La Chiesa fatta dai cristiani
Ricordo che, quand’ancora andavo al liceo, leggevo che c’era chi, tra i non credenti dichiarati, se ne usciva scrivendo che la Chiesa l’aveva fatta Paolo di Tarso, non chi si diceva che l’avesse fondata.
Poi però lessi anche che gli studiosi delle origini della nostra fede religiosa in realtà dicevano che al suo tempo Paolo non aveva avuto tutto questo gran successo, che la sua teologia si era affermata dopo la sua morte. Aveva aperto a quelli non di etnia giudaica, questo sì. Lui era stato un ellenista, vale a dire un giudeo che sapeva parlare, scrivere e soprattutto pensare secondo i costumi dei greci di allora, che non stavano solo in Grecia, ma anche un po’ in tutto il Vicino Oriente, come i romani non stavano più solo a Roma. La diffusione del pensiero di Paolo era stata molto favorita dalle sue Lettere, messe nero su bianco per così dire prima dei Vangeli che noi riteniamo normativi per la nostra fede. Scritte in greco, avevano circolato molto.
La storia primitiva dei cristianesimi, perché non ce n’era uno solo, è un po’ misteriosa. Le fonti scarseggiano e le notizie che abbiamo sono state piuttosto rimaneggiate da chi venne dopo senza molto interesse per l’attendibilità della cronaca. Ma certamente ne emerge una realtà piuttosto pluralistica. Con polemiche e scontri, tanto da impensierire le autorità imperiali, finanche a Roma. Sembra che i cristiani a quell’epoca non fossero tanto benvoluti nella nostra città dal resto della popolazione. Venivano considerati facinorosi. Ne scrisse lo storico Svetonio raccontando la vita dell’imperatore Claudio [vissuto tra il 10 e il 54 della nostra era] nella Vita dei dodici Cesari: «Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expulit – cacciò da Roma i giudei che continuavano a tumultuare istigati da Cresto».
Ma allora, chi ha fatto la Chiesa (che è questione diversa da quella di stabilire chi la fondò)?
La soluzione è, per così dire, sotto gli occhi di chi ha la pazienza di studiare un po’ di storia. La Chiesa la fecero, sempre, in ogni epoca, fin dalle origini, nel bene e nel male, i cristiani. Anche noi la stiamo facendo, alla nostra epoca, qui in Italia.
Si ritiene che la Chiesa abbia anche una dimensione soprannaturale, ma per questo dovete chiedere ai teologi, e io non solo non sono un teologo, ma non voglio nemmeno esserlo. Questo anche se la teologia è una cosa seria, addirittura una scienza. Ma, a parte questo, è stata troppo sfruttata a fini di potere, è stata dietro a troppa efferata violenza perché mi ci possa appassionare. Fortunatamente non si sentirà la mia mancanza in quella disciplina, perché non manca chi la pratica, e negli ultimi decenni anche molte donne. Si sta quindi sviluppando una teologia al femminile. Bene.
Il rapporto tra la costruzione delle Chiese e le teologie mi pare di capire che sia stato un po’ questo: prima si iniziava a litigare e poi si decideva quale erano le questioni teologiche a sostegno delle quali lo si faceva. Insomma, si prendeva la teologia che serviva per litigare scegliendo quella più adatta allo scopo.
Vogliamo continuare così?
Nei processi sinodali in corso nelle nostre Chiese si è scelta un’altra strada: di non decidere, di non dire e di non fare nulla di nuovo per non litigare. Possiamo dire che questa via sia in linea con quella comandata al Maestro? L’immobilismo. Anche per questo dovete rivolgervi ai teologi. Ma se comandò l’agàpe vorrà pur dire qualcosa. Tra i suoi Dodici le acque non erano proprio tranquille. In un piccolo gruppo così uno tradì, ma non si trattò di chiacchiere teologiche: è scritto che consegnò il Maestro a quelli che avevano in animo di ucciderlo! E in seguito non dovette andare tanto meglio se il nostro san Clemente scrisse ai Corinti, in una lettera che ci è giunta:
«Per invidia e per gelosia le più grandi e giuste colonne furono perseguitate e lottarono fino alla morte. Pietro per l’ingiusta invidia e non una o due, ma molte fatiche sopportò, e così col martirio raggiunse il posto nella gloria. Per invidia e discordia Paolo mostrò il premio della pazienza. Per sette volte portando catene, esiliato, lapidato, fattosi araldo [di Cristo] nell’Oriente e nell’Occidente, ebbe la nobile fama della fede. Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, giunto fino al confine dell’occidente e resa testimonianza davanti all’autorità, lasciò il mondo e raggiunse il luogo santo, divenuto con ciò il più grande modello di pazienza» (Dalla 1 lettera ai Corinti di Clemente Romano, capitolo 5°, versetti da 2 a 7 - Clem. 1Cor. V,2-7).
Appena si è provato ad essere un po’ sinodali, ci è stata rovesciata addosso una vagonata di teologia (piuttosto stantia) per bloccarci da ogni parte. Si dovrebbe andare un po’ più d’accordo e parlano solo i teologi, che sono tra gli intellettuali più rissosi che ci sono, e lo sono sempre stati. Sembra che l’esserlo sia parte dell’abito professionale. Quelli di corte vorrebbero convincerci che l’unica riforma che funziona è di non far nulla di diverso da ciò che si fa ora, ma di farlo con più convinzione. Gli altri dicono di aver scoperto la via giusta, ma in altra direzione. Quelli di prima e quelli dell’altra parte non avrebbero capito nulla. A loro, e solo a loro, dopo secoli e secoli, sarebbe arrivata l’illuminazione. Quindi ecco che anche oggi che si vorrebbe essere sinodali, vale a dire procedere di buon passo da amici, quelli litigano, e di brutto. Mettono in mezzo anche il povero Papa, come del resto s’è sempre fatto nei secoli passati, la differenza è che ai tempi nostri papa Francesco cerca di sforzarsi di essere mite, come i suoi predecessori non sono mai stati.
Ora, la teologia non aiuta proprio. La storia serve di più. Mette in risalto una certa discrasia tra come si predica il vangelo e come lo si pratica.
Non metto in dubbio che, dal punto di vista teologico, ci siano anche oggi ottimi motivi per litigare. Gran parte dei lavori dei teologi serve a questo. Ma, poiché non sono un teologo, osservo che si potrebbe iniziare con il cercare di non litigare, in particolare sulle fantasie della teologia. Cerchiamo di capire perché veramente si litiga. Andiamo sul concreto.
Ad esempio, nella nostra parrocchia si avvicina la rituale litigata per la Settimana Santa e la Veglia Pasquale. Tra chi le vuole in un modo e chi in un altro, tra chi vuole la Veglia di nove ore e chi di due, tra chi vuole cantarsela in un modo e chi in un altro. Così io è da anni che non vado alla Veglia. Quei litigi mi disgustano. Un tempo ci andai, prima dell’era della battaglia pasquale, e sono ormai decenni fa, per dire come le cose si sono incancrenite. Pensate che il vangelo abbia risolto qualcosa? Assolutamente no. Chissà se in tempi di sinodalità sarà diverso? Di fatto, però in parrocchia di sinodalità non si parla più.
Questo è il clima da noi (a Pasqua!), ma più o meno è lo stesso anche altrove. Certo che poi si dice che “La Chiesa non è una democrazia”. Infatti ecco com’è.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.