Natura e leggi
All’inizio del corso di laurea in
legge ti spiegano la differenza tra le leggi della natura e quelle giuridiche.
Le leggi della natura
sono dinamiche e regolarità che scaturiscono dall’osservazione empirica e
metodica del mondo e che valgono fino a che risulti diversamente. Indicano come si pensa
che vadano realmente le cose. La loro formulazione fa parte della
cultura, ma le leggi in sé no, quelle esistono a prescindere da come le si
formula e le formulazioni che se ne danno possono anche lasciare a desiderare, e
per questo, progredendo le scienze, vengono riviste.
Le leggi giuridiche
sono integralmente un prodotto sociale e indicano come si vuole che si
agisca in società. Possono essere ordinate da un’autorità o create da
consuetudini sociali. Il primo problema che si ha al riguardo è quello della
loro validità, vale a dire se
possano essere considerate o non un una legge, in un determinato contesto
sociale. L’altro è quello della loro reale efficacia, vale a dire della loro effettività.
Una legge giuridica può essere valida, secondo i parametri stabiliti in un
determinato ordinamento sociale, ma non effettiva e allora va in corso a un
processo di dissoluzione che si chiama desuetudine e che è il contrario della consuetudine.
Quest’ultima è quando la gente si
comporta in un certo modo ritenendo di essere socialmente obbligata a farlo. In
genere le società si muovono approssimativamente seguendo le loro leggi
riconosciute, anche se è endemica una certa quota di trasgressione, alla quale
si rimedia con un sistema di sanzioni, vale a dire con procedure pubbliche che
fanno seguire delle conseguenze negative alle violazioni.
Anche la legge morale
è un prodotto sociale. Indica come si deve fare per praticare la virtù del
bene, secondo un determinato contesto sociale.
I professori di
diritto ti spiegano che la legge morale comprende tutta la persona, mentre la
legge giuridica invece solo una parte della sua vita sociale, che varia di
società in società, e che negli ordinamenti liberali riguarda sostanzialmente
l’esteriorità delle relazioni sociali, senza estendersi all’interiorità. Le
teologie vogliono occuparsi di tutto ciò che c’è e accade, ma in particolare creano
costruzioni concettuali in materia di leggi morali e giuridiche.
Questo fatto che le
leggi di una società dipendano dalla società stessa non soddisfa del tutto in
teologia. Perché, allora, passando da una società ad un’altra cambierebbero le
leggi, ed è proprio quello che si osserva nello studio scientifico delle
società, che si fa nell’antropologia e nella sociologia. Ma, anche, mutando i
tempi cambierebbero anche le leggi della società: e, ancora, è proprio quello
che la storia dell’umanità ci insegna. Mettere in relazione la società con le sue leggi è indubbiamente
una concezione relativista. Si è
pensato di uscirne sacralizzando una parte delle leggi della società, vale a
dire affermandone l’origine divina. Ma, anche in questo caso, lo si è fatto
secondo le particolari concezioni religiose di una società. Cambiando gli dei,
cambiano anche le leggi attribuite alla loro volontà. In un monoteismo, però,
si nega che vi siano altri dei e e quindi altre leggi divinizzate. Valgono solo
quelle attribuite alla propria divinità.
I monoteismi sono in
costante polemica fra loro (perché non ve n’è uno solo) e con i politeismi. Si
capisce perché. Sono stati anche accusati di aver fomentato la violenza, ma
l’addebito non mi convince perché, in genere, tutte le religioni hanno
prodotto violenza sociale, senza distinzione. Chi pensa diversamente chiude
gli occhi di fronte ad una storia (tremenda) che sta lì a dimostrarlo.
Come uscirne?
Una via è quella di
considerare le leggi più importanti come imposte dalla ragione o dalla natura, o da entrambe.
Il mondo avrebbe una sua logica che non potrebbe impunemente essere
contraddetta. Il problema è di stabilirne i fondamenti. Perché del mondo
sappiamo molto, ma ancora troppo poco. E questa via venne escogitata quando se
ne sapeva veramente molto meno. Così, man mano che se ne sapeva di più, tutte le
costruzioni logiche sulle leggi sacralizzate secondo l’idea di legge naturale,
e quindi eterne, immutabili, venivano a perdere di forza di convinzione.
Da qui il drammatico conflitto tra le teologie cristiane e le scienze moderne, in
particolare a partire da Galileo Galilei, vissuto tra il Cinquecento e il Seicento. Si pretese di mantenere ferma
l’immagine del mondo, in modo che non venisse pregiudicata la logica della
legge naturale che su di essa era stata costruita.
L’idea di legge
naturale che si ha in teologia è
molto diversa dalle leggi della natura studiate nelle scienze che si occupano della
fisica e della biologia, vale a dire di com’è veramente la natura e di come va. In particolare è un elemento mitico
che serve alla legislazione morale e giuridica, per fondarne la
validità universale e per convincere della sua effettività. Certe norme ci
sarebbero imposte dalla natura che, a sua volta, viene vista come Creazione
della divinità. La natura, in quanto
voluta dalla divinità, indicherebbe la via al bene, alla virtù, sarebbe quindi buona.
Questo, appunto, il centro del relativo mito.
L’osservazione
empirica e metodica delle società umane
dimostra chiaramente che anche le leggi sociali sacralizzate in quel modo sono
cambiate, e stanno costantemente cambiando. Difficilmente, poi, i risultati
dell’osservazione empirica e metodica dei fenomeni naturali possono convincere
di una natura buona, in particolare della bontà come la si concepisce
nella nostra fede. La natura ci appare spietata, crudele. E, ci avvertono le
scienze biologiche, se non fosse così, un sistema in cui prevale la forza bruta
e chi soccombe viene mangiato da chi vince, la vita sulla Terra non potrebbe
mantenersi e non sarebbe evoluta producendo, tra le molte altre, anche la
nostra specie, che sembra aver fatto
fuori nel corso della sua affermazione sul pianeta anche altre specie di
ominidi determinando l’estinzione (le altre specie estinte del genere Homo finora
individuate sono almeno dieci, ho letto).
Quando si parla di legge
naturale si parte dal concepire una
norma morale che sarebbe voluta dalla divinità, e che quindi si sostiene che
debba essere osservata senza possibilità di negoziazioni sociali, e poi
si cerca di avvalorarne il carattere naturale e quindi universale attingendo
liberamente ai fatti della natura. Non vi è, quindi, una osservazione empirica e
sistematica della natura come realmente è, che infallibilmente
convincerebbe del contrario. E’ molto importante, anche in quest’ambito, essere
consapevoli della differenza tra mito e natura.
Indubbiamente la natura ci determina,
perché siamo realtà biologiche, organismi, espressioni di legge della natura
in misura molto superiore a quello che secondo un certo spiritualismo religioso (che spesso deborda in spiritismo)
si è disposti ad ammettere. La nostra psiche, in particolare, è un prodotto
biologico e, con essa, lo è anche la nostra capacità di esercitare la ragione. Ma
la legge naturale che ci viene
proposta come legge divina, o comunque eterna, è un prodotto
sociale di un’autorità che non ammette di essere messa in discussione e che,
per legittimarsi, fa ricorso al mito di una natura che sorregga le sue leggi.
Un mio lontano
parente, Roberto Ardigò, stimato sacerdote che si pensava potesse far carriera
fino a diventare vescovo di Mantova, un brillante studioso e una persona di
moralità ineccepibile, per aver sostenuto pubblicamente quello che ho sopra
sintetizzato fu censurato da un’autorità ecclesiastica in rotta con il mondo
moderno e impedito dal continuare il ministero sacerdotale. Nonostante gli
inviti a ripensarci, ne prese atto e divenne un importante maestro di psicologia
e di filosofia nell’Università di
Padova. Nel suo La ragione e la fede, del 1870, anno di proclamazione
del dogma dell’infallibilità pontificia, scrisse: «la fede cieca nell’autorità è la
negazione della scienza e del progresso».
Cosa della quale anch’io sono convinto, anche se, a differenza di quel mio lontano parente, da
parte viva della mia Chiesa, purtroppo ancora sottomessa ad un obsoleto e
assurdo assolutismo, spero sinceramente, nonostante le evidenze storiche
contrarie del nostro orrendo passato ecclesiale, che il mio Papa sia realmente infallibile
almeno nell’essenziale.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa –
Roma, Monte Sacro, Valli