Alto e basso
I processi sinodali in corso, quello per gli italiani e quello mondiale, sono organizzati come un andirivieni tra alto e basso. Si parte dal basso,quello che esce viene portato all’alto e da qui ritorna in basso. Nel mentre in alto si valuta e si decide, in basso che fanno?
Alto e basso non vanno bene. Innanzi tutto perché in basso ci siamo quasi tutti e in alto pochissimi. Se si è sentito di dover chiedere la collaborazione di quelli in basso è perché in alto non sapevano più che pesci prendere, loro e i teologi di corte.
Parlo di teologi di corte in senso proprio, non in senso dispregiativo, perché, lì in alto, si sono inventati proprio delle corti, che sono le piccole cerchie dei mandatari dei monarchi. La teologia è la lingua della gerarchia e quindi sono stati arruolati degli specialisti del ramo. Non c’è da scandalizzarsene. Lo scandalo, semmai, è in quelle monarchie, per cui di uno dei gerarchi ecclesiastici si dice che regna. Tra i compiti dei teologi di corte vi è quello di legittimarne il regno come ufficio sacro, nel senso di voluto dal Cielo, quindi di sacralizzarlo. E di presentare questo come una verità, nel senso di definizione che deve essere accettata se si vuole essere considerati dentro. Il principale riferimento del teologo che fa questo lavoro è il monarca, questo mi pare che ne limiti la libertà di pensiero. La prima persona coinvolta nell’alternativa dentro/fuori è proprio il teologo di corte. Se non soddisfa gli si dà sbrigativamente il benservito.
Alto\basso richiama l’idea di gerarchia, che è un sistema di potere in cui c’è chi comanda, il gerarca, e chi obbedisce subendo solamente le decisioni, il suddito, e una struttura dei posti di comando ordinata come in una piramide, nella quale c’è, appunto, un alto e un basso, e man mano che si va verso l’alto c’è un restringimento e al vertice ci sono pochissimi (mai uno solo: nessun potente può realmente fare tutto da solo, a meno che non sia un dio).
Questo tipo di organizzazione è, ai tempi nostri, tipica dei militari e delle aziende. Fino allo sviluppo dei processi democratici europei, a fine Settecento, si volle organizzare così anche la politica. Oggi un ordinamento politico di quel tipo si riscontra solo negli stati dittatoriali e, almeno formalmente, nella Chiesa cattolica e, mi pare di capire, nel governo in esilio del Tibet. Sotto questo profilo la Cina comunista e noi cattolici siamo molto simili, almeno stando al diritto canonico, il complesso delle norme ecclesiastiche. La realtà, però, è che i cattolici hanno superato quel regime. Per questo si è pensato a processi sinodali, dopo aver constatato che ordinare dall’alto era diventato inutile.
In Europa la democrazia, una forma politica potentemente desacralizzante perché presuppone che ogni cosa possa essere dibattuta pubblicamente, ci ha liberati dalla tirannia delle gerarchie ecclesiastiche, che ora vengono obbedite solo se e nella misura in cui ciò che ordinano sia considerato equo e ragionevole. Le possiamo considerare ancora in alto?
Nel 1945, dopo la caduta del fascismo mussoliniano che nel ’27 ne aveva disciplinato l’attribuzione, venne abolito, nell’ordinamento italiano, il titolo di eccellenza. Venne considerato incompatibile con la nuova nostra democrazia che si voleva costruire (la Costituzione repubblicana venne deliberata nel’47). È ancora in uso per i vescovi cattolici. Ricordo che al primo congresso nazionale del Meic, a cui partecipai, ormai di diversi anni fa alcuni amici dell’associazione un po’ più anziani mi manifestarono a mezza voce la loro viva insofferenza verso questa consuetudine.
“Ma la Chiesa non è una democrazia” sento ripetere da qualcuno ogni volta che faccio notare quanto di democratico c’è nella sinodalità come oggi (vagamente) ci si prefigge di praticare. Ma siamo proprio certi che sia realmente così? Il principio democratico fondamentale è che non ci siano poteri pubblici illimitati e quelli della gerarchia ecclesiastica non lo sono più, se non sulla carta: la rivendicazione della loro assolutezza manca ormai di effettività, almeno da noi.
Questo significa che in certe cose non c’è più, di fatto, un alto e un basso.
Ma, si dice, la piramide è stata rovesciata: il popolo sta ora sopra e i gerarchi sotto, al suo servizio. Non è vero. Ma comunque si tratterebbe sempre di una piramide, con gente che sta sopra e gente che sta sotto. La differenza sarebbe che chi serve sarebbe la minoranza. È mai accaduto storicamente? Se poi fosse così, e ripeto che non lo è, la struttura collasserebbe dopo poco, con tanta poca gente a servire.
È proprio l’idea di potere piramidale che dovrebbe essere abbandonata come schema organizzativo, per far corrispondere il diritto alla realtà.
Ora non ci sono istituzioni sociali che riflettano questa nuova situazione e si fa come capita, ma il risultato non soddisfacente. Non si dà più retta ai gerarchi ma nemmeno ci si intende tra noi. Il più delle volte si decide spinti dal l’emotività se non dall’interesse spicciolo. Questo spiega perché in società contiamo poco, non siamo più, realmente, veicolo del vangelo e quindi fattore di trasformazione sociale. C’è chi dice che non ce ne dovremmo occupare. Ma allora perché questa è stata storicamente l’occupazione principale delle nostre gerarchie?
Insomma non si tratta solo di rovesciare gerarchie dai troni su cui si sono storicamente piazzate, ma di costruire mediazioni istituzionali diverse, che però non lascino la costruzione sociale, ad esempio, all’estasi estemporanea. Sulle cose da fare occorre ragionare e qui anche teologie liberate dalle corti potrebbero essere utili.
I saggi dell’ultimo Concilio disegnarono un modello organizzativo circolare, lasciando però molte ambiguità nel tentativo di suscitare il più ampio consenso. Con il senno del poi possiamo riconoscere che si è trattato di una scelta che ha consentito agli avversari della sinodalità di tentare di tornare indietro.
Alternativo allo schema piramidale è quello della Tavola rotonda, della leggendaria saga di re Artù. Non nega l’autorità ma prende sul serio il reciproco riconoscersi pari dignità sociale.
Parlando di alto e basso, va osservato infine che, quando parliamo di Popolo come di una sorta di realtà naturale, immaginiamo ciò che nello schema piramidale sta in basso, perché tutto il resto è solo forma istituzionale, sistema di ruoli sociali.
In una Chiesa sinodale il popolo dovrebbe essere sempre e dovunque riconosciuto parte attiva in ciò che si fa e si decide. Così come chi svolge qualsiasi ministero o ufficio. Si collabora in vari sedi e mentre si lavora in alcune si continua a farlo anche nelle altre, temendosi in contatto.
Siamo, dovunque nella Chiesa salvo che in Azione cattolica e in poche altre sedi, molto lontano da questo, in particolare nelle parrocchie.
Mario Ardigó- Azione cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.