Relativismo e sinodalità
Qualche giorno
fa ho scritto del filosofo della scienza Giulio Giorello (1945-1920). Si è
confrontato anche con questioni ecclesiali e, in particolare, su quella della
costruzione di verità normative
mediante una organizzazione ecclesiastica assolutistica, che è anche il grande
problema da affrontare sulla via della sinodalità ecclesiale diffusa, di cui si
è trattato nei processi sinodali da poco conclusi.
Chi volesse approfondire, può leggere di
Giorello Di nessuna chiesa – la libertà del laico, pubblicato da
Raffaele Cortina nel 2020, disponibile anche in formato digitale Kindle.
L’assolutismo
ecclesiastico della Chiesa cattolica non risale alle origini, nelle quali si
manifestò anzi un vasto pluralismo, né alle epoche in cui, nel Primo millennio, si produsse un cristianesimo imperiale,
integrato nell’ideologia politica dell’impero romano, nelle sue varie
metamorfosi che lo portarono ben lontano dalla nostra città, dove si era
cominciato ad organizzarlo. Né all’effervescente età del Basso Medioevo, tra
l’11° e il 15° secolo quando il Papato romano iniziò ad organizzare un proprio
cristianesimo intorno ad un proprio potere ad imitazione dei coevi poteri imperiali
europei. Ma nemmeno all’epoca
successiva, in cui, tra il 16° e il 18° secolo, in Europa si organizzarono gli
stati nazionali, con il definitivo superamento del precedente modello imperiale
(da allora continuarono ad essere proclamati imperi, ma essi furono
molto diversi dagli imperi universali e cristianizzati sul modello
bizantino). E’ fondamentalmente un modello di politica ecclesiastica pensato e
attuato dall’Ottocento europeo nelle istituzioni del Papato romano nella
contrapposizione frontale, con una lotta senza quartiere, contro l’Illuminismo,
il liberalismo, la democrazia liberale, il socialismo marxista,
l’irredentismo nazionalistico italiano che infine lo privò del suo regno
nel Centro-Italia. Esso ebbe una tappa importante nella deliberazione del dogma
dell’infallibilità del Papa di
Roma nelle enunciazioni solenni in materia di dottrina e morale deliberato
durante il Concilio Vaticano 1°, svoltosi a Roma dal 1869 e interrotto e
sospeso nel 1870 a seguito dell’abbattimento dello Stato Pontificio, il piccolo
regno dei Papi nell’Italia centrale con capitale Roma, per conquista militare,
all’esito di una breve ma sanguinosa guerra, da parte delle truppe inviate dal
Regno d’Italia.
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Il Concilio Vaticano I e il dogma dell'infallibilità
pontificia
Il Concilio Vaticano I si tenne tra il 1869 e il 1870 e fu convocato da Papa Pio IX con la bolla "Aeterni Patris" del 29
giugno 1868. Fu il ventesimo concilio ecumenico della Chiesa cattolica e si
svolse principalmente nella Basilica di San Pietro a Roma. La sua convocazione
avvenne in un contesto storico e politico complesso, caratterizzato
dall'avanzata del liberalismo, dal crescente razionalismo, dal nazionalismo e
dall'unificazione italiana, che minacciavano il potere temporale del papa.
Obiettivi principali del Concilio
Il
Concilio Vaticano I aveva due obiettivi principali:
1.
Affrontare le
sfide del razionalismo, del materialismo e del modernismo, riaffermando l'autorità della Chiesa e la sua capacità di
interpretare la rivelazione divina.
2.
Definire il
ruolo e i poteri del papa nella Chiesa,
culminando nella definizione del dogma dell'infallibilità pontificia.
Il dogma dell'infallibilità pontificia
Il
punto centrale e più controverso del Concilio fu la deliberazione sul dogma dell'infallibilità pontificia,
che fu proclamato il 18 luglio 1870
con la costituzione dogmatica "Pastor
Aeternus".
Contenuto del dogma
Il
dogma stabilisce che:
1.
Il papa è infallibile quando, in qualità di pastore e dottore di
tutti i cristiani, esercita il suo ufficio supremo e definisce una dottrina
riguardante la fede o la morale.
2.
Questa infallibilità è
garantita dallo Spirito Santo e fa parte della promessa di Cristo a Pietro, per
garantire la solidità della fede nella Chiesa.
Condizioni dell'infallibilità
L'infallibilità
papale si applica solo quando il papa:
·
Parla ex cathedra (ossia ufficialmente, in quanto capo della Chiesa
universale).
·
Definisce una dottrina che
riguarda la fede o la morale.
·
Intende vincolare tutta la
Chiesa a tale definizione.
Processo decisionale e l'atto formale
L'atto
formale con cui fu deciso il dogma è la Costituzione
dogmatica "Pastor Aeternus", adottata dai padri conciliari e
promulgata da Papa Pio IX. Essa è composta da quattro capitoli:
1.
Il primo capitolo tratta
del primato apostolico di Pietro.
2.
Il secondo capitolo
approfondisce il primato di giurisdizione dei papi come successori di Pietro.
3.
Il terzo capitolo
definisce la perpetuità del primato petrino nella successione papale.
4.
Il quarto capitolo (il più
importante) definisce l'infallibilità pontificia.
La
votazione finale avvenne il 13 luglio
1870. Dei 601 padri conciliari presenti, 451 votarono a favore, 88
contro e 62 si astennero. Dopo ulteriori discussioni, il testo definitivo
fu approvato il 18 luglio 1870 con
533 voti favorevoli e 2 contrari.
Controversie e reazioni
·
Il dogma incontrò forti opposizioni all'interno del
concilio stesso. Un gruppo di vescovi, noto come "minoranza", riteneva che la definizione
dell'infallibilità fosse inopportuna o rischiasse di esacerbare le divisioni
interne ed esterne alla Chiesa.
·
Dopo l'approvazione,
alcuni membri della minoranza, pur accettando formalmente il dogma, lasciarono
Roma per evitare di votare contro. Tra questi vi fu il cardinale Filippo Maria Guidi, inizialmente
critico, ma poi conciliato con il papa.
·
All'esterno, la
proclamazione del dogma suscitò reazioni
negative tra i governi laici e i protestanti, rafforzando la percezione di
un centralismo romano nella Chiesa cattolica.
Conclusione del Concilio
Il
Concilio Vaticano I si interruppe bruscamente pochi mesi dopo, a causa della
presa di Roma da parte delle truppe italiane il 20 settembre 1870, che segnò la fine del potere temporale dei papi.
Nonostante l'interruzione, il dogma dell'infallibilità pontificia resta uno dei
risultati più significativi e duraturi del Concilio.
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Che una
singola persona fisica possa essere realmente infallibile in qualsiasi campo va contro il senso comune,
ma in religione si è abituati a cose simili. Comunque il dogma c’è, è una legge
ecclesiastica molto importante che definisce chi può essere considerato cattolico
e chi non, e in questo senso ha una forte
valenza politica. Si spera che sia come è stato detto pur se vi sono evidenze in
contrario, come del resto in molte altre cose in religione: La fede è fondamento di ciò che si spera
e prova di ciò che non si vede [dalla Lettera agli ebrei, capitolo 11, versetto 1 - Eb 11, 1 – versione in italiano CEI
2008]. Questo anche se i teologi restringono molto il campo delle pronunce infallibili adottate da allora. Una di queste,
espressamente presentata come una pronuncia solenne in materia di dottrina e
morale, c’è nell’enciclica Il vangelo di vita – Evangelium vitae, del
1995, del papa Karol Wojtyla – Giovanni Paolo 2°:
57. […] Dinanzi
al progressivo attenuarsi nelle coscienze e nella società della percezione
dell'assoluta e grave illiceità morale della diretta soppressione di ogni vita
umana innocente, specialmente al suo inizio e al suo termine, il
Magistero della Chiesa ha intensificato i suoi interventi a difesa
della sacralità e dell'inviolabilità della vita umana. Al Magistero pontificio,
particolarmente insistente, s'è sempre unito quello episcopale, con numerosi e
ampi documenti dottrinali e pastorali, sia di Conferenze Episcopali, sia di
singoli Vescovi. Né è mancato, forte e incisivo nella sua brevità, l'intervento
del Concilio Vaticano II.
Pertanto, con l'autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in
comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che
l'uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre
gravemente immorale. Tale dottrina, fondata in quella legge non
scritta che ogni uomo, alla luce della ragione, trova nel proprio cuore
(cf. Rm 2, 14-15), è riaffermata dalla Sacra Scrittura,
trasmessa dalla Tradizione della Chiesa e insegnata dal Magistero ordinario e
universale.
La scelta deliberata di privare un
essere umano innocente della sua vita è sempre cattiva dal punto di vista
morale e non può mai essere lecita né come fine, né come mezzo per un fine
buono. È, infatti, grave disobbedienza alla legge morale, anzi a Dio stesso,
autore e garante di essa; contraddice le fondamentali virtù della giustizia e
della carità. «Niente e nessuno può autorizzare l'uccisione di un essere umano
innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato
incurabile o agonizzante. Nessuno, inoltre, può richiedere questo gesto omicida
per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabilità, né può
acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità può
legittimamente imporlo né permetterlo» [citazione
dalla Dichiarazione sull’eutanasia I diritti
e i valori – Iura et bona della Congregazione
per la Dottrina della Fede, del 5-5-80
Nel diritto alla vita, ogni essere
umano innocente è assolutamente uguale a tutti gli altri. Tale uguaglianza è la
base di ogni autentico rapporto sociale che, per essere veramente tale, non può
non fondarsi sulla verità e sulla giustizia, riconoscendo e tutelando ogni uomo
e ogni donna come persona e non come una cosa di cui si possa disporre. Di
fronte alla norma morale che proibisce la soppressione diretta di un essere
umano innocente «non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere
il padrone del mondo o l'ultimo miserabile sulla faccia della terra non fa
alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente
uguali».
Naturalmente i teologi specializzati
nel campo hanno delimitato la portata della
pronuncia infallibile contenuta in quel documento all’enunciato “confermo
che l'uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre
gravemente immorale”: rimangono aperti i molti dilemmi etici collegati che,
fondamentalmente, sono riconducibili alla definizione dello stato di necessità, in presenza del quale diviene
non punibile qualcosa di oggettivamente illecito. Ogni volta che d’autorità si
impone una condotta o un divieto sotto pena di esclusione sorge la questione,
prettamente giuridica, di delimitare accuratamene il comando.
Quindi, dalla metà Ottocento, si è prodotto quell’assolutismo
ecclesiastico, del quale è espressione anche il dogma dell’infallibilità pontificia, che ha improntato anche, ad esempio, la nostra
Azione Cattolica, almeno fino alla riforma dello statuto del 1969, la catechesi e la prassi ecclesiale ad ogni
livello, rendendo la gente eccessivamente dipendente dai preti in ogni cosa,
situazione che si sta cercando di correggere con una riforma in senso sinodale
diffuso, pena gravi problemi perché i preti sono sempre meno, almeno in Europa
occidentale. Lo stesso ruolo del prete, il
quale da predicatore, sacerdote e persona che presiede una comunità di fede è
stato obbligato ad essere anche una
specie di autocrate sotto stretti vincoli gerarchici con i superiori, ne è
stato pesantemente segnato.
Come spiega
Giorello, all’assolutismo si contrappone
il relativismo che è quando, nel capire che fare e che pensare, si tiene
conto del contesto. Nella dottrina cattolica contemporanea, a differenza delle
scienze contamporanee, esso è presentato come un male, essenzialmente perché
pone in questione il potere ecclesiastico, attualmente accentrato in una
gerarchia ancora con ordinamento assolutistico centrato sul Papato romano. Vi è
collegato il concetto di verità in
senso politico, come quel complesso di enunciati ai quali si è obbligati a consentire per essere riconosciuti dalla
gerarchia ecclesiastica come parte della Chiesa.
Dall’epoca della deliberazione del dogma
dell’infallibilità le verità di fede sono rimaste sempre le stesse? Vi invito a rifletterci sopra. Il mio parente Roberto Ardigò, prete, fu sospeso
dal suo ministero di prete per aver sostenuto pubblicamente che le scienze
naturali devono seguire il loro metodo, principio di autonomia scientifica che poi fu accolto durante il Concilio
Vaticano 2°, un secolo dopo.
Dalla Costituzione sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo La gioia e la speranza – Gaudium et spes – deliberata
durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965)
36. La
legittima autonomia delle realtà terrene.
Molti nostri contemporanei, però, sembrano
temere che, se si fanno troppo stretti i legami tra attività umana e religione,
venga impedita l'autonomia degli uomini, delle società, delle scienze.
Se per autonomia delle realtà terrene si vuol
dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che
l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una
esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini
del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore.
Infatti è dalla stessa loro condizione di
creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà,
le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l'uomo è tenuto a
rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza
o tecnica.
Perciò la ricerca metodica di ogni
disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme
morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e
le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio (62).
Anzi, chi si sforza con umiltà e con
perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza prenderne
coscienza, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in
esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono.
A questo proposito ci sia concesso di
deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non sono mancati nemmeno
tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima
autonomia della scienza, suscitando contese e controversie, essi trascinarono
molti spiriti fino al punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra
loro (63).
Se invece con l'espressione « autonomia delle
realtà temporali » si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e
che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a nessuno che
creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni.
La creatura, infatti, senza il Creatore
svanisce.
Del resto tutti coloro che credono, a
qualunque religione appartengano, hanno sempre inteso la voce e la
manifestazione di Dio nel linguaggio delle creature.
Anzi, l'oblio di Dio rende opaca la creatura
stessa.
[dalla voce
Roberto Ardigò del Dizionario Biografico
degli italiani Treccani - https://www.treccani.it/enciclopedia/roberto-ardigo_(Dizionario-Biografico)/
[…]17 marzo
1869, in occasione della festa del suo liceo, denominato "Virgilio"
dal 21 giugno 1867, l'Ardigò lesse un discorso su Pietro Pomponazzi.
[…]
Nel Discorso,
celebrata l'irresistibile efficacia del pensiero nel determinare il progresso
umano, si esaltano la Riforma, insorta contro le "innaturali pretese di
una assorbente autorità", la Rivoluzione francese, "che promulgò le
nuove tavole dei diritti dell'uomo", e il Rinascimento, che pose i
principî razionali da cui nacquero le moderne scienze positive. In particolare,
al Pomponazzi l'Ardigò ascrive il merito di avere intuito il principio della
naturalità dei fenomeni, cioè della loro universale connessione sotto leggi
puramente naturali, di avere esteso tale principio al mondo morale, di aver
portato nelle indagini filosofiche il metodo positivo dell'osservazione e
infine di aver sostenuto "la necessità assoluta dell'organismo per tutti
indistintamente gli atti del pensiero".
Il
discorso, subito stampato, fu messo all'Indice con decreto del 1º giugno 1869.
Il 4 settembre successivo giunse poi al Martini, allora vicario capitolare,
l'ordine di sospensione a divinis dell'A.,
colpevole di mancata ritrattazione. All'ordine l'Ardigò si rassegnò,
dichiarando tuttavia di ritenerlo ingiusto e dettato non da zelo di religione,
ma da spirito di partito, convinto com'era dell'ortodossia delle proprie teorie
(che gli parevano identiche a quelle sostenute da A. Secchi nell'Unità
delle forze fisiche): espresse perciò la ferma risoluzione di non
rinnegare nulla di ciò che aveva detto e stampato.
[…]
Il 2 sett. 1870 la Gazzetta di Mantova
pubblicò una dichiarazione dell'Ardigò contro il dogma, allora definito,
dell'infallibilità papale: l'A. affermava di non accettarlo e di considerarlo
anzi come una vera stoltezza. Il 7 apr. 1871 l'Ardigò comunicò per iscritto al
Martini la determinazione sua di svestire l'abito ecclesiastico, attuata il 10
di quel mese. Rammaricandosi che non gli si permettesse di essere buon prete,
accompagnava il suo atto con il dichiarato proposito di rimanere buon secolare.
Vani risultarono i tentativi fatti dal Martini, ed anche un colloquio, avvenuto
non più tardi del febbraio del 1872, tra l'Ardigò e Pietro Rota, non ebbe
seguito; una lunga e acre polemica sulla Psicologia, condotta tra l'agosto e il
dicembre del 1872 sulle colonne del Vessillo cattolico e della Provincia di
Mantova, rispettivamente dal Rota e dall'Ardigò, sancì la definitiva
rottura.
La democrazia ci ha affrancati dalla violenza
politica che in passato si abbatté su chi era considerato eretico o semplicemente
dissentiva dall’autorità ecclesiastica, da ultimo durante la spietata
persecuzione dei cosiddetti modernisti all’inizio del Novecento. Oggi si rischia al
più l’emarginazione e l’oblio ma solo in ambito ecclesiale. L’assolutismo
ecclesiastico non è più molto avvertibile nelle realtà di base, come le
parrocchie, ma comunque ostacola la partecipazione popolare alla missione dell’evangelizzazione
e alla stessa costruzione delle comunità di fede, dove le persone più assidue
sono ormai quelle piuttosto anziane e
sempre in minor numero, anche se nelle celebrazioni maggiori e, soprattutto, in
quelle che riguardano gli eventi centrali della vita delle persone, nascita,
matrimonio, morte, vengono ancora in molti. Però non si tratta in genere di una
partecipazione attiva, si viene per assistere, spesso senza sapere bene che
fare e il significato di ciò che si svolge intorno agli altari.
Tra pochi giorni inizierà l’Anno Santo del 2025:
una serie di eventi che trova origine nel Basso Medioevo, al tempo della trasformazione
del Papato romano in un impero religioso.
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Il
primo Anno Santo (o Giubileo) fu indetto nel 1300 da Papa Bonifacio VIII. L'annuncio avvenne tramite la bolla papale "Antiquorum fida relatio".
Questo evento segnò l'istituzione formale del Giubileo nella Chiesa cattolica.
Contesto e significato
1.
Origine
biblica: L'idea del Giubileo si ispira al concetto
dell'anno giubilare presente nell'Antico Testamento (Levitico 25), in cui ogni
50 anni era proclamato un anno di liberazione e remissione dei debiti.
2.
Primo Giubileo: Papa Bonifacio VIII stabilì che, recandosi in pellegrinaggio a Roma e
visitando le basiliche di San Pietro e San Paolo fuori le mura, i fedeli
avrebbero potuto ottenere l'indulgenza plenaria, cioè la remissione totale
delle pene temporali per i peccati confessati e pentiti.
3.
Successo
straordinario: L'iniziativa ebbe un
successo enorme, attirando a Roma migliaia di pellegrini da tutta Europa,
nonostante le difficoltà logistiche dell'epoca. Questo consolidò Roma come
centro spirituale del cristianesimo.
Periodicità
Inizialmente,
Bonifacio VIII aveva previsto che l'Anno Santo si celebrasse ogni 100 anni.
Tuttavia, i successivi Papi modificarono la periodicità:
·
Nel 1350, Papa Clemente VI
indisse un Giubileo straordinario, stabilendo una nuova cadenza ogni 50 anni.
·
Papa Urbano VI nel 1390
ridusse ulteriormente l'intervallo a 33 anni, in riferimento alla durata della
vita di Cristo.
·
Infine, Papa Paolo II
fissò nel 1470 la periodicità attuale di un Giubileo ordinario ogni 25 anni.
Gli
Anni Santi possono anche essere straordinari, indetti in circostanze
particolari, come quello proclamato da Papa Francesco nel 2015-2016, dedicato
alla Misericordia.
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E’ essenzialmente una celebrazione della
centralità del Papato romano, in particolare sulla questione dell’indulgenza plenaria.
Però può essere una buona occasione per incontrarsi e per discutere anche sullo
sviluppo della sinodalità ecclesiale, prendendo consapevolezza che si è ancora
in tante persone a orientare la propria vita secondo il vangelo e che c’è tanto
da fare per diffonderlo.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli