Popolo, popoli, populismo, pacificazione
Dalla Costituzione Luce per le genti – Lumen gentium, del Concilio Vaticano 2° (1962-1965)
13. Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio.
Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il
mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l'intenzione della volontà di
Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle infine radunare
insieme i suoi figli dispersi (cfr. Gv 11,52). A questo scopo Dio mandò il
Figlio suo, al quale conferì il dominio di tutte le cose (cfr. Eb 1,2), perché
fosse maestro, re e sacerdote di tutti, capo del nuovo e universale popolo dei
figli di Dio. Per questo infine Dio mandò lo Spirito del Figlio suo, Signore e
vivificatore, il quale per tutta la Chiesa e per tutti e singoli i credenti è
principio di associazione e di unità, nell'insegnamento degli apostoli e nella
comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (cfr. At 2,42).
In tutte quindi le nazioni della terra è
radicato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i
cittadini del suo regno non terreno ma celeste. E infatti tutti i fedeli sparsi
per il mondo sono in comunione con gli altri nello Spirito Santo, e così « chi
sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra ». Siccome dunque il regno di
Cristo non è di questo mondo (cfr. Gv 18,36), la Chiesa, cioè il popolo di Dio,
introducendo questo regno nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo,
ma al contrario favorisce e accoglie tutte le ricchezze, le risorse e le forme
di vita dei popoli in ciò che esse hanno di buono e accogliendole le purifica,
le consolida ed eleva. Essa si ricorda infatti di dover far opera di raccolta
con quel Re, al quale sono state date in eredità le genti (cfr. Sal 2,8), e
nella cui città queste portano i loro doni e offerte (cfr. Sal 71 (72),10; Is
60,4-7). Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il popolo di
Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e
senza soste tende a ricapitolare tutta l'umanità, con tutti i suoi beni, in
Cristo capo, nell'unità dello Spirito di lui.
In virtù di questa cattolicità, le singole
parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, in modo che
il tutto e le singole parti si accrescono per uno scambio mutuo universale e
per uno sforzo comune verso la pienezza nell'unità. Ne consegue che il popolo
di Dio non solo si raccoglie da diversi popoli, ma nel suo stesso interno si
compone di funzioni diverse. Poiché fra i suoi membri c'è diversità sia per
ufficio, essendo alcuni impegnati nel sacro ministero per il bene dei loro fratelli,
sia per la condizione e modo di vita, dato che molti nello stato religioso,
tendendo alla santità per una via più stretta, sono un esempio stimolante per i
loro fratelli. Così pure esistono legittimamente in seno alla comunione della
Chiesa, le Chiese particolari, con proprie tradizioni, rimanendo però integro
il primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione
universale di carità, tutela le varietà legittime e insieme veglia affinché ciò
che è particolare, non solo non pregiudichi l'unità, ma piuttosto la serva. E
infine ne derivano, tra le diverse parti della Chiesa, vincoli di intima
comunione circa i tesori spirituali, gli operai apostolici e le risorse
materiali. I membri del popolo di Dio sono chiamati infatti a condividere i beni
e anche alle singole Chiese si applicano le parole dell'Apostolo: « Da bravi
amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno di voi metta a servizio
degli altri il dono che ha ricevuto» (1 Pt 4,10).
Tutti gli uomini sono quindi chiamati a
questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace
universale; a questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati sia i
fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini
senza eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza.
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Per la prima volta nella storia
dell’umanità, pensiamo a una pacificazione di tutte le popolazioni della Terra
come a un obiettivo politico concreto, non come una fantasia proiettata in un
lontanissimo futuro. Ce lo figuriamo come politico nel senso che riteniamo di poterci
lavorare su con le nostre mani, tessendo relazioni sociali e costruendo
istituzioni adeguate allo scopo. Ne va della sopravvivenza del genere umano,
che ormai ha raggiunto gli otto miliardi di persone. Questa nuova nostra
condizione, mai vissuta prima da quando gli umani sono emersi dal resto della
biologia animale, richiede un’integrazione globale tra le società, le economie,
le culture e, quindi, il progressivo superamento delle frontiere e dei sistemi
politici che le hanno tracciate, trincerandosi dietro di esse. Quindi anche
dell’idea di popolo.
Anche la nostra Chiesa è stata coinvolta in
questo grandioso processo. Ha cercato di adattare la sua teologia, ma il
risultato non è ancora soddisfacente, perché è costruita ancora sull’idea e sul
mito del popolo.
Il ragionamento che si segue è quello
sintetizzato nel numero 13, inserito nel capitolo 2° sul Popolo di Dio,
della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti – Lumen gentium,
deliberata durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965).
Il problema è che la costruzione del popolo
santo come descritta negli scritti biblici si fa per estrazione: da
questo processo esitano il nuovo popolo, che esce dal vecchio, e poi
quest’ultimo. La gente del popolo nuovo è scelta in mezzo al vecchio, che non viene soppresso,
anche se è destinato alla rovina. Noi però avremmo bisogno di costruire il
popolo nuovo per trasformazione integrale
di ciò che c’era prima, non per estrazione, senza che residui nulla di vecchio. Se
cerchiamo di lavorare utilizzando l’idea di popolo, troviamo delle serie
difficoltà sulla via della pacificazione, poiché, come abbiamo visto, l’idea di
popolo è strettamente connessa con quella di potere politico, perché ogni
potere si costruisce il suo popolo che estrae da una popolazione
umana. Voler organizzare un popolo universale, destinato a riunire tutte
le genti della Terra, significa anche pensare a un unico potere mondiale. Questo
obiettivo, però, non solo si manifesta irrealizzabile, sulla base di ciò che
s’è tentato finora, ma sarebbe anche molto pericoloso, perché un potere di quel
genere finirebbe fatalmente per farsi dispotico: infatti, quanta più gente si
tenta di assoggettare a un potere, tanta più violenza politica occorre. Questa
è una legge per così dire naturale dell’evoluzione delle società umane.
Negli scorsi anni Sessanta si costruì la
teologia del Popolo di Dio per cercare di riformare quella che era diventata
un’autocrazia assolutistica, in un’evoluzione che aveva seguito la legge che
dicevo. Ma popolo e potere sono strettamente legati e non può essere definito
un popolo senza far riferimento al potere che lo ha creato. E infatti quella
via si è rivelata sostanzialmente inefficace allo scopo che ci si era prefissi
e si constata amaramente che tutto è rimasto più o meno come primo. Lo ha detto
lo stesso Papa in diverse occasioni, lamentandosene.
Leggiamo nella Luce per le genti – Lumen gentium:
Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale; a questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini senza eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza.
Questa asserzione, che è teologia ma ha anche un
contenuto politico, si è rivelata molto problematica in concreto. La difficoltà
è che non tutti gli uomini accettano di essere coinvolti in quel tipo di unificazione,
ma non per questo li possiamo considerare cattivi o ribelli.
Unità e unificazione non comportano necessariamente pacificazione,
vale a dire ciò che ci serve. La pacificazione comincia a manifestarsi quando le relazioni
sociali migliorano e questo accade quando la gente trova più conveniente non
ricorrere alla violenza. I tentativi di assimilazione la provocano. Negli
ultimi anni si è cominciato a capire anche nella nostra Chiesa che per pacificare
è necessario accettare un certo pluralismo sociale. Ma in questo
modo quell’unità di tipo organico della
gente in un unico popolo non
si manifesta. Il populismo teologico si è rivelato non essere la via giusta.
Non perché non scaturisca da un’affascinante costruzione razionale su base scritturistica,
ma semplicemente perché l’esperienza ha chiaramente dimostrato che non funziona.
E’ una teologia che è invecchiata presto, perché l’umanità alla quale si
pretendeva di applicarla è cambiata molto velocemente.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli