Riappropriarsi della religione
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Da “I giovani che abbandonano la Chiesa non hanno trovato le risposte giuste” di Paola Bignardi – Avvenire.it 5 novembre 2023
«Io vengo da una famiglia religiosa e quindi ho iniziato da piccola ad andare al catechismo fino alla Cresima » . Il racconto della storia religiosa dei cento giovani intervistati nell’ambito dell’indagine su quanti si sono allontanati dalla Chiesa inizia quasi sempre così. Quelli che hanno oggi intorno ai vent’anni sono stati indirizzati dalla famiglia alla parrocchia dove hanno fatto il classico percorso dell’iniziazione cristiana che per quasi tutti si è concluso con la celebrazione della Cresima. La differenza di percorso comincia da qui, ma fino alla Cresima l’esperienza religiosa è stata piuttosto uniforme. Anche il ricordo che i giovani hanno di quella loro esperienza di ragazzi è alquanto univoca: la memoria del momento della catechesi è più o meno gradevole in base al carattere del catechista o della catechista che hanno incontrato, ma niente di entusiasmante: il tranquillo senso di un dovere imprescindibile.
Tutti ricordano lezioni dottrinali di cui hanno capito poco allora e di cui non ricordano nulla oggi. Frequentare il catechismo significava l’obbligo di andare a Messa la domenica, e qui i ricordi sono quasi unanimemente negativi. Il sentimento che prevale è quello della noia: « Mi annoiavano, mi ricordo che mi annoiavo, che a volte smettevo anche di ascoltare perché mi annoiavo. Ti sentivi obbligato, anche da mia madre e mio padre che mi dicevano “Devi andare, è domenica. È brutto se non vai, perché ci vanno tutti” ». Vi è in loro anche il ricordo di accese discussioni familiari, per l’insistenza con cui alcuni genitori pretendevano che i figli andassero a Messa, contro la loro volontà . La memoria si accende quando i giovani ricordano i momenti formativi cui hanno partecipato durante l’estate: campiscuola, campeggi, vacanze con la parrocchia…. Qui i ricordi si fanno più precisi, si avverte un calore in quelle memorie in cui confluiscono la condivisione di momenti belli con gli amici, dialoghi importanti con adulti significativi, momenti di preghiera in cui vi era spazio per una diversa partecipazione e spontaneità, spesso nel contesto di scenari naturalistici suggestivi. Quanti hanno avuto esperienze estive formative hanno un ricordo positivo di ciò che hanno vissuto, anche se riconoscono che non sempre quei momenti hanno avuto per loro un significato religioso. Tuttavia hanno avuto una valenza formativa importante.
L'apprezzamento per quanto hanno ricevuto sul piano formativo è più elevato nei giovani che hanno alle spalle l’appartenenza ad un’associazione o ad un movimento.
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Quando penso ai “giovani” mi figuro persone tra i sedici e i trent’anni. Quelle più grandi non sono poi molto diverse da me.
Non ho la presunzione di conoscere i “giovani”. Di solito per loro quelli della mia età sono come invisibili, a meno che non siano genitori, zii o nonni. Per uno come me loro appaiono come alieni, proprio come io da giovane apparivo a quelli delle generazioni precedenti. Però i “giovani” delle varie generazioni si assomigliano tutti. Hanno due problemi principali: trovare un partner, cioè l’amore, e inserirsi in società. Oggi la nostra religione serve a poco in questo e in genere è addirittura d’impaccio.
Le liturgie sono noiose? Anche per me in genere lo sono. Ma non durano tanto. Non vorrei però che i preti perdessero tempo a renderle più attraenti. Servono di più ad altro. Non apprezzo molto la religiosità come spettacolo, perché è superficiale.
La religione comunque ci è indispensabile, serve a capire ed integrarsi, a dare coerenza a ciò che si fa. Ogni persona però la deve riscoprire, non serve a nulla cercare delle risposte da fuori e da altri. Ogni persona pratica a modo suo e, anche, tramanda a modo suo. È inevitabile. L’orizzonte mitico varia da religione a religione, ma anche all’interno di una stessa religione, nel trascorrere dei tempi e a seconda delle culture in cui i miti vengono vissuti.
La costruzione sociale dipende da religione e diritto e ancora non si sono trovati modi alternativi per l’organizzazione sociale. Elementi religiosi sono sempre individuabili nell’organizzazione sociale, anche se non fanno riferimento a un soprannaturale. Definisco religione un orientamento sociale secondo il quale si agisce in un certo modo a prescindere da come vanno le cose in natura. Lo spiegava Aldo Capitini: in natura pesce grande mangia pesce piccolo, ma religiosamente non lo si accetta.
La natura è quello che è: sempre impegnata in una spietata lotta per la sopravvivenza, in cui tutti mangiano tutti. L’immagine evangelica degli uccellini che non si devono dar da fare per vivere non è realistica, appartiene al mito. In natura chi non si preoccupa del domani muore. Però noi, religiosamente, possiamo sperare nella liberazione. È questo che fa ardere il cuore.
In religione certe volte si mitizza la natura come manifestazione del volere superno, altre volte si esorta a staccarsene, quindi a liberarsi dalla dura legge che assoggettava le fiere nostre ancestrali progenitrici. Ed è vero che noi siamo parte della natura e che non c’è veramente modo di evaderne, ma anche che possiamo organizzare società nelle quali si cerchi di mitigarne le dure dinamiche.
Le persone più anziane possono spiegare come, in religione, si è arrivati ad un certo punto, e questa è la tradizione. Ma poi bisogna darsi da fare. La religione, per funzionare, non deve rimanere raccontata, si deve riuscire a viverla.
La via per emanciparsi dalle crudeli leggi di natura è sempre religiosa e questo anche se ci si definisce atei. Il teismo però non è indispensabile per la religiosità. Alle origini i cristianesimi furono anzi accusati di ateismo, perché non avevano una visione teistica della religione, e questo sulla base dell’antica tradizione religiosa giudaica che non si costruiva immagini di dei. Certamente poi fu edificato anche un sistema di definizioni teistico, ma non è l’essenziale della nostra religione. Serve più che altro a dare criteri per indicare chi è dentro e chi è fuori. Sono la materia dottrinale che ai più entra da un orecchio ed esce dall’altro. Però non è indispensabile essere teologi per vivere da persone cristiane.
Mario Ardigó- Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli