Religiosità come esperienza popolare
Si può essere religiosi in molti modi e tutti mi interessano.
Ve ne sono alcuni che fecero e ancora fanno molto male: anche tra i cristiani. Nel momento in cui, al liceo, me ne cominciai a rendere conto nel corso di storia, capii anche che me l’avevano taciuto e ancora, per i più, è così.
Quando, ad un certo punto, vi si accenna, si tende a minimizzare e, soprattutto, a contestualizzare e storicizzare, sostenendo che in certe epoche del passato si faceva così dappertutto, ma poi si è cambiati. Che certi efferati costumi religiosi fossero diffusi e approvati a quei tempi, tra i cristiani, in particolare come forma di governo, lo si può ritenere attestato da fonti numerose, concordi e affidabili. Lo stesso può dirsi sul fatto che, ad un certo punto, si sia iniziato a cambiare: non parlo di molti anni fa, ma di decenni, anche se il peggio ce se lo è lasciato dietro le spalle verso fine dell’Ottocento. Tra i cattolici la vera differenza l’ha fatta il Concilio Vaticano 2º, celebrato a Roma, principalmente nella Città del Vaticano, da cui la denominazione di “Vaticano”, tra il 1962 e il 1965. Ed è stato quello il maggior risultato di quel congresso di vescovi di tutto il mondo, non la riforma liturgica che comunque ha liberato la gente di fede, il popolo, dal latino ecclesiastico in quel campo, lingua che ormai pochi, anche tra gli stessi chierici, intendevano.
Certo, capisco che non è facile parlarne nella formazione religiosa di base, e anch’io avrei difficoltà a spiegarlo a persone che mi siano più o meno estranee e che tuttavia dovessi guidare sulla via della fede. Così, penso che un buon inizio in questo campo è di approfondire le relazioni personali, ciò che però raramente si può fare, almeno nel catechismo per i più giovani in Italia. Con le mie figlie queste difficoltà io e mia moglie non le abbiamo avute, appunto perché non ci eravamo reciprocamente estranei e noi genitori eravamo imbevuti della nostra fede come “biscotto inzuppato nel vino” (una immagine che traggo da una preghiera che un amico della FUCI trascrisse sul nostro bollettino ma senza indicarne l’autore). La Bibbia, naturalmente, aiuta, perché è piena di violenza, anche stragista, e di persone che però non cessarono di cercare di praticare una religiosità misericordiosa verso ogni altra.
Ad un certo punto con queste cose bisogna confrontarsi realisticamente. E si scopre, allora, che ciò che in merito sostengono i cosiddetti nemici della religione è degno di fede.
La religione non è una favola: è un aspetto molto importante della vita umana ed è utile se non la si prende per una favola.
Spesso le storie devozionali che si raccontano alla gente e che poi ci si ripete in giro hanno l’aspetto di favole e, così, non sono veramente nutrienti per lo spirito.
A volte le persone adulte manifestano una spiritualità da bambini, e in genere è perché l’unica vera formazione religiosa che hanno avuto risale a quell’età.
La religione è sempre un fatto di popolo.
Certo, ha anche riflessi sulla psicologia individuale, e a volte viene presentata come una sorta di medicina dell’anima. Non critico che vive in quel modo la propria religiosità: per ciò che ho potuto constatare, però, alla lunga non funziona.
Definiamo popolo una collettività che si dà un ordinamento politico, vale a dire un governo.
Nei racconti del Nuovo Testamento possiamo notare il fermento da cui si sarebbero formati, piuttosto rapidamente, nel giro di qualche decennio, popoli cristianizzati, in particolare negli Atti degli apostoli e nelle Lettere. Paradossalmente il Maestro non fu, ne volle essere, un capo politico. Non organizzò una Chiesa come poi fu intesa dopo la sua morte, quindi come corpo anche politico. Girava per la Palestina e dintorni con dei seguaci più intimi, ai quali spiegava ogni cosa, ma, ad esempio, non li lasciò sul territorio a governare le comunità che localmente si coagulavano. Il suo appello alla conversione era diretto più che altro alle singole persone, così anche le sue critiche. Fu critico con il ceto sacerdotale che officiava nel Tempio di Gerusalemme, ma non operò per abbatterlo. Lo stesso atteggiamento tenne verso i crudeli occupanti romani, in un tempo gravido di moti insurrezionali contro di loro.
Però la conversione alla quale chiamava la gente ebbe sicuramente un valore anche politico, incidendo sui costumi sociali. Si creò intorno alla sua figura un movimento di popolo, come quando fu organizzata, ma non da lui e dai suoi seguaci, una manifestazione per acclamarlo quella volta che fece ingresso a Gerusalemme poco prima che le cose prendessero una brutta piega per lui.
L’istituzionalizzazione della nostra Chiesa, che dall’Ottocento si diede (tardivamente) uno statuto assolutistico proprio al tempo in cui gli assolutismi europei iniziarono velocemente a tramontare, ha in qualche modo eclissato questa dimensione politica di popolo, ammettendo quanto al popolo una certa autonomia solo nel campo della fantasiosa religiosità detta popolare, tollerata finché innocua dal punto di vista politico.
La dimensione popolare della religiosità (non solo come folclore tradizionale locale) di ogni religiosità non solo di quella dei cristianesimi, rende ragione del fatto che essa possa essere anche malvagia e mortifera. Nei popoli c’è infatti anche male, e la tentazione della violenza è sempre fortissima. L’idea di poter superare la violenza in politica, ed anche in religione, è molto recente ed è connessa agli sviluppi delle democrazie avanzate, in particolare di quelle dell’Europa occidentale dal secondo dopoguerra, quindi dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nel 1945.
I popoli esprimono anche il male, anche nella loro religiosità.
Oggi da noi si predica che la religione non è veramente tale se ammazza e distrugge. Ne prendo atto, ma la storia insegna che è solo da poco che in alcune religioni si è cominciato a pensarla così. L’ultimo Papa ad ordinare stragi politiche fu il primo degli infallibili: la finì nell’anno 1870, quando fu spodestato, al termine di una breve ma sanguinosa guerra, dal suo regno romano dalle truppe del Regno d’Italia,
Se guardiamo al conflitto arabo-israeliano che, ancora in corso, sta devastando la Palestina vi vediamo all’opera politiche a sfondo espressamente religioso particolarmente mortifere, con i miti della Terra predicati dall’una e dall’altra parte in conflitto. Si tratta di territori nei quali storicamente, nel Medioevo, potenze europee sedicenti cristiane guidate addirittura da Papi hanno perpetrato stragi orrende per farne la loro cosiddetta Terra santa.
Così una persona adulta che, ad esempio, vuole riaccostarsi alla religione dopo averla un po’ messa in secondo piano deve fare realisticamente i conti con questa dimensione popolare. Non può aspettarsi che gli basti seguire la dottrina che le viene frettolosa somministrata, con toni apologetici e propagandistici, per rimetterla in qualche modo in linea.
Popolo nel greco antico si diceva laòs, da cui laicità. Di solito nella nostra Chiesa si è detti laici, perché non si è chierici né inquadrati in un ordine religioso (monache, monaci, frati, suore e altre figure di religiosi). Una volta era una condizione di umiliante minorità, poi la situazione è iniziata a cambiare, in particolare nello sviluppo dei processi democratici avanzati dell’Europa occidentale. Democrazia ha dentro il dèmos, parola greca che indica il popolo che si governa. Nella nostra religione questo processo è stato positivo, ma va approfondito. Si richiede una laicità più consapevole, responsabile e attiva. In particolare nella nuova sinodalità ecclesiale che, tra fortissime resistenze, si vorrebbe praticare, a partire dalle realtà di base, dove c’è il vero popolo, non quello solo sognato dei teologi. Senza questa dimensione popolare, di laòs-dèmos la religiosità personale mi pare che vada poco lontano, rimane superficiale, e più che una medicina si può rivelare, come dicono i critici della religione, una droga, tra le tante.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli