Principi organizzativi di un gruppo
sinodale – 1 –
Ad un gruppo sinodale è possibile che
vogliano partecipare preti o religiose e religiosi, ma ciò non è indispensabile
e il loro coinvolgimento deve avvenire sempre su basi paritarie, pena il
fallimento dell’esperienza sinodale.
Naturalmente si tratta di persone che, in
genere, sono portatrici di particolare competenze nelle tematiche religiose,
per gli studi che hanno fatto, ma non per questo deve essere loro riconosciuta
una particolare autorità: in un gruppo sinodale deve valere la forza degli
argomenti. Inoltre vi saranno persone che sono portatrici di altre competenze
importanti, anche solo, ad esempio, per aver formato famiglie e allevato figli,
esperienza che in genere è preclusa ai preti e, sempre, a religiose e
religiosi. Il gruppo sinodale si fa per integrare tutte queste competenze, in
modo da renderne partecipi le altre persone che vi partecipano.
Naturalmente la teologia è un grosso scoglio
per i più, anche se a volte si è avuta una certa familiarizzazione con quel
complesso di discipline, che oggi si presenta come un gruppo di scienze
specialistiche difficilmente padroneggiabile da una sola persona, anche di
elevata cultura. Purtroppo la formazione teologica e anche il dibattito
teologico risentono nella nostra Chiesa del suo marcato autoritarismo
autocratico, un problema che, nel quadro di una riforma ecclesiale basata sulla
sinodalità diffusa, si sta cercando di superare.
I testi religiosi per i non addetti ai lavori
hanno in genere impronta apologetica, vale a dire sono pura propaganda. I testi
specialistici sono invece troppo complessi per essere affrontati dalla gente
comune. Inoltre le teologie cristiane hanno prodotto nei secoli una vastissima
letteratura e le opere più importanti non sono scritte in italiano. Infine, per
approfondire è necessaria una competenza nelle lingue bibliche e nel latino.
E’ necessario tuttavia avere una certa
familiarità con il lessico teologico e con le questioni rilevanti nel definire
la fede. Di solito di questo si occupa quel ramo specialistico della teologia
che è la teologia fondamentale, che si assume anche il compito di rendere credibili gli enunciati che costituiscono la professione
di fede, sintetizzati nelle formule del Credo,
confrontandosi, argomentando criticamente, con le obiezioni che vengono dalla cultura del
tempo corrente. Comunque anche le opere di teologia fondamentale possono essere
piuttosto impegnative. Ricordo, ad esempio, il Corso fondamentale sulla
fede. Introduzione al cristianesimo del grande teologo tedesco Karl Rahner, che
era piuttosto diffuso tra le persone laiche ai tempi della mia gioventù, ma
che, dato il gergo filosofico piuttosto oscuro
che vi era utilizzato legato al lessico di Heidegger e di Husserl (gli
studenti di Rahner se ne lamentavano), non era una lettura pratica.
Può essere utile a quel fine servirsi del Catechismo
della Chiesa Cattolica (non del Compendio), che è disponibile anche
on line
https://www.vatican.va/archive/catechism_it/index_it.htm
con
l’avvertenza di usarlo non tenendo conto della forza normativa che gli si volle dare imponendolo
anche alle teologhe e ai teologi cattolici, per essi costituendo una sorta di gabbia
culturale, ma solo come strumento di conoscenza. E’ molto utile, perché, rivolgendosi
anche alla teologia, presenta ordinatamente e in modo completo ma sintetico gli
elementi che il magistero ritiene fondamentali per la consapevolezza della
fede. Nello stesso tempo è accessibile anche a una persona colta che non sia
una specialista. Approfondimenti possono poi essere tentati mediante le risorse
sul WEB che siano ritenute affidabili.
Ho trovato molto utile le enciclopedie on line
dell’Istituto dell’Enciclopedia Treccani
https://www.treccani.it/enciclopedia/elenco-opere/
Ci
si può servire dei contenuti disponibili sul portale Scrutatio
Sul portale https://www.bibbiaedu.it/
della CEI sono disponibili varie edizioni della Bibbia, anche in greco, ebraico
e latino.
L’attività di un gruppo sinodale non dovrebbe
sovrapporsi a quella di un gruppo di formazione catechistica, nel quale il
ruolo del catechista è necessariamente di guida ed è quindi connotato da una
componente autoritaria. La formazione almeno di primo livello deve darsi per
presupposta. E’ il risultato che dovrebbe conseguirsi con il percorso formativo
per la preparazione alla Cresima. Se sono trascorsi molti anni da allora, può
essere necessario dargli una rinfrescata, ma in sede diversa dal gruppo
sinodale.
Ancora ai tempi del mio catechismo per Prima
Comunione e Cresima, la formazione che veniva impartita era di tipo teistico, in
linea con quella che ancora era prevalente nelle scuole di teologia. Si
sviluppava razionalmente a partire dal
concetto di Dio e, in questo quadro, venivano collocati Gesù e la cristologia.
La teologia universitaria si sviluppava in trattati corrispondenti a sistemazioni
concettuali risalenti alla Scolastica medievale. Dagli anni ’50 si è accentuata
la dimensione cristologica, anche con maggiore attenzione alle fonti bibliche e
alle tradizioni delle origini, in questo quadro accentuando l’attenzione all’esperienza
umana concreta. Da qui, poi, la grande stagione del rinnovamento della
catechesi, apertasi in Italia nel 1970 con il Documento di base “Il rinnovamento della
catechesi” del 2-2-70
https://www.educat.it/documenti/download/Il%20Rinnovamento%20della%20Catechesi_sito.pdf
I nuovi metodi catechistici, concentrati sulla
motivazione alla fede e sulla vita nuova nella fede, non forniscono però, in
genere, una visione d’insieme dei fondamenti teologici della fede, per cui si è
creata una certa incomunicabilità tra gli specialisti teologici, i quali invece
ne sono consapevoli, e l’altra gente.
Di solito nei gruppi ecclesiali si cerca di
superare quel gap con la mediazione di preti e di religiose e religiosi,
che hanno avuto una specifica formazione teologica. Ma in un gruppo sinodale, che
per funzionare richiede una dignità paritaria tra le persone che vi partecipano,
occorrerebbe migliorare la comune consapevolezza delle questioni teologiche.
Spesso, invece, anche nelle persone adulte si nota che la formazione non è
andata oltre quella ricevuta nell’infanzia.
L’avvertenza da tenere sempre presente è che,
acquisita una certa familiarizzazione con il lessico teologico non bisogna
presumersi teologi, perché la teologia, nelle sue varie branche, è dal Medioevo
un complesso di scienze in senso proprio. Questo però limita la creatività solo
in quel campo, non in quello della religiosità e dell’azione sociale ispirata
dal vangelo. Anzi, per certi versi, la teologia potrebbe rivelarsi
controproducente, addirittura per la propria fede personale. E’ per questo che,
ad esempio, Giuseppe Dossetti non consigliava a tutte le persone l’approfondimento
teologico, che quando avviene deve seguire i principi e i metodi delle relative
comunità scientifiche o non ha valore. E ciò con cui ci si deve necessariamente
confrontare, legato anche ad ere di sconcertante violenza pubblica delle
cristianità assecondata e addirittura promossa dalle gerarchie ecclesiastiche,
potrebbe demotivare alla fede.
Come spesso osservo, le teologie arrivano
sempre dopo che si sono prodotti
dei cambiamenti o se ne è sentita l’esigenza. Forniscono le parole per descriverli
o progettarli. Prima vi è la vita sociale, la società, in particolare quella
delle persone di fede.
Quanto alla dottrina normativa, quella
che in base alla legislazione ecclesiastica corrente consente giuridicamente di
essere riconosciuti come appartenenti alla Chiesa, essa va data per presupposta,
per approfondirne origini, contenuti e linee di sviluppo. In quanto diritto essa è strettamente legata ai mutamenti
sociali. Ogni enunciato normativo ha avuto un’origine storica e non esiste norma
senza ordinamento sociale: ogni ordinamento sociale inizia, evolve e finisce,
come la vita biologica degli umani. L’idea che esistano norme immutate e
immutabili è irrealistica e lo dimostra la storia della nostra stessa Chiesa.
Non credo che un gruppo sinodale, a meno che
non sia composto da specialisti, possa e debba proporsi obiettivi di riforma
dottrinale, mentre possono certamente sperimentarsi forme di ecclesialità più
partecipative di quelle attuali, alla luce delle quali poi gli specialisti possano
ragionare sull’evoluzione delle tradizioni.
Nel lavoro di un gruppo sinodale non metterei
dunque in primo piano questioni di dottrina. L’esperienza maturata nella
fase di attuazione dei principi del Concilio Vaticano 2°, invecchiati senza
aver mai potuto veramente nemmeno scalfire l’ordinamento assolutistico della
nostra Chiesa, consiglia di non partire da lì, ma dalla vita sociale concreta,
diciamo da quell’ambito che in gergo ecclesiastico viene definito pastorale,
per dire che si occupa appunto della vita concreta nella fede e non della
concettuologia. Tenere conto del contesto è l’apporto principale che il lavoro di un
gruppo sinodale può dare nella vita ecclesiale, con spirito che si può definire
laico nella misura in cui il principio di autorità viene messo in
secondo piano rispetto all’esigenza di capire realisticamente il mondo in
cui si vive e i suoi riflessi sulla vita di fede.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli