La Chiesa, la
sinodalità e la costruzione sociale
Stiamo vivendo un sinodo delle Chiese in
Italia.
Si parla di Chiese e non di Chiesa,
adottando il lessico che si diffuse ai tempi del Concilio Vaticano 2º
(1962-1965), da un lato per riferirsi all’idea di Chiesa locale, una
comunità intorno al suo vescovo nella quale c’è già tutto ciò che è Chiesa, e
per dire che tutte le persone di fede sono chiamate a partecipare e, innanzi
tutto, dovrebbero essere ascoltate, dall’altro per porre al riparo ciò che si
intende per Chiesa universale dagli effetti di questo processo.
Sull’idea di Chiesa universale i teologi hanno costruito una dottrina:
di fatto si manifesta nel Papato come istituzione.
Il Papa vorrebbe indurre una riforma
ecclesiale dal basso. Altrimenti le Chiese e anche “la Chiesa”,
intesa come la Chiesa universale, rischiano di divenire organizzazioni
dedite alla custodia di musei della fede passata. In gran parte
dell’Europa occidentale ciò è già avvenuto. Da noi ci si sta rapidamente
avviando a quella situazione.
Non è che la gente non vada più in chiesa,
badate bene. Ci va, ma senza impegnarvi la propria interiorità, solo per
celebrare cerimonie, in particolare i riti di passaggio, battesimi, Prime
comunioni, matrimoni e funerali. O per cercarvi un aiuto come servizio sociale.
Come è successo? E perché nelle altre cose
l’apparenza ecclesiale non serve più. Interessa
solo piccole cerchie di appassionati a certi suoi aspetti. Non è più una
dimensione totalizzante, per la quale si sia prima di tutto persone cristiane.
Può essere un rifugio e anche un luogo in cui si lavora. Ma in genere ci si va
per le esigenze che ho detto.
Descritta la situazione e le linee di sviluppo
(tra una ventina d’anni le nostre Chiese saranno praticamente annientate, quando
fatalmente passerà la mia generazione, tra le ultime ad aver vissuto altri
tempi), bisogna decidere che fare, e il Papa lo ha fatto. Mi pare che a una
riforma sinodale, almeno in Italia, creda solo lui, poverino. Sulla carta
onnipotente sovrano e invece… Ci è simpatico, ma non gli si dà retta. Questo
andazzo ha cominciato a manifestarsi ai tempi di Giovanni Paolo 2º, almeno in
Italia, diciamo dalla fine degli anni ’80, quando si cercò di ridimensionare il
tentativo di riforma innescato dall’ultimo Concilio. Allora sembrò che la
religione, alla fine, avesse vinto, quasi prodigiosamente, i totalitarismi
comunisti dell’Europa orientale, ma non era quello che si era prodotto. Certo,
i vecchi totalitarismi europei erano entrati in crisi, compreso però quello
della cosiddetta Chiesa universale. Il nuovo che avanzava, però, era un
altro totalitarismo, ma di tipo diverso: ne scrisse per oltre vent’anni il
grande sociologo Zugmunt Bauman (1925-1917): vi consiglio la lettura del suo Modernità
liquida, del 2000, pubblicato in edizione italiano da Laterza, anche in
e-book.
Una riforma è una forma di costruzione
sociale.
Gli esseri umani sono viventi che
costruiscono e governano società, lo scrisse nell’antichità greca il filosofo,
sociologo, naturalista Aristotele.
Nel mondo animale vi sono altri viventi sociali,
nel senso che formano gruppi nei quali cooperano in vari modi. Ma, almeno
finora, solo gli esseri umani, tutte le specie
del genere Homo - Uomo di cui abbiamo scoperto le tracce, ma oggi
siamo rimasti solo noi Sapiens, hanno costruito società. Una società è
un gruppo che è ordinato secondo una cultura. Un domani che potrebbe non essere
tanto lontano anche le intelligenze artificiali potrebbero fare altrettanto. La
fantascienza ha già descritto quello che potrebbe accadere.
Il processo sinodale è pesantemente
condizionato dai teologi, ed era fatale che andasse così perché controllano la
lingua parlata dalla gerarchia. Ma la loro teologia, in altri campi molto
sofisticata, nel campo dell’ecclesiologia non lo è, è piuttosto carente,
striminzita. Questo perché storicamente ebbe il compito principale di
sacralizzare la gerarchia, e in fondo è ancora così.
L’idea che i sociologi, gli esperti in
società, hanno della costruzione sociale si può leggere in un testo di diversi
anni fa che mi pare essere diventato un po’ un classico: di Peter L. Berger e
Thomas Luckmann, La realtà come costruzione sociale, del 1966,
pubblicato dal 1968 da Il Mulino e ancora oggi in commercio. Sostiene, anche
sulla base delle osservazioni sul campo, che la società è costruita secondo una
cultura ed è la realtà in cui le persone pensano di muoversi, comprensibile,
ordinata.
Le Chiese, intese come comunità
locali, e la Chiesa, intesa come universale, sono costruzioni
sociali? I teologi ci vedono anche dell’altro e per questo settore dovete
rivolgervi a loro.
Dal punto di vista della sociologia, ma anche
dell’antropologia, a ciò che ho letto, sì, sia le Chiese che la
Chiesa sono costruzioni sociali. Lo dimostra il fatto che sono cambiate
moltissimo nel corso della nostra lunga (relativamente, perché duemila anni
rispetto all’intera storia evolutiva degli esseri umani, sono un battito di
ciglia) storia di fede, e certamente non c’erano quando il Maestro fu ucciso sulla croce, nel
Primo secolo a Gerusalemme, durante l’occupazione romana. Si
svilupparono successivamente attingendo alle culture nuove che si vennero
formando soprattutto in ambito ellenistico, tra giudei e giudei-cristiani che parlavano
greco e utilizzavano la traduzione in greco antico della Bibbia detta Settanta,
che si ritiene essere stata fatta un
secolo e mezzo circa prima degli eventi evangelici. E il nuovo veniva vestito d’antico,
proprio come accade oggi per la neo-sinodalità che si vorrebbe
organizzare.
Mi ha sempre sorpreso l’importanza che in
religione, da noi, si attribuisce all’antico, tenendo conto che il Maestro
volle insegnare cose nuove rispetto a quelle che giravano nell’ambiente intorno
a lui. Questo però senza cambiare neanche la più piccola cosa nella Legge.
In questo era un giudeo e morì come tale. Ma noi non lo siamo più, anche se con
l’antico giudaismo, e con l’ebraismo nostro contemporaneo, condividiamo un
importante patrimonio culturale. Il distacco, narrano gli storici dei cristianesimi
delle origini, fu drammatico, spaccò gli stessi cristiani di allora, non solo
cristiani e giudei.
Ora
noi vorremmo fare diversamente, senza la violenza che ci fu allora, e
che poi proseguì anche nei secoli successivi. Questo credo sia apprezzabile,
perché ci distacca dalla nostra orrenda storia collettiva, che nell’orrendo non
è stata diversa dalla storia che le scorreva accanto.
Dalla teologia prenderemo ciò che ci serve,
come si è sempre fatto. Ma non è la teologia al centro, si tratta di costruire
una nuova società, come non c’è mai stata. Se dovessimo attenerci a qualcosa che
c’è stato nel passato, si dovrebbe gettare la spugna. Del resto sono i tempi
che viviamo, nel mondo degli umani, ad essere veramente nuovi.
Mario Ardigò – Azione
Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli