La pace interiore
Sono portato ad accettare, vale a dire anche a rispettare, ogni forma di sincera religiosità, anche se molto distante dalla mia, purché non prevarichi, non imbrogli, non faccia del male alla gente in altri modi e l’adesione sia sempre reversibile. È più del solo tollerare. Tollero ciò che non risponde a quelle caratteristiche, ma che non si può reprimere perché farlo provocherebbe un male più grande. È come per il commercio delle sigarette. In effetti, certe forme di religiosità mi appaiono tossiche. E ve ne sono, credo, anche tra quelle praticate nelle nostre comunità, e non sto qui a precisare ulteriormente, perché non ho quella fissa. Tollero, appunto, anche se non si può essere amici, certamente. Accade continuamente nella vita sociale.
Come ogni persona cristiana, anch’io pratico forme di apostolato, e quando lo faccio cerco di non prevaricare, di non imbrogliare, di non fare male alla gente con cui parlo e di non pretendere di legarla irreversibilmente. Mi sforzo di parlare chiaro, di dire le cose come stanno, di non usare espedienti, come quello di promettere ciò che non è possibile garantire.
La pratica della nostra religiosità può dare la pace interiore? È possibile che accada, ma quando succede dipende da come funziona la nostra mente non dal soprannaturale. È, anzi, cosa naturale, naturalissima. Nella religiosità estatica secondo la nostra cultura di fede ci si riesce meno bene, perché ci si colpevolizza.
Il monachesimo orientale scoprì come si fa. Basta concentrarsi sul respiro e su ritmo cardiaco. L’ortodossia orientale ci costruì sopra la spiritualità dell’esicasmo, che, dal greco, significa tranquillizzazione, è il ripetere interiormente, continuamente, la preghiera in greco Κύριε Ἰησοῦ Χριστέ, Υἱὲ Θεοῦ, ἐλέησόν με τὸν ἀμαρτωλόν [che si legge: Kìrie Jesù Christé, Üié Theù, eléisòn me tòn amartolòn e che significa Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore] o quella Κύριε ἐλέησον[che si legge Kìrie elèison e significa Signore pietà, la recitiamo a messa nell’atto penitenziale] fino a far coincidere il ritmo della preghiera con quello del respiro o quello cardiaco. Questo produce rasserenamento interiore. Nell’induismo si utilizza il mantra “OM”. La parola mantra è sanscrito, un’antica lingua diffusa in Iran e India, appartenente al medesimo gruppo linguistico in cui è compreso anche l’italiano: significa strumento del pensiero.
Ho letto che tecniche di tranquillizzazione basate su respiro vengono raccomandate dai direttori degli esercizi spirituali ignaziani.
Se vi interessa saperne di più potete leggere di Jean-Yves Leloup, L’esicasmo, che cos’è, come lo si vive, Gribaudi 1990, che ha me è piaciuto molto. Si trova ancora in commercio.
Negli anni Settanta fu letto con molto interesse I racconti di un pellegrino russo, che narra le esperienze spirituali degli esicasti russi, con ampie citazioni della Filocalia, raccolta di brani di scritti di maestri di spiritualità dell’ortodossia. Ciclicamente viene riscoperto. Anche lì si insegna a pregare mediante la ripetizione incessante della frase-mantra di cui sopra secondo il ritmo del respiro e del cuore. Anzi, in quel metodo c’è una progressione verso la preghiera del cuore: quando vi si arriva si sente un dolore al petto e allora il Nome (l’esicasmo è detto anche Preghiera del Nome) si prega da sé nell’interiorità dell’orante.
Non di rado, però, a quanto ho letto, quando all’esicasmo si provarono gli europei occidentali degli anni Settanta / Ottanta, si trovarono delusi. La pace interiore non arrivava e finivano per stufarsi. Questo perché affrontavano la pratica con la determinazione che noi occidentali mettiamo in genere in ciò che facciamo, facendo forza e facendoci forza. Ma così non funziona. Perché? Anche qui il soprannaturale non c’entra.
Il biologo statunitense John Kabat-Zinn lo ha scoperto.
Ha studiato le tecniche di tranquillizzazione orientali e ne ha ricavato il metodo MBRS, che significa la riduzione dello stress basata sulla consapevolezza (mindfulness). Depurata di ogni elemento religioso la tecnica funziona benissimo ed è stata testata largamente dagli psicologi clinici. I malati gravi ospedalizzati possono sentirsela proporre.
Bisogna concentrarsi sul respiro e sulle proprie sensazioni corporee distanziandosi dagli altri pensieri generati dalla mente, come se li si osservasse da fuori. Non bisogna forzarsi a concentrarsi: viene raccomandata la gentilezza verso sé stessi e, soprattutto, di non giudicarsi. In questo modo si finisce per vivere momento per momento, nel presente, e questo calma il corpo. E allora si calma anche la mente. Per calmare la mente, ha scoperto Kabat-Zinn, bisogna calmare il corpo e ci si può riuscire vivendo momento per momento. Ne ha scritto diffusamente nel suo libro Vivere momento per momento, pubblicato in italiano dall’editore Corbaccio nel 2016, è disponibile sia in edizione cartacea che in e-book.
Usare questa tecnica durante la preghiera risulta utile, per far posto alla preghiera in mezzo a tante nostre distrazioni e preoccupazioni. Ma l’effetto di pace interiore ha poco a che fare con il soprannaturale. Di solito, invece, le altre forme di preghiera praticate tra noi non tranquillizzano, perché si è indotti a colpevolizzarsi per indurre a sforzarsi di cambiare.
Non a tutti, però, riesce la spiritualità di tranquillizzazione e quindi avverto che non è un effetto che possiamo promettere a chi si accosta alla religione. Se però è essenzialmente questo che si cerca, meglio seguire Kabat-Zinn.
In generale non è detto che la religione faccia bene.
In realtà la nostra serve essenzialmente per indicarci la via della pace sociale, o agápe, esortandoci a costruirla nei nostri ambienti di riferimento. La costruzione di questa pace, solidale e misericordiosa, è la sinodalità. Ottenutala, ci si riposa dentro, perché, come è stato scritto, il nostro cuore è inquieto finché non raggiunge quel risultato.
Il Maestro non mi pare, invece, che abbia predicato la pace interiore mediante tecniche di meditazione, tutt’altro. La pace solo interiore mi sembra che non rientrasse nella sua via, mentre non di rado credo che rientri nella nostra, in particolare dando credito alla tradizione dei monaci. Quest’ultima è stata molto mitizzata, anche perché l’attuale assetto gerarchico assolutistico della nostra Chiesa risale, in definitiva, a loro intuizioni medievali. Ma non ci ha fatto tanto bene. È stata all’origine della pesante emarginazione delle persone laiche che viviamo tutt’ora, anzi, ancor prima, dell’idea stessa di persona laica come espressione di una religiosità degradata.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.