Futuro remoto
Ci sono narrazioni e narrazioni: tutte sono, in
qualche modo, produzioni sociali.
Una narrazione esiste se chi narra si rivolge
a una persona che ascolta e si narra per essere ascoltati.
Ma le narrazioni sono, tutte, anche produzioni
mentali. In qualche modo hanno sempre un aggancio con la realtà. Quelle più
affascinanti cercano di rendere un’immagine che corrisponda il più fedelmente
possibile a ciò che si muove oltre la
propria mente. Lo si fa applicandosi pazientemente sulle tracce che ce ne
giungono e confrontandosi sui risultati.
E’ un lavoro che può riguardare il presente,
ma anche il passato e il futuro.
Spesso nelle nostre comunità ecclesiali non
si ha la pazienza di farlo e ci si accontenta di fantasie di natura mitologica
che servono per regolarsi nel presente e nel futuro prossimo.
Eppure gli spiriti religiosi più alti si sono
spinti più lontano, ma solo ai nostri tempi lo si può fare su grande scala e
soprattutto con grande attendibilità. Il risultato spesso sconcerta.
Del resto le narrazioni bibliche, su cui si
esercita in gran parte la nostra religiosità, ci portano poco lontano, almeno
esplicitamente. Quelle affidabili, che hanno reali riscontro, risalgono ad
epoca storica e la storia dura da
circa cinquemila anni, un battito di ciglia rispetto al passato, e comunque poco,
anche considerando la nostra specie, quella dell’Homo sapiens, le cui
prime tracce risalgono a circa duecentomila anni fa, e da allora, almeno nella
struttura fisica, e in particolare nella fisiologia della nostra mente, si è cambiati
pochissimo.
Ci sembrano tanti i duemila anni della storia
dei cristianesimi e sono solo la minor parte di quei cinquemila anni di storia.
Si stima che gli Homo Sapiens siano divenuti capaci di cultura e quindi delle
prime civiltà da circa settantamila anni. Però le prime tracce di ominidi
risalgono a sette milioni di anni fa. C’è una linea evolutiva che ha portato
agli attuali umani, una linea evolutiva tra le altre, la sola ad essere arrivata
fino a noi. Perché gli altri ominidi si sono estinti. Di alcune specie estinte
portiamo traccia nel nostro DNA: questa è un’acquisizione molto recente della
genetica; risale a studi pubblicati nel 1997.
Nei
programmi scolastici si cerca di dare consapevolezza fin dai primi anni della
scuola secondaria, ma nella formazione religiose di solito se ne prescinde
completamente. Ci si ferma a spiegazioni bambinesche, che vanno bene, appunto
per bambine e bambini. Ma così non va bene. Infatti, com’è scritto:
Quand'ero bambino,
parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho
eliminato ciò che è da bambino.
[Dalla prima lettera di
Paolo di Tarso ai Corinzi, capitolo 13, versetto 11 – 1Cor 13, 11- versione in
italiano CEI 2008]
Sembra che ci si aspetti che, nelle cose
della religione, a parte chierici e religiosi, si debba rimanere bambine e
bambini e questo viene presentato come una virtù sulla base del famoso detto
evangelico del diventare come bambini, che però non va interpretato in quel
senso, naturalmente. Infatti il Maestro radunò intorno a sé uomini e donne, non
bambini e bambine, e chiese loro decisioni importanti, difficili, rischiose, da
uomini e donne, non da bambine e bambini.
I Papi hanno istituito una Pontificia accademia
delle scienze (nel Seicento) e, dal 1994, una Pontificia accademia delle
scienze sociali, per promuovere il dialogo informato e affidabile tra fede
e scienze e fornire elementi affidabili per i documenti del magistero che
toccano competenze scientifiche. Di quegli organismi sono stati chiamati a far parte
anche scienziati non credenti, agnostici o credenti in altre fedi. Le scienze,
infatti, progrediscono nel dialogo e quanto più vasto esso è maggiormente si
progredisce.
Invece, nelle nostre comunità ecclesiali, si
nota spesso una pastorale dell’ovile, nel senso che si cerca di
orientarle in modo che non emergano problemi, in particolare quelli creati,
appunto, dal pensiero scientifico e dal pluralismo sociale.
Non c’è da meravigliarsi, dunque, che le
persone giovani, quando si confrontano con un maggior grado di autonomia, tendono
ad allontanarsi da una pratica religiosa che diviene progressivamente inutile, per
ciò che a loro serve.
Lo sviluppo di una sinodalità ecclesiale di
base potrebbe giovarsi di pratiche comunitarie diverse, per le persone che sono
interessate ad allargare i propri orizzonti, come tipicamente sono le persone
giovani. Mi pare che, invece, le attività che si programmano siano in genere
adatto a un pubblico piuttosto avanti con gli anni. Certo ci sono anche le
persone anziane, ma bisognerebbe occuparsi anche delle altro, e non solo nell’ottica
della preparazione ai sacramenti.
Non sto a criticare quello che si fa, dico
solo che non mi pare sufficiente, che bisognerebbe integrarlo con altro.
Ai tempi nostri la scienza ci ha consentito
di spingere le nostre indagini e, quindi, le nostre conoscenze, fin ai primi
istanti del manifestarsi della natura come oggi ancora è e, di conseguenza, di
fare previsioni sul futuro remoto. Sappiamo già, con buona affidabilità, come e
quando finirà il nostro sistema solare, e quindi la nostra Terra. Sappiamo che,
nel volgere di centinaia di milioni di anni, la deriva dei continenti cambierà
profondamente l’aspetto delle terre emerse, come è avvenuto negli ultimi trecento
milioni di anni, con lo sviluppo dei continenti come li conosciamo oggi da un
originario supercontinente. Solo cinque milioni e mezzo di anni fa non esisteva il Mar Mediterraneo
come lo conosciamo oggi: si era quasi completamente prosciugato; poi l’Oceano si
riversò nella grande depressione che ora ne costituisce di nuovo il bacino.
Ma, ci si può chiedere: visto che la speranza
di vita degli esseri umani in Europa è poco più di ottant’anni, che ci importa
di eventi che accadranno tanto lontano nel futuro? Il problema è che l’umanità
del lontano futuro sarà lo sviluppo della nostra specie, di noi esseri umani di
adesso. Si è emersi dagli altri primati da duecentomila anni circa, ma, visto
lo sviluppo velocissimo, e non di rado catastrofico, dell’umanità, non possiamo
essere sicuri che nostri discendenti saranno ancora vivi tra duecentomila anni.
Dipenderà fondamentalmente dall’organizzazione sociale che l’umanità saprà
darsi. E’ stato un tema che nel magistero di papa Francesco è stato molto
sviluppato. Però nella nostra Chiesa non di rado il succedere di un Papa ad un altro
ha portato ad abbandonare filoni di approfondimento del magistero passato,
anche se si è sempre cercato di stabilire una certa continuità, specialmente
nel campo della politica e l’organizzazione sociale attiene proprio ad essa.
Le teologie
cristiane hanno cominciato da tempo ad approfondire il significato per la fede
di ciò che si è saputo in modo affidabile sul passato dell’umanità e, quindi,
anche sul suo futuro remoto. C’è, mi pare, una
obiettiva difficoltà di farlo rientrare nell’idea di Creazione e di Provvidenza. A volte si ricade nel
mito o nel fantastico cercando di dare una coerenza che non è di immediata
evidenza, anche se rientra nei nostri auspici spirituali.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli