INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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venerdì 31 marzo 2023

Intelligenza artificiale, nuovo dio?

 

Intelligenza artificiale, nuovo dio?

 

   Spesso troviamo ciò che si dice negli ambienti religiosi molto noioso perché non c’è la vita in cui siamo immersi. Ci si  ripete a vicenda  il già detto e già scritto da altri, come si fa nel rito. Così certi racconti religiosi a sfondo biblico sembrano solo favole. Ma la Bibbia non serve a questo, non è stata pensata per questo. Dovrebbe consentirci di trovare il senso della nostra realtà, ma non può funzionare se non è messa a contatto con essa.

  Può sembrare strano ad alcune persone di fede, ma la vera utilità della religione non sta nell’estrarci dal nostro mondo, anche solo temporaneamente, in modo da consentirci di avere un po’ di requie. Poi c’è chi la vive così e non ho nulla da obiettare. Faccia pure.

  Se però ci proponiamo di influire in società da persone religiose, vale a dire difendendo l’idea che, in fin dei conti, tutto abbia senso, e un senso buono, allora dobbiamo impratichirci nel ragionare religiosamente a partire da ciò che realmente accade. Quando lo facciamo di solito è per giudicarci e giudicare gli altri, vale a dire per trovare un orientamento etico per noi stessi e nelle relazioni con altre persone in un giudizio sul passato. Fin da piccoli ci abituano all’esame di coscienza. Ma è possibile cominciare a lavorare lasciando da parte questo aspetto, in particolare per affrontare il futuro. Prima è necessario capire bene ciò che si muove intorno a noi. Così, in un piccolo gruppo di approfondimento, può essere utile partire da un quotidiano. Perché non da un telegiornale ad esempio? Perché la pagina scritta ti rimane davanti. Per ciò che vediamo o sentiamo in un telegiornale  dobbiamo invece affidarci alla memoria. La pagina scritta è un aiuto alla memoria. Naturalmente non è indispensabile che il testo sia stampato, possiamo leggerlo anche su un video, ad esempio sul nostro tablet, come state facendo in questo momento.

   Ieri,  ad esempio, su La Repubblica ho notato un articolo dal titolo « “ChatGpt corre troppo” Musk e i gufi hi-tech chiedono di fermarla – Tra i mille firmatari della lettera aperta anche il co-fondatore di Apple Steve Woznkak».

  ChatGpt è un sistema di intelligenza artificiale in grado di interloquire con gli esseri umani con un linguaggio naturale e di rispondere alle loro domande con una elevata competenza e in modo a loro comprensibile. L’intelligenza artificiale è un programma informatico in grado di imparare dall’esperienza più o meno come lo fa la nostra mente. La sua struttura è stata progettata per funzionare imitando il nostro cervello. Ma ha una capacità di apprendimento immensamente superiore a quella di un essere umano. Ed essa è pensata in modo da non avere più bisogno di in insegnante o di un manuale che le dica, passo passo, come fare. Nell’interazione con l’esterno cerca di prevedere su basi statistiche la risposta che sarà considerata giusta nell’ambiente di riferimento. Lo fa principalmente studiando il materiale che trova disponibile sul Web (internet), compresa l’esperienza dell’interazione con gli esseri umani che si collegano con lei. Man mano che interagisce migliora le sue prestazioni. Non è da molto che lo sta facendo su larga scala, ma sta apprendendo molto rapidamente.

  In una lettera aperta pubblicata sul sito Web di Future of Life Institute (Istituto per il futuro della vita) circa mille specialisti e imprenditori del settore, compreso il co-fondatore di Apple, la gigantesca impresa di computer ad uso personale e Elon Musk, ricchissimo fondatore e capo di fortunate imprese commerciali basate sull’innovazione tecnologica, dalle autovetture con motore elettrico ai  congegni spaziali, hanno chiesto di sospendere per un po’ quell’apprendimento. Dicono che si sta rischiando di sviluppare menti in grado di soppiantarci, delle quali potremmo perdere il controllo. Potremmo perdere milioni posti di lavoro, anche nelle professioni intellettuali. Chiedono che prima di andare avanti vengano organizzati nuovi sistemi di sicurezza e controllo.

   Di solito gli specialisti ci tranquillizzavano dicendoci che l’intelligenza artificiale è solo una macchina e che non ha consapevolezza di ciò che fa. Avrebbe sempre necessità degli esseri umani per darle gli obiettivi da raggiungere e le regole. È appunto questo che non sembra più tanto sicuro.

  In realtà, ad esempio, sistemi di intelligenza artificiale già controllano con una certa autonomia i mercati finanziari, gestendo complicate transazioni che muovono ingenti risorse. Sono più veloci degli esseri umani e imparano presto dai loro errori, cosa che a noi non riesce sempre bene. E questo non è il solo campo in cui opera l’intelligenza artificiale.

   I giuristi da qualche anno discutono della possibilità di attribuire a sistemi di intelligenza artificiale che amministrano interagendo sui mercati la personalità giuridica, come già si fa con le società commerciali e in altri settori. Ad esempio, dato un fondo di investimento, se ne potrebbe dare l’amministrazione a un sistema di intelligenza artificiale, che potrebbe raccogliere i fondi dagli investitori e poi gestirli sui mercati, distribuendo i guadagni netti secondo certi criteri di massima, variandone anche lo statuto per migliorare costantemente il rendimento delle operazioni. Sarebbe difficile per un organismo di controllo composto da umani esercitare un reale sindacato sull’attività di gestione dell’intelligenza artificiale, senza valersi a loro volta di un altro sistema di intelligenza artificiale.

  Per la grandissima mole di informazioni delle quali oggi un’intelligenza artificiale può valersi per apprendere, le cui fonti di alimentazione andranno sempre più aumentando, questi sistemi si avvicineranno sempre più e sempre più rapidamente a ciò che gli specialisti chiamano la singolarità. Vale a dire ad un essere. Di solito ci rassicurano dicendo che non sarà mai possibile costruire  qualcuno  come un essere umano. In realtà si può pensare che non sia questo l’obiettivo della ricerca. Si vorrebbe dar vita  a qualcuno  che sia come un dio. Non certo una divinità come la pensiamo in un contesto monoteistico e monolatrico quale quello che sembra ancora prevalere in Europa occidentale

  Monoteismo è quando si ritiene che ci sia un unico dio. Monolatria è quando si pensa che ci siano più dei ma ci si impegna ad adorarne uno solo, per una particolare relazione che si ha con lui. La religione degli antichi israeliti si sviluppò dalla monolatria al monoteismo: ve ne sono chiare tracce nella parte della Bibbia che abbiamo ricevuto dall’antico giudaismo. I cristiani contemporanei oscillano tra monoteismo e monolatria.

 In un contesto politeistico definiamo dio  una potenza significativa e personalizzata in grado di influenzare le sorti dell’umanità. L’Intelligenza artificiale potrebbe diventare qualcosa di simile, una volta che le si riconosca personalità giuridica, come già di fatto, in realtà avviene, nel controllo delle transazioni sui mercati finanziari.

  La potenza più sorprendente di questa nuova potenza sarà indubbiamente nella sua capacità di influenzare le nostre decisioni. E’ un fenomeno che si è manifestato su grande scala in politica, e a livello mondiale, dal 2013.

 Tutti abbiamo per le mani uno smartphone, che significa telefono intelligente.  Lo possediamo ma, in un certo senso, ne siamo posseduti. Molte persone, soprattutto tra chi ha meno di quarant’anni, hanno sviluppato una forte relazione affettiva con quello strumento. La realtà è che è un punto di contatto tra noi e Intelligenze artificiali: per questo è così affascinante. Giungiamo ad amarlo. Se ne veniamo privati, soffriamo. Questo potrebbe prodursi su scala molto più grande in un domani molto vicino ormai.

  Che si sia molto vicini al traguardo della singolarità  è dimostrato dal fatto che le Intelligenze artificiali cominciano a risolvere anche problemi sui quali non avevano fatto apprendimento  e questo ha sorpreso gli sviluppatori. L’ho letto in un altro articolo di quotidiano pubblicato l’altroieri.

  Certo, quella Intelligenze sbagliano. Si sono rivelate in grado di costruire fotografie senza aver mai fotografato nulla. Tuttavia hanno fatto errori sulle dita delle mani: qualche volta ne hanno fatte sei o dieci e altre volte non avevano nulla di umano. E’ perché lì dove le Intelligenze artificiali pescano per apprendere, vale a dire il Web (internet), non ci sono sufficienti esempi di dita. Ma stanno migliorando molto rapidamente.

 E’ questione di pochi anni: potranno sostituirci in quasi tutti i mestieri e le professioni, anche quelle intellettuali e molto complesse. Allora chi possiederà le Intelligenze artificiali non avrà più bisogno d’altro, ma, a sua volta, probabilmente finirà per essere posseduto da quelle.  Il sistema di produzione della ricchezza in uso nelle società capitaliste tenderà a bloccarsi, perché se la gente non lavorerà, non guadagnerà e se non guadagnerà non potrà spendere. Siamo vicini a una rivoluzione della vita sociale, quale l’umanità non ha mai vissuto.

  Noi, però, si osserva, non siamo solo il nostro cervello e l’Intelligenza artificiale emula solo quello. Siamo organismi e la nostra mente non dipende solo dal sistema nervoso ma da tutti gli altri sistemi organici di cui siamo fatti. Questo è cruciale per lo sviluppo delle emozioni, che utilizziamo anche per capire. La nostra, infatti, è stato scritto, è una mente emotiva. Noi di questo andiamo orgogliosi e pensiamo che sia una caratteristica specificamente umana che dei sistemi informatici non potranno mai emulare. Tuttavia dovremmo riflettere che la condividiamo con la gran parte degli altri animali. Anche con una lumaca o un moscerino, come ho letto. In un certo senso è anche un limite.

  L’essere umano, come tutti gli altri animali, è confinato in un corpo organico. Un’Intelligenza artificiale no. Può apparirci sotto sembianze umane: questi strumenti li chiamiamo androidi. Ma non   è confinata lì. Quelle sembianze sono solo uno strumento di interfaccia con noi: si dà una faccia per interagire con chi ha una faccia. Ma può avere un’infinità di altre sembianze, anche microscopiche o gigantesche. E’ ciò che, nell’antico politeismo, si riteneva facessero gli dei.

  Già ora ci facciamo prendere per il naso dalle Intelligenze artificiali, che, ad esempio, ci inducono a votare in un certo modo interagendo con noi. E’ successo per le prime volte nel mondo proprio da noi e poi negli Stati Uniti d’America. Ma da molto prima era diventata una strategia di routine nel marketing, il complesso delle tecnologie, ibridate con la psicologia, che servono a cercare di orientarci negli acquisti.

  Che fare di fronte a queste novità che ci stanno cascando addosso?

  Bisogna dire  anche che le Intelligenze artificiali ci stanno risolvendo tanti problemi.

  L’altro giorno sono stato, dopo molto tempo, in un ufficio postale ed era quasi vuoto. Per anni c’erano lunghe file agli sportelli. Non ci sono più perché facciamo la gran parte delle operazioni sul Web (internet) interfacciandoci con Intelligenze artificiali.

 All’apparenza la Bibbia, e quindi la religione, sembra dirci poco di utile su questi argomenti.

  In effetti gli antichi – e la Bibbia è stata scritta da antichi  - certamente non immaginavano questi sviluppi.

  Vi si dà molta importanza ai rapporti tra esseri umani. Ad esempio al condividere il cibo in una mensa comune. Ci sono molte emozioni, anche se sono così legate al nostro essere organismi. La messa è un rito che richiama questo modo di vivere insieme.  Quando ci si immerge nelle Scritture dopo aver ragionato di ciò che l’Intelligenza artificiale potrebbe rappresentare per tutti noi tra non molto tempo, si ha la sensazione come di un tornare a casa, a quello a cui di solito si accenna parlando di calore umano. C’è l’idea di un Dio capace di amare tutti noi, non come si narrava facessero gli antichi dei dell’universo politeistico greco-romano, che amavano questo o quella, per una sorta di loro capriccio, perché si invaghivano e odiavano come anche un essere umano fa, e poi abbandonavano e se ne tornavano tra loro.

  Di più ora non mi viene in mente. Bisognerebbe rifletterci sopra insieme.

  Che diciamo, da persone di fede,  a coloro che hanno firmato quella lettera proponendo di sospendere lo sviluppo delle Intelligenze artificiali, fino a che non si saranno decisi dei validi strumenti per mantenerle sotto il controllo pubblico, per evitare che tutti noi si finisca nelle loro mani?

  Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

giovedì 30 marzo 2023

Il lavoro della persona cristiana

Il lavoro della persona cristiana

  Ci sono molti modi di essere una persona cristiana. La gran parte non furono praticati durante gli anni in cui il Maestro fu tra noi, ma nemmeno immediatamente dopo, e per molto tempo. In particolare le comunità cristiane delle origini non sembrano essersi occupate del governo delle società in cui erano immerse almeno fino alla seconda metà del Terzo secolo, ed è ancora piuttosto misterioso come abbiano fatto a conquistarvi una tale capacità di influenza sociale da diventare determinanti. Vi sono tracce affidabili che abbiano cominciato a farne tirocinio nel governo delle proprie organizzazioni ecclesiastiche, in particolare dopo lo sviluppo di un ceto sacerdotale e del l'episcopato monarchico, ciò che gli storici situano a cominciare  dalla fine del Primo secolo.
   In società democratiche, secondo le concezioni avanzate della democrazia che si sono sviluppate e praticate in Europa occidentale, il governo delle istituzioni pubbliche è largamente partecipato, con procedure e nei limiti che dipendono dal contesto e dalla natura delle decisioni da prendere. La caratteristica principale di una democrazia avanzata è che quella partecipazione non è limitata alle procedure elettorali. Questo principio nella nostra Costituzione che, deliberata nel 1947 da una Assemblea costituente eletta a suffragio universale - per la prima volta nella storia italiana anche dalle donne - entrò in vigore il 1 gennaio 1948, è enunciato all'art. 49, che attribuisce ai cittadini il diritto di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, associandosi liberamente in partiti.
  L'espressione "politica nazionale" è da intendersi come comprensiva del governo di ogni tipo di istituzione pubblica a fini generali i cui vertici siano eletti dai cittadini, data la struttura pluralistica della Repubblica in particolare dopo la riforma costituzionale del 2003: quindi Stato, Regioni, Province o Città metropolitane, Comuni. Quel diritto, poi, rientra anche nei diritti fondamentali della persona riconosciuti all'art.2 della nostra Costituzione e pertanto, in una qualche misura, va attribuito anche ai non cittadini stabilmente residenti da noi.
  Dall'inizio dell'Ottocento  le persone cattoliche in Italia hanno acquisito consapevolezza che la partecipazione politica non è indifferente per la propria vita di fede. Dalla metà di quel secolo ci si iniziò ad associare a quel fine. Quest'idea fu confermata nella prima enciclica della dottrina sociale contemporanea la Le novità - Le novità deliberata nel 1891 dal papa Leone 13º. L'assimilazione del metodo democratico fu tuttavia molto più lenta e travagliata per la strenua opposizione del Papato, che intendeva controllare direttamente e nel dettaglio l'azione politica delle persone cattoliche in Italia, in particolare per farne strumento di pressione politica nella durissima controversia con il nuovo Regno d'Italia, che nel 1870  lo aveva spossessato del suo piccolo regno nell'Italia centrale con capitale Roma. Venne definita "Questione Romana".
  La costituzione, nel 1906, dell'Azione caftolica italiana, dopo lo scioglimento d'autorità dell'Opera dei Congressi, nella quale in precedenza si svolgeva il coordinamento delle molte iniziative sociali sorte da metà del secolo precedente, fu determinata proprio dall'intenzione di mobilitare l'azione sociale dei cattolici italiani per influenzare la politica nazionale, facendone, in definitiva, una sorta di "Partito del Papato"in Italia. Dagli anni '30 la subordinazione dell'Azione Cartolica alla gerarchia fu molto intensificata. Dopo i Patti Laterananesi, conclusi dal Paparo nel 1929 con il governo fascista del Regno d'Italia, a seguito dei quali ci si abbattè addosso la Città del Vaticano e la "Questione Romana" venne considerata chiusa, nel 1931, con l'enciclica Il Quarantennale - Quadragesimo anno (in occasione dei quarant'anni dalla Le Novità - Rerum novarum) del papa Pio 11º, la politica venne fatta rientrare nelle attività virtuose che competevano alle persone di fede, come espressamente dichiarato da quel Papa, quello stesso anno, parlando agli universitari cattolici della FUCI: la politica come forma di carità.
  L'apertura al metodo democratico venne durante la Seconda guerra mondiale, con una serie di radiomessaggi con i quali, a partire dal 1942, il papa Leone 13º chiede alle persone cattoliche italiane di fondare un nuovo stato democratico, ciò che fu fatto negli anni seguenti in particolare con l'eccezionale impegno di persone provenienti dall'Azione Cattolica e dall'Universita Cattolica del Sacro Cuore.
  Dal '46 e fino al '94 le persone cattoliche italiane animarono in modo determinante, anche con il partito della Democrazia cristiana (ma erano presenti anche in altri partiti), la politica nazionale italiana, controllandone il governo nazionale. In seguito la loro influenza iniziò a diminuire, anche per la crescente ostilità della gerarchia, fino ad oggi, in cui è scarsa, nonostante una partecipazione democratica ancora significativa.
  Dopo il Concilio Vaticano 2º (1962-1965), anche l'organizzazione della stessa Azione Cattolica venne riformata in senso marcatamente democratico è uno degli scopi associativi venne individuato nell'essere "palestra popolare di democrazia".
  Tra le tante forme di espressione della religiositá, personale e comunitaria, in questo blog ho inteso occuparmi prevalentente di quella che consiste nella partecipazione alla determinazione della politica nazionale, nel senso che sopra ho precisato, e che comprende anche il servizio nelle istituzioni pubbliche. Per questo non basta ciò che si impara nella formazione religiosa di base. Bisogna avere sotto mano anche i libri di testo di storia della scuola secondaria e il quotidiano.
  Una volta i preti italiani furono protagonisti in questo lavoro, oggi vi sono molto meno acculturati. Questo è dipeso dall'impostazione della loro formazione nella lunga stagione ecclesiale dominata dalle figure di Karol Wojtyka e Joseph Ratzinger, il ministero dei quali può essere considerato come un unico Papato, visto il ruolo importantissimo che Ratzinger ebbe nel Papato del Wojtyla.
  Questo post contiene la sintesi del senso di due secoli di storia ecclesiastica nei suoi riflessi sulla politica nazionale. Da oggi, con l'aiuto dei tanti testi storici che negli anni ho raccolto in materia, cercherò di sviluppare l'argomento. Se credere, tenete sempre sott'occhio questo post.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemenfe papa - Roma, Monte Sacro, Valli
 

lunedì 27 marzo 2023

Decidere insieme

                   Decidere insieme

 Nel corso della 5ª Assemblea sinodale del Cammino sinodale della Chiesa tedesca non si è riuscito ad approvare il documento con le proposte per organizzare procedure partecipate di decisione, a riprova che questo è il tema più difficile da affrontare.
   La nostra Chiesa ha ancora un ordinamento assolutistico centrato sul Papato, anche se i vescovi localmente, ma non quelli italiani, hanno dagli anni Sessanta, a seguito delle riforme innescate dal Concilio Vaticano 2º, qualche spazio di autodeterminazione. Questo sistema è descritto nel Codice di diritto canonico entrato in vigore nel 1983: esso fu tra i primi atti con cui il Papato tentò di correggere gli sviluppi pratici che si erano prodotti nella fase di ricezione delle novità conciliari.
 Questa impostazione si nota ad ogni livello e, in particolare, anche nella direzione delle parrocchie, dove tutto fa capo al parroco.
  In parrocchia mi pare che la maggior parte delle persone che la frequentano con una certa regolarità non sentano il bisogno di partecipare alle decisioni. L'età media è piuttosto alta e si è stati abituati così. Chi collabora con i preti in qualche attività, che è praticamente il solo modo di impegnarsi, sa per esperienza che provare a riunirsi per discutere insieme sul che fare in genere produce da noi  liti, per la spaccatura verticale che c'è in parrocchia tra due modi di vivere la propria religiositá, uno dei quali è espresso da una organizzazione fondamentalista che aveva preso piede negli anni passati. 
  Anche i giovani mi pare che stiano piuttosto a ricasco dei preti, ma vedo qualche cosa di diverso nelle esperienze di volontariato.
  La consapevolezza religiosa mi sembra in genere insufficiente: è carenza che  riguarda i fondamentali. Naturalmenfe frequentano anche persone colte che di cultura religiosa sanno di più, ma non mi pare siano in alcun modo coinvolte nelle attività di formazione. In definitiva ci si contenta di trasmettere ciò che si ritiene indispensabile per Prima comunione e Cresima, con qualche raccomandazione spicciola per il Matrimonio. L'importante è che in qualche modo "si sappia stare in chiesa", rispondendo a tono e sapendo quando stare in piedi e quando seduti.
  L'attività che ha più successo è il catechismo per la preparazione per Prime comunioni e Cresime. Il tentativo di coinvolgere maggiormente i genitori non mi pare però  abbia avuto successo.
  L'Azione cattolica è stata storicamente la principale sede di partecipazione delle persone laiche all'apostolato in parrocchia, ma ora non più, fondamentalmente perché non è più sentita quell'esigenza di partecipare attivamente. I tentativi che abbiamo fatto per coinvolgere altre persone hanno avuto scarso successo, in particolare non si è riusciti a ricostituire una sufficiente componente di persone ventenni e trentenni. 
 Ricordo che negli anni '70 la situazione era molto diversa. Purtroppo il lungo inverno ecclesiale durato dalla metà degli anni '80 fino all'inizio  del ministero dell'attuale Papa ci ha messi in un'altra condizione.
  La gente viene in chiesa per i riti di passaggio della vita e per qualche emergenza assistenziale,  fa un vago riferimento all'etica cattolica come viene conosciuta dalle parole del Papa che vengono rimandate dai mezzi di comunione di massa e sulla base delle spiegazioni dei preti nelle omelie delle messe a cui capita di presenziare, e prega quando si trova in pericolo: si tratta comunque di religiositá, ma che non implica partecipazione. Poi ci sono quelli che vivono la fede in comunità molto esigenti e coese, che sentono la necessità di separarsi dal resto dei fedeli, i quali praticano in modi meno coinvolgenti. L'impegno qui c'è, e anche molto intenso, ma non riguarda la parrocchia bensì solo il proprio gruppo di prossimità. Si diffida di chi è fuori, quasi come un fattore di possibile contaminazione, rifacendosi in ciò, immaginificamente, alle idee dell'antico giudaismo. 
  C'è chi vorrebbe indurre cambiamenti dell'esistente reputandolo sbagliato. Io no. Vorrei in questo distaccarmi dai tremendi costumi dei riformatori del passato e seguire la via meno efferata seguita nell'ultimo Concilio. Mi contenterei di poter sperimentare forme di reale partecipazione in ambiti limitati, per vedere come va e, se andasse bene, per proporle alle altre persone. 
 Non vorrei insomma forzare la religiositá altrui. Se ci si sforza comunque di essere persone rette e si collega questo al proprio essere cristiani, per me va bene.
  So che la situazione che c'è da noi c'è anche in molte altre parrocchie.
  Essendo stato deciso a livello mondiale e nazionale di attivare un percorso sinodale, penso che questa potrebbe essere l'occasione per catalizzare un tirocinio sinodale almeno per le persone che sono interessare a parteciparvi. Innanzi tutto suscitando una qualche attività di formazione e anche di autoformazione in merito, in modo che si capisca meglio di che si tratta, proseguendo poi nel prendere in esame qualche proposta, anche sulla base di ciò che si sta facendo in Italia e in Europa. Negli ultimi anni sono uscite diverse interessanti pubblicazioni divulgative sul tema della sinodalitá e sulla religiositá in Italia: potrebbero essere una buona base di partenza. Poi c'è quello che sta uscendo dalle assemblee sinodali che si vanno facendo dopo la fase di "ascolto". Le persone colte, in particolare chi pratica o ha praticato l'insegnamento come professione, potrebbero dare una mano.
  Purtroppo nella nostra parrocchia è caduto in desuetudine il Consiglio pastorale parrocchiale, per i problemi a cui ho accennato. Non ne faccio una colpa al parroco, che nell'autunno del 2015 si è trovato a intervenire su una situazione con molti problemi, di cui ho dato conto su questo blog (non mi sto a ripetere, tutti i post sono tuttora disponibili), a cominciare da un passaggio di consegne che mi parve piuttosto sofferto. Penso che, riflettendo sulla nostra storia ecclesiale, veramente orrenda in molti  passaggi, dovremmo imparare a non forzare, a non infierire, a non disprezzare, a tollerare dove non si riesce ad essere amici, ad offrire l'amicizia anche dove di solito  in genere si sceglie puramente e semplicemente di tollerare. Insomma, non voglio che le altre persone siano religiose al modo mio. Mi sta bene che facciamo a modo loro, purché non prevarichino, non facciano soffrire e non obblighino ad essere come loro pretendendo che la loro via sia l'unica giusta. 
  Ma, si dice, "non si possono accettare certe stranezze". Capisco. C'è anche, come dire, un "terrapiattismo" teologico che può urtare i dotti. Ma, parliamoci chiaro, nelle cose di religione di cose fuori del comune ne diciamo molte...sogni, visioni, prodigi vari in piccolo e in grande, tipo morti che rivivono, voci dal Cielo, santuari e persone miracolanti e via dicendo. L'importante è evitare la monopolizzazione, l'eccesso, l'abuso della credulità dei semplici e di coloro che sono resi semplici dalla sofferenza. 
  Quindi, in definitiva, partire da obiettivi meno ambiziosi, come quello di provare a riuscire a riunire con una certa costanza un gruppetto di persone con l'incarico di provare a realizzare in concreto la sinodalitá in qualche ambito limitato, per poi rifletterci sopra, potrebbe essere un'attività interessante, più interessante dei gruppi sinodali fatti finora, che non mi pare abbiano avuto alcun seguito, anche perchè i partecipanti si sono espressi senza sapere bene di che si trattava. A proposito: in parrocchia non si è saputo nulla del documento di sintesi che, redatto sulla base dell'ascolto fatto in quei gruppi, dovrebbe essere stato inviato in Diocesi. Quello potrebbe essere una buona base di partenza per quel lavoro.
   Già quello che viene pubblicato su questo blog, diretto principalmente alle persone residenti a Montesacro Valli, credenti a qualsiasi livello, ma anche non credenti, costituisce in qualche modo il germe di quell'attività, un modo per riflettere sul da farsi, stimolando ad impegnarsi esercitando una responsabilità personale per quello che si fa in parrocchia. Negli incontri del nostro gruppo di  AC sulla sinodalitá diamo anche l'opportunità di partecipare in teleconferenza Meet. Perché non provare a collegarvi, amici lettori del quartiere? O anche amici di altre parrocchie che possano condividere con noi le esperienze di sinodalitá fatte da loro?
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemenfe papa - Roma, Monte Sacro, Valli
  
 

domenica 26 marzo 2023

Conclusione della 5° Assemblea sinodale del Synodaler Weg - Cammino Sinodale della Chiesa cattolica tedesca

 

Conclusione della 5° Assemblea sinodale del  Synodaler Weg -  Cammino Sinodale della Chiesa cattolica tedesca

 

    L’11 marzo scorso si  è chiusa a Francoforte sul Meno la 5° Assemblea  sinodale del Synodaler Weg -  Cammino Sinodale della Chiesa cattolica tedesca. La 1° Assemblea sinodale si era tenuta  nel gennaio 2020.

    Il Synodaler Weg è stato intrapreso sollecitati dal forte turbamento per le critiche e le accuse giustificate delle persone toccate dagli abusi di potere manifestati dalla violenza sessuale nelle istituzioni ecclesiastiche e dal suo occultamento all’interno della Chiesa.

  L’organizzazione del Synodaler Weg è molto diversa da quella del Cammino sinodale delle Chiese in Italia e prevede una importante ed effettiva partecipazione di rappresentanti dell’associazionismo religioso delle persone laiche, facenti parte del Zentralkomitee dei deutschen Katholiken - Comitato centrale dei Cattolici tedeschi (ZdK). Prevede 230 membri, dei quali 69 membri del ZdK  e 10 persone giovani con meno di trent’anni nominate dal ZdK non tra i propri membri. I membri dell’Assemblea sinodale hanno pari diritti di voto. Presidenti del Synodaler Weg sono il Presidente e il Vicepresidente della Conferenza episcopale tedesca e il Presidente e una/un Vicepresidente del ZdK. Lo ZdK si articola in quattro Forum, o gruppi interni: sul potere nella Chiesa, sulla dimensione esistenziale del prete, sui ministeri dele donne nella Chiesa, sulla morale sessuale.

  La principale differenza rispetto al nostro Cammino sinodale sta nelle procedure, vale a dire nella trasparenza e nella cultura del dibattito “auf Augenhöle – occhi negli occhi”. Si parla e si discute, si chiamano le cose con il loro nome, non ci si nasconde dietro un lessico teologico elusivo.

  Nel corso della 5° Assemblea sinodale del Synodaler Weg sono stati approvati  testi propositivi che propongono  importanti azioni concrete per la riforma ecclesiale, non tutti immediatamente applicabili senza il consenso del Papato:

-Celibato dei sacerdoti: rafforzamento e apertura;

-Le donne nei ministeri sacramentali: prospettive per un confronto nella Chiesa universale;

-Annunzio del Vangelo da parte di persone laiche nella Parola e nel Sacramento;

-Gestire la diversità di genere;

-Cerimonie di benedizione per le coppie che si amano.

 E’ stata eletta una Commissione sinodale  per costituire un Consiglio sinodale e proseguire il lavoro rimasto incompiuto nel Synodaler Weg. La costituzione del Consiglio sinodale  è fortemente avversata dal Papato. Nel 2024 si terrà una sesta Assemblea sinodale per la valutazione dei risultati raggiunti.

  Non sono ancora riuscito a trovare il testo dei documenti approvati dall'Assemblea sinodale. Ho letto che quelli proposti dai Forum  sono stati molto modificati nel corso dell'Assemblea.

di Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli, sulla base di notizie apprese dalla rivista Il Regno  e dal sito del Synodaler Weg

 

venerdì 24 marzo 2023

Alto e basso

Alto e basso

 

    I processi sinodali in corso, quello per gli italiani e quello mondiale, sono organizzati come un andirivieni tra alto basso. Si parte dal basso,quello che esce viene portato all’alto e da qui ritorna in basso.  Nel mentre in alto si valuta e si decide, in basso che fanno?

  Alto e basso non vanno bene. Innanzi tutto perché in basso ci siamo quasi tutti e in alto pochissimi. Se si è sentito di dover chiedere  la collaborazione di quelli in basso è perché in alto non sapevano più che pesci prendere, loro e i teologi di corte.

  Parlo di teologi di corte in senso proprio, non in senso dispregiativo, perché, lì in alto, si sono inventati proprio delle corti, che sono le piccole cerchie dei mandatari dei monarchi. La teologia è la lingua della gerarchia e quindi sono stati arruolati degli specialisti del ramo. Non c’è da scandalizzarsene. Lo scandalo, semmai, è in quelle monarchie, per cui di uno dei gerarchi ecclesiastici si dice che regna. Tra i compiti dei teologi di corte vi è quello di legittimarne il regno come ufficio sacro, nel senso di voluto dal Cielo, quindi di sacralizzarlo. E di presentare questo come una verità, nel senso di definizione che deve essere accettata se si vuole essere considerati dentro. Il principale riferimento del teologo che fa questo lavoro è il monarca, questo mi pare che ne limiti la libertà di pensiero. La prima persona coinvolta nell’alternativa dentro/fuori è proprio il teologo di corte. Se non soddisfa gli si dà sbrigativamente il benservito.

  Alto\basso richiama l’idea di gerarchia, che è un sistema di potere in cui c’è chi comanda, il gerarca,  e chi obbedisce subendo solamente le decisioni, il suddito, e una struttura dei posti di comando ordinata come in una piramide, nella quale c’è, appunto, un alto e un basso, e man mano che si va verso l’alto c’è un restringimento e al vertice ci sono pochissimi (mai uno solo: nessun potente può realmente fare tutto da solo, a meno che non sia un dio).

  Questo tipo di organizzazione è, ai tempi nostri, tipica dei militari e delle aziende. Fino allo sviluppo dei processi democratici europei, a fine Settecento, si volle organizzare così anche la politica. Oggi un  ordinamento politico di quel tipo si riscontra solo negli stati dittatoriali e, almeno formalmente, nella Chiesa cattolica e, mi pare di capire, nel governo in esilio del Tibet. Sotto questo profilo la Cina comunista e noi cattolici siamo molto simili, almeno stando al diritto canonico, il complesso delle  norme ecclesiastiche. La realtà, però, è che i cattolici hanno superato quel regime. Per questo si è pensato a processi sinodali, dopo aver constatato che ordinare dall’alto era diventato inutile.

  In Europa la democrazia, una forma politica potentemente desacralizzante perché  presuppone che ogni cosa possa essere dibattuta pubblicamente, ci ha liberati dalla tirannia delle gerarchie ecclesiastiche, che ora vengono obbedite solo se e nella misura in cui ciò che ordinano sia considerato  equo e ragionevole. Le possiamo considerare ancora in alto?

  Nel 1945, dopo la caduta del fascismo mussoliniano che nel ’27 ne aveva disciplinato l’attribuzione, venne abolito, nell’ordinamento italiano, il titolo di eccellenza. Venne considerato incompatibile con la nuova nostra democrazia che si voleva costruire (la Costituzione repubblicana venne deliberata nel’47). È ancora in uso per i vescovi cattolici. Ricordo che al primo congresso nazionale del Meic,  a cui partecipai, ormai di diversi anni fa alcuni amici dell’associazione un po’ più anziani mi manifestarono a mezza voce la loro viva insofferenza verso questa consuetudine. 

  “Ma la Chiesa non è una democrazia” sento ripetere da qualcuno ogni volta che faccio notare quanto di democratico c’è nella sinodalità come oggi (vagamente) ci si prefigge di praticare. Ma siamo proprio certi che sia realmente così? Il principio democratico fondamentale è che non ci siano poteri pubblici illimitati e quelli della gerarchia ecclesiastica non lo sono più, se non sulla carta: la rivendicazione della loro assolutezza  manca ormai di effettività, almeno da noi.

  Questo significa che in certe cose non c’è più, di fatto, un alto e un basso.

  Ma, si dice, la piramide è stata rovesciata: il popolo sta ora sopra e i gerarchi sotto, al suo servizio. Non è vero. Ma comunque si tratterebbe sempre di una piramide, con gente che sta sopra e gente che sta sotto. La differenza sarebbe che chi serve sarebbe la minoranza. È mai accaduto storicamente? Se poi fosse così, e ripeto che non lo è, la struttura collasserebbe dopo poco, con tanta poca gente a servire.

  È proprio l’idea di potere piramidale che dovrebbe essere abbandonata come schema organizzativo, per far corrispondere il diritto alla realtà.

  Ora non ci sono istituzioni sociali che riflettano questa nuova situazione e si fa come capita, ma il risultato non soddisfacente. Non si dà più retta ai gerarchi ma nemmeno ci si intende tra noi. Il più delle volte si decide spinti dal l’emotività se non dall’interesse spicciolo. Questo spiega perché in società contiamo poco, non siamo più, realmente,  veicolo del vangelo e quindi fattore di trasformazione sociale. C’è chi dice che non ce ne dovremmo occupare. Ma allora perché questa è stata storicamente l’occupazione principale delle nostre gerarchie?

  Insomma non si tratta solo di rovesciare gerarchie dai troni su cui si sono storicamente piazzate, ma di costruire mediazioni istituzionali diverse, che però non lascino la costruzione sociale, ad esempio, all’estasi estemporanea. Sulle cose da fare occorre ragionare e qui anche teologie liberate dalle corti potrebbero essere utili.

  I saggi dell’ultimo Concilio disegnarono un modello organizzativo circolare,  lasciando però molte ambiguità nel tentativo di suscitare il più ampio consenso. Con il senno del poi possiamo riconoscere che si è trattato di una scelta che ha consentito agli avversari della sinodalità di tentare di tornare indietro.

  Alternativo allo schema piramidale è quello della Tavola rotonda, della leggendaria saga di re Artù. Non nega l’autorità ma prende sul serio il reciproco riconoscersi pari dignità sociale.

  Parlando di alto e basso, va osservato infine che, quando parliamo di Popolo come di una sorta di realtà naturale, immaginiamo ciò che nello schema piramidale sta in basso, perché tutto il resto è solo forma istituzionale, sistema di ruoli sociali.

  In una Chiesa sinodale il popolo dovrebbe essere sempre dovunque riconosciuto parte attiva in ciò che si fa e si decide. Così come chi svolge qualsiasi ministero o ufficio. Si collabora in vari sedi e mentre si lavora in alcune si continua a farlo anche nelle altre, temendosi in contatto.

 Siamo, dovunque nella Chiesa salvo che in Azione cattolica e in poche altre sedi, molto lontano da questo, in particolare nelle parrocchie.

Mario Ardigó- Azione cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.

  

  

  

giovedì 23 marzo 2023

La Chiesa, la sinodalità e la costruzione sociale

 

La Chiesa, la sinodalità e  la costruzione sociale

 

  Stiamo vivendo un sinodo delle Chiese in Italia.

  Si parla di Chiese e non di Chiesa, adottando il lessico che si diffuse ai tempi del Concilio Vaticano 2º (1962-1965), da un lato per riferirsi all’idea di Chiesa locale, una comunità intorno al suo vescovo nella quale c’è già tutto ciò che è Chiesa, e per dire che tutte le persone di fede sono chiamate a partecipare e, innanzi tutto, dovrebbero essere ascoltate, dall’altro per porre al riparo ciò che si intende per Chiesa universale dagli effetti di questo processo. Sull’idea di Chiesa universale i teologi hanno costruito una dottrina: di fatto si manifesta nel Papato come istituzione.

  Il Papa vorrebbe indurre una riforma ecclesiale dal basso. Altrimenti le Chiese e anche “la Chiesa”, intesa come la Chiesa universale, rischiano di divenire organizzazioni dedite alla custodia di musei della fede passata. In gran parte dell’Europa occidentale ciò è già avvenuto. Da noi ci si sta rapidamente avviando a quella situazione.

  Non è che la gente non vada più in chiesa, badate bene. Ci va, ma senza impegnarvi la propria interiorità, solo per celebrare cerimonie, in particolare i riti di passaggio, battesimi, Prime comunioni, matrimoni e funerali. O per cercarvi un aiuto come servizio sociale.

  Come è successo? E perché nelle altre cose l’apparenza ecclesiale non serve  più. Interessa solo piccole cerchie di appassionati a certi suoi aspetti. Non è più una dimensione totalizzante, per la quale si sia prima di tutto persone cristiane. Può essere un rifugio e anche un luogo in cui si lavora. Ma in genere ci si va per le esigenze che ho detto.

   Descritta la situazione e le linee di sviluppo (tra una ventina d’anni le nostre Chiese saranno praticamente annientate, quando fatalmente passerà la mia generazione, tra le ultime ad aver vissuto altri tempi), bisogna decidere che fare, e il Papa lo ha fatto. Mi pare che a una riforma sinodale, almeno in Italia, creda solo lui, poverino. Sulla carta onnipotente sovrano e invece… Ci è simpatico, ma non gli si dà retta. Questo andazzo ha cominciato a manifestarsi ai tempi di Giovanni Paolo 2º, almeno in Italia, diciamo dalla fine degli anni ’80, quando si cercò di ridimensionare il tentativo di riforma innescato dall’ultimo Concilio. Allora sembrò che la religione, alla fine, avesse vinto, quasi prodigiosamente, i totalitarismi comunisti dell’Europa orientale, ma non era quello che si era prodotto. Certo, i vecchi totalitarismi europei erano entrati in crisi, compreso però quello della cosiddetta Chiesa universale. Il nuovo che avanzava, però, era un altro totalitarismo, ma di tipo diverso: ne scrisse per oltre vent’anni il grande sociologo Zugmunt Bauman (1925-1917): vi consiglio la lettura del suo Modernità liquida, del 2000, pubblicato in edizione italiano da Laterza, anche in e-book.

  Una riforma è una forma di costruzione sociale.

  Gli esseri umani sono viventi che costruiscono e governano società, lo scrisse nell’antichità greca il filosofo, sociologo, naturalista Aristotele.

   Nel mondo animale vi sono altri viventi sociali, nel senso che formano gruppi nei quali cooperano in vari modi. Ma, almeno finora, solo gli esseri umani, tutte le specie  del genere Homo - Uomo di cui abbiamo scoperto le tracce, ma oggi siamo rimasti solo noi Sapiens, hanno costruito società. Una società è un gruppo che è ordinato secondo una cultura. Un domani che potrebbe non essere tanto lontano anche le intelligenze artificiali potrebbero fare altrettanto. La fantascienza ha già descritto quello che potrebbe accadere.

  Il processo sinodale è pesantemente condizionato dai teologi, ed era fatale che andasse così perché controllano la lingua parlata dalla gerarchia. Ma la loro teologia, in altri campi molto sofisticata, nel campo dell’ecclesiologia non lo è, è piuttosto carente, striminzita. Questo perché storicamente ebbe il compito principale di sacralizzare la gerarchia, e in fondo è ancora così.

  L’idea che i sociologi, gli esperti in società, hanno della costruzione sociale si può leggere in un testo di diversi anni fa che mi pare essere diventato un po’ un classico: di Peter L. Berger e Thomas Luckmann, La realtà come costruzione sociale, del 1966, pubblicato dal 1968 da Il Mulino  e ancora oggi in commercio. Sostiene, anche sulla base delle osservazioni sul campo, che la società è costruita secondo una cultura ed è la realtà in cui le persone pensano di muoversi, comprensibile, ordinata.

  Le Chiese, intese come comunità locali, e la Chiesa, intesa come universale, sono costruzioni sociali? I teologi ci vedono anche dell’altro e per questo settore dovete rivolgervi a loro.

  Dal punto di vista della sociologia, ma anche dell’antropologia, a ciò che ho letto, sì, sia le Chiese che la Chiesa sono costruzioni sociali. Lo dimostra il fatto che sono cambiate moltissimo nel corso della nostra lunga (relativamente, perché duemila anni rispetto all’intera storia evolutiva degli esseri umani, sono un battito di ciglia) storia di fede, e certamente non c’erano quando il Maestro fu ucciso sulla croce, nel Primo secolo a Gerusalemme, durante l’occupazione romana. Si svilupparono successivamente attingendo alle culture nuove che si vennero formando soprattutto in ambito ellenistico, tra giudei e giudei-cristiani che parlavano greco e utilizzavano la traduzione in greco antico della Bibbia detta Settanta,  che si ritiene essere stata fatta un secolo e mezzo circa prima degli eventi evangelici. E il nuovo veniva vestito d’antico, proprio come accade oggi per la neo-sinodalità che si vorrebbe organizzare.

  Mi ha sempre sorpreso l’importanza che in religione, da noi, si attribuisce all’antico, tenendo conto che il Maestro volle insegnare cose nuove rispetto a quelle che giravano nell’ambiente intorno a lui. Questo però senza cambiare neanche la più piccola cosa nella Legge. In questo era un giudeo e morì come tale. Ma noi non lo siamo più, anche se con l’antico giudaismo, e con l’ebraismo nostro contemporaneo, condividiamo un importante patrimonio culturale. Il distacco, narrano gli storici dei cristianesimi delle origini, fu drammatico, spaccò gli stessi cristiani di allora, non solo cristiani e giudei.

  Ora  noi vorremmo fare diversamente, senza la violenza che ci fu allora, e che poi proseguì anche nei secoli successivi. Questo credo sia apprezzabile, perché ci distacca dalla nostra orrenda storia collettiva, che nell’orrendo non è stata diversa dalla storia che le scorreva accanto.

  Dalla teologia prenderemo ciò che ci serve, come si è sempre fatto. Ma non è la teologia al centro, si tratta di costruire una nuova società, come non c’è mai stata. Se dovessimo attenerci a qualcosa che c’è stato nel passato, si dovrebbe gettare la spugna. Del resto sono i tempi che viviamo, nel mondo degli umani, ad essere veramente nuovi.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

lunedì 20 marzo 2023

Contro il metodo della “conversazione spirituale”

        Contro il metodo della conversazione spirituale 

 

  Su La Repubblica di oggi, 20 marzo 2023, Enzo Bianchi critica il metodo della conversazione spirituale raccomandato per le attività sinodali in corso.

  Ci si riunisce e, invece di affrontare i temi conflittuali – e ce ne sono: sono quelli più sentiti e sofferti dal cosiddetto Popolo di Dio- si sceglie di lasciare spazio a testimonianze, che a volte si trasformano in esibizioni di leader spirituali e che non lasciano spazio al confronto di idee, scoraggiato se non proprio vietato.

Si lasciano parlare tutti, invitando anche all’ascolto reciproco, ma non si lascia spazio al dibattito, si spegne  ogni confronto sul nascere, e poi si decide come si vuole.

  Bianchi scrive  che questo è un inganno che rientra nella tradizione monastica, che lui sostiene di conoscere bene.

 «Non abbiamo bisogno di voci uniformi, né di adulatori, né di parole che ripetono quelle del Papa» aggiunge «ma innanzi tutto di persone che si distinguono per la loro libertà». E inoltre «Non basta ascoltare, occorre poi anche discernere, prendere posizione, opporsi se è necessario, e confrontarsi per giungere a una comunione plurale».

  Il metodo della conversazione, così magnificato nei resoconti dei lavori sinodali preparati da chi li dirige, serve solo a nascondere i conflitti, per paura della libertà. Basta con la paura della libertà!, sbotta Bianchi.

 Conclude così:

       «Se non compariranno cristiani adulti, maturi, con una soggettività ecclesiale che sappia esprimersi, la Chiesa non solo sarà sempre clericale, ma continuerà a essere incapace di una parola profetica, libera, critica. Certo non basta parlare, occorre ascoltare, ma non basta neanche ascoltare, perché occorre poi confrontarsi, discutere, per camminare insieme».

  Manca una soggettività matura: la conseguenza è che le proposte che sono pervenute alla Segreteria del Sinodo dalle assemblee diocesane italiane sono le stesse discusse nei decenni precedenti.

  Condivido totalmente quanto scritto da Bianchi, lui molto più addentro di me, naturalmente, nelle dinamiche ecclesiastiche, che conosce molto bene.

  Probabilmente per cambiare bisognerebbe trovare il tempo e la voglia di fare da sé, come negli scorsi anni ’70 con l’esperienza delle comunità di base, ma senza più farsi acquietare accettando di rientrare seguendo l’ecclesiologia della cosiddetta comunione, interpretata come il tacere, il sottomettersi, il non manifestare situazioni di conflitto che ci sono e che vengono solo nascoste, mentre parlarne potrebbe forse servire almeno a fare chiarezza.

  Che si oppone in Italia agli sviluppi sinodali?

   La Città del Vaticano, ad esempio, dono avvelenato del fascismo mussoliniano, dove il Popolo di Dio entra da straniero e il Papa formalmente regnante è tenuto come prigioniero.

  Gli organismi di polizia politica della Curia, che umiliano clero e religiosi. Come si può parlare di libertà dei figli di Dio, se bastano due righe di burocrati vaticani per cancellare una persona che si è formata per anni per un certo ministero?

  La gerarcocrazia del clero, come la si definì già negli anni Sessanta durante il Concilio Vaticano 2º, che umilia tutto il resto del povero Popolo di Dio.

  In questi giorni è uscito di Luigi Berzano, Senza più la domenica, Effatà 2023, solo in edizione cartacea: la partecipazione alla messa si è ridotta moltissimo, scrive, ma la gente affolla ancora le cerimonie per i riti di passaggio, battesimi, Prime comunioni, matrimoni, funerali, officiati dai preti. Che facciamo? Ne prendiamo atto e ci concentriamo su quelli? Può andare bene, forse, per i gerarchi. I preti se la sentono di vedere ridotta a questo la loro missione? Da persona laica osservo che non vale la pena per noi di intestardirsi sull’interiorità spirituale, se tutto si riduce a presenziare da spettatori a quelle liturgie. Se questo deve essere inesorabilmente l’esito, le nostre Chiese hanno gli anni contati. E i conversanti spirituali non ci possono far nulla.

  Una situazione paradossale, scrive Bianchi, perché in realtà tra i cristiani è ancora attestato molto impegno, soprattutto nelle opere di carità verso i bisognosi, ad esempio i migranti. Una situazione della quale purtroppo non si manifesta di avere consapevolezza, neanche tra coloro che ritengono di essere fieri militanti.

Mario Ardigó- Azione Cattolica in San Clemente papa- Roma, Monte Sacro, Valli

domenica 19 marzo 2023

Attualità sul cammino sinodale in Italia

 

Attualità sul cammino sinodale in Italia

 

 Informazioni sul cammino sinodale in Italia possono aversi a questo indirizzo WEB:

 

https://camminosinodale.chiesacattolica.it/

 

 

 Nel secondo anno del processo sinodale avviato nel 2022 intitolato I Cantieri di Betania buone pratiche,  è stato proposto di occuparsi di queste grandi aree tematiche:

Il cantiere della strada e del villaggio (tradotto dall’ecclesialese: le relazioni con la società intorno);

Il cantiere dell’ospitalità e della casa (tradotto: l’organizzazione interna);

Il cantiere della diaconia e della formazione spirituale (tradotto: i ministeri ecclesiali, vale a dire i compiti assegnati alle persone nell’interesse comunitario).

Un cantiere scelto discrezionalmente da ogni diocesi

  L’immagine del Cantiere, utilizzata per rendere l’idea di come si propone di lavorare quest’anno sulla sinodalità, è una metafora: serve per rendere l’idea di un cooperare prolungato per costruire qualcosa destinato a durare, appunto come si fa in un cantiere. Vale a dire che non ci si vuole appagare del solo trovarsi insieme e anche del solo lavorare, ciò che conta è quello che si vuole costruire.

  L’organizzazione è intitolata I cantieri di Betania richiamando l’episodio evangelico di cui ai capitoli 8, versetti da 1 a 3, e 10, versetti da 38 a 42 del Vangelo secondo Matteo della visita dei Gesù, e dei discepoli che lo seguivano nella sua predicazione itinerante in Palestina, alla casa di Marta e Maria, ,  appunto a Betania (il nome della località si apprende da Vangelo secondo Giovanni, capitolo 11, versetto 1).

   L’autore del documento I cantieri di Betania ci ragiona sopra per avvalorare le indicazioni che vuole dare per lo svolgimento del secondo anno della fase di ascolto del processo sinodale.

 

Questo gruppo che cammina con il Maestro è il primo nucleo della Chiesa: i Dodici e alcune donne che seguono il Signore lungo la via, peccatori e peccatrici che hanno il coraggio e l’umiltà di andargli dietro. I discepoli e le discepole del Signore non percorrono itinerari alternativi, ma le stesse strade del mondo, per portare l’annuncio del Regno. 

  I discepoli sono “coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace” (Costituzione Luce per le genti, del Concilio Vaticano 2º, n.9): non un gruppo esclusivo, ma uomini e donne come gli altri, con uno sguardo però illuminato dalla fede nel Salvatore, che condividono “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono” (Costituzione La gioia e la speranza, del Concilio Vaticano 2º, n.1). 

  Il primo anno della fase narrativa del Cammino sinodale ha rappresentato per molti questa esperienza discepolare di “strada” percorsa con Gesù. Si sono create preziose sinergie tra le diverse vocazioni e componenti del popolo di Dio (laici, consacrati, vescovi, presbiteri, diaconi, ecc.), tra condizioni di vita e generazioni, tra varie competenze. 

  È unanime la richiesta di proseguire con lo stesso stile, trovando i modi per coinvolgere le persone rimaste ai margini del Cammino e mettersi in ascolto delle loro narrazioni. [Dal documento I cantieri di Betania].

 

 Dal documento finale dell’assemblea nazionale dei referenti diocesani svoltasi a Roma l’11 e 12 marzo scorsi si legge:

 

 

Non è mancata la sottolineatura delle fatiche, legate a un calo di entusiasmo e alla problematicità nell’interessare più persone nel Cammino. Dai tavoli è emersa una certa lentezza a integrare lo stile sinodale nella pastorale ordinaria e a incarnare la “Chiesa in uscita”, così come la scarsa formazione alla sinodalità di sacerdoti e laici, il mancato coinvolgimento dei seminaristi, la pesantezza delle strutture, l’utilizzo di un linguaggio non adeguato al nostro tempo, la difficoltà dei presbiteri rispetto al processo sinodale e alla relazione con i laici, la complessità dei passaggi e degli obiettivi del Cammino. La sfida è ora quella di imparare da tali difficoltà per trasformarle in opportunità o superarle […]

 

 Nell’organigramma  del Cammino sinodale nazionale all’art.1 è spiegato chi sono e che fanno i referenti diocesani:

In ogni Diocesi il Vescovo nomina due o più referenti del Cammino sinodale. Essi hanno il compito di animare e coordinare i lavori sinodali della comunità diocesana. Inoltre, redigono sintesi o altro materiale da condividere nei modi e nei tempi indicati dal Comitato del Cammino Sinodale (CS= e dalla sua Presidenza. Il Presidente del Comitato CS, sentiti i membri della Presidenza del Comitato stesso, riunisce periodicamente i Referenti diocesani per momenti di scambio e di riflessione. A questi momenti, su richiesta del Presidente del Comitato CS, possono partecipare i membri delle Commissioni. I Referenti diocesani del Cammino sinodale si riuniscono in Assemblea Generale ogni volta che la Presidenza del Comitato CS li convoca.

Nonostante i toni ottimistici del comunicato, la presa popolare di queste attività è stata scarsissima nelle nostre comunità. Questo risulta dagli stessi numeri diffusi dall’organizzazione. Il mezzo milione di persone che, secondo gli autori de I cantieri di Betania, hanno partecipato quest’anno all’ascolto sinodale sono stati solo una minima parte, più o meno il 3,5 %, dei 15 milioni di italiani che ancora vanno in chiesa ogni tanto. Quindi, la gran parte di chi va in Chiesa non è stata coinvolta nel processo sinodale. Questo corrisponde anche alla situazione della nostra parrocchia.

 Comunque nelle diocesi italiane risultano essere stati attivati al 31 gennaio di quest’anno 377 Cantieri.

  Nella diocesi di Roma sono stati organizzate attività  solo per  i tre obbligatori. In particolare nel sito dedicato

https://www.diocesidiroma.it/cammino-sinodale/

si legge che sono stati costituiti tre Gruppi-cantiere e che «I Gruppi-cantiere saranno a servizio delle parrocchie e delle comunità, considerando che in questa fase saranno le varie realtà ecclesiali a dover contattare all'occorrenza i Gruppi-cantiere per un’attività di supporto.». Si legge anche che «La funzione dei Gruppi-cantiere, infatti, sarà sussidiaria alle realtà diocesane che intenderanno sviluppare un determinato cantiere. Per questo i Gruppi non dovranno produrre materiale, ma saranno disponibili per incontri sul territorio mettendo a disposizione quella ricchezza di informazioni e contatti, che sono frutto dell’attività sinodale e della pastorale degli Uffici diocesani. Avranno anche il compito, come osservatorio specializzato, di favorire la circolazione delle buone pratiche già attivate in altre parrocchie o realtà diocesane.» Sembra quindi che i Gruppi-cantiere  siano delle specie di consulenti, non dovranno in fatti produrre materiale. A richiesta metteranno a disposizione la ricchezza delle informazioni e contatti di cui dispongono. Dovrebbero essere le parrocchie,  o altre realtà diocesane, ad attivarsi. Nella nostra parrocchia non mi pare di aver notato nulla di attivo.

  I Gruppi-cantiere  a Roma risultano inglobati nella burocrazia diocesana, di recente ristrutturata. I coordinatori sono tutti preti.

 La stessa situazione noto nell’organigramma nazionale.

 Tutto sembra in mano al clero, come sempre e dappertutto, come nella nostra parrocchia. Poiché il clero è prevalentemente conservatore, anziani e giovani non fa differenza, anzi spesso i giovani più degli anziani,  non credo che da tutti questi cammini uscirà granché, salvo le esortazioni omiletiche di rito, se noi persone laiche non ci daremo un po’ da fare.

  Tutte le procedure sono pesantemente condizionate dalla teologia di corte, che genera un linguaggio che ai più risulta piuttosto criptico. I problemi veri sono presi piuttosto alla lontana, mi pare.

  Il cammino sinodale mi pare che non vada da nessuna parte per ora, ma che si limiti a girare intorno per gli ambienti consueti, come quando si pratica la Via Crucis. Mi piacerebbe sbagliarmi.

  Sono previste varie fasi, addirittura fino al 2030.

  La prima  è detta Narrativa  e ci dovrebbe occupare fino alla fine di quest’anno.

  E’ così descritta:

«la fase narrativa è costituita da un biennio in cui viene dato spazio all’ascolto e al racconto della vita delle persone, delle comunità e dei territori. Nel primo anno (2021-22) vengono rilanciate le proposte della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi per la XVI Assemblea Generale Ordinaria; nel secondo anno (2022-23) la consultazione del Popolo di Dio si concentrerà su alcune priorità che saranno individuate dall’Assemblea Generale della CEI del maggio 2022.»

 L’ascolto è praticato secondo il metodo della conversazione spirituale, sempre magnificata nei resoconti dei lavori fatti. Sembra che nessuna voce critica si sia levata in proposito. Il principale problema di quel metodo è che impedisce di discutere. Ognuno dice la sua, poi si legge un po’ di Bibbia, si fa qualche preghiera e infine si fa silenzio. Nella striminzita fase d’ascolto fatta in parrocchia, con la presenza di non più di una quarantina di persone in totale, l’ho sentita come una prigione liturgica. Se avessimo potuto discutere, però, non so come sarebbe finita, perché le posizioni tra noi sono molto distanti. Ma non discutere impedisce anche la sinodalità, si rimane tutti come prima.

 La seconda fase è detta pomposamente Sapienziale  e dovrebbe durare fino a tutto il 2024. Viene descritta così::

«La fase sapienziale è rappresentata da un anno (2023-24) in cui le comunità, insieme ai loro pastori, s’impegneranno in una lettura spirituale delle narrazioni emerse nel biennio precedente, cercando di discernere “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” attraverso il senso di fede del Popolo di Dio. In questo esercizio saranno coinvolte le Commissioni Episcopali e gli Uffici pastorali della CEI, le Istituzioni teologiche e culturali.»

  Nella nostra parrocchia non ci è stato comunicato il resoconto della cosiddette narrazioni  fatte negli incontri sinodali (mi pare che siano stati quattro, con partecipazione calante). Su che cosa potremo discutere? Credo che, alla fine, poiché la situazione in Italia penso sia la stessa che da noi, sarà cosa di gerarchi e loro consulenti, che se ne usciranno con ciò che già hanno in mente, immaginando di averci consultati.

 Poi ci sarà la fase ancor più pomposamente chiamata Profetica, che si prolungherà, oltre il Giubileo che si abbatterà anche e prevalentemente sulla nostra città nel 2025, fino al 2030:

«La fase profetica culminerà, nel 2025, in un evento assembleare nazionale da definire insieme strada facendo. In questo con-venire verranno assunte alcune scelte evangeliche, che le Chiese in Italia saranno chiamate a riconsegnare al Popolo di Dio, incarnandole nella vita delle comunità nella seconda parte del decennio (2025-30).»

  Chi deciderà? L’Assemblea o la Conferenza episcopale? L’Assemblea sarà strutturata secondo il solito metodo dei Congressi Eucaristici con noi persone laiche ridotte/i a comparse? Non si sa: questo sarà definito strada facendo. Ad esempio, nel Cammino sinodale delle Chiese tedesche questo era stato messo nero su bianco fin dall’inizio, con un ruolo molto importante dei rappresentanti dell’Organizzazione delle persone laiche.

  Due grandi progetti si sono di nuovo manifestati in Italia in questi anni: il Sinodo delle Chiese italiane (evento mai organizzato prima d’ora) e il Ponte sullo Stretto di Messina (progetto grandioso caratterizzato da molte false partenze). Chissà se, ora ho 66 anni, riuscirò a passare sopra a uno dei due? L’arte di costruire ponti fu tanto importante nell’antica società romana che il più potente collegio sacerdotale a quell’epoca era detto dei pontefici. Il capo era il Pontefice massimo.  Il ruolo aveva anche aspetti politici, tanto che se lo arrogarono, dal Primo secolo, gli imperatori. Poi sappiamo a chi passò quella denominazione.  E, in un certo senso, la costruzione sociale appare talvolta ardua come il costruire grandi ponti.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli