli che sono più
bravi ad usare la violenza nel modo più spregiudicato; gli altri, benché, fini
intellettuali, seguono. Questa è anche la mia esperienza, quello che ho
potuto osservare direttamente, in particolare nel tempo in cui fui al liceo e
all’università e in Italia c’era tanta più violenza di piazza di oggi.
Si parla di Nazione e ci si
emoziona, come durante il fascismo. Ma chi è la Nazione? Noi
e chi? Quando si fa politica bisogna saper avere a che fare con gli
altri come realmente sono, non come li sogniamo o verremmo che fossero. Il
fascismo mussoliniano sognò l’Italia come faro di civiltà per il mondo, ma per
essere civili occorre innanzi tutto percorrere la via
della virtù e della sapienza, distaccarsi dalla brutalità che in ognuno di noi
c’è come retaggio del nostro antico passato di belve. La via della compassione,
in particolare, che in religione viene detta anche misericordia, è
parte di questo stile di civiltà: significa avere cuore per le
sofferenze altrui e quindi non gettare gli altri in esperienze che le
provochino, come ad esempio le guerre. Perchéessere civili, costruire
una civiltà, come noi la intendiamo nelle nostre migliori intenzioni, significa
anche saper includere gli altri. Tutte le grandi civiltà sono state
fortemente inclusive, in particolare quella romana, dalla quale il
fascismo storico voleva trarre lezione. E’ un lavoro che si fa sempre più
difficile quante più sono le persone da includere. E’ qui che entra in campo la
sapienza. Non è cosa da incolti o da gente che decide d’istinto. Bisogna saper
ragionare, prevedere, fare: sapere, in una parola. L’Italia di oggi
è attrezzata, perché la scolarizzazione degli italiani non è mai stata così
alta. Com’è, però, che in Parlamento troviamo il minor numero di laureati di
sempre? Forse è perché si dà troppa poca importanza alla sapienza. Si pensa che
la politica sia decidere d’istinto, un atto di ferma volontà. Questo era un po’
il fondamento dell’autorità politica di Mussolini come Duce degli
italiani. La storia ci insegna come si va a finire su quella strada.
Italiani si nasce? Il fascismo storico non fu
di questa opinione. Tanto è vero che programmò istituzioni molto pervasive
per costruire gli italiani in un certo modo, con
dei percorsi di formazione individuale e collettiva molto impegnativi. Voleva
infatti creare masse capaci disacrificare la vita in guerra
per il bene della nazione. Addestrava i bambini alle armi.
Era ben consapevole che italiani, e guerrieri, si
diventa. Nasciamo sapendo succhiare il latte e poco altro. Tutto il
resto si impara. E dentro abbiamo anche tante emozioni, che a volte ci possono
fuorviare, come ci insegna la psicologia moderna. Qualche giorno fa hanno dato
il Nobel all’economista Richard Thaler, per aver scoperto che il comportamento
degli attori dell’economia, ad esempio dei consumatori, è spesso irrazionale,
emotivo. Così quando compriamo un telefono cellulare non teniamo conto solo
delle sue specifiche tecniche, ma del suo rivestimento, dei suoi colori, delle
forme delle figurine che compaiono sullo schermo, e del fatto che nei gruppi
che frequentiamo è considerato indispensabile averlo. Condursi così in
politica, soprattutto quando si devono prendere le decisioni più importanti,
può darci poi molti dispiaceri.
5. Cerco di parlarvi del fascismo come quando ne
discutevo al liceo con quelli della mia scuola, senza far precedere il giudizio
all’analisi dei fatti e quindi senza demonizzare i
miei interlocutori. All’epoca non avevo ancora imparato la democrazia: lo feci
all’università e, in particolare, tra gli universitari cattolici della FUCI. A
scuola trovai questa situazione: bisognava schierarsi, o si
era fascisti o si era comunisti, poi
ci si azzuffava. L’idea di schierarsi per la democrazia non era in voga, la
democrazia era screditata, non solo i partiti che vi si richiamavano.
5.1 Uno di quelli con cui
parlavo era stato mio caposquadriglia negli scout, agli Angeli Custodi. Diceva
di essere fascista. Sosteneva che da piccoli si faceva gli scout e, crescendo,
bisognava entrare nel Fronte della Gioventù, l’organizzazione
giovanile del Movimento Sociale Italiano, il partito che la
fascismo storico si richiamava. Ogni squadriglia scout aveva un proprio grido di
riconoscimento. La nostra era quella delle Volpi e quel
ragazzo le aveva dato come grido “Vulpes - Memento Audere Semper”. Memento
Audere Semper - Ricordati di osare sempre fu un motto
inventato dal poeta e scrittore Gabriele D’Annunzio per un corpo speciale
di marina che si occupava di condurre i MAS, dei motoscafi lanciasiluri:
D’Annunzio aveva creato intorno a sé un movimento di ex combattenti alla testa
del quale tra il 1919 e il 1921 occupò per qualche tempo la città di Fiume,
rivendicata dall’Italia al termine della Prima guerra mondiale.
Quell’agitazione sociale, detta poi fiumanesimo, fu tra quelle che
si coagularono nel fascismo mussoliniano.
Sosteneva, quel mio ex caposquadriglia, che il fascismo
era superiore alla democrazia, perché, alla fine, aveva pagato solo il capo,
caduto in mano dei suoi nemici e da questi giustiziato il 28 aprile 1945. In
democrazia invece certi errori erano pagati da tutto il popolo. Quando mi
parlava così non avevo ancora studiato la storia recente d’Italia, alle medie
non ci si arrivava e non ero ancora al quinto anno delle superiori, dove a
volte ci si arrivava. Ma sapevo quello che mi avevano raccontato i miei parenti.
Non era stato solo Mussolini ad aver pagato. Anche molti altri capi del
fascismo erano stati uccisi con lui. Ma anche gente che non aveva avuto ruoli
importanti nel regime e si era magari solo arruolata come volontaria in certi
corpi speciali. Più in generale l’Italia era uscita distrutta dall’ultima
guerra voluta dal fascismo. Oltre un milione di soldati italiani fatti
prigionieri, centinaia di migliaia di gli uccisi, feriti, mutilati, tra quelli
sotto le armi, ai quali bisognava aggiungere quelli tra la popolazione civile
rimasti uccisi, feriti, mutilati sotto i bombardamenti o nelle azioni di guerra
durante la risalita degli Alleati su per la Penisola o, infine, nelle feroci
repressioni e rappresaglie attuate dai militari nazisti e da quelli della
Repubblica Sociale Italiana durante la guerra di Resistenza.
Lo stretto collegamento tra il fascismo e la guerra mi
era stato sempre bene chiaro, fin da piccolo. In particolare me ne aveva
parlato la mia nonna materna. Sotto il fascismo, diceva, c’era stata una
guerra dietro l’altra. Studiando, più tardi, la storia, ho capito che
effettivamente era stato così. La guerra era stata al centro dell’ideologia del
fascismo storico. Il suo agente di trasformazione sociale era stata la nazione
in guerra. Era l’idea della guerra che dava coerenza alla sua politica e
che gli consentiva di tagliare corto su ogni discussione. In guerra conta solo
la vittoria, tutto deve esserle subordinato. Non ci si deve dar tanta pena a
cercare obiettivi politici: c’è n’è uno solo, come gridava Mussolini, “Vincere!”. Questo
consentiva al regime di passare sopra agli egoismi sociali, in particolare agli
interessi di borghesia, le classi più ricche, e del proletariato, la classe dei
più poveri, adottando misure sociali di compensazione, per accrescere il
benessere delle masse con le risorse dello stato. Perché è dalle masse che
uscivano i soldati necessari alle guerre del regime. Tutti, i più ricchi e i
più poveri, avrebbero beneficiato di quelle guerre: i più ricchi per le
commesse all’industria per procurare i mezzi per combattere le guerre, i più
poveri da ciò che si sarebbe riuscito a ricavare dalle terre conquistate, che
di voleva colonizzare trasferendovi genti italiane. Storicamente questi
obiettivi non furono mai completamente raggiunti. I più poveri beneficiarono di
misure sociali ma rimasero poveri. I più ricchi beneficiarono delle commesse
pubbliche ma poi si ritrovarono l’industria distrutta dalla guerra. L’Italia si
dissanguò nelle guerre coloniali, in Africa, in Libia e in Etiopia, che furono
imprese in perdita. Quello che in Africa era stato conquistato a duro prezzo,
fu poi perso quasi del tutto in pochi mesi durante l’ultima guerra
mondiale, e poi del tutto con la sconfitta finale.
Il collegamento tra il
fascismo e l’ideologia della rigenerazione sociale mediante la guerra fu tanto
forte che l’ultimo fascismo, quello durante il quale il Centro e Nord Italia
divennero sostanzialmente un protettorato tedesco, sotto occupazione militare,
cercò ancora di rigenerare mediante la guerra quella parte
d’Italia che ancora dominava, proponendosi di continuare la guerra con i
precedenti alleati, la Germania, gli altri regimi fascisti europei entrati nel
conflitto, e il Giappone, anche quando era ormai evidente che la guerra era
persa. ll fascismo storico, quello mussoliniano, non poteva sopravvivere senza
la guerra. La resa, la sconfitta, avrebbero comportato la fine del regime, che
non aveva altra ideologia, sostanzialmente, che quella della guerra,
della nazione in guerra.
5.2. Dopo
la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, l’Italia perse la capacità di
decidere autonomamente la guerra. Fu questo a determinare la fine del fascismo
storico, che sarebbe potuto sopravvivere al Mussolini, ma non senza la
possibilità di progettare la trasformazione sociale mediante un nazione
in guerra. Il mondo scaturito dalla Seconda Guerra Mondiale, con la
divisione dell’Europa in due blocchi egemonizzati dagli Stati Uniti d’America e
dall’Unione Sovietica, che avevano il monopolio della guerra e della pace, non
dava alcuno spazio all’ideologia fascista della nazione in
guerra, la sua strategia politica di rigenerazione sociale.
Quando, negli anni ’70, trovai a scuola fascisti e comunisti, il
fascismo proclamato da alcuni era molto diverso da quello delle origini, anche
se chi si diceva fascista si circondava dei suoi simboli
e ne esaltava la storia. Era un neo-fascismo.
ll neo-fascismo è un’esperienza politica liberamente
ispirata al fascismo storico che però ne conserva solo alcuni elementi
originari, insieme ad altri.
Nelle interviste televisive che ho citato ieri, sentiamo
Giorgio Almirante, segretario politico del Movimento Sociale
Italiano, dirsi francamente fascista ed
esaltare la libertà e il rispetto degli avversari
politici. Queste ultime due idee erano state estranee al fascismo
storico. Il fascismo storico, quello mussoliniano per intenderci, non
consentiva libertà di dissenso e non rispettava, anzi perseguitava, gli avversari
politici. C’erano molti altri elementi che differenziavano l’ideologia
del Movimento Sociale Italiano da quella del fascismo
storico. Non proponeva la trasformazione sociale degli italiani mediante la
guerra. Non si proponeva come partito totalitario, come
partito unico degli italiani. Infine: aveva una vita
democratica, eleggeva i propri segretari politici nel
corso di congressi. Il suo nemico era il comunismo. Giustificava la propria
esistenza con l’anticomunismo. Non era stato così per il fascismo mussoliniano,
anche se la paura del socialismo rivoluzionario gli aveva accattivato
l’appoggio della borghesia italiana all’inizio degli anni ‘Venti. Il fascismo
mussoliniano aveva avuto come scopo la trasformazione sociale mediante la
guerra, in particolare per costruire un impero. I suoi
progetti imperiali non comprendevano, fino all’ultima
guerra mondiale, la guerra all’Unione Sovietica. Pensava ad un impero che
comprendeva parte dei Balcani, la Grecia e l’Africa Orientale, tra Libia
ed Etiopia.
Nel suo anticomunismo, il Movimento Sociale
Italiano finì per schierarsi sostanzialmente con gli Stati Uniti
d’America, gli avversari di un tempo. La sua proposta era quella di un regime
politico presidenziale, in funzione anticomunista, con uno stato
fortemente accentrato non intorno al Parlamento, ma attorno ad un presidente
- capo di stato con poteri molto vasti. Costituito da fascisti
per prolungare le idee del fascismo in ambiente democratico, il Movimento
Sociale Italiano non ebbe mai le caratteristiche peculiari del partito
fascista storico, sia come ideologia, che come organizzazione, che
come obiettivi. E infatti non fu colpito dalle leggi che puniscono la
ricostituzione del disciolto partito fascista.
Divenne un’esperienza politica diversa da quella del suo modello di
ispirazione. Non può essere considerato, quindi, ad una considerazione storica,
neo-fascismo.
Il fascismo storico italiano non va assimilato ad
altri fascismi europei, alcuni dei quali, come quello spagnolo e portoghese,
prolungatisi fino agli anni ’70. Quello spagnolo di Francisco Franco originò da
una dittatura militare, non da una metamorfosi del socialismo rivoluzionario
come quello mussoliniano. Al centro della sua ideologia vi furono le idee di
restaurazione, conservazione e di cattolicesimo della tradizione. Analoghi
obiettivi ebbe il fascismo portoghese di Antonio de Oliveira Salazar, che però
non originò da una dittatura militare, ma da una dittatura politica. Gli
elementi che accumunano questi e altri fascismi al fascismo mussoliniano furono
il divieto di dissenso politico, il partito unico egemonizzato da un singolo
capo politico e lo stato come strumento pervasivo di controllo sociale
burocratico. Mancava l’idea di trasformazione sociale mediante la
nazione in guerra. Tutti questi regimi tesero invece a impedire la
trasformazione sociale, fondamentalmente con misure di polizia, repressive. Il
fascismo mussoliniano ebbe invece sempre, quando più quando meno, e meno dopo
la conciliazione con il Papato, dal 1929,
carattere rivoluzionario, più esattamente di rivoluzione
sociale: infatti scaturì dal socialismo rivoluzionario del
primi del Novecento, quello in cui il Mussolini si era formato. Mirava a creare
un uomo nuovo.
Ancora oggi vi sono gruppi che si richiamano al
fascismo storico, conservandone però solo alcuni elementi. Possiamo
considerarli neo-fascismi solo, però, se non si
distanzino talmente dal modello originario da diventare altro.
Non si può considerare neo-fascista chi
non si proponga la rigenerazione sociale della nazione,
comprendendo tutti. Chi voglia essere solo forza rivoltosa, di ribellione
sociale. Non basta lo squadrismo politico per fare il neo-fascismo.
Un carattere distintivo del neo-fascismo può
essere considerato il rifiuto del dialogo democratico, in particolare di quello
parlamentare. L'insofferenza per il dissenso, considerato come tradimento. Uno
dei tratti caratteristici del fascismo storico fu infatti la svalutazione del
Parlamento. In una formazione neo-fascista al dissenso e
anche al tentativo di dialogo da parte dei dissenzienti si opporrà la violenza
squadristica. Ma se prevale la violenza non si può più parlare di neo-fascismo,
perché nella struttura originaria dell’ideologia fascista c’era la riforma
sociale che richiedeva un certo livello di capacità dialettica e di cultura. Il
fascismo storico era riuscito ad assicurarsi l’appoggio di un grande filosofo
come Giovanni Gentile e del Papato.
Un altro carattere distintivo può essere
individuato nell’organizzazione verticistica, gerarchica. Una formazione
neofascista avrà un capo, o un’oligarchia di comando, vale a dire un gruppo
ristretto di capi, che sceglieranno i livelli sotto-ordinati di comando, per
cooptazione, come si dice, che è appunto quando una organizzazione scende dall’alto.
Si darà molta importanza alla gerarchia e il livelli di potere più
elevati saranno considerati indiscutibili.
Sento spesso che ci si
dice fascisti per dire che si è contro gli immigrati.
Questa idea non rientrava nell’ideologia originaria del fascismo storico e non
basta per fare un neo-fascismo. Chi la professa si manifesta
solo xenofobo, vale a dire avverso agli stranieri e, se pensa di
esserlo perché gli italiani sono superiori ad altri popoli, è un suprematista,
come ci sono negli Stati Uniti d’America. Se si pensa di passare dalle parole
ai fatti, allora si è qualcosa di simile a quelli delKu Klux
Klan americano.
Il fascismo divenne razzista
nella seconda metà degli anni ’30. Gli storici ricordano che all’inizio aveva
avuto tra i suoi sostenitori anche ebrei, che nel ’38 vennero invece
pesantemente discriminati da leggi razziali. Divenne razzista essenzialmente
per le relazioni politiche che intrattenne con il nazismo hitleriano.
Quest’ultimo era razzista dalle origini. Proclamava la superiorità razziale dei
tedeschi su ogni altro popolo, italiani compresi. A quel punto al fascismo
mussoliniano non rimase altra strada, per fronteggiare il razzismo hitleriano,
di inventarsi una superiorità razziale, etnica, di stirpe, degli
italiani, non solo culturale, di civiltà. Gli italiani rimasero sempre
piuttosto tiepidi in merito, non apparendo loro particolarmente evidente questa
superiorità. In precedenza c’erano state leggi che vietavano matrimoni di
italiani e africani, ma più che altro per ragioni di morale familiare non tanto
di razzismo. I soldati e i funzionari italiani in Africa si facevano mogli africane,
che poi lasciavano tornando in patria: questo veniva considerato contrario alla
morale famigliare del regime. L’antisemitismo di tipo razziale creò dei
problemi con il Papato. Quest’ultimo non aveva mai avuto problemi a
discriminare gli ebrei per ragioni religiose, come eretici, ma pensarli come
razza inferiore era tutt’altra cosa. Perché significava comprendere nella razza
inferiore anche Gesù, gli apostoli e tutti i primi cristiani.
Manca, in Italia, un partito che abbia oggi la
minima possibilità, e anche la volontà, di diventare il partito
unico degli italiani per finalità di trasformazione sociale,
come volle essere il partito fascista.
Infine: l’anticomunismo non basta a giustificare
politicamente un neo-fascismo ai nostri tempi, perché, a
differenza ad esempio che negli anni ’70, non c’è alcun partito comunista, o
anche solo socialista, che abbia la minima possibilità di conquistare il
governo nazionale. In genere nell’Europa contemporanea, i neo-fascismi hanno
finito infatti per trasformarsi in qualche altra cosa, conservatorismi,
nazionalismi, suprematismi. Non c’era più spazio politico per loro. E i regimi
fascisti superstiti, ad esempio quelli spagnolo e portoghese, e quelli
dell'America Latina, in particolare quelli argentino e cileno hanno finito in
genere per evolvere in democrazie di tipo occidentale.
6. Concludo esaminando l’argomento “il fascismo qualcosa di
buono l’avrà pure fatto”. “Se non avesse portato l’Italia in
guerra con la Germania nazista”, “Se non avesse approvato le leggi di
discriminazione etnico-religiosa contro gli ebrei”, “Se” questo e quello, allora…
Di solito a chi mi propone quel ragionamento faccio l’esempio che segue.
Qualche
anno fa il secondo pilota di un aereo di linea, rimasto solo alla guida, ha
mandato l’apparecchio a schiantarsi contro una montagna. Aveva deciso di farla
finita. In quel momento gli è parsa una buona soluzione e si è trascinato
dietro gli altri membri dell’equipaggio e i passeggeri. Si è scoperto che aveva
avuto problemi psichiatrici, che però non erano stati segnalati alla compagnia
aerea. Ma qualcosa di buono l’avrà pure fatto! Avrà voluto bene a
qualcuno. Avrà avuto una famiglia che ha seguito amorevolmente. Prima di
quell’ultimo volo, non aveva fatto sempre quello che
doveva? Eh, sì, qualcosa di buono certamente l’avrà fatto. Ma voi,
se aveste saputo dei problemi psichiatrici che aveva maturato quel pilota, ci
sareste saliti con lui su quell’ultimo volo? E’ così che vanno giudicati i
politici di governo, prima e dopo il loro servizio. Sì, ad esempio, avranno
pure fatto qualcosa di buono, ma ora sono in grado di pilotare la
nazione? Non è che ci manderanno a sbattere contro una montagna?
Nel
caso del Mussolini, non è che egli abbia nascosto le sue intenzioni: voleva
fare guerra, diceva, per conquistare uno spazio
vitale, in cui erano comprese Libia ed Etiopia, ma riteneva indispensabili
i propositi di guerra per consolidare e mantenere il suo potere politica. Non
può esistere un fascismo sul modello mussoliniano senza la volontà di fare
guerra. Lo ha detto chiaro e forte e agli italiani, fin da piccoli, ha messo in
mano libro e moschetto (un tipo di fucile utilizzato in
guerra). Seguiva i futuristi, per i quali la guerra era
l’unica igiene del mondo. Bene, l’Italia ebbe la guerra, diverse guerre,
prima quelle coloniali e poi quella mondiale.
Gli italiani, che erano meno ricchi della gente di altre nazioni, speravano di
guadagnarci. Conquistare non significa anche un
po’ rapinare, che è quando con la violenza ci si impossessa
delle ricchezze altrui? Gli italiani ritennero di averne il diritto, perché
anche gli altri europei facevano lo stesso. Quindi poi alla fine sono andati a
sbattere in una disastrosa guerra mondiale, dalla quale la nazione è uscita
pressoché annientata.
Quanto
al razzismo anti-ebraico del fascismo storico, ho spiegato sopra come andò: al fascismo
mussoliniano non rimase altra strada, per fronteggiare il razzismo hitleriano,
di inventarsi una superiorità razziale, etnica, di stirpe, degli
italiani, non solo culturale, di civiltà. Altrimenti gli italiani stessi
sarebbero stati vittime delle fantasie razziste dei tedeschi hitleriani.
Sarebbero stati considerati una razza inferiore tra le altre. Per le sue guerre, il
fascismo mussoliniano ad un certo punto sentì la necessità, e decise, di
allearsi con la Germania egemonizzata dal nazismo e quest’ultima era razzista:
il razzismo antiebraico, costruito ideologicamente come razzismo puro e
semplice e dunque utilizzabile anche verso altre etnie, gli fu indispensabile
per cercare di non soccombere di fronte all’alleato. La storia è quella che è,
non può essere cambiata, ma solo capita meglio.
Alcuni
sono ancora tentati da quella via, quella del fascismo storico, ma capiscono
che qualcosa non è andato per il verso giusto e allora, quando non passano a
menare le mani o comunque alla forza bruta, facendo di questo l’unica
argomentazione dialettica, propongono l’argomento principe dei populisti
di sempre a disastro avvenuto, appunto quello del ma qualcosa di
buono l’avrà fatto. Altri sostengono che però sarebbe meglio
vederci chiaro, realisticamente, prima ed ora su
come andrà a finire nel complesso con una politica; a loro non
basta che chi comanda qualcosa di buono l'abbia comunque fatto. E
se poi la storia si ripetesse? E se ci si schiantasse? I saggi invitano ad
imparare dalla storia, che è, dicono, maestra di vita.
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Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli