Popolo, popoli, populismi – 3 –
Si definisce populismo la strategia politica per ottenere o mantenere l’egemonia su un regime sfruttando il favore di quella a parte della popolazione che rileva politicamente e che costituisce il popolo secondo un determinato ordinamento pubblico. Per quanto manifestazioni populistiche si siano avute fin dall’antichità, il populismo, come ai tempi nostri lo si intende, si è sviluppato quando ad un certo punto, a partire dall’Europa, gli strati della popolazione meno favoriti dal sistema sociale di distribuzione delle risorse contarono di più in politica, mentre in precedenza erano stati prevalentemente oggetto di poteri altrui, quindi diciamo a partire all’incirca dagli anni Venti dell’Ottocento, con il radicarsi di processi democratici e con lo sviluppo del socialismo, due movimenti che, almeno fino agli scorsi anni Cinquanta furono spesso in polemica tra loro. Furono però populisti anche la dottrina sociale cattolica contemporanea, sviluppatasi nell’Europa occidentale nella seconda metà dell’Ottocento, e i fascismi europei che emersero dopo la Prima guerra mondiale, movimenti nettamente antidemocratici e antisocialisti.
Ai tempi nostri, in Italia, il populismo è praticato, in maggiore o minore misura, da quasi tutti i gruppi candidati ad egemonizzare la politica, in un regime ancora di democrazia avanzata, in particolare dopo che, dagli scorsi anni Novanta, il socialismo marxista ha perso presa sulle masse. Le ideologie politiche di ispirazione marxista non furono populiste fondamentalmente perché pretendevano di basarsi su un’osservazione realistica delle dinamiche sociali e si proponevano di rendere le masse degli sfruttati protagoniste nell’agone politico. Il populismo, invece, si propone sempre, come detto, di sfruttarne strumentalmente il favore, mantenendole soggette. Per questo il populismo può manifestarsi anche in movimenti antidemocratici.
Secondo ciò che accade sempre nell’emergere e stabilizzarsi dei sistemi di potere pubblico, i gruppi che lottano per l’egemonia creano innanzi tutto la propria definizione di popolo, ed è a partire da essa che poi costruiscono il loro populismo, se si pensa che possa essere vantaggioso e nei limiti in cui lo si ritenga tale. Questo ritagliarsi il proprio popolo dalla popolazione insediata su un territorio fa spesso riferimento ad elementi naturalistici, ma è essenzialmente di tipo culturale e spesso mitologico.
È appunto ciò che accadde nelle guerre scatenate dal nazionalismo irredentista italiano nell’Ottocento, delle quali fece le spese il Papato romano, che vi perse lo stato che ancora aveva nel Centro Italia, abbattuto mediante conquista militare dall’esercito del Regno d’Italia nel 1870. A questo il Papato reagì sviluppando politiche populiste, nella specie presentandosi come difensore del popolo a lui rimasto fedele, visto come una maggioranza assoggettata con la violenza dal liberalismo apostata, che all’epoca animava la democrazia elitaria (basata sul censo) delle istituzioni politiche del Regno d’Italia, che certamente coinvolgeva solo una minoranza dei maschi italiani. Altra immagine del popolo era configurata nelle leggi del nuovo stato italiano, in particolare nello Statuto del Regno. Nella realtà le popolazioni italiane erano ancora molto diverse da come venivano rappresentate nelle idee di popolo degli opposti schieramenti. Quanto al Regno d’Italia si disse che, fatta l’Italia bisognava fare gli italiani. Per dirne una: in Italia solo una minoranza colta era in grado di parlare (e anche solo di intendere) l’italiano. Questo problema venne superato solo nel corso degli scorsi anni Sessanta con il diffondersi tra le masse degli apparecchi televisivi e con l’organizzazione di un servizio pubblico televisivo che si proponeva specificamente anche l’alfabetizzazione. Dalla metà dei successivi anni Ottanta l’imprenditoria nel settore della televisione ebbe un ruolo centrale nelle politiche populiste che da allora e fino al primo decennio del nuovo Millennio si svilupparono. Successivamente il populismo si valse delle reti sociali costituite sul Web, l’ambiente virtuale a cui si è connessi via internet e che è governato mediante sistemi di intelligenza artificiale, con un successo travolgente, in particolare negli Stati Uniti d’America, in Italia e in Brasile.
Caratteristico del populismo contemporaneo è il presentare un circolo ristretto, spesso manifestato pubblicamente da una singola persona, che ambisce o già esercita l’egemonia in un certo regime come difensore e vindice delle masse sfruttate e nel richiedere a queste ultime, non la partecipazione consapevole e responsabile, ma il semplice consenso pubblico acritico. La proposta populista è sempre un pacchetto offerto con la formula lasciare o perdere. Se la strategia riesce, si costituisce un legame unidirezionale: le masse popolari si legano al populista, ma quest’ultimo conserva, e pretende di conservare, piena libertà d’azione. Risponde alle aspettative generate solo nella misura che gli occorre per conservare il favore del proprio popolo e per farne un fattore determinante di pressione sociale. Il popolo creato dal populista rimane dipendente da quest’ultimo, contrariamente a quanto ci si propone nello sviluppare una democrazia popolare, vale a dire che coinvolga realmente la partecipazione responsabile dei più. Tipicamente il leader populista non accetta di essere messo in questione dal suo popolo. Anche il populismo espresso dal Papato romano fino ad epoca molto recente ebbe queste caratteristiche. Il moto di riforma sinodale promosso da papa Francesco nell’ottobre 2021 vorrebbe cambiarle e questo anche se il pensiero del Papa è ancora connotato da elementi populisti, del resto sulla base del populismo teologico manifestato nei documenti del Concilio Vaticano 2º (1962-1965).
Che cosa ne emergerà? Non lo si può ancora sapere. Si sta costruendo un’altra concezione di popolo-Chiesa, diversa da quella populista e, in particolare, basata su una reale partecipazione della gente ai processi deliberativi.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli